L’annullamento giurisdizionale di atti che abbiano determinato l’illegittimo allontanamento dal servizio di un dipendente dà pieno titolo alla integrale restitutio in integrum, sia ai fini giuridici che economici, diversamente dal caso di riassunzione dopo dimissioni volontarie.
Non è opponibile la riduzione dei compensi per le somme percepite per prestazioni e attività svolte dalla dipendente a favore di altri soggetti nel periodo di interruzione del rapporto quando tali compensi siano puramente presunti e non si offra di questi neppure l’inizio di prova.
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Consiglio di Stato, sezione V
Sentenza 1 ottobre 2002 n. 5131
sul ricorso in appello 8896/1995 proposto dall’Azienda Sanitaria Locale (U.S.L.) di Pescara in persona del direttore generale in carica rappresentato e difeso dall’avvocato Mario Sanino presso il quale elettivamente domicilia in Roma, al viale Parioli, n. 180
Contro
la signora Elvira Ferrante rappresentata e difesa dall’avvocato Walter Putaturo ed elettivamente domiciliata in Roma alla via F. Confalonieri, n. 5 presso lo studio dell’avvocato Luigi Manzi
Per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara n. 295/1995 pubblicata mediante deposito il 2 agosto 1995
Visto l’appello con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti di causa; Nominato relatore per l’udienza del 9 aprile 2002 il Consigliere Filoreto D’Agostino e uditi altresì i difensori delle particole da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue
Ritenuto in fatto
Viene in decisione l’appello avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara ha accolto il ricorso proposto dalla Signora Elvira Ferrante diretto all’annullamento della deliberazione 6 settembre 1994, n. 3220 con la quale il Commissario straordinario della ULSS di Pescara (cui è succeduta l’Azienda sanitaria appellante) ha determinato la retribuzione da corrispondere alla odierna appellata per il periodo in cui la stessa non aveva prestato servizio (dal 10 agosto 1990 al 1° luglio 1994).
La signora Ferrante si è costituita e ha chiesto la reiezione del gravame.
All’udienza del 9 aprile 2002 partie causa sono state assegnate in decisione.
Considerato in diritto
L’appello è infondato.
La vertenza concerne la legittimità della determinazione del Commissario straordinario della U.L.S.S. n. 11 di Pescara 6 settembre 1994, n. 3220 con la quale si stabiliva di corrispondere la retribuzione, con interessi e rivalutazione, alla ricorrente (che aveva conseguito l’annullamento della declaratoria di decadenza dal servizio in esito a procedimento giurisdizionale conclusosi avanti questo Consiglio di Stato con decisione n. 289 del 19 aprile 1994 che confermava la favorevole pronuncia di prime cure) dalla data di notificazione della deliberazione 10 agosto 1990, n.1805 – che statuiva la decadenza dal servizio – fino alla data di deposito della sentenza di prime cure n. 141/1990 del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara.
Con il medesimo atto si stabiliva di non corrispondere alcun emolumento per il periodo successivo fino all’effettiva ripresa del servizio, in quanto la mancata prestazione non era addebitabile solo alla U.L.S.S., atteso che la dipendente non aveva chiesto di riprendere e non aveva accettato il rientro in servizio in altre mansioni più volte propostole.
Il Giudice di prime cure ha accolto le tesi della signora Ferrante e ha statuito che, non essendo stata diffidata la ricorrente con atti formali a riprendere servizio, ma solo invitata per il tramite di contatti informali, la medesima aveva pieno titolo a vedersi riconosciuti gli emolumenti per tutto il periodo in cui era stata illegittimamente allontanata dal lavoro.
Le argomentazioni svolte dall’Azienda appellante sono sostanzialmente due:
a) è mancato il necessario apporto collaborativo della dipendente nella verifica esperita dall’Amministrazione, ex articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1990, n. 384, per la assegnazione a un diverso incarico;
b) la dipendente avrebbe potuto, in ogni caso, chiedere l’esecuzione della sentenza di prime cure, ancorché appellata, per rendere effettivo l’obbligo della Azienda alla immediata riassunzione.
Sub a).
Esattamente eccepisce l’appellata che la procedura ex articolo 16 d.P.R. n. 384/1990 si era esaurita in epica antecedente il provvedimento impugnato in questa sede e che proprio in virtù di quella conclusione e della pronuncia passata in giudicata che annullava la declaratoria di decadenza, era preciso obbligo dell’Azienda diffidare la Ferrante a riprendere servizio.
Ne consegue che lo stesso presupposto argomentativo è privo di ogni fondamento.
Sub b)
Non è stato versato alcun documento utile a dimostrare la circostanza che l’interessata avrebbe opposto forme di rifiuto alle varie proposte di riassunzione avanzate dalla U.L.S.S.
E’ in atti la corrispondenza tra i patroni delle parti in cui si profilano di volta in volta soluzioni transattive di vario tipo, ma si tratta, come è evidente, di iniziative ininfluenti al fine di individuare con assoluta e specifica chiarezza la volontà della parte, che avrebbe dovuto essere personalmente diffidata alla ripresa del servizio.
La Unità sanitaria non ha prescelto per tutte le more del giudizio di secondo grado (relativo all’impugnazione della sentenza del Tar Abruzzo n. 141/1991) la strada maestra del richiamo in servizio della dipendente, ma ha affidato a procedure informali e non rilevanti la ricerca di una intesa transattiva.
Ora questo solo elemento è idone o a qualificare il contegno dell’appellante siccome dichiaratamente elusivo dell’obbligo di esecuzione della sentenza di prime cure.
In realtà, la Unità sanitaria locale insisteva perché fosse riconosciuto l’avverarsi della fattispecie di decadenza dal servizio, manifestando, per l’effetto, una volontà di segno contrario a quello della possibile riassunzione.
Da queste semplici considerazioni emerge la piena conformità della pronuncia impugnata che ha lucidamente esposto le conseguenze del contegno della odierna appellante sotto due profili:
il primo concerne gli effetti dell’annullamento giurisdizionale di atti che abbiano determinato l’illegittimo allontanamento dal servizio di un dipendente, rilevandosi come quest’ultimo abbia pieno titolo a una integrale restitutio in integrum a fini sia giuridici sia economici (C.d.S:, V, 16 maggio 1995, n. 797) diversamente dal caso di riassunzione dopo dimissioni volontarie (C.d.S., IV, 22 giugno 2000, n. 3315);
il secondo riguarda la non opponibilità della riduzione dei compensi per le somme percepite per prestazioni e attività svolte dalla dipendente a favore di altri soggetti nel periodo di interruzione del rapporto quando tali compensi siano puramente presunti e non si offra di questi neppure l’inizio di prova (come ha fatto in via puramente affermativa l’Azienda appellante): trattasi nella specie di una incoerente inversione dell’onere della prova.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quinta respinge l’appello.
Condanna l’appellante alle spece del giudizio che comprensive di diritti e onorari liquida in complessivi 2500 euro. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
(Così deciso in Roma addì 9 aprile 2002 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quinta riunito in camera di consiglio con l’intervento dei Signori: Presidente Claudio Varrone; Consigliere Giuseppe Farina; Consigliere Goffredo Zaccardi; Consigliere Aldo Fera; Consigliere Filoreto D’Agostino Estensore)