Segnaliamo il decreto 36/2025 del Consiglio di Stato, sez. III, a firma della Presidente Rosanna De Nictolis sul ruolo della istanza di fissazione d’udienza nel processo amministrativo.
E’ disciplinata all’articolo 71 del codice del processo amministrativo (TU 104/2010) e rientra tra gli strumenti che le parti del processo hanno a disposizione per sollecitare la trattazione della loro causa, in ossequio al principio dell’impulso processuale di parte secondo il quale il processo prosegue solo su iniziativa delle parti.
A conferma della centralità del predetto principio nel sistema processuale amministrativo, basti ricordare che, in base all’articolo 81 del codice, qualora l’inerzia delle parti si protragga per più di un anno e, dunque, qualora non venga richiesta la fissazione dell’udienza, il processo andrà incontro a perenzione.
Il decreto in esame, da un lato, conferma la regola di cui all’articolo 71 del codice, secondo cui la fissazione udienza debba essere richiesta “da una delle parti”, non esigendo che sia necessariamente il ricorrente a proporla.
Dall’altro lato, e in questo passaggio argomentativo risiede la rilevanza del decreto 36/2025, si fa riferimento all’articolo 55, co.4, c.p.a. secondo cui “la domanda cautelare è improcedibile finché non è presentata l’istanza di fissazione dell’udienza di merito”.
La Presidente ha fornito un’interpretazione innovativa della norma, rispetto alla prassi esistente, ritenendo che, al fine della procedibilità della domanda cautelare, debba essere la parte che richiede la tutela cautelare a presentare l’istanza di fissazione udienza.
Sul punto, si legge nel decreto che “la richiesta di tutela cautelare rientra nella disponibilità esclusiva della parte che la chiede, e solo questa può valutare se farla calendarizzare o (implicitamente) rinunciarvi; la ratio sottesa si fonda sul principio di soccombenza e sull’interesse al ricorso”.
Considerato che nel caso concreto la domanda cautelare consisteva nella richiesta di sospendere l’efficacia di una sentenza di primo grado, secondo la Presidente, doveva necessariamente essere la parte soccombente e, dunque, quella che poteva effettivamente subire un pregiudizio dall’esecutività della sentenza a chiedere la trattazione della domanda cautelare al fine di ottenerne la sospensione.