Consiglio di Stato, V Sezione
Sentenza n. 5926 del 22 novembre 2001
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La questione:
La variante in corso d’opera di una concessione edilizia, a norma dell’art. 15 l. 47/85, richiede che le modificazioni introdotte rispetto alla concessione originaria siano di consistenza limitata (Cons. Stato, V, 11 aprile 1996, n. 392).
Non è giudicata di modesta entità – al punto di costituire una variante in corso d’opera – la demolizione e la ricostruzione di muri perimetrali; tali interventi, in caso di violazione delle prescrizioni e delle modalità esecutive della originaria concessione, integrano, per contro, gli estremi della parziale difformità (cfr. Cass. pen., III, 12 maggio 1994).
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Il testo:
Consiglio di Stato, V Sezione
Sentenza n. 5926 del 22 novembre 2001
sul ricorso in appello n. 7561/95, proposto da Pietro Piutti, rappresentato e difeso dall’avv. Marzio Albano, ed elettivamente domiciliato in Roma, v. Cosseria n.2 (studio Folliero Orrù),
contro
il Comune di Reana del Rojale, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Claudio Mussato e Nicolò Paoletti, e presso il secondo elettivamente domiciliato in Roma, v. B. Tortolini n.324,
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli- Venezia Giulia 13 luglio 1994, n. 278, resa inter partes, con la quale sono stati rigettati i quattro ricorsi riuniti proposti dal ricorrente avverso ordini di sospensione dei lavori e di demolizione di manufatti abusivi.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 22 giugno 2001 il Consigliere Gerardo Mastrandrea; uditi per le parti gli avv.ti Mungari, su delega dell’avv. Albano, e l’avv. Mussato;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza impugnata, in epigrafe indicata, sono stati respinti quattro ricorsi riuniti proposti in prime cure dall’attuale appellante avverso, nell’ordine, l’ordine di sospensione di lavori concernenti opere abusive (in particolare rifacimento di murature e sottofondazioni con inserimento di pilastri in cemento armato), l’ordine di demolizione delle predette opere, l’ordine di demolizione di altre opere abusive (relative questa volta alla costruzione di una nuova ala dell’edificio a nord-ovest), il provvedimento di acquisizione al patrimonio del Comune della suddetta parte nuova di fabbricato. Il tutto eseguito in violazione, ad avviso del Comune intimato, della concessione edilizia n. 43/87, rilasciata – in data 24 aprile 1987 – al fine della ristrutturazione di un fabbricato ad uso abitazione e deposito gravemente danneggiato a seguito del sisma del 1976.
Il menzionato titolo di assenso edilizio è stato peraltro interessato, con ordinanza sindacale n. 7 del 13 gennaio 1988, non contestata a tempo debito dal reclamante, da una parziale declaratoria di decadenza in ragione di un intervenuto contrasto con la variante n.26 dello strumento urbanistico comunale vigente.
I diversi sopralluoghi dei tecnici comunali, sui quali hanno tratto fondamento le determinazioni impugnate in primo grado e confermate dai primi giudici, hanno dato modo di constatare che le murature portanti erano state completamente ricostruite, e non solo consolidate come previsto dal progetto approvato in occasione della concessione edilizia succitata, e che era stata costruita una propaggine del tutto nuova a Nord-Ovest del fabbricato.
2. Il Tribunale di prima istanza ha respinto i ricorsi del sig. Piutti fondando le proprie argomentazioni precipuamente su elementi di rilievo fattuale, visto che le opere, per stessa ammissione di parte ricorrente, sono state eseguite in difformità del provvedimento concessorio, e non rilevando in maniera decisiva l’entità dell’abuso.
3. Con l’appello in trattazione il sig. Piutti è tornato a dedurre vari profili di violazione di legge e di eccesso di potere, affermando che in entrambi gli abusi si sarebbe trattato di interventi di lieve entità e comunque sussumibili nella categoria delle varianti in corso d’opera, che come è noto non possono essere oggetto di provvedimento demolitorio.
4. L’appellato Comune si è costituito in giudizio per resistere all’appello, difendendo l’ineccepibilità della sentenza gravata.
Alla pubblica udienza del 22 giugno 2001 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.
DIRITTO
1. L’appello non merita accoglimento.
Con la sentenza impugnata è stata confermata la legittimità delle decisioni assunte dall’Amministrazione comunale, di carattere sospensivo, demolitorio ed infine ablatorio, relativamente a due diverse fattispecie di abuso edilizio poste in essere in relazione al medesimo fabbricato.
In particolare, in difformità dalla concessione edilizia n. 43 del 1987 – parzialmente decaduta con atto sindacale n. 7/88, non impugnato dall’istante, nella parte in contrasto con l’intervenuta variante allo strumento urbanistico comunale – che assentiva alla ristrutturazione di un fabbricato ad uso abitazione e deposito, danneggiato dal sisma del 1976, risultavano realizzate, alla luce di due diversi sopralluoghi, da un lato la demolizione delle sottofondazioni, la ricostruzione della muratura e la demolizione delle fondazioni (in relazione alla muratura esterna portante), dall’altro l’edificazione ex novo della propaggine nord-ovest del fabbricato.
2. Il ricorrente, anche in sede di appello, ha insistito nel qualificare le opere in questione come variazioni di minima entità e comunque non essenziali, per cui il Comune, non applicando tra l’altro la disciplina sulle varianti in corso d’opera (art. 15 l. 47/85), sarebbe incorso nel travisamento dei fatti e nell’erronea applicazione della normativa vigente.
3. Ciò posto, non appare revocabile in dubbio, e in verità non è messo efficacemente in discussione nemmeno dallo stesso ricorrente, che le opere realizzate dall’appellante fossero realmente difformi da quanto assentito dalla concessione, che si limitava a prevedere il consolidamento ed il ripristino del fabbricato, in particolare mediante la creazione di un locale adibito a scantinato non esistente, la conservazione e il ripristino delle murature mediante la demolizione dei soli intonaci e l’applicazione di rete elettrosaldata (e non dunque, come avvenuto, tramite la completa ricostruzione delle medesime con pilastri in cemento armato e mattoni pieni).
Resta da valutare se, a fronte anche della portata degli abusi, le sanzioni adottate dal Comune rispondessero ad un quadro di legittimità.
4. Tanto premesso, scrutinando il lungo dispiegamento dei motivi di appello, traenti origine dalle censure dedotte in primo grado con i quattro diversi ricorsi introduttivi, può prendersi le mosse dalle doglianze formulate in relazione ai ricorsi n. 365/89 e 396/89, inerenti alla prima tipologia di abuso.
L’Amministrazione comunale, nel disporre definitivamente la demolizione delle opere abusive, una volta ordinata la sospensione dei lavori, ha richiamato il disposto normativo dell’art.12, comma 1, della l. 47/85, che prevede la demolizione, a cura e spese dei responsabili dell’abuso, delle opere eseguite in parziale difformità dalla concessione.
Nella specie l’Amministrazione comunale ha ritenuto, sulla base della propria valutazione discrezionale, che la demolizione, nonostante riguardasse strutture portanti, potesse avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, e pertanto non ha applicato la sanzione pecuniaria a norma del comma 2 del citato art. 12. Sul punto comunque nulla ha specificamente dedotto l’appellante.
Quest’ultimo ha invece impostato la propria trama argomentativa essenzialmente sull’entità delle difformità, ritenute “minime e necessitate”, e sull’includibilità degli interventi eseguiti nell’ambito delle varianti in corso d’opera ex art. 15 l. 47/85, per le quali non è prevista la sanzione demolitoria.
Ciò posto, in disparte la possibilità di effettuare conferenti distinzioni in base all’entità di difformità, come nella specie, comunque accertate e per le quali può essere invocata la doverosa repressione dell’abuso (cfr. Cons. Stato, V, 19 marzo 1996, n. 270), nell’ipotesi in argomento non si rinvengono elementi probatori a supporto della asserita entità trascurabile delle difformità realizzate, atteso che, invece del consolidamento dei muri, si è provveduto alla demolizione e alla ricostruzione dei medesimi con l’inserimento di pilastri in cemento armato e quindi con modifiche strutturali di un certo rilievo.
Né, di fronte all’accertata difformità rispetto al titolo edilizio, spetta al giudice sindacare, nel merito delle valutazioni di competenza dell’Amministrazione, se i muri portanti fossero effettivamente vetusti ed in pessimo stato, così da giustificare la ben più impegnativa opera di ricostruzione e rafforzamento avviata dal ricorrente.
La “parziale difformità” è una categoria residuale nella quale non rientrano da un lato i lavori effettuati senza concessione, in totale difformità o in variazione essenziale, dall’altro quelli qualificati varianti in corso d’opera, e che in effetti può trovare spazio in caso di lavori murari non previsti, una volta semplicemente raffrontati il progetto approvato e le opere in concreto realizzate.
Nella fattispecie non può trovare invece validamente spazio applicativo l’istituto della variante in corso d’opera, che peraltro avrebbe comunque preteso un iter procedurale d’approvazione, nel caso nemmeno avviato.
Corre l’obbligo di evidenziare che la variante in corso d’opera di una concessione edilizia, a norma dell’art. 15 l. 47/85, oltre che trovare applicazione solo in caso di conformità agli strumenti urbanistici vigenti delle opere difformi, pretende anche che le modificazioni introdotte rispetto alla concessione originaria siano di consistenza limitata (Cons. Stato, V, 11 aprile 1996, n. 392).
Così, con particolare attinenza alla vertenza in trattazione, non è stata giudicata di modesta entità – al punto di costituire una variante in corso d’opera – la demolizione e la ricostruzione di muri perimetrali; tali interventi, in caso di violazione delle prescrizioni e delle modalità esecutive della originaria concessione, integrano, per contro, gli estremi della parziale difformità (cfr. Cass. pen., III, 12 maggio 1994).
Gli interventi rivolti al rinnovo di elementi costitutivi dell’edificio non possono, inoltre, essere fatti rientrare nella fattispecie della manutenzione straordinaria (e questo vale a maggior ragione, come si vedrà, anche per la seconda tipologia di abuso).
Non giova al ricorrente nemmeno lamentare la mancanza di motivazione circa l’interesse pubblico a provvedere, atteso che tale motivazione è tradizionalmente ritenuta in re ipsa a fronte della doverosa azione ripristinatoria.
Non sussistono poi elementi obiettivi che confortino l’asserito intento persecutorio e quindi lo sviamento che avrebbe contraddistinto, nel caso di specie, l’azione amministrativa.
Non si ravvisa, infine, fatte salve le osservazioni sopra riportate circa le valutazioni effettivamente sindacabili, la pretesa contraddittorietà del comportamento dell’Amministrazione alla stregua dell’emanazione di un’ordinanza di demolizione di un muro, emessa nell’immediatezza dell’evento sismico del 1976, trattandosi in quest’ultimo caso di provvedimento del tutto autonomo, intercorso diverso tempo prima ed adottato in seguito ad altra tipologia di valutazioni, connesse all’emergenza e alla sicurezza pubblica.
5. Quanto alle doglianze riproposte in relazione ai ricorsi originari nn. 828/92 e 1005/93, non è in verità richiesto al Collegio un rilevante ulteriore sforzo di approfondimento, venendo ad essere nuovamente invocate la minima entità delle difformità e la riconducibilità dell’intervento all’ipotesi di variante in corso d’opera, profili che stonano ancora di più, nella specifica fattispecie, con la demolizione e la completa ricostruzione ex novo di un’ala del fabbricato che, ai sensi del titolo concessorio, non doveva essere interessata da alcun intervento.
E’ dunque evidente che si tratti di abuso legittimamente fatto rientrare dall’Amministrazione comunale, come può evincersi dal provvedimento impugnato (che sul punto non è generico), nell’ipotesi di esecuzione di opere in assenza di concessione edilizia, in totale difformità dalla medesima ovvero con variazioni essenziali, con le doverose conseguenze dal punto di vista sanzionatorio.
La costruzione di un nuovo corpo di fabbrica non previsto dal progetto approvato integra di certo gli estremi della modifica della sagoma e delle superfici utili. In tale fattispecie non può quindi trovare applicazione il citato art. 15 della l. 47/85, che consente varianti in corso d’opera.
6. Alla stregua delle considerazioni suesposte l’appello non può sfuggire alla reiezione.
Sussistono, nondimeno, i motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti, relativamente al presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo respinge.
Spese del presente grado compensate.
(Alfonso Quaranta, Presidente; Gerardo Mastrandrea, Estensore)