Di recente, lo studio delle norme in materia di concorso notarile ci ha dato modo di approfondire una questione molto interessante, afferente alla fase di correzione degli elaborati predisposti dai candidati in sede concorsuale, senz’altro meritevole di una seria riflessione per i motivi che seguono.
La normativa di riferimento è quella di cui al d. lgs. 24 aprile 2006, n. 166, avente ad oggetto le “norme in materia di concorso notarile, pratica e tirocinio professionale, nonché in materia di coadiutori notarili in attuazione dell’articolo 7, comma 1, della legge 28 novembre 2005, n. 246”.
L’art. 11 del d. lgs. n. 166/2006, rubricato “correzione delle prove scritte”, indica le modalità di correzione cui deve attenersi la Commissione in fase di correzione degli elaborati scritti, differenziando le regole a seconda che gli elaborati ottengano un giudizio di idoneità ovvero un giudizio di non idoneità nonché, per i soli casi di elaborati giudicati non idonei, a seconda che tali elaborati contengano “nullità o gravi insufficienze” o ne siano privi.
È utile riportare per intero il richiamato articolo 11, per ragioni di chiarezza e completezza espositiva: “1. La sottocommissione di cui all’articolo 10 procede, collegialmente e nella medesima seduta, alla lettura dei temi di ciascun candidato, al fine di esprimere un giudizio complessivo di idoneità per l’ammissione alla prova orale. 2. Salvo il caso di cui al comma 7, ultimata la lettura dei tre elaborati, la sottocommissione delibera a maggioranza se il candidato merita l’idoneità. 3. Il giudizio di idoneità comporta l’attribuzione del voto minimo di trentacinque punti a ciascuna delle tre prove scritte. 4. In caso di idoneità, la sottocommissione assegna, in base ai voti di ciascun commissario, il punteggio complessivo da attribuire a ciascuna prova scritta fino ad un massimo di punti cinquanta. A tale fine, ciascun commissario dispone di un voto da zero a tre punti. 5. Il giudizio di non idoneità è sinteticamente motivato con formulazioni standard, predisposte dalla commissione quando definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati. Nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione. 6. Il segretario annota la votazione complessiva o la motivazione, facendola risultare dal processo verbale, per ciascun elaborato. 7. Nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione, ai sensi dell’articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi”.
Innanzitutto, un primo dato può darsi per pacifico: la correzione collegiale degli elaborati di ogni candidato ha la chiara finalità di condurre a un “giudizio complessivo di idoneità” e tale “giudizio complessivo di idoneità” è deliberato solo dopo la lettura di tutti e tre gli elaborati.
Infatti, è solo dopo la lettura di tutti e tre gli elaborati che la Commissione, ove abbia dichiarato idoneo il candidato, deve attribuire a ciascuna prova un voto da un minimo di trentacinque a un massimo di cinquanta punti, dovendo, per converso, astenersi dall’attribuire un voto numerico nel caso in cui il giudizio complessivo sia di inidoneità.
In tale ultima ipotesi, la Commissione è tenuta unicamente a motivare con delle formulazioni standard già predisposte in sede di predeterminazione dei criteri di correzione.
V’è solo un caso, fatto salvo dal comma 2 dell’art. 11, in cui il “giudizio complessivo di idoneità” può subire anticipazioni temporali, ossia quello del cosiddetto errore ostativo di cui al comma 7: è il caso in cui emergano nullità o insufficienze così gravi da non consentire alla Commissione di procedere oltre nella correzione, ben potendo la predetta formulare un giudizio di non idoneità ancor prima della lettura di tutti e tre gli elaborati.
Tutto ciò premesso, la norma pone il serio problema di comprendere quale sia l’esatto momento in cui deve avvenire la valutazione ad opera della Commissione e se, eventualmente, vi siano diversi momenti valutativi con tempi, caratteristiche e obiettivi differenti.
In altre parole, quando la Commissione deve valutare gli elaborati di un candidato? Solo all’esito della lettura di tutti e tre gli elaborati?
La norma sembrerebbe voler suggerire di sì, per via del richiamo costante che viene fatto al “giudizio complessivo di idoneità” solo all’esito della lettura di tutti e tre gli elaborati, ma se fosse (solo) così, allora alla Commissione non dovrebbe potersi riconoscere il potere di anticipare la valutazione di inidoneità al primo o al secondo elaborato, nel caso in cui emergano nullità o gravi insufficienze.
Ebbene, sembra piuttosto che la norma voglia individuare due differenti momenti valutativi, che si distinguono principalmente per l’obiettivo che si prefiggono:
a) un primo momento valutativo è quello esercitato di volta in volta, a seguito della lettura del primo e del secondo elaborato, teso a liberare il campo da nullità o gravi carenze che, costituendo errori insuperabili, ostano alla prosecuzione della correzione;
b) un secondo momento valutativo è quello esercitato solo a seguito della lettura di tutti e tre gli elaborati che, secondo quanto emerge dalla lettera della norma, ben potrebbe (ancora) condurre a un giudizio di idoneità o di non idoneità.
Dalle considerazioni che precedono emerge, pertanto, che il giudizio complessivo di idoneità non è precluso dalla presenza di qualche errore nei tre elaborati, rilevando soltanto che non vi siano errori ostativi, perché quelli sì che impedirebbero in radice la formulazione di un giudizio di idoneità finale.
Del resto, se si provasse ad ammettere il contrario, se si provasse cioè a negare che un giudizio complessivo di idoneità può discendere anche dalla valutazione di elaborati che contengano qualche errore, non avrebbe senso prevedere un sistema di correzione che impone alla Commissione di non procedere oltre solo se si rileva un errore ostativo nei primi due elaborati.
La possibilità stessa di procedere oltre nella correzione, in mancanza di errori ostativi, ha come corollario che si possa deliberare l’idoneità di un candidato pur in presenza di errori non gravi.
Quanto esposto fin qui non vuole essere un ragionamento sterile e senza alcuna utilità concreta.
Infatti, la riflessione si impone per comprendere in che modo un candidato che si reputi leso da un giudizio di inidoneità finale, emesso dunque all’esito della lettura di tutti e tre gli elaborati, debba formulare un’eventuale domanda di annullamento in giudizio.
Costui ben potrebbe chiedere all’Autorità giudiziaria di annullare integralmente il verbale di correzione delle sue prove e di condannare la Commissione ad effettuare ex novo una correzione di tutti e tre gli elaborati predisposti.
In alternativa, potrebbe chiedere all’Autorità giudiziaria di annullare solo parzialmente il verbale di correzione e di condannare la Commissione, fermo il giudizio sui primi due elaborati, ad effettuare una nuova correzione solo del terzo e ultimo elaborato nonché a formulare un nuovo giudizio complessivo di idoneità.
È facile notare che il relativo onere della prova sarà diversamente distribuito a seconda che dinanzi al giudice si prospetti l’una o l’altra domanda: nel primo caso, l’onere della prova in capo al ricorrente sarà più gravoso, atteso che egli dovrà dimostrare la piena legittimità di tutti e tre gli elaborati, mentre nel secondo caso, l’onere della prova in capo al ricorrente sarà decisamente meno gravoso.
In quest’ultima eventualità il ricorrente, ai sensi dell’art. 2697 c.c., dovrà fornire la piena prova della legittimità del terzo elaborato, chiedendo che la Commissione si pronunci solo su di esso e che pervenga, in definitiva, ad un giudizio complessivo di idoneità.
Certo, a questo punto l’Amministrazione potrebbe sempre difendersi affermando che, anche all’esito di una nuova correzione del terzo elaborato e finanche nel caso in cui questo appaia esente da errori, il “giudizio complessivo di idoneità” è comunque precluso.
Rimane incontestato, infatti, che le valutazioni della Commissione in sede concorsuale sono caratterizzate da un’elevata discrezionalità tecnica: è, infatti, un principio consolidato in giurisprudenza quello per cui “il giudizio della Commissione […] attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile – unicamente sul piano della legittimità – per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, laddove tali profili risultino emergenti dalla stessa documentazione e siano tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione” (cfr. T.A.R. Lazio – Roma, sez. I, sentenza 4 marzo 2022, n. 2580; cfr. altresì, ex multis, CdS, sez. IV, sentenza n. 172 del 2006; T.A.R. Lazio – Roma, sez. I, sentenza 6 settembre 2013, n. 4626).