Consiglio di Stato, sezione V
Sentenza del 6 ottobre 2003 n. 5899
(pres. Quaranta est. Corradino)
Il problema relativo alla possibilità di utilizzare il punteggio numerico in luogo della motivazione non può essere risolto in astratto, ma deve essere risolto in concreto e con specifico riferimento ai criteri di massima, risultando sufficiente soltanto ove questi ultimi siano predeterminati rigidamente e insufficiente nel caso in cui si risolvano in espressioni generiche (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 aprile 2003, n. 2331; Cons. Giust. Amm. Sic., Sez. Consult., 3/6/1999, n. 237).
DIRITTO
1. Il ricorso in appello propone il problema, di frequente trattazione in sede giurisprudenziale, e da tempo al centro di un vivace dibattito, relativo alla idoneità del solo punteggio numerico a costituire adempimento dell’obbligo motivazionale imposto all’amministrazione dall’art. 3, l. n. 241/1990.
2. La questione in esame, come rilevato dalla giurisprudenza, si pone non solo in ordine alle procedure di gara ma anche a quelle di concorso (abilitative e non).
Giova dare atto, al riguardo, dell’esistenza di una pluralità di indirizzi interpretativi.
Secondo un primo orientamento, è necessaria una apposita motivazione per la valutazione delle prove di gara o di concorso, attesa l’insufficienza di una mera valutazione numerica; si tratta di orientamento sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado, propensa a rimarcare che il punteggio numerico costituisce esternazione del risultato e non già della motivazione del giudizio valutativo, mostrandosi inadeguato a porre il partecipante ad una gara ovvero ad un concorso in condizioni di conoscere i motivi sottesi al giudizio di segno negativo e, richiamando a sostegno di tale opzione proprio la previsione ex art. 3 L. n. 241/1990. Invero, si osserva, non giova, per respingere la tesi in esame, argomentare dalla natura non provvedimentale dei giudizi valutativi, in quanto i provvedimenti finali dei procedimenti di selezione sono motivati con il solo richiamo agli atti del procedimento, sicchè escludere l’obbligo di motivazione dei giudizi valutativi equivarrebbe ad espungere la motivazione dall’intero ambito dei procedimenti in esame. A favore di tale orientamento si è espressa autorevole dottrina, secondo cui il partecipante ad una procedura di selezione ha il diritto di conoscere in quali errori o inesattezze sia incorso o comunque le ragioni per le quali lo svolgimento non sia stato ritenuto esatto o sufficiente.
Su altro fronte, invece, l’orientamento, prevalentemente seguito dai Giudici amministrativi di seconda istanza, in forza del quale l’onere della motivazione dei giudizi è sufficientemente adempiuto con l’attribuzione di un punteggio numerico, configurandosi quest’ultimo come formula sintetica, ma non per questo non eloquente, di esternazione della valutazione tecnica compiuta peraltro asseritamente priva di valenza schiettamente provvedimentale (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 1 febbraio 2001, n. 367; 29 ottobre 2001, n. 5635).
Secondo una diversa prospettiva, invece, il problema relativo alla possibilità di utilizzare il punteggio numerico in luogo della motivazione non può essere risolto in astratto, ma deve essere risolto in concreto e con specifico riferimento ai criteri di massima, risultando sufficiente soltanto ove questi ultimi siano predeterminati rigidamente e insufficiente nel caso in cui si risolvano in espressioni generiche (cfr. Cons. Giust. Amm. Sic., Sez. Consult., 3/6/1999, n. 237).
3. La tematica in esame, con specifico riferimento alle prove di abilitazione alla professione di avvocato, ha formato oggetto di scrutinio da parte della Corte Costituzionale. Il TAR Lombardia-Milano, Sez. III, con ordinanza 28 aprile 2000 n. 135, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 241/1990, il quale prevede un obbligo di motivazione per tutti gli atti amministrativi, nella parte in cui – secondo l’interpretazione datane dal Consiglio di Stato (v. il parere 9 novembre 1995, n. 120 reso dall’Adunanza Generale) – non si applicherebbe alla valutazione delle prove scritte previste per concorsi pubblici ed in particolare a quelle previste per l’accesso alla professione di avvocato, essendo stato ritenuto sufficiente che la valutazione delle dette prove sia espressa solo con coefficienti numerici.
Tuttavia, la Corte Costituzionale, con ordinanza 3 novembre 2000 n. 466, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, perché essa non era in realtà diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma si traduceva piuttosto in un improprio tentativo di ottenere l’avallo della Corte costituzionale a favore di una determinata interpretazione della norma, attività, questa, rimessa al giudice di merito, tanto più in presenza di indirizzi giurisprudenziali non stabilizzati.
4. Merita di essere precisato che all’indirizzo intermedio ha aderito, di recente, la VI Sezione di questo Consesso (Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 aprile 2003, n. 2331) in ordine ad un concorso pubblico a posti di ricercatore universitario, affermando l’obbligo di rendere percepibile l’iter logico seguito nell’attribuzione del punteggio, se non attraverso diffuse esternazioni verbali relative al contenuto delle prove, quanto meno mediante taluni elementi che concorrano ad integrare e chiarire la valenza del punteggio, esternando le ragioni dell’apprezzamento sinteticamente espresso con l’indicazione numerica. Va considerato, d’altro canto, che l’obbligo di far luogo alla motivazione delle valutazioni concorsuali o di gara è imposto dalla necessità di tener fede al principio, affermato a livello costituzionale, che vuole sempre garantita la possibilità di un sindacato giurisdizionale sull’esercizio del potere, non escluso circa i profili della ragionevolezza, della coerenza e della logicità delle stesse valutazioni: controllo difficile da assicurare in presenza del solo punteggio numerico e in assenza, quindi, di una pur sintetica o implicita esternazione delle ragioni che hanno indotto alla formulazione di un giudizio negativo.
5. Va ricordato, inoltre, che, con una recente pronuncia, questo Consesso ha definito un ricorso in cui l’appellante lamentava, fra l’altro, l’illegittimità dell’attribuzione di un mero punteggio numerico alle componenti della offerta, in una pubblica gara, senza una ulteriore motivazione specifica. In tale occasione, è stato ribadito, il solo punteggio numerico può essere ritenuto una sufficiente motivazione in relazione agli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa quando i criteri prefissati di valutazione siano estremamente dettagliati (Consiglio di Stato – Sezione VI – 10 gennaio 2003, n. 67).
6. Il Collegio, in relazione alla vicenda in esame, intende uniformarsi a tale indirizzo. Invero, nel caso che ci occupa, l’articolo 2 del capitolato speciale di cui alla deliberazione n. 366 del 23 maggio 2001, nel prevedere le singole voci per la valutazione tecnica del progetto, indica il punteggio massimo attribuibile per ciascuna voce; in tal modo, tuttavia, non risultano predeterminati in maniera sufficientemente rigida e stringente i criteri di giudizio e, pertanto, l’adempimento dell’obbligo motivazionale non può ritenersi assolto con il mero punteggio numerico.
7. Infine, non merita adesione la tesi dell’odierna appellante che ravvisa in capo all’appellata un generico interesse alla legalità e non un vero e proprio interesse al ricorso. Invero, nel processo amministrativo, l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato, con la conseguenza che il ricorso è inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all’interesse sostanziale del ricorrente. Nel caso in esame, invece, risulta evidente l’utilità che l’odierna appellata consegue dall’annullamento dell’atto gravato.
Ciò considerato, l’appello deve essere rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) rigetta l’appello e per l’effetto conferma la sentenza gravata.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.