Nelle procedure concorsuali, la regola dell’anonimato degli elaborati scritti non può essere intesa in modo tanto tassativo ed assoluto da comportare l’invalidità delle prove ogni volta che sussista un’astratta possibilità di riconoscimento, perché se così fosse sarebbe impossibile svolgere concorsi per esami scritti, giacché non si potrebbe mai escludere a priori che un commissario sia in condizioni di riconoscere una particolare modalità di stesura.
Al fine di affermare la riconoscibilità e quindi l’invalidità della prova scritta, è necessario che emergano elementi atti a provare in modo inequivoco l’intenzionalità del concorrente di rendere riconoscibile l’elaborato (Cons. St., Sez. V, 26 settembre 2000, n. 5098).
In tale occasione, la Sezione ha escluso la violazione dell’anonimato nel caso di un candidato che ha redatto il suo compito utilizzando solo due facciate di ciascuno dei quattro fogli a lui consegnati.
Lo stesso principio ha affermato il C.G.R.S. (6 novembre 2000, n. 433) secondo cui non può ritenersi invalida la prova tutte le volte che sia astrattamente ipotizzabile la riconoscibilità.
Tale indirizzo merita di essere confermato anche con riguardo al caso di attribuzione di nomi e cognomi ai protagonisti di una vicenda giudiziaria proposta come traccia, perché l’espediente risponde all’esigenza di rendere il discorso più chiaro e scorrevole, esonerando dalla ripetizione di termini giuridici di identificazione, e, quindi, non è privo di giustificazione alternativa a quella ipotizzata dall’appellante.
—
Consiglio di Stato, sezione V
Sentenza 1 ottobre 2002 n. 5132
sul ricorso n. 9658 del 1999, proposto da Leifert Karin, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ludovico Villani e Roberto Damonte, elettivamente domiciliata presso il primo in Roma, Piazzale Clodio 12
Contro
il Comune di Sestri Levante, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Enrico Romanelli e Luigi Cocchi, elettivamente domiciliato nello studio del primo in Roma, Via Cosseria 5
E nei confronti
di Grando Laura, Gardino Deborah, Ruffolo Chiara, Caviccchia Maria e Gallo Marianna non costituite
Per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Sez. II 22 giugno 1999 n. 350, resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sestri Levante; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 30 aprile 2002 il consigliere Marzio Branca, e uditi i difensori delle parti come da verbale d’udienza.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
Fatto
La sig.ra Karin Leifert ha proposto ricorso per l’annullamento degli atti conclusivi del concorso ad 1 posto di assistente sociale bandito dal Comune di Sestri Levante, cui aveva partecipato collocandosi al primo posto nelle prove scritte e 11 dopo le prove orali.
Dei numerosi motivi dedotti il TAR, con la sentenza in epigrafe, ha accolto quello concernente la incompetenza del sindaco ad approvare gli atti e l’esito della procedura concorsuale.
Avverso la sentenza la ricorrente ha proposto appello per reiterare le censure, giudicate infondate in prime cure, che saranno meglio specificate più avanti.
Il Comune di Sestri Levante si è costituito in giudizio per resistere al gravame e chiederne il rigetto. Le parti hanno depositato memorie. Alla pubblica udienza del 30 aprile 2002, la causa veniva trattenuta in decisione.
Diritto
Può prescindersi dall’eccezione di inammissibilità dell’appello avanzata dal Comune resistente posto che l’appello è infondato nel merito.
Con primo motivo si denuncia che, in violazione dell’art. 14, comma 2, del d.P.R. n. 487 del 1994, la commissione non ha rilevato che i compiti scritti di alcune candidate erano redatti con modalità tali da rendersi riconoscibili, con evidente elusione del principio dell’anonimato delle prove.
Si osserva inoltre che la commissione avrebbe dovuto esercitare particolare severità sul ponto in considerazione del ristretto numero dei candidati (17).
La riconoscibilità dei temi sarebbe derivata:
a) dall’inserimento, senza apparente giustificazione, di alcune frasi a stampatello maiuscolo;
b) dalla presenza di numerazione avulsa dall’economia della stesura;
c) dalla apposizione della scritta TEMA in capo all’elaborato;
d) dalla apposizione ingiustificata di frecce e suddivisioni di periodi con lettere a stampatello maiuscole anziché minuscole;
e) dalla attribuzione di un nome proprio al minore oggetto di affidamento, ed un cognome proprio alla famiglia affidataria.
Osserva il Collegio che le fattispecie indicate dall’appellante risultano inidonee a sostenere il sospetto di violazione del principio dell’anonimato, posto che costituisce un dato di comune esperienza nella materia concorsuale l’adozione di modalità espositive che, a giudizio del candidato, contribuiscono a conferire chiarezza ed incisività all’elaborato.
La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ha avuto modo di affermare che nelle procedure concorsuali, la regola dell’anonimato degli elaborati scritti non può essere intesa in modo tanto tassativo ed assoluto da comportare l’invalidità delle prove ogni volta che sussista un’astratta possibilità di riconoscimento, perché se così fosse sarebbe impossibile svolgere concorsi per esami scritti, giacché non si potrebbe mai escludere a priori che un commissario sia in condizioni riconoscere una particolare modalità di stesura.
Al fine di affermare la riconoscibilità e quindi l’invalidità della prova scritta, è necessario che emergano elementi atti a provare in modo inequivoco l’intenzionalità del concorrente di rendere riconoscibile l’elaborato (Cons. St., Sez. V, 26 settembre 2000, n. 5098).
In tale occasione, la Sezione ha escluso la violazione dell’anonimato nel caso di un candidato che ha redatto il suo compito utilizzando solo due facciate di ciascuno dei quattro fogli a lui consegnati.
Lo stesso principio ha affermato il C.G.R.S. (6 novembre 2000, n. 433) secondo cui non può ritenersi invalida la prova tutte le volte che sia astrattamente ipotizzabile la riconoscibilità.
Tale indirizzo merita di essere confermato anche con riguardo al caso sub e) di attribuzione di nomi e cognomi ai protagonisti di una vicenda giudiziaria proposta come traccia, perché l’espediente risponde all’esigenza di rendere il discorso più chiaro e scorrevole, esonerando dalla ripetizione di termini giuridici di identificazione, e, quindi, non è privo di giustificazione alternativa a quella ipotizzata dall’appellante.
Il motivo va dunque disatteso.
Con il secondo motivo si lamenta che ad un compito della candidata Grando, che avrebbe commesso un errore palese, sia stato attribuito un punteggio di 24,75/30 e non di insufficienza.
A tale motivo si collega il terzo, denunciante la conseguente disparità di trattamento che l’appellante avrebbe subito a causa dell’eccessivo punteggio assegnato all’altra concorrente.
In proposito va confermata la decisione di inammissibilità di tali motivi, in quanto implicanti un sindacato di merito precluso al giudice amministrativo.
Può aggiungersi che non è riscontrabile nella specie quella palese irragionevolezza della valutazione, che consente l’intervento del giudice, posto che, anche ammettendo, in via ipotetica, l’esistenza dell’errore segnalato dall’appellante, il tema in questione non ha comunque ricevuto un punteggio massimo.
Il quarto motivo concerne la violazione dell’art. 36 del Regolamento comunale sui concorsi per l’accesso all’impiego, secondo cui le prove orali debbono svolgersi in un’aula aperta al pubblico, di capienza idonea ad assicurare la massima partecipazione.
L’appellante sostiene che erroneamente il primi giudici hanno considerato la censura generica e quindi inammissibile, anche perché riferita a valutazioni di discrezionalità tecnica sostanzialmente insindacabili.
Il carattere generico della censura, che viene ribadita sotto il profilo dell’insufficienza dell’aula quanto all’acustica, va confermato.
Costituisce principio del diritto processuale amministrativo che il ricorrente debba fornire quanto meno un principio di prova di quanto afferma come mezzo di gravame (Sez. VI, 18 settembre 2001, n. 4893). Nella specie l’appellante si è limitata a segnalare una propria valutazione sulle caratteristiche acustiche dell’aula, senza offrire alcun elemento, anche indiziario, di riscontro di quanto affermato.
Il quinto motivo vorrebbe far leva ancora sull’art. 36 del ricordato Regolamento comunale, per denunciare che la commissione non ha interrogato i candidati sugli argomenti che avevano formato oggetto delle prove scritte.
In realtà la norma prescrive che la prova orale si svolga “sulle materie oggetto delle prove scritte e sulle altre indicate dal bando”, non sugli argomenti delle prove scritte.
E il senso della disposizione non cambia anche tenendo presenti le espressioni successive: “al fine di accertare il livello complessivo della preparazione teorico dottrinale e di maturazione di esperienze professionali del candidato in modo da pervenire ad una valutazione che tenga conto di tutti gli elementi acquisibili nella prova stessa”.
La diversa interpretazione sostenuta dall’appellante condurrebbe a concepire l’interrogazione come mezzo destinato a comprovare che il candidato effettivamente era in condizione di svolgere la prova scritta che ha svolto, con un effetto duplicatorio del tutto inimmaginabile.
Il motivo è quindi palesemente infondato.
Con il sesto motivo si lamenta, allegando la violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 487 del 1994, un difetto della verbalizzazione delle prove orali, sostenendosi che l’elenco delle domande da rivolgere ai candidati e da questi poi sorteggiate, sia contenuto in un foglio scritto a mano, senza alcuna intestazione, data, firma dei commissari e privo di alcun richiamo al verbale n. 6.
La censura si rivela inammissibile per genericità, posto che, mentre non è seriamente possibile dubitare che il detto foglio si riferisca al verbale n. 6, la doglianza afferisce non tanto alla mancata verbalizzazione di operazioni concorsuali, bensì alla redazione di un verbale in forma non regolamentare, senza peraltro indicare quali normative sarebbero state violate.
Sul profilo della inadeguatezza della valutazione in termini numerici delle prove, è noto l’indirizzo giurisprudenziale che ne afferma la piena legittimità (Cons. St., Sez. IV, 30 ottobre 2001, n. 5862).
In conclusione l’appello va rigettato, ma le spese possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello in epigrafe;
dispone la compensazione delle spese; ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
(Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 aprile 2002 con l’intervento dei magistrati: Claudio Varrone Presidente; Corrado Allegretta Consigliere; Paolo Buonvino Consigliere; Goffredo Zaccardi Consigliere; Marzio Branca Consigliere estensore)