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La
Presidenza del Consiglio aveva impugnato la legge della Regione
Sardegna 9 agosto 2002, n. 14 (Nuove norme in materia di qualificazione
delle imprese per la partecipazione agli appalti di lavori pubblici che si
svolgono
nell’ambito territoriale regionale) deducendo che la stessa, là dove
stabilisce che le imprese interessate a partecipare ad un appalto bandito
nella stessa Regione debbono osservare particolari procedure di qualificazione,
determinerebbe un’indebita compartimentazione del mercato.
In particolare,
si lamentava la violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera e) della Costituzione, per indebita invasione della sfera
di competenza
legislativa
statale in
materia di concorrenza, gli artt. 6, 26, 27 della direttiva comunitaria 14
giugno
1993, n. 93/37, nonché degli artt. 49-55 del Trattato istitutivo
della Comunità europea, 25 marzo 1957, in relazione all’art. 117,
primo comma, della Costituzione – che impone alle Regioni il rispetto
dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario – per contrasto
con la disciplina in materia di libertà di prestazione dei servizi
e di requisiti finanziari e tecnici necessari per la partecipazione agli
appalti
pubblici.
La
Corte ha tuttavia dichiarato l’inammissibilità delle
censure formulate avverso la legge della Regione Sardegna n. 14 del 2002,
con riferimento all’art. 117 della Costituzione.
Ed invero, si è ritenuto che
La difesa erariale si è solo limitata ad affermare che la legge impugnata
per la sua contrarietà alla
normativa comunitaria violerebbe la norma costituzionale invocata, senza
però argomentare per quale ragione, trattandosi dell’impugnazione
di una legge della Regione Sardegna, debba prendersi in considerazione tale
parametro in luogo di quello ricavabile dal relativo statuto speciale, il
cui art. 3, lettera e), tuttora in vigore, attribuisce alla Regione, entro
i limiti ivi stabiliti, una competenza legislativa primaria in materia
di lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione.
Secondo la Consulta, la mancanza
di una tale valutazione nel ricorso presentato dalla Presidenza del Consiglio,
determina la declaratoria di inammissibilità della
censura (cfr. sentenze n. 8 del 2004 e n. 213 del 2003).
– – – – –
Corte Costituzionale
Sentenza 29 gennaio 2005 n. 65
(presidente Onida – estensore
Finocchiaro)
(…)
nel giudizio di legittimità costituzionale
della legge della Regione Sardegna del 9 agosto 2002, n. 14 (Nuove norme
in materia
di qualificazione
delle imprese per la partecipazione agli appalti di lavori pubblici che si
svolgono nell’ambito territoriale regionale), promosso con ricorso del Presidente
del Consiglio dei ministri, notificato il 16 ottobre 2002, depositato in cancelleria
il 22 successivo ed iscritto al n. 78 del registro 2002.
Visto l’atto di costituzione della Regione Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 30 novembre 2004 il Giudice relatore Alfio
Finocchiaro;
uditi l’avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio
dei ministri e l’avvocato Sergio Panunzio per la Regione Sardegna.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato il 22 ottobre 2002, il Presidente del Consiglio
dei ministri ha chiesto a questa Corte di dichiarare l’illegittimità della
legge della Regione Sardegna 9 agosto 2002, n. 14 (Nuove norme in materia di
qualificazione delle imprese per la partecipazione agli appalti di lavori pubblici
che si svolgono nell’ambito territoriale regionale) in relazione all’art. 117
primo e secondo comma, lettera e) della Costituzione per indebita invasione
della propria sfera di competenza legislativa esclusiva in materia di concorrenza
e per violazione delle norme comunitarie in tema di qualificazione delle imprese.
La disciplina legislativa sarebbe invalida perché sostanzialmente
riproduttiva di un regolamento della Regione adottato dal suo Presidente con
decreto n. 1/L del 9 marzo 2001 e annullato dal TAR con la sentenza n. 892/2002,
la quale ha affermato che non vi è dubbio che la problematica relativa
alla qualificazione delle imprese rientri nella materia, di esclusiva competenza
statale, della regolamentazione della concorrenza. Invero le direttive comunitarie
che hanno regolato nel dettaglio i meccanismi di aggiudicazione negli appalti
pubblici trovano la propria giustificazione nella necessità di evitare
comportamenti discriminatori in uno dei settori d’attività economica
di maggiore impatto, quale quello dei contratti delle pubbliche amministrazioni.
L’obiettivo della disciplina, secondo la difesa erariale, è anticoncorrenziale,
perché consisterebbe nel favorire le imprese sarde nell’aggiudicazione
degli appalti che si svolgono nella Regione Sardegna.
Infatti, secondo l’art. 1 della legge, i committenti
e i concedenti devono richiedere ai partecipanti la qualificazione nelle
forme previste dalla legge;
in caso contrario l’intero procedimento sarà invalido.
La qualificazione è attribuita da un’apposita commissione permanente
(art. 3) il cui provvedimento positivo comporta l’iscrizione in un apposito
casellario, definito “Albo regionale degli appaltatori”.
In tale maniera la Regione Sardegna avrebbe derogato al sistema di qualificazione
unico per tutti gli esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici previsto
dall’art. 8, comma secondo, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro
in materia di lavori pubblici), attuato con il d.P.R 25 gennaio 2000, n. 34
(Regolamento recante istituzione del sistema di qualificazione per gli esecutori
di lavori pubblici, ai sensi dell’art. 8 della legge 11 febbraio 1994, n. 109
e successive modificazioni).
La legge regionale sarebbe in contrasto con l’art. 6
della direttiva 93/37/CEE che dispone che «le amministrazioni aggiudicatici non possono esigere
condizioni diverse da quelle previste agli artt. 26 e 27 allorché domandano
informazioni sulle condizioni di carattere economico e tecnico che esse esigono
dagli imprenditori per la loro selezione»; sarebbe altresì in
conflitto con le norme del Trattato dell’Unione (artt. 49-55) che disciplinano
la libertà di servizi. Con riferimento a queste ultime norme l’art.
8 della legge n. 109 del 1994 dispone che, anche dopo l’entrata in vigore del
sistema unico di qualificazione, le imprese dei Paesi appartenenti alla Comunità europea
possono essere tenute a presentare solo le certificazioni conformi alle normative
vigenti nei rispettivi paesi; la legge impugnata invece, prevedendo un sistema
di qualificazione di applicazione generale, senza eccezioni, che richiede,
tra l’altro, l’iscrizione alla Camera di commercio (art. 9, lett. f), è incorsa
in un palese violazione della normativa comunitaria.
La disciplina impugnata determinerebbe una compartimentazione
del mercato costituito dagli appalti pubblici della Regione Sardegna, favorendo
le imprese
appartenenti a quest’ultima Regione, perché mentre un’impresa che operi
all’interno della sola Sardegna dovrebbe sottoporsi ad un solo procedimento
di qualificazione, un’altra che agisca su tutto il territorio nazionale ne
dovrebbe affrontare diversi andando incontro ad oneri economici e di tempo
che la porrebbero in condizioni di sfavore, tenuto anche conto della necessità di
provvedere alle “variazioni” (art. 29) e con l’eventualità di
essere sottoposta alla “revisione generale” (art. 32), con tutti
gli oneri conseguenti.
2.– Nel giudizio si è costituito il Presidente della Regione
Sardegna, con il ministero dell’Avvocatura della Regione, che assume l’inammissibilità e
l’infondatezza del ricorso.
Afferma la Regione che la disciplina legislativa regionale
differisce da quella statale sostanzialmente solo per il fatto che mentre
quest’ultima affida
l’accertamento della qualificazione delle imprese a soggetti privati (la “società organismi
di attestazione”, SOA), la prima lo affida ad una struttura pubblica,
una commissione permanente costituita presso l’assessorato regionale dei lavori
pubblici (art. 3 della legge reg. n. 14 del 2002), che permette alle imprese
di ottenere la qualificazione a costi assai più bassi di quelli che
devono essere sostenuti presso le SOA, avendo queste ultime scopo di lucro.
Secondo la Regione, il sistema di qualificazione sardo è aperto a
tutte le imprese italiane o straniere, senza che vi sia alcun collegamento
fra l’impresa e la Regione Sardegna (diversamente dal caso della legge della
Regione Valle d’Aosta, di cui alla sentenza n. 207 del 2001) ed è alternativo,
ma non sostitutivo rispetto al sistema statale di qualificazione attraverso
le SOA: un’impresa può partecipare ad appalti di lavori pubblici regionali
sia presentando la particolare qualificazione ottenuta in base alla legge sarda,
sia quella ottenuta attraverso le SOA
Il carattere alternativo della qualificazione regionale
sarebbe testimoniato dal fatto che in tutte le gare di appalto bandite dalla
Sardegna sono state
ammesse le imprese prive della qualificazione regionale ma dotate di quella
statale. Tale carattere alternativo sarebbe inoltre chiaramente espresso dalla
legge regionale impugnata, che, al primo comma dell’art. 2, stabilisce che
la qualificazione disciplinata da tale legge è "condizione sufficiente",
ma non anche necessaria, potendo dunque andar bene anche la qualificazione
statale. Infine, la valenza alternativa della norma si ricaverebbe altresì dalla
relazione della Giunta al disegno di legge (atti consiliari della XII legislatura,
n. 336: «è altresì importante evidenziare che l’Albo regionale
non vincola in modo assoluto le imprese che vogliono partecipare agli appalti
in possesso delle attestazioni di qualificazione rilasciate dalle SOA»),
dalla prassi attuativa (vengono ammesse le imprese in possesso delle attestazioni
di qualificazione rilasciate dalle SOA) e da una recente circolare della Regione
Sardegna del 13 agosto 2002, prot. n. 20748 (secondo cui «il sistema
di qualificazione regionale, pur sostituendosi alle SOA, non è esclusivo,
ma è alternativo. Esso costituisce condizione sufficiente per l’ammissione
alle gare d’appalto, vale a dire che ad un medesimo appalto possono partecipare
sia le imprese con sola attestazione di qualificazione regionale, sia le imprese
aventi la sola attestazione di qualificazione delle SOA»).
Secondo l’Avvocatura della Regione, il ricorso del Governo
si fonda su due motivi, entrambi basati sull’erroneo presupposto che il sistema
di qualificazione
regionale sia esclusivo anziché alternativo.
Con il primo motivo del ricorso governativo si denuncerebbe
una violazione degli artt. 6 e 7 della direttiva CEE 93/37, in relazione
all’obbligo del rispetto
dei vincoli comunitari da parte della potestà legislativa regionale
previsto dall’art. 117, primo comma, della Costituzione. In particolare, la
norma regionale, oltre a prevedere un sistema di qualificazione esclusivo,
richiederebbe condizioni diverse da quelle previste dalle norme comunitarie
citate, così impedendo alle imprese straniere di partecipare alle gare
presentando certificazioni conformi alle normative dei rispettivi Paesi (come
previsto dall’art. 8 della legge n. 109 del 1994).
Con il secondo motivo del ricorso governativo si denuncerebbe una violazione
della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di concorrenza:
tale censura sarebbe mutuata integralmente da una sentenza del TAR, oggetto
di ricorso da parte della Regione.
Svolte queste premesse, secondo la Regione, il ricorso
sarebbe innanzitutto inammissibile per un’insufficiente definizione della
questione di costituzionalità: è infatti
impugnata l’intera legge, mentre secondo gli artt. 34, primo comma, e 23, primo
comma, della legge n. 87 del 1953 e secondo l’insegnamento della Corte costituzionale
(cfr. sentenze n. 366 del 1992 e n. 103 del 2001) il ricorrente ha l’onere
di motivare le ragioni di incostituzionalità in relazione ad ognuna
delle disposizioni contestate.
L’Avvocatura regionale svolge altresì un breve excursus circa il riparto
della competenza legislativa in tema di appalti pubblici. L’art. 3 dello statuto
speciale per la Sardegna già attribuiva alla Regione una competenza
legislativa primaria in materia di lavori pubblici di interesse regionale,
con il limite del rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali
della Repubblica; oggi il nuovo art. 117 Cost. attribuisce la materia dei lavori
pubblici alla competenza legislativa generale delle Regioni, con il solo limite
del rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario
e degli obblighi internazionali. Pertanto è venuto a cadere il limite
del rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della
Repubblica, e la Regione pertanto dispone di amplissima discrezionalità nella
materia dei lavori pubblici.
Il primo motivo di ricorso sarebbe inammissibile anche
perché il vizio
denunciato si estrinsecherebbe in una violazione di legge (l’art. 6 della direttiva
CE n. 93/37), mentre l’art. 117 consentirebbe allo Stato di far valere solo
il vizio di incompetenza, quando dovesse ritenere che la legge regionale "… ecceda
la competenza della Regione" (art. 127 Cost.). Lo Stato infatti, a seguito
della riforma del Titolo V, avrebbe perso un suo ruolo tutorio nei confronti
della Regione, la quale avrebbe ormai pari dignità rispetto allo Stato.
Venendo al merito della questione, poiché, come detto, il sistema
di qualificazione regionale delle imprese è alternativo e non esclusivo,
la difesa regionale sostiene che è priva di fondamento sia l’ipotesi
di una violazione di norme comunitarie sia l’invasione della sfera di competenza
legislativa statale in materia di concorrenza.
Con particolare riferimento al secondo motivo di censura
da parte dello Stato, premette l’Avvocatura regionale che la materia “concorrenza” è da
considerarsi, più che una materia in senso stretto, un valore costituzionalmente
protetto (come nel caso dell’ambiente) che attraversa trasversalmente le materie
di competenza delle Regioni, senza sovrapporsi ad esse ma giustificando soltanto
la posizione di specifiche norme statali limitanti l’esercizio della potestà legislativa
regionale (in questo senso Corte cost., n. 282 e n. 407 del 2002). Pertanto,
secondo la Regione Sardegna, la disciplina della qualificazione delle imprese
per la partecipazione a pubblici appalti è soltanto un aspetto particolare
della disciplina dei lavori pubblici, di esclusiva spettanza regionale.
Meno che mai, prosegue la Regione resistente, potrebbe
considerarsi conforme a Costituzione l’art. 8 della legge n. 109 del 1994,
che pure sembra essere
addotto a sostegno delle ragioni dello Stato e che attribuisce ad un regolamento
governativo il compito di istituire un sistema di qualificazione unico per
tutto il territorio nazionale: già prima della riforma del titolo V
la giurisprudenza della Corte costituzionale aveva escluso che potessero intervenire
i regolamenti statali; con la riforma l’art. 117, sesto comma, della Costituzione
sancisce espressamente questo divieto.
3.– Il 16 novembre 2004 l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato
una memoria con la quale ribadisce le argomentazioni esposte con il ricorso.
In replica alla prima memoria difensiva della Regione
Sardegna, si osserva che la prassi interpretativa ed una circolare non possono
costituire garanzia
della legittimità costituzionale di una norma e si aggiunge che l’art.
2 della legge regionale 9 agosto 2002, n. 14, va coordinato con l’art. 1 – a
tenore della quale coloro che intendono partecipare a gare di appalto all’interno
della Regione Sardegna sono tenuti all’applicazione delle disposizioni contenute
nella legge impugnata per la validità dell’intero procedimento – che
la Regione non richiama neppure incidentalmente.
Si precisa inoltre che il ricorso contiene un errore
materiale perché,
invece di richiamare il comma sesto dell’art. 11 della direttiva 93/37/CEE
indica l’art. 6 ed espone i motivi di divergenza tra la suddetta direttiva
e la legge regionale impugnata.
Si replica infine alla Regione affermando che l’impugnazione
dell’intera legge regionale si giustifica per il fatto che una volta accertata
l’illegittimità costituzionale
delle norme di principio di cui agli artt. 1 e 2, l’intera legge viene a cadere
di conseguenza.
4.– Il 16 novembre 2004 la Regione
Sardegna ha depositato una memoria con la quale ribadisce le argomentazioni
esposte in precedenza, osservando
che, in virtù dell’art. 3, lett. e), dello statuto, la Regione Sardegna
ha competenza esclusiva in tema di lavori pubblici di interesse regionale (come
riconosciuto dalla sentenza n. 274 del 2003 della Corte) e che comunque il
sistema di qualificazione delle imprese previsto dalla legge regionale impugnata è alternativo
e non sostitutivo di quello statale. Di conseguenza, si riafferma altresì che
quella regionale è una disciplina diretta a favorire l’accesso alle
gare per l’assegnazione dei lavori pubblici ad imprese minori (non soltanto
quelle sarde), indipendentemente dalla localizzazione della loro sede sociale.
La disciplina impugnata inoltre non sarebbe lesiva della
competenza esclusiva statale in tema di concorrenza perché essa non
produrrebbe conseguenze macroeconomiche in grado di avere ripercussioni sull’equilibrio
economico generale
avendo ad oggetto solo i lavori pubblici della Sardegna.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri ha impugnato la legge della Regione Sardegna 9 agosto 2002,
n. 14 (Nuove norme in materia di qualificazione
delle imprese per la partecipazione agli appalti di lavori pubblici che si
svolgono nell’ambito territoriale regionale) deducendo che la stessa, là dove
stabilisce che le imprese interessate a partecipare ad un appalto bandito nella
stessa Regione debbono osservare particolari procedure di qualificazione, determinerebbe
un’indebita compartimentazione del mercato. In particolare sarebbero violati
l’art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione, per indebita invasione
della sfera di competenza legislativa statale in materia di concorrenza, gli
artt. 6, 26, 27 della direttiva comunitaria 14 giugno 1993, n. 93/37, nonché gli
artt. 49-55 del Trattato istitutivo della Comunità europea, 25 marzo
1957, in relazione all’art. 117, primo comma, della Costituzione – che
impone alle Regioni il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario – per
contrasto con la disciplina in materia di libertà di prestazione dei
servizi e di requisiti finanziari e tecnici necessari per la partecipazione
agli appalti pubblici.
2.– Pure in assenza di una specifica
eccezione, va dichiarata d’ufficio l’inammissibilità delle censure
formulate avverso la legge della Regione Sardegna n. 14 del 2002, con riferimento
all’art. 117 della Costituzione.
Infatti la difesa erariale si limita ad affermare che
la legge impugnata per la sua contrarietà alla normativa comunitaria
violerebbe la norma costituzionale invocata, senza minimamente argomentare
per quale ragione, trattandosi
dell’impugnazione di una legge della Regione Sardegna, debba prendersi in considerazione
tale parametro in luogo di quello ricavabile dal relativo statuto speciale,
il cui art. 3, lettera e), tuttora in vigore, attribuisce alla Regione, entro
i limiti ivi stabiliti, una competenza legislativa primaria in materia di lavori
pubblici di esclusivo interesse della Regione.
La mancanza di una tale valutazione determina l’inammissibilità della
censura nei termini in cui è formulata, conformemente a quanto questa
Corte ha già avuto modo di affermare (cfr. sentenze n. 8 del 2004 e
n. 213 del 2003).
P.Q.M.
La Corte Costituzionale
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
della legge della Regione Sardegna 9 agosto 2002, n. 14 (Nuove norme in materia
di qualificazione delle imprese per la partecipazione agli appalti di lavori
pubblici che si svolgono nell’ambito territoriale regionale) sollevata in riferimento
all’art. 117 primo e secondo comma, lettera e) della Costituzione dal Presidente
del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.