La relazione di apertura dell’anno giudiziario 2004

Il procuratore generale presso la Corte dei conti, dottor Vincenzo Apicella, ha presentato a Roma lo scorso 28 gennaio, la consueta relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario.

Da segnalare le riflessioni, di grandissimo interesse, sull’utilità di un sistema dei controlli nel nostro Paese, non solo laddove vengano esercitate funzioni pubbliche, ma anche (potremmo dire a maggior ragione) quando la P.A.agisca jure privatorum.

Osserva il Procuratore generale che mai come in questi anni lo ‘stato’ della cosa pubblica ha avuto connessioni con la politica interna ed estera e, con l’economia privata, con conseguenti reciproci condizionamenti”.

In particolare, ci si chiede oggi “quale controllo debba essere previsto sulle gestioni di risorse pubbliche che, in quanto a struttura, rivestono quelle forme privatistiche, o para-privatistiche, in origine nate dall’invasione di campo effettuato dallo Stato nel settore dell’economia e, successivamente, dall’affermarsi dell’idea che i metodi di gestione di tipo privato fossero sempre da preferirsi a quelli soggetti al diritto pubblico”.

Aggiunge il Procuratore, che “qualcuno in passato si è persino domandato se, e in quale misura, l’amministratore di risorse pubbliche operante in regime privatistico fosse ancora sottoposto ad una disciplina che lo vincolasse al perseguimento del bene comune”.

In definitiva, “qualunque sia il settore, pubblico o privato, in cui una gestione di pubbliche risorse si trovi ad operare, ciò non significa affatto che il concetto di discrezionalità amministrativa possa tramutarsi in autonomia privata e in irresponsabilità di fatto: il rispetto del cittadino contribuente, sostanziale azionista delle aziende pubbliche, moralmente e giuridicamente lo vieta”.

Corte dei conti

Inaugurazione dell’anno giudiziario 2004

(28 gennaio 2004)

Relazione del Procuratore Generale Vincenzo Apicella sullo stato della giurisdizione e dei controlli della Corte dei conti al primo gennaio 2004

Presentazione.

Il discorso demandato al Procuratore generale della Corte dei conti in questa sede di inaugurazione dell’anno giudiziario ha per connaturato oggetto l’attività svolta dall’Istituto nell’anno appena trascorso.

Ne ha anche un altro, però, intimamente connesso al primo, quello di contribuire a dare ragguagli sullo “stato” che, all’inizio del corrente anno 2004, il nostro organo di controllo e di giurisdizione contabile assume – di diritto, ma anche di fatto – nell’Ordinamento costituzionale e amministrativo della Repubblica: ciò nella essenziale finalità di offrire agli organi legislativi, rappresentativi e di governo utili elementi di conoscenza per l’esercizio delle rispettive funzioni.

In questo è il senso e la ragione di questa cerimonia.

Inoltre, la necessità che una siffatta puntualizzazione venga aggiornata a scadenze sufficientemente ravvicinate è tanto più evidente, in quanto, come e ancor più che per altre magistrature, la Corte dei conti si trova, per sua stessa natura, a dover operare nel periglioso settore della gestione del denaro pubblico e delle pubbliche risorse, un settore mai tranquillo e, nel tempo, sempre mutevole.

Questa gestione si trova, infatti, costantemente stretta da esigenze e spesso da urgenze, interne ed esterne, non sempre conciliabili, di natura economica, politica, giuridica e sociale.

La diversità e la mutevolezza di queste esigenze è data dal corso, nei nostri tempi incalzante, del progresso, quel progresso che, da sempre, nelle sue varie forme, inesorabilmente scandisce i tempi della storia.

Tali considerazioni coerentemente mi impongono di allacciarmi al discorso da me stesso fatto in sede di inaugurazione del decorso anno 2003.

In quella occasione osservavo (cerco qui di riassumere in poche righe quanto allora dissi) che lo “stato” della magistratura contabile era caratterizzato e condizionato dalla sua natura di organo posto al “servizio della Repubblica e per la Repubblica”, così come sancito dalla lettera e dalla collocazione degli artt. 100 e 103 della Costituzione e confermato dal successivo titolo V recentemente novellato; sicché, specie nella sua funzione di controllo, la Corte dei conti ancora una volta esprimeva la sua modernità, inserendosi puntualmente nel nuovo assetto del c.d. federalismo solidale consacrato nella nuova formulazione della stessa Carta Costituzionale.

In tale mia prolusione, poi, sottolineavo come questa vocazione, e questa attitudine, trovassero il loro riconoscimento nel disegno di legge La Loggia, in quei giorni ancora in discussione dinanzi al Parlamento nazionale.
Questo discorso, va ora aggiornato con un preciso riferimento, quello della data di inizio del corrente anno giudiziario.

Nel 2004 cadranno due ricorrenze che riguarderanno, ad un tempo, il sistema di gestione della cosa pubblica e, non certo casualmente, la posizione e le funzioni della Corte dei conti: il decennale dell’entrata in vigore delle leggi di riforma n. 19 e n. 20 del 1994 e il primo anno di vita della legge 5 giugno 2003, n. 131.
In misura chiaramente differente, se non altro per la diversità dei tempi considerati, nonché dell’ambito della materia, si può tentare ora di formulare, per la prima e per la seconda scadenza, un sintetico consuntivo ed azzardare una previsione per le prospettive future.


2. Stato generale della funzione di controllo.

Inizierò questa mia riflessione incentrandola sulle vicende che, per le dette normative, ha avuto l’attività di controllo del nostro Istituto, che – ricordo – venne collocato dai primi legislatori dello Stato unitario al centro del sistema dei controlli sulle gestioni pubbliche, posizione, questa, che fu confermata dai padri costituenti; e ciò sulla base di regole rigorose, tali per tutte le pubbliche amministrazioni, pur nelle differenze strutturali e funzionali di ciascuna.

Storicamente, quindi, se ne vide sin dall’inizio la necessità e l’insostituibilità.

Come è noto, il sistema così delineato entrò in crisi quanto meno nell’ultimo dopoguerra, non appena, cioè, gli interventi pubblici richiesero articolazioni più dettagliate e tempi di esecuzione più rapidi.

Sarebbe stata necessaria, all’epoca, una pronta riforma, che invece, salvo marginali correzioni, sopravvenne solo con la ricordata legge n. 20 e con la n. 639 del 1996, che portarono ad alcune fondamentali innovazioni, quali l’introduzione del controllo di gestione e la regionalizzazione della funzioni di controllo.

L’esperienza acquisita nel trascorso decennio consente di affermare che l’accertata validità dell’impianto di tali leggi oggi abbisogna, sotto il profilo strutturale, di aggiustamenti e, sotto quello funzionale, del sussidio di una migliore organizzazione.

Occorre, tra l’altro, coordinare le procedure delle residue forme di controllo di legittimità (controllo, questo, che riguarda il rispetto delle regole), a quelle sopravvenute del controllo di gestione (che riguarda l’evidenziazione dei risultati).

Occorrerà, oltre ad altre rettifiche, che i limiti temporali di questa mia relazione mi impediscono di richiamare, prevedere precise regole per rendere concreta l’attribuzione alle sezioni regionali della Corte dei conti di modalità di controllo sugli enti locali, nelle forme che preciserò appresso, nonché un riassetto degli organi centrali operanti, nella materia, nel nostro stesso Istituto.

All’uopo, anche per altri aspetti, è opportuno che tali esigenze vengano tenute presenti nell’esercizio della delega al Governo prevista dall’art. 2 della legge n.131.

Questa non potrà non tener conto che guardare con diffidenza al generale concetto di controllo significherebbe insistere in un pericoloso errore del passato, un errore che la realtà corrente, non solo italiana, e non solo nei rapporti di diritto pubblico, sta concretamente evidenziando.

Ormai frequentemente, infatti, in ogni sede e in ogni settore, ma oggi pressantemente anche in quello privato, si sente invocare l’introduzione di nuove procedure di controllo (questa parola, ieri invisa sino ad essere rigettata, sembra essere stata finalmente rivalutata) ed, estendendo il processo di rivalutazione, c’è chi giustamente auspica una maggiore attenzione per il perseguimento delle responsabilità dei gestori che operano nel settore dell’economia.

Questo, si dice, per la tutela del cittadino e, per evitare alla collettività danni economici, perdita di fiducia e caduta di immagine.

Danni che, neppure tanto alla lunga, fatalmente sono destinati a produrre deleteri effetti anche sui bilanci pubblici.

E se rivalutazione c’è, come ci deve essere, questa deve estendersi al campo della gestione delle pubbliche risorse, in qualsiasi forma sia effettuata.

Il discorso diventa delicato, ma nello stesso tempo necessario, quando lo si sposti specificatamente a considerare quale controllo debba essere previsto sulle gestioni di risorse pubbliche che, in quanto a struttura, rivestono quelle forme privatistiche, o para-privatistiche, in origine nate dall’invasione di campo effettuato dallo Stato nel settore dell’economia e, successivamente, dall’affermarsi dell’idea che i metodi di gestione di tipo privato fossero sempre da preferirsi a quelli soggetti al diritto pubblico.

Ne è derivato, in punto di fatto, una forte contrazione del numero e del peso delle gestioni rette da regole di diritto pubblico e una, correlata ed altrettanto forte, lievitazione di quelle disciplinate dal diritto privato.

Al riguardo, qualcuno in passato si è persino domandato se, e in quale misura, l’amministratore di risorse pubbliche operante in regime privatistico fosse ancora sottoposto ad una disciplina che lo vincolasse al perseguimento del bene comune.

La questione presenta, o – come dirò più avanti – almeno presentava, asperità notevoli, sul piano concettuale, economico e giuridico, anche per il momento di transizione che il nostro Ordinamento da tempo sta vivendo.

Già ora, però, una soluzione sembra imporsi, sia sul piano del controllo che su quello della responsabilità, per la sua stessa solare elementarietà: qualunque sia il settore, pubblico o privato, in cui una gestione di pubbliche risorse si trovi ad operare, ciò non significa affatto che il concetto di discrezionalità amministrativa possa tramutarsi in autonomia privata e in irresponsabilità di fatto: il rispetto del cittadino contribuente, sostanziale azionista delle aziende pubbliche, moralmente e giuridicamente lo vieta.

Il problema, semmai, non sarà quello della previsione, o meno, di una fase di controllo, ma quello di “quale tipo” di controllo prevedere.

In estrema sintesi, conclusivamente, e a scanso di equivoci, dirò che il “controllo” va inteso come strumento di civile garanzia e che va articolato in modi, tempi ed effetti differenziati in relazione al tipo e al livello dell’azione amministrativa cui si rivolge.

Dovrà essere, poi, in ogni caso, essenziale, rapido, non vessatorio, anzi con finalità costruttive e quindi tendente a realizzare un momento costruttivo della stessa azione amministrativa: ciò per una migliore gestione della cosa pubblica.

A realizzare questo disegno, occorrerà sicuramente una maggiore fiducia tra controllori e controllati.

Né saranno inutili aggiustamenti e riforme delle procedure che servano ad assicurare, nel contempo, legalità ed efficienza.

In ogni caso, sarà necessario restaurare una generale cultura del controllo e della responsabilità.

In questo quadro, la Corte dei conti, come sempre, è pronta a svolgere la parte che la legge le attribuisce o le attribuirà.


L’attuazione della legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. “legge La Loggia”).

I detti principi di unitarietà e di centralità del nostro Istituto trovano un’affermazione e un’occasione di funzionale realizzazione nella legge n. 131 del 2003, che comunemente viene indicata come legge La Loggia, dal nome del ministro che ne studiò il progetto, poi proposto al Parlamento a nome del Governo.

Non starò qui a ricordare l’importanza di tale testo normativo, fondamentale per l’attuazione del nuovo assetto costituzionale ed ordinamentale della Repubblica.

Il suo impianto, e i dettagli che contiene, fedelmente riportano i principi delle norme novellate della nostra Costituzione, opportunamente coniugando tra loro le scelte federaliste fondate sui due essenziali pilastri dell’autonomia delle Regioni e degli Enti locali, da un lato, e dell’unità della Repubblica, dall’altro: così come, del resto, si evince dalle funzioni che vengono attribuite alla Corte dei conti dal 7° comma dell’art. 7.

In forza di quest’ultima norma, il nostro Istituto ha visto confermata la sua tradizionale posizione nel sistema di vigilanza sulle contabilità pubbliche nazionali con le finalità, espressamente e significativamente indicate, del coordinamento della finanza pubblica e del rispetto della natura collaborativa del controllo di gestione sulle Regioni.

In particolare, la stessa norma precisa che i compiti della Corte dei conti, definiti di “verifica”, riguardano il “perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali e regionali di principio e di programma”, “nonché la sana gestione finanziaria degli enti locali e il funzionamento dei controlli interni”, con funzioni di referto sugli esiti delle verifiche da rendere “esclusivamente” ai consigli degli enti controllati.

L’avverbio “esclusivamente” sembra voler sottolineare il carattere collaborativo e non repressivo della verifica.

Tuttavia, la Corte, per precetto costituzionale e per disposizioni di leggi ordinarie, ha altre funzioni, che peraltro si inseriscono nel concetto del coordinamento della finanza pubblica, ribadito, come detto, dalla ricordata legge n. 131, quella del controllo contabile sull’attività dello Stato e degli enti pubblici istituzionali ed economici.

Sicché appare logico, naturale, e specialmente rispondente all’assetto della Costituzione vivente, che il nostro Istituto sia venuto ad assumere, nel sistema della finanza pubblica, quella rafforzata posizione centrale e unitaria di cui ho detto.

Tale posizione appare oggi tesa a far convogliare in un generale referto al Parlamento nazionale dati, notizie e considerazioni sullo “stato” della finanza pubblica del Paese in tutte le sue varie articolazioni, al fine di far sì che il massimo organo rappresentativo della Repubblica possa svolgere al meglio le sue altissime funzioni.

Peraltro, la stessa legge 131 ha voluto assicurare, sia sotto il profilo organizzativo, che sotto quello funzionale, uno stretto legame fra enti controllati e sezioni regionali della Corte, realizzato anche con l’integrazione di queste ultime con due componenti designati dalle stesse amministrazioni destinatarie del controllo.

In definitiva, si è venuto a realizzare un modello di collaborazione non tipizzato dal legislatore e pertanto aperto a procedure e materie assai varie.

Anche per tale finalità, la Corte si è mossa nel senso di adeguare la propria struttura organizzativa con la finalità di raccordare – come già ricordato – l’attività di controllo finanziario di competenza di ciascuna sezione regionale con le funzioni, da svolgersi a livello centrale, di referto generale sulla finanza statale, regionale e locale.

In altri termini, è sorta l’esigenza di individuare uno strumento organizzativo in grado di assicurare tale raccordo attraverso un coordinamento agevole ed efficace, nel rispetto dell’autonomia delle singole sezioni regionali; nel contempo – e per quanto attiene segnatamente ai controlli sulla gestione – si è reso necessario individuare una sede di coordinamento, atta ad assicurare la definizione di metodologie e linee comuni di indirizzo, nell’ambito del controllo, soprattutto per consentire quei raffronti e quelle comparazioni che, come si è detto, devono contraddistinguere le indagini comuni a più sezioni.

In questa prospettiva, la Corte dei conti, nell’esercizio del potere regolamentare riconosciutole dall’Ordinamento, ha istituito una Sezione Autonomie che si caratterizza quale “espressione delle sezioni regionali di controllo” e, attraverso la quale, le funzioni di referto al Parlamento sugli equilibri generali della finanza regionale locale e quelle di coordinamento vengono, appunto, ad assumere quella valenza di “scelte condivise” che consentono di svolgere al meglio i compiti affidati agli organi di controllo della Corte, centrali e periferici.

Nell’ambito del quadro normativo, fonte di particolari problemi è il controllo, sia di natura finanziaria, sia sulla gestione, che la Corte dei conti dovrà svolgere nei confronti degli enti locali, con ciò chiudendo il circuito del sistema.

E’ infatti assai poco realistico pensare che la Corte, possa svolgere, direttamente e con le sue sole attualmente limitate strutture, un’attività di verifica seria e puntuale su tutti gli enti locali: basterebbe semplicemente pensare che soltanto i comuni sono oltre 8.000.

La funzione dell’Istituto dovrà, quindi, trovare una conformazione tale da potersi avvalere della responsabilizzata opera degli organi interni di controllo e di revisione contabile di quegli enti.

L’attività di questi organi interni dovrà, da una parte, trovare ispirazione nei criteri e nelle linee guida stabiliti, in modo uniforme e coordinato a livello centrale, dalle sezioni regionali di controllo e, dall’altra, essi avranno il compito di segnalare quelle anomalie e, in genere, quei profili di criticità che, nei casi di maggiore gravità, potranno formare oggetto di intervento diretto da parte delle stesse competenti sezioni regionali di controllo.

Questo disegno normativo, soltanto abbozzato nelle disposizioni di cui all’art. 7 della legge n. 131 del 2003, potrà dispiegarsi in una più completa ed organica disciplina attraverso un coerente esercizio della delega legislativa, per la revisione dell’ordinamento degli enti locali, prevista nel già citato art. 2 della stessa legge 131.

Su quanto sopra ci permettiamo di richiamare l’attenzione delle Autorità di Governo e specialmente del Ministro dell’interno, al quale è da tutti riconosciuta una particolare sensibilità a queste tematiche.


L’attività di controllo, di referto e consultiva della Corte dei conti nell’anno 2003.

Tale attività è stata, nel decorso anno, assai serrata e, come in precedenza, si è svolta con impegno silenzioso e costante, tanto più necessario in quanto lo richiedevano le difficoltà connesse al momento di transizione che l’Ordinamento contabile sta continuando ad attraversare.

I tempi di questo mio discorso mi impongono, nel rinviare agli atti e allegati al testo scritto, di limitarmi a indicare, in estrema sintesi, gli aspetti giuridicamente e funzionalmente più significativi di tali attività.


Le Sezioni Riunite in sede di controllo e di referto.
L’attività svolta nel 2003 dalle Sezioni riunite in sede di controllo, come sempre è consistita:
nel programma generale delle attività di controllo della Corte;
nel giudizio di parificazione e relazione sul rendiconto generale dello Stato 2003;
nelle audizioni sulle procedure e sulla struttura del bilancio, sul conto del patrimonio e sull’ordinamento contabile;
nelle audizioni sui documenti di finanza pubblica sottoposti al Parlamento;
nelle relazioni quadrimestrali sulla copertura delle leggi di spesa; e in altri referti specifici.

In questa mia esposizione orale, ritengo opportuno sinteticamente sottolineare la particolare, e direi fondamentale, importanza che, come in passato, hanno assunto nell’anno, sia l’attività esplicata in sede di giudizio sul rendiconto generale dello Stato, sia le audizioni parlamentari, le relazioni quadrimestrali e gli altri referti.

Ciò ancor di più in quanto tali attività, strumentali all’esercizio di funzioni decisionali, si inseriscono al più alto livello e in modo costruttivo, incisivo e concreto nel corrente andamento annuale del sistema contabile pubblico.


L’attività delle Sezioni centrali di controllo di legittimità e del controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato.

L’intensa e approfondita attività delle dette Sezioni centrali viene anch’essa dettagliatamente indicata negli allegati al testo scritto di questo discorso, dai quali tra l’altro emerge un aumento del numero delle deliberazioni adottate, tra le quali spicca quella riguardante il delicato tema del conferimento di incarichi di funzione dirigenziale.


L’attività della Sezione di controllo sugli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria.

Questa attività sta assumendo, di anno in anno, una sempre maggiore importanza, in relazione al continuo espandersi di quel “modo di fare amministrazione dello Stato”, che passa attraverso il ricorso a strutture, che pur essendo private, o comunque autonome, ugualmente utilizzano risorse pubbliche.

Per le considerazioni che ho già fatto, anche per questi organismi è stato necessario esercitare la massima attenzione nell’esercizio dei poteri di vigilanza e di controllo.


L’attività della Sezione Autonomie.

La Sezione, giunta al quarto anno della sua specifica operatività, ha continuato a rappresentare quello che è, oggi, l’aspetto più nuovo e più avanzato delle funzioni della Corte, e ciò non solo nella prospettiva, che si sta realizzando, di un ulteriore decentramento amministrativo, ma anche per la preziosa preparazione degli assetti già istituiti, e di quelli che verranno, con la realizzazione di programmate scelte federaliste.

Gli atti allegati evidenziano la quantità e la qualità del lavoro svolto, che ha trovato la sua estrinsecazione in ben sette referti al Parlamento, riguardanti il trasporto pubblico e i servizi pubblici locali, le iniziative comunitarie, l’informatizzazione, gli equilibri della finanza pubblica, la gestione della finanza pubblica, la gestione della finanza degli enti locali e il funzionamento dei controlli.


Attività della Sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali.

Tra le tante iniziative prese, nel 2003, dalla Sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali, spiccano la relazione sul nuovo e importante settore della “acquacultura in Italia”, l’indagine sulla “sostenibilità ambientale e nuove forme di turismo” e il “referto annuale sulla gestione dei fondi comunitari da inviare al Parlamento”, così come dettagliatamente emerge dal documento allegato al testo scritto del presente discorso.


Lo stato della giurisdizione della Corte dei conti nell’anno 2003.

Anche per la giurisdizione della Corte dei conti assume interesse la valutazione dei dieci anni di vigore delle leggi n. 19 e 20 del 1994, cui peraltro va aggiunta la legge n. 639 del 1996.

Nei discorsi di inaugurazione da me pronunciati negli ultimi quattro anni, ho espresso un avviso positivo sulle predette leggi di riforma, e ciò in quanto esse hanno saputo creare un sistema di giustizia contabile che, in sostanza, risponde alle attuali esigenze di garanzia del cittadino: con una limitazione, però, quella che, circa un anno fa, identificai nel troppo ristretto ambito di competenza di fatto attribuito alla giurisdizione di responsabilità appartenente alla Corte, a fronte di quella che, formalmente, ma con molti dubbi, allora era ritenuta appartenere al giudice ordinario.

Ciò avveniva, in ispecie, per quanto atteneva alla materia della responsabilità amministrativa degli amministratori degli enti pubblici economici, a parte la sola molto marginale eccezione riguardante l’esercizio di eventuali poteri autoritativi e di autoregolamentazione, con effetti pratici negativi per la tutela delle ragioni dell’erario.

La questione per oltre quarant’anni fu tenuta viva dagli organi di Procura e dalle Sezioni della Corte con iniziative dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione e alla Corte Costituzionale, di volta in volta motivate con nuovi e diversi argomenti, nascenti dal sopravvenire di norme che indicavano mutamenti nei principi su cui l’Ordinamento si fondava e nell’interpretazione evolutiva del sistema vigente.

Si iniziò, così, una marcia durata quasi quarant’anni, durante i quali, pur senza dare, nel merito delle cause proposte, risposte sostanzialmente diverse rispetto al passato, sia la Corte Costituzionale che la Corte di Cassazione offrirono spunti, nelle loro pronunce, per sperare in un futuro cambiamento di indirizzo.

Ora serenamente può dirsi che, allora, la questione non era ancora matura per una rivisitazione della normativa di fondo riguardante la materia.

Recentemente questo lento processo di maturazione si è compiuto e a sancirlo è stata l’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 19667 del 6 novembre-22 dicembre dello scorso anno, una pronuncia, questa, – tengo a sottolinearlo – che ha saputo cogliere con sapienza e sensibilità giuridica il segno dei tempi.

In essa, è stato svolto innanzi tutto un attento excursus storico delle normative e delle pronunce giudiziali intervenute nel tempo, unitamente ad una attenta ricognizione dell’evolversi dell’attività di governo delle pubbliche risorse, e conseguentemente dell’Ordinamento, in tema di impiego di denaro pubblico, in ultimo attraverso anche un variato e articolato processo di privatizzazione di risorse pubbliche.

Il che – come si legge nell’ordinanza – ha determinato un’evoluzione della nozione di Pubblica Amministrazione, con riflessi sugli stessi equilibri costituzionali, rendendo “labile”, in particolare, la distinzione tra enti pubblici economici e non economici. Ciò anche per gli effetti della più recente legislazione comunitaria.

A conclusione di tale analisi, la stessa ordinanza ha affermato che “l’amministrazione svolge attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando (omissis) persegue le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto od in parte dal diritto privato”.

Dalla motivazione dell’ordinanza, poi, si desume che, ai fini dell’attivazione dell’azione di responsabilità dinanzi alla giurisdizione contabile, non è essenziale accertare l’esistenza di un rapporto di servizio tra soggetto ed ente, in quanto, nella visione obiettiva e unitaria in cui si inserisce la pronuncia della Cassazione, l’elemento necessario e sufficiente per l’attribuzione della materia al giudice della Corte dei conti è il verificarsi di un pregiudizio ingiusto in danno della finanza pubblica.

Il che, per conseguenziale logica giuridica, ha portato la Cassazione a dichiarare che la giurisdizione in tema di responsabilità amministrativa di amministratori di enti pubblici economici appartiene alla Corte dei conti e ciò perché “il discrimen tra le due giurisdizioni (quella civile e quella contabile) risiede unicamente nella qualità del soggetto passivo e, pertanto, nella natura – pubblica o privata – delle risorse finanziarie di cui esso si avvale”.

Del resto, quasi un assenso al principio enunciato dalla detta ordinanza della Cassazione sembra cogliersi, indirettamente, nella recentissima sentenza della Corte Costituzionale n. 363 del 10 dicembre scorso.

Né oggi può più contrapporsi la carenza di quella “interpositio legislatoris” ritenuta in passato necessaria dal giudice delle leggi per trasformare da tendenziale a specifico il dettato costituzionale dell’art. 103, secondo comma.

Infatti, le SS.UU. della Cassazione, sempre nella detta ordinanza, hanno colto tale “interpositio”, nell’art. 1, ultimo comma, della legge n. 20 del 1994: questa norma viene così a costituire tecnicamente il momento genetico del nuovo scenario aperto alla giurisdizione contabile.

Ora gli organi di tale giurisdizione, e, in particolare, le Procure e le Sezioni giudicanti, dovranno affrontare il delicato e grave compito di dare al riconoscimento del loro maggiore ambito di competenza una risposta che sia, ad un tempo, giusta, efficiente e rispondente all’equilibrata e ragionevole applicazione delle regole che, specie dalla legislazione intervenuta dal 1994-1996 in poi, ha regolato l’esercizio della propria giurisdizione.

Ciò, quindi, come implicitamente indicato dalla Cassazione, con l’applicazione del criterio discriminante della colpa grave, del carattere personale e della suddivisione della responsabilità, nonché della limitata trasmissione di essa agli eredi e del sistema mirato di prescrizione quinquennale.

Varranno anche le previste esimenti, segnatamente quella riguardante le scelte discrezionali, da valutare in relazione alla particolare attività svolta dagli enti.

Infine, permarrà la ragionata e ragionevole applicazione del c.d. “potere riduttivo”, strumento giudiziale, questo, che, in caso di accertata responsabilità, aiuta a realizzare una giustizia a misura di uomo.


a) Il contenzioso di responsabilità.

Come gli altri anni, anche nel 2003 intensa è stata l’attività svolta dagli organi di Procura e dalle Sezioni giudicanti.

Essa, che trova la rappresentazione nelle tabelle allegate al testo scritto di questo mio discorso, si è giovata, come in passato, della collaborazione dei giudici penali e dell’apporto, sempre prezioso, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato.

La tipologia delle istruttorie aperte e dei giudizi introdotti e delle sentenze pronunciate è la più varia e diversificata ed interessa principalmente quei settori dell’azione amministrativa soggetti, in percentuale più alta in relazione alla materia trattata, al verificarsi di fenomeni di danno erariale, e talvolta anche di reati, come ricordato dal Procuratore generale della Corte d’Appello di Roma nel recente discorso di inaugurazione del corrente anno giudiziario.

Le cause più frequenti di denunce di danno ancora riguardano casi di generico spreco di risorse.

In particolare, sono, in proporzione, alti gli interventi nella materia contrattuale e nella materia fiscale, dove continua a riscontrarsi una forte evasione, anche per comportamenti colposi o dolosi di dipendenti pubblici.

In più, tale evasione trova, di fatto, un’ulteriore occasione nelle omissioni che si verificano in sede esattoriale.

Altrettanto frequenti sono le denunce riguardanti le gestioni fuori bilancio, l’amministrazione del demanio e del patrimonio, quella del personale, il recupero dei crediti, la gestione della sanità, i diffusi fenomeni di risarcimento di danni e di pagamento di somme non dovute, e fattispecie di contemporaneo danno all’immagine e di reato.

In linea con dette indicazioni è la casistica delle tipologie di illecito che hanno dato luogo alle sentenze di condanna più significative dal punto di vista delle entità del risarcimento.

Molte istruttorie, poi, sono state aperte per perdita di risorse in materia di cooperazione allo sviluppo, a causa principalmente di cattiva organizzazione di competenti uffici pubblici.

Ma la fattispecie che presenta il maggiore aumento quantitativo e percentuale delle ipotesi di danno è quella connessa, non all’uso, ma all’abuso delle consulenze chieste dalle Amministrazioni a privati e degli incarichi ad essi attribuiti.

In realtà, siamo di fronte ad un vero e proprio nuovo sistema di “fare amministrazione”, un sistema che determina spesso l’inutilizzazione di pur valide strutture amministrative esistenti, e della stessa Avvocatura dello Stato, il che contribuisce di conseguenza ad aggravare i costi di gestione, a mortificare la professionalità di pubblici dipendenti e a far sorgere il sospetto di favoritismi.

Nel 2003, il costo di tale modo di amministrare ha raggiunto, specie negli enti pubblici economici e nelle S.p.A. a partecipazione pubblica, punte di incremento annuale di oltre il 50%, in termini numerici e di costi.

Su questo e su altri analoghi casi, le Procure regionali della Corte non solo hanno aperto istruttorie, ma anche, in molti casi, hanno introdotto giudizi, qualcuno dei quali è già sfociato in sentenze di condanna.

Sull’ampiezza del fenomeno e sulla sua incidenza sulle gestioni, si deve lamentare l’inadempienza da parte delle Amministrazioni pubbliche dell’obbligo di denuncia dei collaboratori esterni, sancito dall’art. 53, co. 14, del D.L.vo n. 165 del 2001; sicché non è stato possibile provvedere alla redazione di un elenco completo contenente dati omogenei, raffrontabili e indicativi del fenomeno.

La questione merita la massima attenzione da parte degli organi di Governo e ciò per la connessione che presenta sia ai fini del controllo della spesa pubblica che per il perseguimento di una più corretta gestione.

Voglio ancora una volta ricordare come si stia perfezionando il collegamento funzionale tra organi requirenti della nostra magistratura contabile e Autorità giudiziaria penale.

In passato ebbi a sottolineare che era necessario che questa collaborazione si muovesse in un rapporto di reciprocità, ciò sia nei casi in cui fattispecie causa di reato venissero a coincidere, pur con diversa prospettiva, con quelle di responsabilità per danno erariale, sia quando si verificasse l’una ipotesi e non l’altra, e viceversa.

Con molto apprezzabile puntualità, il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, nel discorso che ho appena ricordato, ha messo in evidenza come sia coerente con il vigente Ordinamento, anche processuale, che gli uffici del P.M. penale, ove riscontrino ipotesi di danno erariale, ne forniscano immediata notizia al competente Procuratore regionale della Corte dei conti: ciò nello spirito della legge n. 97 del 2001 (che prevede l’invio allo stesso Procuratore regionale delle sentenze di condanna di pubblici ufficiali per reati nei confronti della Pubblica Amministrazione), ma anche e specialmente in applicazione dell’art. 73 dell’Ordinamento Giudiziario, là dove viene attribuito al P.M. penale il dovere di verificare l’osservanza delle leggi e il dovere di tutelare i diritti dello Stato.

Quanto sopra detto oggi costituisce uno dei più importanti strumenti di chiusura del nostro sistema di garanzia.


b) I conti giudiziali.

Fra le storiche funzioni della Corte dei conti trova collocazione il giudizio sui conti, tipo di controllo, questo, che ha dato addirittura il nome al nostro Istituto.

In effetti, trattasi di una funzione che trova la sua ragione amministrativa nel principio, antico, logico e inderogabile, secondo il quale nessun titolare di gestione di denaro e di valori può sottrarsi al dovere di rendere conto del suo operato.

Purtroppo, nel nostro ordinamento contabile, la “necessità” del sistema trova una notevolissima difficoltà pratica nell’enorme numero delle gestioni da verificare, per di più nelle forme non certo rapide di una procedura giurisdizionale, peraltro prevista a garanzia del contabile.

Ne è derivato, in concreto e da parecchi decenni, un sostanziale inceppamento in termini generali di tale tipo di verifica, tanto che il legislatore (art. 2 della legge n. 20 del 1994) ha previsto l’estinzione del giudizio di conto in caso di inattività protratta dal deposito, nonché l’esonero degli agenti contabili degli enti locali dalla trasmissione della documentazione occorrente per il giudizio stesso (art. 10 della legge n. 127 del 1997).

Queste disposizioni non hanno certo risolto il conflitto tra esigenza giuridico-contabile e possibilità operative concrete e, pertanto, anche in questa materia, emerge l’interrogativo riguardante il “che fare”.

Le proposte, al riguardo, sono le più varie e, in ogni caso, vanno combinate e integrate, anche alla luce del principio del “giusto processo”, introdotto dal novellato art. 111 della Costituzione.

Innanzi tutto, andrebbe cancellata l’ormai anacronistica disposizione di cui all’art. 45, 1° co, del T.U. n. 1214 del 1934, per il quale la presentazione del conto “costituisce l’agente dell’Amministrazione in giudizio”.

Inoltre, potrebbe essere attribuita al P.M. contabile la facoltà di esaminare, autonomamente e in prima battuta, i conti e il potere-dovere di introdurre il giudizio solo nel caso in cui si accerti la presenza di irregolarità.

Ciò, però, comporterebbe la necessità di un potenziamento degli organici delle Procure regionali della Corte, il che, almeno per ora, non sembra possibile.

Questa ipotesi, peraltro, potrebbe trovare un idoneo supporto in una soluzione che preveda che il giudizio di conto sia richiesto solo per le gestioni in cui la disponibilità di denaro e valori superi un certo importo, e, in quelle di importo minore nei cui confronti l’Amministrazione abbia, nella sua sede, sollevato rilievi.


c) La giurisdizione pensionistica.

Intensa è stata l’attività della Corte nella materia del contenzioso pensionistico, anche con il prezioso supporto della Sanità Militare, nei suoi organi centrali e di quello decentrato presso il nostro Istituto.

Ne è derivata una flessione dell’arretrato che è passato dai 231.000 ricorsi del 1997 agli odierni 124.000, avvicinandosi così ad assumere dimensioni fisiologiche.

Per quanto riguarda i temi trattati, ritengo opportuno ricordare, tra le altre numerose e significative pronunce rese nell’anno dalla Corte in materia pensionistica, almeno due sentenze delle Sezioni riunite.

La prima (n. 8 del 25 marzo), con un’articolata e incisiva motivazione
ha reso giustizia alle istanze dei cittadini di religione ebraica già discriminati dalle leggi razziali intese ad ottenere la concessione dell’assegno di benemerenza.

In tale sentenza è stato riconosciuto che le misure di attuazione della normativa antiebraica, compresi i provvedimenti di espulsione dalle scuole pubbliche, debbono ritenersi idonee a concretizzare una specifica azione lesiva proveniente dall’apparato statale diretta a colpire la persona nei suoi valori inviolabili.

La seconda (n. 14 dell’11 luglio), ha affermato che il titolare di due pensioni ha diritto a percepire l’indennità integrativa speciale sul secondo trattamento solo nei limiti necessari per ottenere l’integrazione della pensione sino all’importo corrispondente al trattamento minimo INPS.

Tuttavia, l’incertezza giurisprudenziale ancora esistente a riguardo, malgrado le ormai numerose pronunce della Corte Costituzionale e delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, rende auspicabile un intervento del legislatore, stante il rilievo erariale della questione, peraltro rimessa ancora una volta all’esame del giudice delle leggi con diverse ordinanze delle Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti: un intervento, che, seppure tardivo, indichi chiaramente i limiti entro i quali possa essere consentito il cumulo delle indennità integrative speciali o delle indennità similari.

b>
Sulla funzione nomofilattica delle Sezioni Riunite della Corte dei conti.

In apertura dell’anno giudiziario 2003 feci cenno alla revisione della disciplina del processo civile ed alla rinnovata attenzione che il legislatore sta dedicando alla funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione.

Quel cammino riformatore prosegue la sua strada.

L’art. 31 dello schema di d.d.l. approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 24 ottobre include, tra i criteri direttivi di delega, il “vincolo” per le sezioni semplici di aderire al precedente delle Sezioni Unite, salvo a reinvestire le medesime con ordinanza motivata.

Il valore attribuibile al precedente giurisprudenziale è tema articolato, complesso, che coinvolge principi fondanti l’ordinamento e persino la separazione dei poteri, spettando solo alla “legge” il primato di dettare regole cogenti e valevoli “erga omnes”.

La stessa Corte Costituzionale ha escluso possa avallarsi la supposizione che un organo giurisdizionale, anche quando gli vengano sottoposti validi argomenti in senso contrario, tenga fermo un suo pregresso punto di vista solo per non distaccarsi dai precedenti (sent. 134/1968) ed ha chiarito che, perfino nel giudizio ” di rinvio”, non è un sofisma affermare che il giudice che armonizza le sue decisioni al principio di diritto sancito rimane sempre e solo assoggettato alla legge (sent. n. 50/1970) e può, di quel principio, anche invocare il vaglio di legittimità costituzionale (ord. n. 184/2001).

Non si può dire perciò che esista, neppure per i giudici ordinari, un vero e proprio obbligo giuridico di “conformarsi” al precedente.

Esiste tuttavia – ed è forte e impegnativo – il dovere deontologico di “confrontarsi” con il precedente, di assumerlo in diligente valutazione, di discostarsene non per capricci di originalità, ma per meditati e accorti approfondimenti, semmai reinvestendo, sul punto, l’organo dalla legge deputato a risolvere contrasti e oscillazioni ermeneutiche.

Le sentenze contabili, secondo il dettato della Costituzione, e salvo il sindacato sui limiti esterni di giurisdizione, non sono soggette a verifiche di legittimità della Corte di Cassazione e, perciò, non possono risentire della funzione nomofilattica mirante alla tendenziale uniformità interpretativa.

E’ in questo diverso quadro ordinamentale e processuale che si colloca – ma pure giuridicamente si spiega e si giustifica – la funzione conferita alle Sezioni Riunite della Corte dei conti di comporre i contrasti di giurisprudenza, mediante pronunce deferite su “questioni di massima”.

Pur senza costruire alcun improprio parallelismo, pertanto, è ragionevole che tali pronunce conservino una qualche influenza ermeneutica persuasiva, non divengano cedevoli al sopravvenire di ogni occasione e siano superate solo attraverso analogo percorso di deferimento e di decisione.

Siffatto itinerario processuale permette sia di correggere eventuali interpretazioni errate, sia di assicurare e mantenere vivi e vitali il progresso e l’evoluzione della giurisdizione; esso, nel contempo, si mostra l’unico strumento capace di garantire, nei limiti del possibile, un sufficiente, attendibile e convincente grado di “certezza del diritto” e di “parità di trattamento”.

Tali concetti di certezza e di parità meritano entrambe un atteggiamento di massima sensibilità da parte di tutti, giudicanti ed inquirenti, perché costituiscono esigenze sentite ed insopprimibili, per i cittadini e per l’intera collettività.


6. Perorazione

Sono giunto alla fine del mio dire, che concludo, secondo antiche regole, con una perorazione.

La Nazione sta attraversando un momento di difficile assestamento, nel quale fortemente incide il permanere, oltre che di problemi interni, di una situazione internazionale segnata da tensioni e da inquietudini politiche, militari ed economiche, e quindi, non certo favorevole.

In particolare, mai come in questi anni lo “stato” della cosa pubblica ha avuto connessioni con la politica interna ed estera e, con l’economia privata, con conseguenti reciproci condizionamenti.

Non solo, però: mai in passato, come in questi anni, è risultato arduo fare una distinzione, per il perseguimento del bene dei cittadini, tra settori e organi di diversa collocazione nell’Ordinamento e nella vita della Repubblica.

Recentemente, il Presidente della Repubblica ha evocato, come generale rimedio, una parola che è al fondamento di tutte le attività umane: la fiducia, definita come la forza intellettuale e morale che ci muove e ci permette di costruire il futuro, una fiducia che, da un lato, deve obiettivamente riferirsi a noi stessi e al nostro avvenire, e dall’altro, soggettivamente riguardare le istituzioni e i cosiddetti “poteri forti”.

Mi permetto di aggiungere che questa forza, che è un bene dell’uomo, come lo è delle Nazioni, va meritata, presidiata, e molte volte conquistata.

Nei limiti dell’oggetto di questo discorso di inaugurazione, ritengo di poter attingere all’esperienza recente di Procuratore generale e da quella meno recente acquisita in tantissimi anni di servizio allo Stato, affermando che la Corte dei conti, nelle sue diverse funzioni, non solo merita questa fiducia, ma può contribuire a dare ragioni di fiducia al “sistema Italia”; e ciò per la centralità, la specificità e l’insostituibilità della sua posizione ordinamentale e per la serietà sempre dimostrata nell’adempimento di un compito in ogni tempo esteso, difficile e spesso contrastato.

Essa, come sempre operando in silenzio, è oggi più che mai al servizio della Repubblica.

Signor Presidente, ho l’onore di chiederLe di voler dichiarare aperto l’anno giudiziario della Corte dei conti per il 2004.

Roma, 28 gennaio 2004

Redazione

Lo studio legale Giurdanella & Partners dedica, tutti i giorni, una piccola parte del proprio tempo all'aggiornamento del sito web della rivista. E' un'attività iniziata quasi per gioco agli albori di internet e che non cessa mai di entusiasmarci. E' anche l'occasione per restituire alla rete una parte di tutto quello che essa ci ha dato in questi anni. I giovani bravi sono sempre i benvenuti nel nostro studio legale. Per uno stage o per iniziare la pratica professionale presso lo studio, scriveteci o mandate il vostro cv a segreteria@giurdanella.it