Imparare al tempo dell’Intelligenza Artificiale

Una macchina non impara, una macchina calcola

Mai come in questi ultimi anni abbiamo così tante volte letto il termine imparare, ma, a differenza del passato, stavolta pare non interessare che siano gli essere umani ad imparare, ma che lo siano le macchine. Per chi “mastica l’inglese” (come cantava Luca Barbarossa in Yuppies), l’e-learning è sempre presente quando si parla di AI.

Ma davvero un pezzo di silicio può imparare? Qualche transumanista arriva a dire che, se può farlo un pezzo fatto di carbonio, acqua e altri minerali, qual è l’essere umano, perché non un pezzo di silicio e altri materiali “rari”?

La risposta è no, una macchina non impara, una macchina calcola, è l’unica cosa che può fare, e il tipo di calcolo che fa non è nemmeno calcolo complesso ma semplice calcolo combinatorio.

Facciamo un esempio.
Tre giri in senso antiorario e proseguire fino al numero 25, due giri in senso orario e proseguire fino al 35 e un giro a sinistra e proseguire fino al numero 60.
Avete capito benissimo che si tratta di una cassaforte con serratura a combinazione, se ogni numero arriva massimo a 100, le combinazioni totali saranno 100x100x100 = 1000000 (un milione).
Un eventuale ladro, anche impiegando 10 secondi ad ogni combinazione, e “lavorando” giorno e notte senza un attimo di riposo, impiegherebbe quattro mesi a provarle tutte.
Un automa, progettato ad hoc per scassinare le combinazioni, potrebbe farlo in un giorno, semplicemente e meccanicamente scorrendo tutte le combinazioni ad un decimo di secondo ognuna.

L’automa è intelligente? No. Ha imparato a scassinare le casseforti? No.

Anche le password, la gran seccatura di formarle componendo caratteri speciali, numeri, minuscole, maiuscole, che ci propinano ormai da anni banche, servizi di ecommerce e quasi tutti i siti web, è frutto di calcolo combinatorio.
Una volta era sufficiente una password di 8 caratteri scelti tra le 26 lettere maiuscole o minuscole indifferentemente e le 10 cifre, ovvero 36 elevato a 8 = 2.821.109.907.456. Evidentemente si riteneva che quasi tremila miliardi di combinazioni mettessero al sicuro l’accesso. Tanto più che dopo pochi tentativi errati, il sistema ne avrebbe bloccato l’accesso. Oggi le combinazioni necessarie per “motivi di sicurezza” (dicono gli esperti) sono molte di più. Sarà, ma se già dopo un paio di password sbagliate inseriscono la tua utenza in una black list, per farla uscire dalla quale devi perdere mezza giornata a telefonare a call center automatici, che senso ha?

Le crittovalute? Una lotteria, una competizione tra macchine. Si sceglie un numero di molte cifre e le macchine devono arrivare a quel numero tramite un particolare calcolo. La prima che ci arriva vince un bitcoin (sto semplificando). Cosa serve per vincere e, quindi, per produrre denaro? Macchine potenti ed energia a buon mercato.

Intelligenza artificiale? Stessa cosa. Combinazioni di parole. Miliardi e miliardi di combinazioni, di parole e frasi intrecciate. Cosa serve per dare l’impressione di “imparare” e, a quel punto, di insegnare, di suggerire, di oracolare? Macchine potenti ed energia a buon mercato.

No, perché, credevate che il tanto, rinnovato e agognato interesse per l’energia nucleare fosse per il bene dell’umanità?

Chiudo con un “messaggio in bottiglia”, per i posteri, che un amico informatico, Giacomo Tesio, ha lasciato in una mailing list (Nexa) che merita di essere seguita:

“L’archivio Nexa sarà veramente prezioso in futuro: spero che ne esistano molte copie, archiviate con sistemi ad alta affidabilità.
Un giorno, storici, psicologi e sociologi studieranno questi scambi.
Ci si chiederà come sia potuto accadere che tante persone intelligenti e colte attribuiscano “apprendimento”, “intelligenza” e persino “capacità linguistiche” ad un grosso archivio compresso.
Chissà quali bizzarre ipotesi faranno questi studiosi del futuro.
Ricondurranno questi scambi ad allucinazioni di massa?
Alla superficialità di intellettuali decadenti?
A “echo chamber” personalizzate dai BigTech?
Ad alienazione cibernetica?
A servitù volontaria?

Alcuni parleranno di “secoli bui”, tracciando analogie col medioevo. Analogie che ci indignerebbero, ed indignerebbero ancor di più molti intellettuali medioevali.”

Captcha

Informatico di lungo corso, esperto di sistemi e tecnologie di rete. Presenza attiva su Internet già dalla seconda metà degli anni Novanta. Fautore dell'open data e dell'informatica consapevole. Fortemente critico della centralizzazione della Rete avvenuta a partire dal secondo decennio di questo millennio, auspica un ritorno alla decentralizzazione e alla democratizzazione di Internet.