Non commette reato il capufficio che, per assicurare la continuità dell’attività aziendale, legge la posta elettronica di un dipendente quando questo è in ferie.
Lo ha stabilito l’ordinanza del 10 maggio 2002 del Giudice per le Indagini Preliminari di Milano che ha archiviato definitivamente un procedimento aperto dal Pubblico Ministero dello stesso Ufficio Giudiziario, su denuncia della dipendente di una società milanese – denuncia presentata in quanto i suoi superiori, a sua insaputa e mentre era in ferie, avevano consultato la sua casella di posta elettronica, poi licenziandola proprio perché dalle e-mail lette risultava una gestione in proprio di “comunicazioni internet estranee a quelle attualmente gestite” dall’azienda – nei confronti del responsabile del reparto di project management e del rappresentante legale dell’azienda, indagati per violazione di corrispondenza aggravata.
La decisione, che pone in discussione il diritto al segreto della corrispondenza, muove dalla considerazione che l’impresa ha il diritto di conoscere lo stato di avanzamento di determinati lavori anche in assenza della persona che li cura.
Inoltre il il Giudice milanese sottolinea che “personalità dell’indirizzo non significa necessariamente privatezza”: la titolarità degli spazi di posta elettronica deve essere ricondotta esclusivamente alla società, per cui non può configurarsi un diritto del lavoratore ad accedere in via esclusiva al computer aziendale.
Secondo il Gip, infatti, l’e-mail costituisce un semplice strumento aziendale a disposizione dell’utente che, come qualsiasi altro strumento fornito dal datore di lavoro, rimane nella completa e totale disponibilità del medesimo senza alcuna limitazione.
La decisione del magistrato costituisce un precedente interessante ma nulla toglie che in altra sede, nel corso di un’analoga causa, si possa disporre diversamente.