Corte Costituzionale, 17.12.2004 n.390

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Corte
Costituzionale

Sentenza
n. 390 del 17 dicembre 2004

(Valerio
Onida presidente, Romano Vaccarella estensore)

 

La
previsione per cui le assunzioni a tempo indeterminato, «fatto salvo il
ricorso alle procedure di mobilità, devono, comunque, essere contenute,
fatta eccezione per il personale infermieristico del Servizio sanitario nazionale,
entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio
verificatesi nel corso dell’anno 2002» non si limita a fissare un principio
di coordinamento della finanza pubblica, ma pone un precetto specifico e puntuale
sull’entità della copertura delle vacanze verificatesi nel 2002, imponendo
che tale copertura non sia superiore al 50 per cento.

Tale
precetto, proprio perchè specifico e puntale, si risolve in una indebita
invasione, da parte della legge statale, dell’area (organizzazione della propria
struttura amministrativa) riservata alle autonomie regionali e degli enti locali,
alle quali la legge statale può prescrivere criteri (ad esempio, di privilegiare
il ricorso alle procedure di mobilità: sentenza n. 388 del 2004) ed obiettivi
(ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio
gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi.

 

(…)

Considerato
in diritto


1.–

Preliminarmente, va dichiarata l’estinzione del giudizio limitatamente ai ricorsi
nn. 18 e 19 del 2003 delle Regioni Piemonte e Valle d’Aosta per rinuncia.

2.–
Sempre in via preliminare, va disposta – per la parte in cui investono,
con censure largamente coincidenti, l’art. 34 della legge n. 289 del 2002, e
riservando ad altre pronunce la decisione per la parte in cui investono altre
norme della citata legge – la riunione dei ricorsi numeri 14, 15, 21,
22, 25 e 26 del 2003, attesa l’evidente comunanza di oggetto e di questioni.

Analogo
provvedimento di riunione si impone per i ricorsi numeri 31, 32 e 33 del 2003
per la parte in cui tutti investono, con argomentazioni sostanzialmente analoghe,
l’art. 3, commi 53-65, della legge n. 350 del 2003, riservando a distinte pronunce
la decisione per la parte in cui investono altre disposizioni della citata legge.

La sostanziale
coincidenza del contenuto normativo investito dai ricorsi numeri 14, 15, 21,
22, 25 e 26 del 2003 e dai ricorsi numeri 31, 32 e 33 del 2004, rende manifesta
l’opportunità della loro decisione con unica sentenza.


3.–

Le censure mosse nei confronti dell’art. 34, commi 1, 2, 3, 4, 6, 10, 13 e 22,
della legge n. 289 del 2002 devono essere respinte.

Se è
vero, infatti, che l’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche), richiamato dal comma 1, fa riferimento anche alle Regioni, è
d’altra parte vero che il comma 10 dispone espressamente che alle Regioni si
applicano – in luogo dei commi ad esso precedenti – le disposizioni
del comma 11 (il quale, come si dirà, dispone autonomamente circa l’applicabilità
dei commi 1, 2, 3 e 4).

Il comma
13, a sua volta, esclude esplicitamente che la limitazione (riguardante l’assunzione
di personale a tempo determinato) in esso prevista si applichi alle Regioni.

Il comma
22, infine, non contiene alcun esplicito obbligo (in particolare, di riduzione
del personale non inferiore all’uno per cento) delle Regioni (alle quali non
può certamente riferirsi la generica locuzione “enti pubblici non
economici”), ma contiene esclusivamente la previsione che “le altre
amministrazioni pubbliche adeguano le proprie politiche di reclutamento di personale
al principio di contenimento della spesa in coerenza con gli obiettivi fissati
dai documenti di finanza pubblica”. E’ appena il caso di rilevare che
tale previsione costituisce un principio di “coordinamento della finanza
pubblica” (art. 117, terzo comma, Cost.) che la legislazione statale è
certamente legittimata a fissare, e che non limita in alcun modo l’autonomia
regionale riguardo ai concreti strumenti (adeguamento delle proprie “politiche
di reclutamento del personale”) attraverso i quali quell’obiettivo (“contenimento
della spesa”) può essere raggiunto.


4.–

Le censure mosse al comma 11 sono fondate nei limiti di seguito precisati.

Non è
fondata la censura volta a contestare che la legge statale possa prevedere meccanismi
e procedure – ed in particolare l’«accordo tra Governo, regioni
e autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata» –,
volti a far sì che vi sia il «concorso delle autonomie regionali
e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica», e possa inoltre
prevedere che quanto previsto in quell’accordo sia trasfuso in un decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri che fissi «per le amministrazioni
regionali, per le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti
che abbiano rispettato le regole del patto di stabilità interno per l’anno
2002, per gli altri enti locali e per gli enti del Servizio sanitario nazionale,
criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l’anno 2003».

Tale previsione,
infatti, costituisce puntuale attuazione del precetto costituzionale che attribuisce
alla legge statale il compito di provvedere al “coordinamento della finanza
pubblica”: compito legittimamente assolto coinvolgendo nell’individuazione
dei «criteri e limiti per le assunzioni a tempo indeterminato» le
Regioni e le autonomie locali e, poi, cristallizzando in un decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri l’accordo che fissa quei criteri e limiti.

La circostanza
che il medesimo comma 11 disponga che «fino all’emanazione dei decreti
(…) trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 4» –
e cioè il «divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo
indeterminato», fatte salve le eccezioni ivi previste – non costituisce
violazione di alcuna norma costituzionale: si tratta, infatti, non solo di un
divieto temporalmente limitato, ma anche e soprattutto di un divieto funzionalmente
collegato all’accordo da raggiungere in sede di Conferenza unificata, quale
strumento destinato a disciplinare, con il concorso delle autonomie regionali
e locali, la materia delle assunzioni del personale a tempo indeterminato. E’
evidente che, in assenza di quel temporaneo divieto, le finalità perseguite
con l’accordo sarebbero frustrate se, nelle more, le Regioni e gli enti locali
potessero procedere, senza limiti di sorta, alle assunzioni ritenute opportune:
come è evidente che l’intervento della legge statale in senso limitativo
dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali non è meno legittimo
per ciò che il divieto da essa posto è assoluto, ma la sua legittimità
va affermata considerando il carattere strumentale di quel temporaneo divieto
ai fini della efficacia ed effettività della futura disciplina che scaturirà
in sede di Conferenza unificata.

Altrettanto
ovvio è che in sede di accordo ben possono essere individuati profili
della disciplina di cui ai commi 1, 2, 3 (rideterminazione delle piante organiche
nel rispetto del “principio della invarianza della spesa” e loro
tendenziale “congelamento”) da applicare alle Regioni ed agli enti
locali, e che anche tali contenuti dell’accordo raggiunto in sede di Conferenza
unificata ben possono essere trasfusi nel decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri.

Le medesime
ragioni, che impongono il rigetto delle censure mosse alle disposizioni del
comma 11 fin qui esaminate, comportano l’accoglimento di quelle rivolte alla
previsione per cui le assunzioni a tempo indeterminato, «fatto salvo il
ricorso alle procedure di mobilità, devono, comunque, essere contenute,
fatta eccezione per il personale infermieristico del Servizio sanitario nazionale,
entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio
verificatesi nel corso dell’anno 2002».

Si tratta,
infatti, di una disposizione che non si limita a fissare un principio di coordinamento
della finanza pubblica, ma pone un precetto specifico e puntuale sull’entità
della copertura delle vacanze verificatesi nel 2002, imponendo che tale copertura
non sia superiore al 50 per cento: precetto che, proprio perché specifico
e puntuale e per il suo oggetto, si risolve in una indebita invasione, da parte
della legge statale, dell’area (organizzazione della propria struttura amministrativa)
riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge
statale può prescrivere criteri (ad esempio, di privilegiare il ricorso
alle procedure di mobilità: sentenza n. 388 del 2004) ed obiettivi (ad
esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli
strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi.


5.–

Quanto ai ricorsi numeri 31, 32 e 33 del 2004 valgono mutatis mutandis
– attesa la sostanziale identità di disciplina recata dall’art.
3, commi 53-60, della legge n. 350 del 2003 – le medesime conclusioni
appena esposte con riguardo all’art. 34 della legge n. 289 del 2002.

Va quindi
ribadito che né il comma 53 (ove è previsto il divieto di assunzioni
a tempo indeterminato) né i commi 54 e 55 (che disciplinano deroghe,
e relative procedure, a quel divieto) riguardano, in quanto tali, le Regioni,
come chiarisce l’ultimo alinea del comma 58 stabilendo che «per le regioni
e le autonomie locali, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale
(…) si applicano le disposizioni del comma 60».

Analoga
esplicita previsione è contenuta nel comma 65 (limiti all’assunzione
di personale a tempo determinato), mentre implicita, ma inequivoca, è
l’estraneità delle Regioni a quanto dispone il comma 61 in ordine alla
proroga del termine di validità delle graduatorie, dal momento che la
norma riguarda esclusivamente “le amministrazioni pubbliche che per l’anno
2004 sono soggette a limitazioni delle assunzioni”.

Respinte,
pertanto, le censure che investono i commi 53, 54, 55, 58, 61 e 65, occorre
passare all’esame di quelle che concernono il comma 60: norma pressoché
identica a quella contenuta nel comma 11 dell’art. 34 della legge n. 289 del
2002, e per la quale vale quanto si è precisato supra, n. 4, ribadendo
l’infondatezza delle censure relative alla parte in cui si prevede che l’accordo
raggiunto in sede di Conferenza unificata sia trasfuso in un d.P.C.m. che fissi
criteri e limiti delle assunzioni a tempo indeterminato, nonché l’infondatezza
di quelle relative alla disposizione a tenore della quale «fino all’emanazione
dei decreti trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 53»;
l’illegittimità costituzionale della disposizione a norma della quale
le assunzioni a tempo indeterminato «devono comunque essere contenute
(…) entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal
servizio verificatesi nel corso dell’anno 2003».

P.Q.M.

riuniti
i ricorsi numeri 14, 15, 18, 19, 21, 22, 25 e 26 del 2003 nonché i ricorsi
numeri 31, 32 e 33 del 2004, e riservata a separate pronunce la decisione delle
questioni in tali ricorsi sollevate relativamente a norme diverse dall’art.
34 della legge n. 289 del 2002 e dall’art. 3, commi 53-65, della legge n. 350
del 2003;

dichiara
estinti per rinuncia i giudizi di cui al ricorso n. 18 del 2003 proposto dalla
Regione Piemonte e n. 19 del 2003 proposto dalla Regione Valle d’Aosta;

dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 11, della legge 27
dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), limitatamente alla
parte in cui dispone che le assunzioni a tempo indeterminato «devono,
comunque, essere contenute (…) entro percentuali non superiori al 50 per
cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell’anno 2002»;

dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte, in riferimento
agli articoli 3, 5, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, nei confronti
dell’art. 34, commi 1, 2, 3, 4, 10, 13 e 22 della predetta legge n. 289 del
2002;

dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 60, della legge 24
dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), limitatamente alla
parte in cui dispone che le assunzioni a tempo indeterminato «devono,
comunque, essere contenute (…) entro percentuali non superiori al 50 per
cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell’anno 2003»;

dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte, in riferimento
agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, nei confronti dell’art. 3,
commi 53, 54, 55, 58, 61 e 65, della suddetta legge n. 350 del 2003.


Redazione

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