La Corte dei Conti assolve l’ex sindaco di Roma Francesco Rutelli

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio

Sentenza del 20 ottobre 2003 n. 2076

(Presidente Pasqualucci estensore Della Ventura)


A) Il fatto.
Nel gennaio 2001, a più di un milione di famiglie romane, veniva recapitata una lettera da parte dell’allora sindaco di Roma, Francesco Rutelli, con cui quest’ultimo annunciava le proprie dimissioni dalla carica (in vista della partecipazione alla campagna elettorale nazionale), ringraziava i concittadini per la fiducia accordatagli, elencava alcune delle iniziative realizzate dall’amministrazione da lui diretta. L’iniziativa era costata alle casse del comune circa seicento milioni.

B) L’accusa.
Secondo la Procura, il contenuto della lettera e la sua trasmissione onerosa non rientrava tra le finalità del comune di Roma, così da giustificarsi l’avvenuta imputazione della relativa spesa a carico del bilancio dell’ente locale.

C) La decisione.
L’articolo 1 c. 1 della legge 20/94 -come modificato dalla legge 639/96- prevede espressamente che “… la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata agli atti ed alle omissioni commesse con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali”.

E’ dunque consentito il vaglio dell’attività discrezionale degli amministratori, limitatamente alla rispondenza della stessa a criteri di razionalità e congruità rilevabili dalla comune esperienza amministrativa, al fine di stabilire se la scelta risponda a quei criteri di prudente apprezzamento cui deve sempre ispirarsi l’azione dei pubblici apparati: Corte dei conti, Sezione Emilia-Romagna, n. 747 del 1 ottobre 1999.

L’insindacabilità delle scelte amministrative non esclude la verifica giudiziale sul corretto esercizio del potere discrezionale stesso; verifica che si avvale di parametri esterni (quali la competenza, il termine e la materia) ed interni (rapporto fra fine istituzionale e fine concreto; congruità e proporzionalità delle scelte; princìpi di razionalità, imparzialità e buona amministrazione): Corte dei conti, Sezione II^ app., n. 162 del 27 maggio 1999.

Il comportamento complessivo dei convenuti, “per quanto criticabile sotto il profilo della liceità dell’iniziativa intrapresa”, non integra in definitiva gli estremi della colpa grave.

(…)

DIRITTO

1. L’odierno giudizio di responsabilità trae origine dall’avvenuta spedizione, nel gennaio 2001, a n. 1.260.420 capi famiglia romani, di una lettera da parte del sindaco di Roma, nella quale lo stesso primo cittadino annunciava le proprie dimissioni dalla carica (in vista della partecipazione alla campagna elettorale nazionale), ringraziava i concittadini per la fiducia accordatagli, elencava alcune delle iniziative realizzate dall’amministrazione da lui diretta. La spedizione faceva seguito alla determinazione dirigenziale n. 614 del 29 dicembre 2000, a firma del Capo di Gabinetto del sindaco, con la quale erano integrate le disponibilità di bilancio, previsto che il servizio fosse realizzato a mezzo Postel S.p.A. e disposto, infine, che la spesa complessiva (lire 615.158.156 comprensive di IVA al 20%), gravasse sul bilancio comunale per il 2000.

Sostiene il PM che il contenuto della lettera si rivela privo di ogni requisito che consentisse di ricomprenderne la trasmissione tra le finalità del comune di Roma, così da giustificarsi l’avvenuta imputazione della relativa spesa a carico del bilancio dell’ente locale; la vicenda concreterebbe allora un evento lesivo per le finanze del comune di Roma, di importo pari al costo di spedizione della lettera (detratta l’IVA). Di detto danno sarebbero responsabili i convenuti; in particolare, il sindaco pro-tempore, per avere impresso il primo e determinante impulso alla iniziativa di spesa; il Capo di Gabinetto, per avere assunto di propria volontà una iniziativa contraria agli interessi del pubblico erario (prima adottando la determinazione 29.12.2000, n. 614, poi impegnando contrattualmente il comune con la Postel S.p.A.); la dr.ssa N., direttore pro-tempore del dipartimento I, per non avere impedito il corso dell’iniziativa; infine, la dirigente pro-tempore della IX u.o. di Ragioneria, per avere apposto il proprio “visto per la regolarità contabile e la copertura finanziaria” alla ripetuta determinazione dirigenziale n. 614/2000, oltre ad aver consentito l’ulteriore corso dei mandati di pagamento in favore della Postel S.p.A..

Prima di procedere all’esame dei punti in contestazione, come sopra riassunti, appare non inutile rammentare che le norme positive (art. 82 e segg. R.D. n. 2440/1923 – Legge di contabilità generale dello Stato; art. 1 e segg. L. 14 gennaio 1994, n. 20) richiedono la necessaria compresenza di più elementi per l’esistenza della responsabilità amministrativa a carico di un soggetto; i suddetti elementi essenziali vanno come noto identificati, oltre al rapporto di servizio con l’ente pubblico (la cui sussistenza qui non è ovviamente posta in discussione per alcuno dei convenuti), nella condotta antigiuridica da parte dell’agente, nel danno (evento), nell’elemento soggettivo (dolo o colpa grave) ed infine nel nesso di causalità tra l’azione e l’evento.

2. Ciò posto, e seguendo l’ordine logico delle problematiche da dirimere, occorre scrutinare, con priorità rispetto alle altre, l’eccezione – proposta dalla difesa dell’ex sindaco, ma anche da altri convenuti – relativa al preteso difetto di giurisdizione di questa Corte dei conti nella fattispecie, a causa della insindacabilità, nel merito, dell’attività posta in essere nella fattispecie (e della cui correttezza dubita appunto la pubblica accusa): insindacabilità che deriverebbe dal disposto dell’articolo 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994 – come modificato dal decreto legge 23 ottobre 1996, n. 543 convertito con la legge 20 dicembre 1996, n. 639 – il quale prevede espressamente che “… la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata agli atti ed alle omissioni commesse con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali”.

2.1. Sul punto, occorre precisare che la disposizione del 1996, su riportata, in realtà non modifica i principi giurisprudenziali già in precedenza consolidatisi in tema di sindacato di questo Giudice sull’attività discrezionale della pubblica amministrazione (tra l’altro, lo stesso tenore letterale della norma vale ad escludere una specifica volontà innovativa da parte del Legislatore “… ferma restando l’insidacabilità …”): princìpi secondo i quali al Giudice della responsabilità amministrativa è precluso ogni apprezzamento che investa le valutazioni di convenienza e di opportunità compiute dall’autorità deliberante, essendo vietata ogni ingerenza nell’attività di ponderazione comparata degli interessi, mentre viceversa è consentito – e anzi connaturato alla tipologia di giudizio – il vaglio dell’attività discrezionale degli amministratori, con riferimento alla rispondenza della stessa a criteri di razionalità e congruità rilevabili dalla comune esperienza amministrativa, al fine di stabilire se la scelta risponda a quei criteri di prudente apprezzamento cui deve sempre ispirarsi l’azione dei pubblici apparati: Corte dei conti, Sezione Emilia-Romagna, n. 747 del 1 ottobre 1999. L’insindacabilità delle scelte amministrative, di cui alla norma appena ricordata, non esclude cioè la verifica giudiziale sul corretto esercizio del potere discrezionale stesso; verifica che si avvale di parametri esterni (quali la competenza, il termine e la materia) ed interni (rapporto fra fine istituzionale e fine concreto; congruità e proporzionalità delle scelte; princìpi di razionalità, imparzialità e buona amministrazione): Corte dei conti, Sezione II^ app., n. 162 del 27 maggio 1999.

La nuova disposizione, in altri termini, riafferma più semplicemente la necessità – già comunque tenuta ben presente dalla giurisprudenza – di distinguere tra merito dell’azione amministrativa (in ordine al quale non è ammissibile il sindacato del giudice) e conformità di tale azione ai canoni generali su ricordati.

Né, per altri versi – contrariamente a quanto ritenuto dai convenuti – potrebbe ritenersi attentare all’autonomia degli enti locali, costituzionalmente garantita (artt. 114 e segg., nuovo testo, Cost.) o invasiva del merito delle scelte discrezionali, la verifica, da parte del Giudice, se nel caso concreto una data iniziativa sia informata ai princìpi generali cui tali scelte si debbono attenere: la discrezionalità amministrativa, per quanto ampia possa essere, non può non incontrare limiti invalicabili, costituiti dall’interesse pubblico per il quale il relativo potere è assegnato alla p.a., oltre che dai su riferiti precetti di razionalità ed imparzialità; diversamente opinando, essa si risolverebbe infatti nell’illimitato arbitrio del potere pubblico e conseguente sua assoluta irresponsabilità.

2.2. Orbene, applicando i canoni su evidenziati, emerge chiaramente che nel caso in esame l’eccezione prospettata si appalesa priva di pregio e deve essere rigettata.

Questo Collegio, infatti, viene chiamato oggi a valutare il comportamento del sindaco e dei funzionari convenuti, in relazione all’esercizio dell’attività di comunicazione istituzionale, come espressamente disciplinata dalle norme della legge 7 giugno 2000, n. 150, tenendo anche conto delle caratteristiche e dei compiti dell’amministrazione interessata. Non si tratta, allora, di sindacare il merito di una scelta compiuta, bensì di fare chiarezza sulla sussistenza, o meno, delle condizioni cui è subordinato l’esercizio legittimo e lecito del potere di scelta in quella materia; occorre cioè accertare se i soggetti agenti abbiano tenuto conto, o meno, delle prescrizioni di legge e se siano stati rispettati il principio di ragionevolezza e quelli della economicità e del buon andamento dell’azione amministrativa, costituzionalmente garantiti anch’essi (artt. 95 e 97 Cost.): cfr. ex plurimis, per analoghe evenienze, Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Campania, sentenza n. 29 del 23 aprile 1998; SS.RR., n. 4 del 1 marzo 1999; Sezione III^ app., n. 123 dell’8 giugno 1999; Sezione Friuli-Venezia Giulia, n. 4 del 17 gennaio 2000; Sezione Sardegna, n. 121 del 4 febbraio 2000; Sezione II^ app., n. 216 del 19 giugno 2001.

3. Possono dunque essere esaminate, nel merito, le contestazioni mosse dal requirente all’operato dei convenuti e poste all’attenzione di questa Corte.

Il PM, in sostanza, afferma la sicura contrarietà dell’iniziativa assunta dall’allora sindaco di Roma e realizzata dagli uffici diretti dagli altri tre convenuti, alle norme della legge n. 150/2000 sulla comunicazione istituzionale (donde, l’illiceità dei conseguenti comportamenti, il conseguente danno alle pubbliche finanze, nonchè la colpa grave per avere violato norme di legge di non ardua interpretazione).

Le prospettazioni di parte attrice non possono essere condivise.

La legge 7 giugno 2000, n. 150 (“Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni”) dispone, all’art. 1, commi 4 e 5, che “Nel rispetto delle norme vigenti in tema di segreto di Stato, di segreto d’ufficio, di tutela della riservatezza dei dati personali e in conformità ai comportamenti richiesti dalle carte deontologiche, sono considerate attività di informazione e di comunicazione istituzionale quelle poste in essere in Italia o all’estero dai soggetti di cui al comma 2 (cioè le pp.aa. di cui al D.Lvo n. 29/1993) e volte a conseguire:

a) l’informazione ai mezzi di comunicazione di massa, attraverso stampa, audiovisivi e strumenti telematici;
b) la comunicazione esterna rivolta ai cittadini, alle collettività e ad altri enti attraverso ogni modalità tecnica ed organizzativa;
c) la comunicazione interna realizzata nell’ambito di ciascun ente (comma 4).

Le attività di informazione e di comunicazione sono, in particolare, finalizzate a:

a) illustrare e favorire la conoscenza delle disposizioni normative, al fine di facilitarne l’applicazione;
b) illustrare le attività delle istituzioni e il loro funzionamento;
c) favorire l’accesso ai servizi pubblici, promuovendone la conoscenza;
d) promuovere conoscenze allargate e approfondite su temi di rilevante interesse pubblico e sociale;
e) favorire processi interni di semplificazione delle procedure e di modernizzazione degli apparati nonchè la conoscenza dell’avvio e del percorso dei procedimenti amministrativi;
f) promuovere l’immagine delle amministrazioni, nonchè quella dell’Italia, in Europa e nel mondo, conferendo conoscenza e visibilità ad eventi d’importanza locale, regionale, nazionale ed internazionale (comma 5)”.

Orbene, la lettera inviata dal sindaco ai cittadini (si ripete) contiene in primo luogo l’annuncio delle appena avvenute dimissioni dello stesso primo cittadino, oltre al ringraziamento ai concittadini per la fiducia accordatagli e all’elencazione di alcune delle cose realizzate dall’amministrazione capitolina negli anni del mandato; la nota termina con alcune espressioni di carattere più personale.

Orbene, ritiene questo Collegio che, almeno sotto uno dei profili accennati, possano essere riscontrati gli elementi propri della comunicazione istituzionale, disciplinati dalla norma innanzi riportata (in particolare, il comma 5, lett. “b” – “e”); vale a dire, per ciò che riguarda l’informazione relativa alle dimissioni dalla carica di sindaco. Essa infatti, specie per un comune di enormi dimensioni come la Capitale, rappresenta una notizia di primario rilievo per la vita dell’amministrazione locale e per le stesse conseguenze che determina in capo ai cittadini elettori (cioè la totalità dei destinatari della missiva): come giustamente posto in rilievo dalla difesa, le vigenti norme elettorali (art. 53 del D.Lvo 18.8.2000, n. 267; già legge n. 81/1993) ricollegano alle dimissioni del sindaco, l’immediato venir meno dello stesso Consiglio comunale, con conseguente necessità di nuove elezioni: elezioni che peraltro, nel caso di Roma, interessano un numero di cittadini pari al 75% del totale degli abitanti della regione. Di fronte a tale circostanza, appare difficile sostenere che la notizia in questione non rivestisse i caratteri della comunicazione istituzionale, come prevista dalla legge n. 150/2000, giacchè (appunto) informava i romani circa le prossime, imminenti elezioni comunali anticipate.

Anche per quel che riguarda altri, successivi aspetti toccati dalla lettera, ad avviso di questo Giudice è ugualmente possibile parlare di legittima comunicazione istituzionale (tale, quindi, da giustificare l’utilizzo dei relativi fondi pubblici). Ci si riferisce, in particolare, alle notizie circa i risultati raggiunti dall’amministrazione, alle cose realizzate, ai successi (asseritamente) ottenuti: in tali casi, ugualmente si resta nell’ambito del dialogo istituzionale circa lo stato di attuazione del programma di governo, sulla base del quale il capo dell’amministrazione locale ha ottenuto la propria elezione.

La correttezza delle valutazioni e conclusioni appena esposte può ritenersi sostanzialmente confermata da quanto espresso in proposito dal Garante per la protezione dei dati personali, nella risoluzione del 19 aprile 2001 (citata dai convenuti), la quale non esclude la riconducibilità della lettera all’attività di informazione e comunicazione delle pp.aa.. Oltre a ciò, una ulteriore conferma, seppure successiva alla vicenda per cui è causa, può rinvenirsi nel testo della direttiva ministeriale emanata in materia dal Ministro della funzione pubblica in data 7 febbraio 2002: essa infatti chiarisce, nelle sue premesse, che “… La riforma della pubblica amministrazione, il federalismo e il rafforzamento dei livelli locali di governo, l’attuazione del principio di sussidiarietà e il conseguente nuovo orizzonte delle missioni delle amministrazioni, possono realizzarsi solo con il pieno consenso dei cittadini e delle imprese, degli operatori del settore pubblico, da coinvolgere attraverso opportuni ed adeguati processi di relazione e comunicazione”; per cui, tra gli obiettivi dell’attività di comunicazione degli enti pubblici istituzionali, è previsto come primario quello di “… garantire un’informazione trasparente ed esauriente sul loro operato”.

Per altri aspetti, invece – quelli relativi ai saluti, alle espressioni personali di soddisfazione o di amarezza – contenuti negli ultimi capoversi della missiva, si è sicuramente fuori del quadro delle comunicazioni previste alla legge 150/2000: per ciò solo, peraltro, non si può ritenere la radicale illiceità dell’iniziativa, ma soltanto l’esorbitanza di tale parte del testo dai limiti fissati dalla legge. In ogni caso, deve d’altra parte rilevarsi che le frasi in questione non costituiscono fonte autonoma di spesa, in quanto la lettera è interamente contenuta nell’ambito di una facciata, talchè, anche se le frasi stesse non fossero state inserite, il costo della stampa della lettera e relativa spedizione sarebbe rimasto invariato; nella specie, non è allora ravvisabile quel danno patrimoniale che – come prima ricordato – è uno dei presupposti essenziali della responsabilità amministrativa.

Per concludere sul punto, sembra al Collegio che in un tale quadro, se anche non si ritenga di affermare la piena e completa legittimità della decisione assunta, almeno è da escludere la sua totale e incontestabile illegittimità, come lamentata dalla Procura attrice.

4. Ma v’è di più.

Ed infatti, anche a prescindere dalle su esposte considerazioni, e continuando a ritenere – come fa il PM procedente – la sicura illegittimità dell’iniziativa posta in essere dai convenuti nella fattispecie, ugualmente dovrebbe pervenirsi ad un giudizio assolutorio, per il venir meno di un altro degli elementi essenziali, prima ricordati, caratterizzanti la responsabilità amministrativa, vale a dire l’elemento soggettivo della colpa grave.

4.1. In proposito, le vigenti disposizioni di legge (art. 1 L. n. 20/1994, cit., come sostituito dalla L. n. 639/1996) indicano come requisito soggettivo minimo, atto ad integare gli estremi per la responsabilità amministrativa, la colpa grave. In precedenza, era invece sufficiente, per fondare l’azione innanzi a questa Corte dei conti, la colpa lieve, identificata dalla giurisprudenza della Corte stessa nella mancanza di una diligenza media da parte dell’agente (cfr. SS.RR., 1° giugno 1987, n. 542/A); solo in talune specifiche ipotesi la responsabilità era attenuata, essendo richiesta ai fini dell’azionabilità la colpa grave: es., art. 1 L. 31 dicembre 1962, n. 1833 per i dipendenti civili e militari addetti alla conduzione di autoveicoli o altri mezzi meccanici; L. 4 marzo 1981 n. 67, in materia di personale ferroviario addetto alla circolazione dei treni; art. 61 L. 7 novembre 1980, n. 312 per il personale direttivo della scuola, docente e non docente, in relazione a danni causati dagli alunni; art. 58, 3° comma, L. 8 giugno 1990 n. 142, per i componenti dei Co.Re.Co..

Dal momento che i concetti di colpa grave, lieve o lievissima non risultano codificati, l’individuazione delle singole fattispecie é stata demandata al prudente apprezzamento del giudice. A tale proposito, al fine di circoscrivere i comportamenti colposi gravemente censurabili in relazione alle diverse fattispecie, un valido supporto è stato fornito all’interprete dalla giurisprudenza formatasi in quei settori, prima ricordati, nei quali il legislatore aveva ritenuto, fin dall’inizio, di limitare la sindacabilità dei comportamenti amministrativi alla colpa grave.

Più in particolare, la Corte dei conti da tempo era pervenuta a ritenere che il requisito della colpa grave non risiedesse tanto in una mera violazione di norme comportamentali, quanto nella particolare imprudenza ed imperizia del comportamento tenuto in concreto (Sezione Emilia Romagna, n. 12 del 23 gennaio 1995; Sezione Lazio, n. 10 dell’8 marzo 1995; Sezione Toscana, n. 311 del 7 giugno 1996), tale che l’evento dannoso, sebbene non voluto, potesse dirsi prevedibile (Sezione I^ contab., n. 6 del 18 gennaio 1993; id., n. 136 del 18 novembre 1993). La gravità della colpa, in altri termini, è stata individuata in comportamenti contrari a regole deontologiche elementari ovvero improntati alla massima negligenza o imprudenza, con particolare noncuranza dei pubblici interessi (Sezione Veneto, n. 266 del 16 novembre 1994; Sezione Lombardia, n. 391 del 5 maggio 1995; Sezione Sardegna, n. 436 del 27 luglio 1995).

Tali criteri direttivi, ovviamente di larga massima e da adeguare caso per caso alla mutevole realtà operativa, sono comunque stati rispettati dalla giurisprudenza più recente: cfr., ex plurimis, Sezione giurisdizionale Lazio, n. 207 del 23 settembre 1997; Sezione I^ app., n. 211 del 26 settembre 1997; Sezione III^ app., n. 27 del 2 febbraio 2000; Sezione I^ app., n. 164 del 22 maggio 2002; id., n. 235 del 10 luglio 2002.

4.2. Ciò premesso, per quel che in questa sede interessa, non ritiene il Collegio che il comportamento complessivo dei convenuti, per quanto criticabile sotto il profilo della liceità dell’iniziativa intrapresa, integri gli estremi della colpa grave, come sopra delimitata (mancanza della minima diligenza nell’esplicazione dell’attività amministrativa di propria spettanza): ed è del tutto ovvio che questa Corte deve farsi carico della necessità di tenere conto, nell’esprimere il proprio giudizio, dei nuovi, più severi limiti fissati dalle norme del 1996, su citate, in ordine al contenuto minimo dell’elemento soggettivo necessario per l’addebitabilità di un danno erariale all’agente.

Nel caso di specie, contrariamente a quanto opinato dall’atto di citazione, tale limite ad avviso di questo Giudice non è stato raggiunto dai convenuti, i quali deve ritenersi abbiano agito, per quanto di rispettiva competenza, nella convinzione di operare legittimamente, in ossequio cioè delle recenti norme in tema di comunicazione istituzionale e di utilizzare adeguatamente e correttamente le risorse finanziarie disponibili. Non si potrebbe cioè parlare di comportamenti (sia pure) illeciti dei convenuti, posti in essere a dispetto della consapevolezza – o, quanto meno, di un fondato dubbio – circa la contrarietà di tali azioni con le prescrizioni di legge.

Quanto sopra è dimostrato dagli stessi dubbi ed incertezze in punto di (il)legittimità della delibera che ha dato luogo alla spesa ritenuta dannosa: le stesse valutazioni espresse al riguardo dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, come pure il testo della direttiva del 7 febbraio 2002 del Ministro per la funzione pubblica, prima ricordata, testimoniano infatti (sia pure ex post) che l’interpretazione “ampia” della legge n. 150/2000, patrocinata dal comune di Roma con riferimento alle prerogative degli organismi pubblici interessati, per quanto non del tutto ortodossa, potesse però apparire non infondata, almeno all’epoca in cui l’iniziativa censurata fu assunta (vale a dire appena sei mesi dopo l’entrata in vigore della legge stessa, quindi in assenza di precedenti significativi e di circolari esplicative).

Ed è proprio tale circostanza – cioè la sostanziale attendibilità di un’interpretazione, sia pure errata, delle norme che regolamentano una data attività amministrativa – che vale ad escludere, con sicurezza, ogni possibile ipotesi di colpa grave, intesa appunto dalla giurisprudenza costante di questa Corte dei conti, come volontà di agire (illecitamente) con protervia, nonostante le chiare e contrarie indicazioni circa la corretta interpretazione delle disposizioni vigenti in una data materia: cfr., in proposito, Corte dei conti, SS.RR., sentenza n. 23 del 21 maggio 1998; id., n. 5 del 3 marzo 1999 (“L’elemento della gravità della colpa può essere individuato nella volontà di ottenere il risultato progettato nonostante la presenza di avvertimenti o segnali contrari provenienti da altri organi, ovvero da regole preesistenti, determinate da chiari principi normativi o inequivoci indirizzi giurisprudenziali consolidati in senso sfavorevole alle iniziative da assumere”); Sezione I^ app., n. 47 del 23 febbraio 1998; Sezione II^ app., n. 80 del 5 marzo 1998 (“In presenza di tesi egualmente qualificata in ordine al significato ed alla portata di una norma non appare censurabile, sotto il profilo della colpa grave, il comportamento del pubblico amministratore che sia risultato conforme all’una piuttosto che all’altra delle due tesi”); Sezione III^ app., n. 158 del 10 giugno 1998; id., n. 269 del 9 ottobre 2001. Vedansi, inoltre, ex plurimis, Sezione giurisdizionale Toscana, n. 440 del 30 giugno 1998; id., n. 951 del 26 maggio 2000; Sezione Piemonte, n. 354 del 25 febbraio 1999; Sezione Friuli-Venezia Giulia, n. 14 del 2 febbraio 1999; infine, questa Sezione Lazio, n. 23 del 26 febbraio 1998 (“Nei casi di erronea applicazione di norme di difficile e controversa interpretazione non è ravvisabile la colpa del soggetto agente; tanto meno, quindi, in tali circostanze è ravvisabile la colpa grave”); id., n. 2541 del 19 settembre 2002.

La fattispecie all’esame odierno, a tutta evidenza, si inquadra esattamente nello schema delle casistiche appena esaminate: è agevole, pertanto, pervenire alle medesime conclusioni.

In sostanza, per tutto quanto sopra esposto, in carenza del su detto elemento psicologico minimo della colpa grave, non sussistono sufficienti presupposti per accogliere la domanda attorea nei confronti dei convenuti.

5. Le su riferite conclusioni rendono indubbiamente superfluo l’esame delle ulteriori, specifiche eccezioni, formulate dai convenuti F., N. e A. in ordine ai profili di carattere più specificamente gestionale della vicenda odierna (relativi cioè alla corretta delimitazione di compiti, responsabilità e prerogative dei funzionari amministrativi nella fattispecie); profili che restano, dunque, assorbiti.

6. I convenuti, in definitiva, devono essere mandati assolti dalla richiesta di condanna della Procura regionale.

Sussistono, peraltro, giusti motivi per la compensazione delle spese di causa tra le parti.

7. Il Collegio, infine, ai sensi dell’art. 53 del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 – in materia di obbligo di denunzia alla Procura di tutti i fatti potenzialmente lesivi per l’Erario – non può esimersi dal disporre la trasmissione, alla Procura regionale, della videocassetta depositata in udienza dall’avv. Medugno, in quanto il relativo contenuto – riguardante altra e diversa vicenda, rispetto a quella pervenuta all’esame odierno – potrebbe integrare gli estremi di una notitia damni meritevole di istruttoria da parte dell’Organo requirente: eventualità che la Sezione non può evidentemente stimare in questa sede, essendo l’azione contabile riservata all’esclusiva valutazione del Procuratore regionale competente per territorio (art. 1 L. n. 20/1994, cit.).

Al su detto incombente provvederà la Segreteria di questa Sezione.

P.Q.M.

La Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la regione Lazio, ogni contraria istanza ed eccezione respinte,

assolve

i convenuti sigg.ri: F.R., M.F., S.N. e F.A., dalle domande di cui all’odierno atto di citazione del Procuratore regionale.

Spese di giudizio compensate.

Dispone, inoltre, che la videocassetta depositata dall’avv. Medugno nel corso dell’odierna udienza dibattimentale sia trasmessa, per quanto di eventuale competenza, alla Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale per il Lazio, a cura della Segreteria della Sezione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 14 luglio 2003.

Depositata in Segreteria il 20/10/2003

Redazione

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