La P.A. può chiedere ai propri dipendenti se sono iscritti alla massoneria ?

Consiglio di Stato, sez. IV, 6 ottobre 2003 n. 5881

(presidente Trotta; estensore Mollica)

Il soggetto che aspira al conferimento di un incarico pubblico è portatore (e di ciò deve essere consapevole) di un obbligo di trasparenza nei confronti della collettività che implica la possibilità di conoscenza, da parte dei cittadini, di profili della propria personalità e delle proprie opinioni e attitudini, sia come singolo che in qualità di appartenente al contesto sociale nel quale si esplica la propria attività: ciò è tanto più vero in relazione all’espletamento del mandato politico, ma è comunque di assoluta rilevanza anche nel quadro del conferimento di incarichi pubblici ad estranei all’amministrazione, in funzione dell’attribuzione di poteri pubblicistici e, anche, della correlata gestione di risorse finanziarie collettive.

DIRITTO

I signori S. e C. propongono ricorso in appello avverso la sentenza di T.A.R. indicata in epigrafe, con la quale è stato respinto il ricorso dai medesimi proposto avverso la deliberazione del Consiglio regionale della Toscana n. 378/94, che ne ha dichiarato la decadenza dagli incarichi, rispettivamente, di componente della Commissione regionale grandi strutture di vendita e di consigliere di amministrazione dell’Istituto zooprofilattico sperimentale per la Regione Toscana e Lazio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 12 L.reg. n. 68/83 e dell’art. 9 L. reg. n. 11/79.
Gli appellanti propongono un duplice ordine di censure, di cui un primo gruppo inteso alla caducazione della stessa normativa alla base della controversa deliberazione regionale, attraverso la preliminare eccezione di incostituzionalità degli articoli 11 e 12 della legge regionale toscana 29.8.1983, n. 68 per contrasto con gli articoli 2, 3, 18 e 117 della Costituzione; un secondo gruppo di motivi investe profili prevalentemente procedimentali.

Sostengono in primo luogo gli appellanti che la legge regionale n. 68/1983 è stata emanata in attuazione dell’art. 18 della Costituzione e della legge 25.1.1982, n. 17 in materia di associazioni segrete; si tratterebbe di un provvedimento legislativo di attuazione ex art. 117, comma 2, Cost., sulla base della legge nazionale delega (n. 17 del 1982 cit.) che, all’art. 4, ultimo comma, conferisce espressamente alle Regioni il potere di legiferare in materia nell’osservanza dei principi dell’ordinamento “espressi nel presente articolo”, principi che, invece, sarebbero stati completamente travisati dal legislatore regionale.

L’assunto è frutto di un evidente equivoco.

La legge regionale n. 68/1983 si compone, invero, di una serie di norme (Titolo I) di attuazione dell’art. 18 Cost. e della legge 25.1.1982, n. 17 in materia di associazioni segrete; con il Titolo II sono invece dettate ulteriori norme per garantire la pubblicità della situazione associativa dei titolari di cariche elettive o di nomine e designazioni regionali. In tale alveo ricadono l’articolo 11 e il 12 – che rileva nella specie – i quali prevedono l’obbligo, per i consiglieri regionali (art. 11) e per i titolari di nomine e designazioni regionali (art. 12), di dichiarare l’appartenenza a realtà associative che abbiano finalità dichiarative o svolgano di fatto attività di carattere politico, culturale, sociale, assistenziale o di promozione economica, sancendo l’applicazione, per il caso di mancanza o infedeltà dell’indicazione, delle sanzioni previste dall’art. 9, terzo comma, della L. reg. 8 marzo 1979, n. 11 (id. est., decadenza dalla nomina).

La disciplina del Titolo II resta quindi estranea all’applicazione degli indicati principi, asseritamente travisati dal legislatore regionale, ricadendo viceversa nel quadro della organizzazione degli uffici regionali, materia per la quale era prevista (nel sistema dall’epoca vigente) la potestà legislativa concorrente ex art. 117, primo comma, nel rispetto dei principi fondamentali recati dal sistema normativo statuale.

E si insiste ancora non utilmente (lett. b del primo mezzo di appello) sulla “attuazione” della legge regionale n. 17/1982, profilo che – come già evidenziato – attiene al Titolo I, e non al Titolo II, che rileva nel caso che ne occupa.

Ulteriori profili di incostituzionalità vengono globalmente sollevati con riferimento agli artt. 2, 3, 15, 18, 19 e 51 Cost.: l’obbligo di comunicare l’appartenenza ad associazioni di qualsiasi tipo violerebbe, in sostanza, il diritto costituzionalmente garantito dall’art. 18 nè il diritto alla riservatezza – insopprimibile complemento per l’esercizio di diritti fondamentali – potrebbe essere compresso a piacimento.

La tesi, siccome proposta, non appare condivisibile.

Esattamente il primo giudice osserva che le norme censurate, al di là dell’obbligo di comunicazione dell’appartenenza a realtà associative, non pongono alcun limite alla libertà dei singoli di aderire ad associazioni che, ovviamente, non risultino vietate dall’ordinamento; e la stessa sanzione della decadenza è prevista per la mancata o infedele dichiarazione, e non già l’appartenenza ad una dat associazione.

Quanto alla pretesa rilevanza costituzionale del diritto alla riservatezza, non sembra che tale assunto sia sostenibile allo stato dell’evoluzione giurisprudenziale e normativa: è ben vero che tale diritto integra un aspetto di non secondaria rilevanza della proiezione della persona e della conseguente tutela; è ben vero che alcune espressioni di tale diritto hanno ricevuto adeguato riconoscimento anche a livello costituzionale (cfr. art. 13 e segg.); ma non può certamente affermarsi che il diritto alla riservatezza quale valore assoluto trovi diretta tutela nella Carta costituzionale vigente come bene primario ed inviolabile.

Il diritto alla riservatezza è allora destinato a recedere a fronte del principio di buon andamento dell’amministrazione, questo sì postulato a livello costituzionale dell’art. 97, che è speculare al principio di trasparenza degli apparati amministrativi.

E deve ancora convenirsi col primo giudice laddove rileva che l’obbligo di comunicazione imposto dalla legge regionale è correlato alla particolare posizione funzionale rivestita dal soggetto designato o nominato ad una pubblica funzione e giustificato da preminenti interessi pubblici e generali direttamente assistiti da garanzia costituzionale.

Il soggetto che aspira al conferimento di un incarico pubblico è portatore (e di ciò deve essere consapevole) di un obbligo di trasparenza nei confronti della collettività che implica la possibilità di conoscenza, da parte dei cittadini, di profili della propria personalità e delle proprie opinioni e attitudini, sia come singolo che in qualità di appartenente al contesto sociale nel quale si esplica la propria attività: ciò è tanto più vero in relazione all’espletamento del mandato politico, ma è comunque di assoluta rilevanza anche nel quadro del conferimento di incarichi pubblici ad estranei all’amministrazione, in funzione dell’attribuzione di poteri pubblicistici e, anche, della correlata gestione di risorse finanziarie collettive.

Quanto alla prospettata alternativa di “rinunciare ad essere membri ovvero rinunciare ad una carica nell’ambìto degli organi regionali” per il timore di possibili ripercussioni o accostamenti negativi, non sembra al Collegio che la mera comunicazione dell’appartenenza ad una associazione non segreta nè vietata possa determinare, sul piano oggettivo, un giudizio di disvalore o possa ledere il diritto di associarsi liberamente; altra questione è il rilievo nell’ambìto soggettivo di una dichiarazione siffatta: ma ciò esula da profili strettamente giuridici.

Sembra infine inconferente il richiamo ad altre disposizioni regionali, sottoposte a scrutinio della Corte europea dei diritti dell’uomo: nel caso prospettato, l’appartenenza alla Massoneria costituiva fattore preclusivo della nomina o designazione a cariche pubbliche regionali; nel caso che ne occupa, vi è sanzione per la violazione dell’obbligo di comunicazione in ragion di principi di trasparenza, e non per l’appartenenza alla precitata Loggia massonica.

Quanto alle censure lato sensu procedimentali, sostengono gli istanti che il procedimento istruttorio avrebbe dovuto essere svolto dalla prima Commissione consiliare, e non già dal consigliere delegato; sarebbe altresì del tutto mancata, e comunque non realizzata dalla competente Commissione consiliare, anche la fase di valutazione degli esiti del contraddittorio. Il Presidente della Gran Loggia d’Italia – Piazza del Gesù – avrebbe inoltre inviato al Consiglio regionale l’elenco degli iscritti: l’Amministrazione avrebbe quindi richiesto dati già in possesso della stessa o avrebbe ignorato la circostanza.
La prospettazione è priva di pregio.

La tenuta e l’accertamento dei dati che rilevano nella specie e l’accertamento della mancanza o infedeltà della comunicazione sono affidati, ai sensi degli artt. 9 e 12 L. reg. n. 11/1979, all’Ufficio di presidenza del Consiglio che li esercita “tramite un consigliere delegato”, affiancato da una Commissione consiliare speciale; tale Commissione ha adottato tutti gli atti istruttori (cfr. doc. 1-6), rimettendo infine al Consiglio regionale, in assenza di norma sulla competenza, l’adozione della determinazione conclusiva.

Circa l’inoltro dell’elenco degli iscritti ad opera del Presidente della Gran Loggia, basti rilevare che lo specifico obbligo di comunicazione è posto esclusivamente in capo ai soggetti nominati o designati e che la sanzione è correlata all’inadempimento dell’obbligo in capo a costoro: la conoscenza aliunde dell’elenco non assume quindi alcuna rilevanza ai fini dell’applicazione della norma sanzionatoria.

Sulla pretesa contraddittorietà di comportamento e disparità di trattamento, va ricordato che, non configurandosi nella specie alcun margine di apprezzamento discrezionale, essendo l’atto vincolato nell’an e nel quid, un eventuale trattamento più favorevole riservato a terzi non consentirebbe un utile esito per gli odierni appellanti; dagli atti versati in giudizio non risulta peraltro alcun specifico elemento idoneo a supportare adeguatamente la tesi degli istanti, sì da consentire un ulteriore approfondimento delle censure dedotte sul punto.

In ordine all’asserito mancato invio delle schede al (solo) S., il che comporterebbe difetto del contraddittorio e, comunque, la non addebitabilità della mancata comunicazione, va osservato che l’art. 12 L. reg. n. 68/1983 attribuisce l’obbligo di comunicazione ai titolari di nomina e designazioni regionali mediante il “curriculum vitae”; la scheda contenente le specificazioni richieste è certamente uno strumento di comunicazione analitica dei dati, ma l’omesso invio non esclude l’obbligo facente carico ai detti soggetti entro il termine ex art. 11 L.reg. n. 11/1979.

In conclusione, il ricorso in appello proposto dai sigg.ri S. e C. deve essere respinto.
Le spese possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – respinge il ricorso in appello N.R.G. 9844/1997, proposto dai sigg.ri S. e C.

Compensa le spese fra le parti.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Redazione

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