Consiglio di Stato, Sezione V
Decisione n. 7341 dell’11 novembre 2004
(Presidente Frascione, Estensore Corradino)
Non è richiesta la presentazione per tempo della domanda di partecipazione al concorso (ovvero a gara) ogni qual volta la domanda appaia un inutile formalismo, in considerazione della palese carenza, in capo all’aspirante partecipante alla procedura, di un requisito di ammissione, per cui la eventuale domanda di partecipazione condurrebbe alla sicura esclusione del candidato.
(…)
D I R I T T O
L’appello è fondato e conseguentemente va annullata la pronuncia gravata.
1. Con il primo motivo di ricorso l’appellante sostiene l’inammissibilità del gravame di primo grado attesa la omessa presentazione, da parte degli odierni appellati, della domanda di partecipazione al concorso sopra specificato e, dunque, la carenza negli stessi dell’interesse all’impugnazione secondo la consolidata giurisprudenza.
Il motivo richiede una approfondita disamina degli orientamenti giurisprudenziali formatisi sul punto in questione.
Secondo il risalente (e tuttora prevalente) orientamento giurisprudenziale (concernente le censure proposte tanto avverso gli atti delle procedure di gara per l’aggiudicazione di pubblici contratti quanto avverso le procedure concorsuali per l’assunzione alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni) il soggetto che non ha presentato domanda di partecipazione alla procedura di gara o di concorso non ha interesse ad impugnare gli atti della medesima procedura (Cons. Stato, sez. V, 20/05/2003, n. 2753; Cons. Stato, sez. VI, 22/04/2002, n. 2173; Cons. Stato, sez. V, 20/06/2001, n. 3264; Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 2000, n. 1909; Cons. Stato, sez. V, 07/10/1998, n. 1418; “Il partecipante ad un concorso a pubblici impieghi, con la presentazione della domanda di partecipazione alla procedura selettiva ha assunto un interesse qualificato e differenziato”; Cons. Stato 26 maggio 1997, n. 554; Cons. Stato 4/11/1996, n. 1309; Cons. Stato, sez. IV, 06/05/1996, n. 577; Cons. Stato sez. IV, 16 ottobre 1995, n. 817; Cons. Stato, sez. IV, 20/07/1988, n. 622) e ciò anche qualora la clausola del bando asseritamene illegittima, nello stabilire i criteri per l’ammissione, preveda il possesso di un requisito che il soggetto non possiede.
L’interesse fatto valere dal soggetto che proponga l’impugnativa, in tale ipotesi, è esattamente quello di potere prendere parte alla procedura malgrado il bando non lo consenta.
Ed allora, fermo l’onere di impugnare immediatamente il bando nella parte lesiva, è evidente che l’interesse concreto fatto valere deve essere comprovato dalla presentazione della domanda di partecipazione nel termine perentorio fissato nella lex specialis della procedura.
Di recente tale indirizzo è stato autorevolmente ribadito da Cons. Stato, Ad. Plen., 29/01/2003, n.1 secondo cui “Ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione immediata del bando delle clausole ritenute lesive, è necessaria la presentazione della domanda di partecipazione alla gara o alla procedura concorsuale. La presentazione della domanda di partecipazione, nell’evidenziare l’interesse concreto all’impugnazione, fa del soggetto che ha provveduto a tale adempimento un destinatario identificato, direttamente inciso del bando” (in tal modo differenziando e qualificando il proprio interesse rispetto a quello del quisque de populo).
Più di recente, tuttavia, la giurisprudenza amministrativa di primo e secondo grado ha meditato in ordine alla fondatezza del superiore indirizzo ermeneutico, giungendo, in alcune occasioni, ad accogliere l’opzione interpretativa opposta. All’originaria pronuncia resa dal T.A.R. Puglia Lecce, 08/03/1986, n.75 (secondo cui “L’impresa che non abbia partecipato alla gara d’appalto non per sua scelta ma per effetto di una causa di esclusione posta dal bando ha interesse ad impugnare quest’ultimo ed all’ammissibilità della sua impugnativa non è di ostacolo la mancata presentazione della domanda di partecipazione alla gara, posto che ritenere quest’ultima indispensabile anche per coloro che intendano immediatamente censurare clausole del bando suscettibili di causare la loro esclusione costituirebbe un’espressione di vieto formalismo giuridico, inconciliabile, tra l’altro, col principio di economia del giudizio”) sono seguite ulteriori pronunce di prime cure (T.A.R. Lazio, Sez. I, 24 febbraio 1990, n. 229; T.A.R. Puglia-Lecce, 22 marzo 1991, n. 262; T.A.R. Puglia-Bari, Sez. II, 17 settembre 1996, n. 552; T.A.R. Sicilia-Catania, Sez. II, 31 agosto 1998, n. 1408; T.A.R. Lazio, Sez. III, 26 aprile 2000, n. 3412, secondo cui deve riconoscersi la legittimazione a ricorrere avverso un bando di gara e l’annesso capitolato speciale all’impresa che non abbia presentato la propria offerta, ogni qualvolta sia prospettata l’esistenza di clausole direttamente ed immediatamente lesive, tali da impedire ex se la partecipazione alla gara, ovvero l’utile presentazione dell’offerta, in quanto costituenti clausole impossibili).
Più di recente la giurisprudenza di primo grado ha rinvenuto il fondamento di tale diverso orientamento nei valori comunitari e costituzionali, nonché nelle recenti riforme amministrative: “Non appare, infatti, conforme alla piena esplicazione del diritto alla difesa (art. 24 Cost.), della libertà della iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) e soprattutto dell’apicale principio di portata comunitaria della libera e massima concorrenza, limitare la legittimazione di un soggetto, sostanzialmente leso da un bando, al mero formalismo della presentazione di una domanda che, con riferimento alla fattispecie in esame, avrebbe comportato la sicura esclusione.
Tanto anche in adesione al principio –introdotto dalla L. 241/1990 ed incentivato dalla successiva legislazione, attenta ad espungere gli adempimenti inutili o superflui (cfr., ad es., art. 4, lett d), L. 59/1997; art. 6, DL 357/1994 conv. L. 489/1994; art. 1, L. 537/1993)– del non aggravamento del procedimento amministrativo, applicazione diretta dell’ulteriore e generalizzante principio della economicità dei mezzi giuridici” (TAR Campania-Napoli, sez. I – Sentenza 18 aprile 2002 n. 2206; per una diversa impostazione cfr. altresì: “L’omessa presentazione della domanda di ammissione alla procedura di gara non esclude la sussistenza di un interesse sostanziale e processuale all’impugnativa, derivante dal fatto che gli oneri procedimentali imposti dal bando in modo non equivoco e tassativo alle imprese aspiranti all’aggiudicazione porterebbero, con ogni certezza, all’esclusione di quelle che non si trovano nelle condizioni richieste.
Conseguentemente non sarebbe necessaria una richiesta formale di partecipazione, che avrebbe comunque esito negativo. A titolo esemplificativo, diversamente che nell’ipotesi di prescrizioni del bando volte a richiedere particolari requisiti di capacità economica e finanziaria, se venga in contestazione la congruità del prezzo indicato dall’Amministrazione, in quanto ritenuto sottostimato perchè insufficiente a coprire i costi obbligatori (quali quelli relativi agli oneri retributivi e previdenziali dei lavoratori), la presentazione della domanda di partecipazione alla gara – che dovrebbe garantire la legittimazione processuale – porterebbe a risultati del tutto illogici ed aberranti. L’impresa, in tal caso, potrebbe presentare un’offerta al rialzo, ed essere per questo esclusa, ovvero proporre un’offerta fittizia, pari o inferiore al prezzo base, prestando sostanziale acquiescenza alla clausola del bando determinativa del prezzo, con conseguente inammissibilità dell’impugnazione di quest’ultima in sede giurisdizionale” T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 29/01/2002, n. 148). A tale indirizzo si è uniformato il giudice di primo grado che ha emanato la sentenza gravata con l’appello in esame.
L’indirizzo è stato condiviso anche da una parte della giurisprudenza amministrativa di secondo grado: “Se, in linea di massima, chi non ha partecipato alla gara di un appalto pubblico non è legittimato a contestarne in sede giurisdizionale il procedimento e l’esito, sussiste l’interesse di tale soggetto quando egli chieda l’annullamento in radice della gara stessa, affinchè questa non abbia luogo, nel qual caso l’omessa sua partecipazione è del tutto compatibile con la domanda così posta (nella specie, persiste l’interesse all’impugnazione dell’indizione di una nuova gara d’appalto del diniego d’aggiudicazione di un appalto e sussiste quello all’impugnazione anche se il ricorrente non abbia partecipato a quest’ultima)” Cons. Stato, sez. V, 20/09/2001, n.4970; “Se è vero che in virtù di un principio generale il soggetto che non ha presentato domanda di partecipazione alla procedura per l’aggiudicazione di un appalto non ha interesse ad impugnare gli atti di gara, è altresì vero che l’interesse all’impugnativa va valutato in concreto, pertanto, qualora il ricorrente risulti leso in quanto la partecipazione alla procedura è preclusa dallo stesso bando, sussiste l’interesse a gravare la relativa determinazione – a prescindere dalla mancata presentazione della domanda – posto che l’impugnante ha proprio interesse a impedire lo svolgimento della procedura selettiva” Cons. Stato, sez. V, 14/02/2003, n.794 (cfr. altresì Consiglio di Stato, Sez. V – Sentenza 18 dicembre 2002 n. 7055).
L’orientamento è stato accolto anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva (“[…] Non vale dunque eccepire, come invece fa l’Azienda ospedaliera, che la ricorrente non ha ancora domandato di partecipare alla gara: il detto elemento preclusivo avrebbe infatti dato comunque causa alla sua esclusione, sicché la domanda si sarebbe risolta in un adempimento formale inevitabilmente seguito da un atto di estromissione, con un risultato analogo a quello di un’originaria preclusione e perciò privo di una effettiva utilità pratica ulteriore: del resto, il dover attendere, per l’investitura del giudizio, la conseguente formalizzazione dell’esclusione sarebbe contrario al principio dell’economia dei mezzi e si risolverebbe in una lesione della superiore speditezza complessiva del procedimento […] L’impresa ricorrente è dunque titolare di un interesse concreto ed attuale alla impugnazione del bando in questione: dal che discende che il ricorso straordinario è da ritenere ammissibile” (Consiglio di Stato, Sez. II – Parere 7 marzo 2001 n. 149/2001).
Tale indirizzo ha di recente ottenuto un autorevole avallo in sede comunitaria: con la decisione Corte giust. C.E 12 febbraio 2004 – C-230/02 è stato affermato che “[…] 27 In tal senso, come rilevato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, la partecipazione ad un procedimento di aggiudicazione di un appalto può, in linea di principio, validamente costituire, riguardo all’art. 1, n. 3, della direttiva 89/665, una condizione che dev’essere soddisfatta per dimostrare che l’interessato ha interesse all’aggiudicazione dell’appalto di cui trattasi o rischia di subire un danno a causa dell’asserita illegittimità della decisione di aggiudicazione del detto appalto. Se non ha presentato un’offerta, tale persona può difficilmente dimostrare di avere interesse ad opporsi a tale decisione o di essere lesa o rischiare di esserlo da tale aggiudicazione. 28 Nell’ipotesi in cui un’impresa non abbia presentato un’offerta a causa della presenza di specifiche che asserisce discriminatorie nei documenti relativi al bando di gara o nel disciplinare, le quali le avrebbero proprio impedito di essere in grado di fornire l’insieme delle prestazioni richieste, essa avrebbe tuttavia il diritto di presentare un ricorso direttamente avverso tali specifiche, e ciò prima ancora che si concluda il procedimento di aggiudicazione dell’appalto pubblico interessato. 29 Infatti, da un lato, sarebbe eccessivo esigere che un’impresa che asserisca di essere lesa da clausole discriminatorie contenute nei documenti relativi al bando di gara, prima di poter utilizzare le procedure di ricorso previste dalla direttiva 89/665 contro tali specifiche, presenti un’offerta nell’ambito del procedimento di aggiudicazione dell’appalto di cui trattasi, quando persino le probabilità che le venga aggiudicato tale appalto sarebbero nulle a causa dell’esistenza delle dette specifiche. 30 Dall’altro, risulta chiaramente dal testo dell’art. 2, n. 1, lett.b), della direttiva 89/665 che le procedure di ricorso, che gli Stati membri devono organizzare in conformità a tale direttiva, devono consentire in particolare di “annullare (…) le decisioni illegittime, compresa la soppressione delle specificazioni tecniche, economiche o finanziarie discriminatorie (…)”.
Ad un’impresa dev’essere pertanto consentito presentare un ricorso direttamente avverso tali specifiche discriminatorie, senza attendere la conclusione del procedimento di aggiudicazione dell’appalto”.
Il Collegio ritiene di aderire alla tesi che non richiede la presentazione per tempo della domanda di partecipazione al concorso (ovvero a gara) ogni qual volta la domanda appaia un inutile formalismo, in considerazione della palese carenza, in capo all’aspirante partecipante alla procedura, di un requisito di ammissione.
In tali casi, invero, la domanda di partecipazione condurrà alla sicura esclusione del candidato.
Nel caso in esame, merita di essere precisato, viene in particolare evidenza la particolare caratteristica dell’effetto demolitorio della sentenza di accoglimento, la quale comporta la necessità di rinnovare la fissazione della procedura di gara o di concorso sin dalla definizione delle regole riguardanti i profili soggettivi ed oggettivi di partecipazione.
2. Con il secondo motivo d’appello il Comune di Rossano si duole dell’omessa (ulteriore) declaratoria di inammissibilità del gravame di primo grado per non aver gli odierni appellati gravato, oltre al bando di concorso, il regolamento degli uffici e dei servizi del Comune di Rossano approvato con delibera di Giunta n. 200 dell’11 luglio 2000 che ha prescritto per l’accesso alla posizione professionale B3 il possesso del titolo di studio di scola media superiore; tale regolamento, qualificato dall’appellante atto presupposto fornito di autonoma incidenza lesiva, doveva essere impugnato a pena d’inammissibilità, secondo l’amministrazione comunale.
L’eccezione è infondata.
Invero, se in alcuni casi la giurisprudenza ha riconosciuto l’esistenza, rispetto al bando di gara o di concorso, di atti presupposti (cfr.: Cons. Stato, sez. IV, 18/03/1980, n. 268, con riguardo ai rapporti fra la revisione della pianta organica e il bando di concorso; Cons. Stato, sez. V, 03/10/1994, n. 1092 (cfr. anche Cons. Stato, sez. V, 17/09/1996, n. 1133), con riguardo all’autorizzazione regionale ad indire il concorso, atto presupposto, privo di autonoma lesività e, quindi, non impugnabile rispetto al bando di concorso; “Allorchè il bando non costituisce un’autonoma manifestazione di volontà, limitandosi senza alcuna valutazione discrezionale a dare esecuzione ad un precedente decreto, non v’è onere di autonoma impugnazione, poichè l’annullamento dell’atto presupposto travolge in tal caso automaticamente anche gli atti esecutivi” Cons. Stato, sez. VI, 01/04/2000, n. 1885), è possibile affermare che il procedimento di gara o di concorso, dal bando all’aggiudicazione (ovvero all’approvazione della graduatoria), si configura come una sequenza di atti, collegati da un nesso logico e finalistico, in cui il bando costituisce l’atto presupposto per antonomasia (Cons. Stato, sez. V, 06/07/1992, n. 618; Cons. Stato, sez. V, 12/11/1996, n. 1323; Cons. Stato, sez. V, 11/06/1999, n. 626) rispetto alle operazioni del seggio di gara (ovvero commissione di concorso) e ai relativi provvedimenti.
Alla luce delle superiori considerazioni il regolamento degli uffici e dei servizi del Comune di Rossano approvato con delibera di Giunta n. 200 dell’11 luglio 2000 non può considerarsi atto presupposto del bando di concorso (e dell’intera procedura concorsuale) in esame, proprio perché il bando in questione costituisce estrinsecazione di una autonoma manifestazione di volontà (e non meramente esecutivo di un precedente provvedimento).
3. Con il terzo motivo di ricorso l’appellante si duole della gravata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il vigente panorama normativo prescrive per l’accesso alla categoria B il titolo della scuola dell’obbligo senza precisare, nell’ambito dei diversi profili (B2, B3) ulteriori o diversi titoli di studio.
Il motivo è fondato.
Invero, la nuova disciplina contrattuale ha sostituito al sistema di classificazione basato sulle qualifiche funzionali la nuova ripartizione in categorie. La distinzione dei profili all’interno della singola categoria mantiene, tuttavia, attuale rilievo (cfr.: “Anche dopo il 31 dicembre 2001 continuano a sussistere all’interno delle categorie B e D del c.c.n.l. del comparto enti locali le posizioni giuridiche B3 e D3.
Ne consegue che è valido il bando di selezione per il conferimento di un posto di profilo tecnico della posizione ordinamentale Cl della categoria C che consenta la partecipazione a tale selezione ai soli dipendenti appartenenti alla categoria B3 anzichè a tutti gli appartenenti alla categoria B” Trib. Roma, 29/05/2002).
In particolare, il profilo B3 corrisponde alla ex V qualifica per la quale è richiesto, ai fini dell’accesso, il diploma di istruzione secondaria di secondo grado (art. 5 comma 18 DPR n. 268/1987: “A chiarimento delle norme di cui all’allegato A del decreto del Presidente della Repubblica n. 347/1983, il titolo di studio richiesto per l’accesso alla quinta qualifica funzionale è il diploma di istruzione secondaria di secondo grado, fermi restando i particolari requisiti previsti per i singoli profili professionali, nonché la specifica specializzazione professionale acquisita anche attraverso altre esperienze di lavoro. Restano invariate le altre norme per l’accesso alla quinta qualifica”).
Nel caso in esame, pertanto, correttamente il bando richiedeva il titolo di studio del diploma di istruzione secondaria di secondo grado, oltre alla specifica patente DK.
Per le ragioni esposte l’appello va accolto.
Sussistono giuste ragioni per compensare le spese di giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) accoglie l’appello e per l’effetto annulla la sentenza gravata.