L’articolo 3 del decreto legislativo 85/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale), prevede un vero e proprio “diritto all’uso delle tecnologie”, stabilendo che “chiunque ha il diritto di usare, in modo accessibile ed efficace, le soluzioni e gli strumenti di cui al presente Codice” nei rapporti con le Pubbliche Amministrazioni.
A sua volta, il successivo articolo 9 (“partecipazione democratica elettronica”) così obbliga le P.A.: ”favoriscono ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all’estero, al processo democratico e per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili”.
Tuttavia, è lo stesso CAD a escludere dal suo ambito di applicazione “le attività e le funzioni relative alle consultazioni elettorali” (art. 2 comma 6).
Ne conseguirebbe la non operatività dell’equiparazione tra documento e firma analogici e documento e firma digitali, contenuta nel CAD, e, quindi, nel caso concreto, la negazione del diritto dell’elettore di sottoscrivere una lista di candidati, a distanza, mediante firma digitale.
La Corte Costituzionale, con sentenza numero 3 del 23 gennaio 2025, ha ritenuto che la riconosciuta discrezionalità del legislatore in materia elettorale non può essere d’impedimento all’intervento della Corte, perché incontra pur sempre il limite della manifesta irragionevolezza.
Ed è in effetti irragionevole distinguere il procedimento referendario, nel quale è ormai ammessa la firma digitale, dal procedimento elettorale, perché sono identiche le ragioni di garanzia dell’identità del sottoscrittore alla base delle due discipline e perché tanto la sottoscrizione di una lista di candidati, quanto la firma di una proposta referendaria o di una legge di iniziativa popolare, sono espressione “di diritti politici aventi lo stesso rilievo nell’architettura dell’impianto costituzionale”.
Occorre inoltre ammettere che lo svolgimento in forme tradizionali delle operazioni elettorali (la “liturgia repubblicana”, così ben raccontata da Italo Calvino) perde sempre più senso: la “crescente disaffezione all’esercizio del diritto di voto” può essere validamente superata, consentendo la partecipazione a distanza, mediante la tecnologia.
Questi alcuni dei principi affermati dalla Corte, con la sentenza 3/2025, nel dichiarare l’articolo 2, comma 6, del CAD, costituzionalmente illegittimo, “nella parte in cui non prevede per l’elettore, che non sia in grado di apporre una firma autografa per certificata impossibilità derivante da un grave impedimento fisico o perché si trova nelle condizioni per esercitare il voto domiciliare, la possibilità di sottoscrivere un documento informatico con firma elettronica qualificata, cui è associato un riferimento temporale validamente opponibile ai terzi”.
E’ utile riportare, di seguito, alcune condivisibili riflessioni contenute nella sentenza:
“… Il soggetto, grazie allo sviluppo tecnologico, id est la firma digitale, ben potrebbe autonomamente apporre la sottoscrizione necessaria alla presentazione delle candidature, se non incontrasse la preclusione derivante dall’art. 2, comma 6, CAD, che invece lo trasforma, sotto la prospettiva in oggetto, in inabile, costringendolo a dover ricorrere alla più gravosa e complessa dichiarazione verbale resa davanti a due testimoni e a un soggetto abilitato a verbalizzarla, secondo quanto previsto dall’art. 28, quarto comma, del d.P.R. n. 570 del 1960.
Questa dinamica normativa contrasta con il principio personalista (art. 2 Cost.), che impone di rilevare che la dignità umana è compromessa ogni volta in cui è lo stesso ordinamento giuridico che trasforma, in forza di un suo divieto o di una sua previsione, in inabile e bisognosa di assistenza una persona che, invece, sarebbe in grado, con propri mezzi, di provvedere a compiere una determinata attività.
In questi termini, la suddetta preclusione, oltretutto, determina «un aggravio procedimentale» (sentenza n. 15 del 2024) irragionevole e non proporzionato, che si risolve anche in uno di quegli ostacoli, ripetutamente censurati da questa Corte (sentenze n. 186 del 2020 e n. 254 del 2019), il cui effetto, in questo caso in riferimento agli artt. 48 e 49 Cost., è quello di discriminare alcune categorie di persone (sentenza n. 9 del 2021), in violazione quindi anche dell’art. 3 Cost., compreso il profilo della stessa eguaglianza sostanziale.
È infatti compito della Repubblica proprio quello di rimuovere gli ostacoli che, «limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione» all’«organizzazione politica», in questo caso, del Paese.
Anziché rimuovere l’ostacolo è, paradossalmente, l’ordinamento stesso che finisce, nella fattispecie qui considerata, per introdurre un aggravio né necessario, né proporzionato rispetto all’esigenza di verificare l’autenticità e la genuinità della sottoscrizione della lista di candidati, parimenti conseguibile consentendo all’elettore con disabilità di utilizzare la modalità elettronica per sostenere la lista di candidati”.