Un problema di riconoscimento della avvenuta costituzione di un rapporto di pubblico impiego con l’amministrazione comunale, in base ai noti indici rivelatori in funzione sostitutiva del legittimo procedimento di assunzione, non può essere proposto al giudice amministrativo, che, con orientamento definitivamente consolidato, ha ravvisato nel divieto disposto dall’art. 5 comma 18 del d.l. 10 novembre 1978 n. 702, convertito nella legge n. 3 del 1979, e nella nullità degli atti relativi, un effetto assolutamente preclusivo a qualunque tipo di pronuncia giurisdizionale costitutiva (Ad. Plen. n. 2 del 1992).
La stessa autorevole giurisprudenza ha però ammesso che un rapporto che presenti le caratteristiche del rapporto di pubblico impiego, nullo ex lege per le ragioni anzidette, assume la valenza di un rapporto di fatto ai fini della individuazione della giurisdizione e della disciplina economica e previdenziale (Ad. Plen. n. 2 e n. 5).
Ne consegue che a tali fini assume rilevanza l’insieme delle caratteristiche strutturali della situazione che viene rappresentata come rapporto di pubblico impiego, sempre che siano ravvisabili i noti indici rivelatori di una realtà giuridica definibile come rapporto di impiego (volontà dell’ente di inserire il prestatore nell’organizzazione comunale, subordinazione gerarchica, retribuzione predeterminata, orario di lavoro, ed altro).
E’ poi da aggiungere che secondo la giurisprudenza largamente prevalente, a partire dalla già citata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 1992, i provvedimenti amministrativi, con i quali il rapporto instaurato con il prestatore del servizio riceve una determinata qualificazione, debbono essere impugnati entro il prescritto termine di decadenza, ed eventualmente annullati nella sede giurisdizionale. In mancanza il rapporto rimane regolato dal provvedimento inoppugnabile, con conseguente preclusione di azioni di accertamento.
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Consiglio di Stato, Quinta Sezione
1 ottobre 2002 n. 5137
sul ricorso n. 3426 del 1995, proposto da Murtas Luciana, rappresentata e difesa dall’ avv. Gian Luigi Falchi, elettivamente domiciliata presso il medesimo in Roma, via Gozzoli 82 contro il Comune di Carbonia, rappresentato e difeso dall’avv. Licinio Mastino, elettivamente domiciliato in Roma, Via G. B. Vico, 29 presso G. C. Sciacca
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, 9 febbraio 1995, n. 130, resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Carbonia; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 30 aprile 2002 il consigliere Marzio Branca, e uditi i difensori delle parti, come da verbale d’udienza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
Fatto
Con la sentenza in epigrafe, è stato respinto il ricorso con il quale l’istante, addetta alle pulizie di locali comunali, tendeva all’accertamento della costituzione di un rapporto di pubblico impiego.
Il TAR ha ritenuto che il rapporto intrattenuto con il Comune di Carbonia è stato disciplinato con provvedimenti che lo configurano espressamente come contratto di appalto, e che non è possibile intravedere alcun indizio della volontà dell’ente di inserire la ricorrente con carattere di stabilità nella propria organizzazione amministrativa.
Avverso la decisione la ricorrente ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza. Il Comune di Carbonia si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto del gravame. Alla pubblica udienza del 30 aprile 2002 la causa veniva trattenuta in decisione.
Diritto
La doglianza in esame è volta, in primo grado e in appello, all’accertamento della costituzione di un rapporto di pubblico impiego in relazione allo svolgimento per molti anni da parte della ricorrente di servizi di pulizia in locali comunali, o quanto meno all’accertamento del diritto alle differenze retributive ai sensi dell’art. 36 Cost..
Va premesso che un problema di riconoscimento della avvenuta costituzione di un rapporto di pubblico impiego con l’amministrazione comunale, in base ai noti indici rivelatori in funzione sostitutiva del legittimo procedimento di assunzione, non può essere proposto al giudice amministrativo, che, con orientamento definitivamente consolidato, ha ravvisato nel divieto disposto dall’art. 5 comma 18 del d.l. 10 novembre 1978 n. 702, convertito nella legge n. 3 del 1979, e nella nullità degli atti relativi, un effetto assolutamente preclusivo a qualunque tipo di pronuncia giurisdizionale costitutiva (Ad. Plen. n. 2 del 1992).
La prima pretesa è quindi inammissibile.
La stessa autorevole giurisprudenza ha però ammesso che un rapporto che presenti le caratteristiche del rapporto di pubblico impiego, nullo ex lege per le ragioni anzidette, assume la valenza di un rapporto di fatto ai fini della individuazione della giurisdizione e della disciplina economica e previdenziale (Ad. Plen. n. 2 e n. 5).
Ne consegue che a tali fini assume rilevanza l’insieme delle caratteristiche strutturali della situazione che viene rappresentata come rapporto di pubblico impiego, sempre che siano ravvisabili i noti indici rivelatori di una realtà giuridica definibile come rapporto di impiego (volontà dell’ente di inserire il prestatore nell’organizzazione comunale, subordinazione gerarchica, retribuzione predeterminata, orario di lavoro, ed altro).
Nella fattispecie in esame i primi giudici hanno messo in evidenza come il rapporto intrattenuto dalla ricorrente si sia strutturato attraverso convenzioni di affidamento della pulizia di locali comunali per periodi determinati, formalmente definite come contratti di appalto e caratterizzate in modo da non contraddire nella concreta disciplina tale figura contrattuale.
A partire dalla deliberazione 11 dicembre 1970 n. 801 il Comune si è dotato di un capitolato speciale per l’affidamento della pulizia dei locali comunali che presentava le caratteristiche rilevate con la sentenza impugnata, essendosi previsto l’obbligo della contraente di eseguire il servizio mediante l’opera propria o di terzi, e di fornire il materiale necessario.
Tali elementi venivano ulteriormente precisati nelle convenzioni del 1979 e del 1988 con riguardo all’obbligo di prestare cauzione e di assicurare il rispetto degli obblighi di legge nei confronti del personale utilizzato.
In altri termini, se si esclude il profilo della predeterminazione del compenso, che il Comune provvedeva ad elevare periodicamente, non è dato rinvenire nel rapporto intercorso quegli indici rivelatori che la giurisprudenza considera essenziali per l’individuazione del lavoro subordinato.
Il Comune ha costantemente ribadito la volontà di non pervenire all’inserimento dell’affidatario del servizio nell’organizzazione amministrativa dell’Ente; il contraente rimaneva sostanzialmente libero di svolgere altra attività, salvo l’adempimento dell’obbligazione di risultato della pulizia del locale a lui assegnato; non si rinvengono i tratti tipici della subordinazione gerarchica.
In conclusione la circostanza che il contratto sia stato costantemente rinnovato per moltissimi anni risulta irrilevante ai fini che qui interessano se non si siano prodotti mutamenti nel rapporto nel senso da renderlo assimilabile al lavoro subordinato.
E’ poi da aggiungere che secondo la giurisprudenza largamente prevalente, a partire dalla già citata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 1992, i provvedimenti amministrativi, con i quali il rapporto instaurato con il prestatore del servizio riceve una determinata qualificazione, debbono essere impugnati entro il prescritto termine di decadenza, ed eventualmente annullati nella sede giurisdizionale. In mancanza il rapporto rimane regolato dal provvedimento inoppugnabile, con conseguente preclusione di azioni di accertamento del tipo di quella ora in esame.
In conclusione l’appello deve essere respinto.
La spese possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rigetta l’appello in epigrafe; dispone la compensazione delle spese; ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
(Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 aprile 2002 con l’intervento dei magistrati: Claudio Varrone, Presidente; Corrado Allegretta, Consigliere; Paolo Buonvino, Consigliere; Goffredo Zaccardi, Consigliere; Marzio Branca, Consigliere estensore)