Discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario innanzi alla Corte dei Conti

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La Cassazione,
con ordinanza a SS.UU. n. 19667 del 22 dicembre 2003 ha sancito
l’attribuzione
al giudice contabile dello jus dicere in materia di responsabilità degli
amministratori delle società per azioni a partecipazione pubblica.

Ne consegue l’irrilevanza,
ai fini del riparto della giurisdizione tra Autorità giudiziaria ordinaria
e Corte dei conti, dell’utilizzazione di strumenti privatistici per
il conseguimento di finalità pubbliche e, d’altro canto, la limitazione della giurisdizione contabile alle s.p.a. con partecipazione pubblica
almeno maggioritaria;

Per ciò che concerne il rapporto tra giurisdizione contabile e giurisdizione civile in
ordine alle
responsabilità degli
amministratori delle s.p.a. in mano pubblica, due sono le opinioni che si contendono
il campo:

1) L’una è quella
secondo cui, pur nella logica dell’ormai consolidata giurisprudenza
espressa nella materia dalla Cassazione, non può non ammettersi
che la tutela giurisdizionale dei soggetti societari nei confronti
della società o di altri soci per
pregiudizi personalmente subiti debba necessariamente trovare
la sua collocazione avanti al giudice civile, mentre il P.M.
contabile sarebbe legittimato ad agire
solo in presenza di un danno subito dalla società, intesa
come espressione di una privatizzazione solo formale, ma in realtà soggetto
destinato alla realizzazione di un servizio pubblico o all’esercizio
di una funzione pubblica (cd. regime del “doppio binario”).

2)
L’altra è quella
che
scorge nel nuovo orientamento della Cassazione un valore
di riconoscimento del carattere di esclusività della giurisdizione
della Corte dei conti, in funzione di garanzia del corretto uso delle pubbliche
risorse, quali che siano
le forme della loro utilizzazione, e di conseguenza appare
addirittura mettere in dubbio la stessa ammissibilità del detto sistema
del “doppio
binario”.

– – – –

Relazione del Procuratore Generale,Vincenzo
Apicella, del 18 gennaio 2005

Sullo stato della giurisdizione e dei controlli al primo gennaio 2005

Udienza del 18 gennaio 2005
(Presidente Francesco Staderini)

1. Presentazione.

La cerimonia di inaugurazione
dell’anno giudiziario della Corte dei conti
(direi, meglio: del suo anno magistratuale, e non sarebbe una diminuzione),
risponde, come è noto, ad una esigenza concreta ben precisa, quella
di delineare lo “stato” dell’Istituto, così come questo
oggi si realizza nel naturale evolversi dell’Ordinamento, in quel sistema
di bilanciamento di funzioni su cui poggia la nostra democrazia e che, più particolarmente,
discende da imperativi precetti della Costituzione della Repubblica. Ciò,
peraltro, rientra nella logica astratta, e direi nella filosofia, che regge
le generali, non necessariamente scritte, regole del buon governo: questo,
infatti, non potrà essere assicurato se non attraverso l’equilibrio
dei poteri di direzione politica, del funzionamento delle strutture amministrative,
della presenza di organi di controllo e, nelle varie materie, delle giurisdizioni.
In questo quadro, la Corte dei conti si colloca come un organo che è posto
a garanzia del corretto svolgimento dell’attività finanziaria
dei pubblici poteri, nel rigoroso rispetto della loro autonomia e, quindi,
dell’esercizio della loro discrezionalità. Pertanto, la Corte
si è sempre proposta non come “potere”, ma come organico
strumento posto al servizio non solo dello Stato, ma della Repubblica nelle
sue articolazioni.
L’esperienza di sempre, ma specialmente quella di questi ultimi anni,
ci ha reso consapevoli di quanto sia arduo, spesso ingrato e talvolta incompreso
questo compito, ma anche quanto esso sia essenziale. Lo è ancor di più se
si considera che la Corte, con le sue funzioni di controllo e giurisdizionali,
segue e in concreto collauda, sin dal momento in cui sono introdotte, le mutazioni
costituzionali e legislative dell’Ordinamento.
Al riguardo, sono grato al Signor Presidente della Repubblica di aver parlato
in un suo recente messaggio ad un convegno di studi, di “essenzialità”,
riferendosi appunto alla Corte dei conti.

2. Quadro generale del controllo

L’anno appena trascorso, iniziato in una situazione di annosa stagnazione
e di affanni contabili, ha mostrato, nei suoi ultimi mesi, qualche promettente
segno di ripresa dell’economia e di consolidamento dei conti dello Stato,
accompagnato e favorito da una rigorosa politica di bilancio tesa al contenimento
della spesa pubblica; ciò anche in adempimento dei nostri obblighi europei,
resi moralmente più cogenti dalla recente firma, avvenuta a Roma, dello
statuto della comunità continentale.
Tale politica di bilancio si è concretizzata, alla fine del primo semestre
del 2004, in alcuni interventi del Governo finalizzati ad assicurare una riduzione
dell’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, in modo da
evitare, nel 2004, il superamento della soglia del 3% del PIL. E’ stato
così approvato il D.L. 12 luglio 2004, n. 168, convertito nella legge
30 luglio 2004, n. 191, recante “Interventi urgenti per il contenimento
della spesa pubblica”, sui cui effetti la Corte ha espresso il proprio
avviso in occasione dell’audizione sul documento di programmazione economica
e finanziaria dello scorso agosto.
Tra le norme previste dal predetto provvedimento, numerose sono quelle che
incidono, più o meno direttamente, sull’attività e sulle
funzioni di controllo intestate alla Corte dei conti.
Mi riferisco, in primo luogo, alle disposizioni in materia di acquisto di beni
e servizi tramite convenzioni Consip (art. 1, comma 4, del decreto) e a quelle
in materia di riduzione della spesa per consulenze, commissioni, rappresentanza
e convegni (art. 1, commi 9 e 10). Ed ancora, deve essere ricordata la norma
che impone alle strutture di controllo di gestione degli enti locali di inviare
i propri referti alla Corte dei conti (art. 1, comma 5). Una previsione, quest’ultima,
che rafforza quel circuito virtuoso dei controlli, esterni ed interni, che
si fonda su un disegno ordinamentale che vede affidato alla Corte anche il
compito di valutare l’affidabilità del controllo interno ed il
potere di utilizzarne strumentalmente le conclusioni.
Tali interventi normativi di contenimento della spesa riguardano sia le amministrazioni
statali, sia quelle regionali e locali.
Su quest’ultimo fronte, la Corte dei conti è stata chiamata, peraltro,
ad un impegno particolare: la legge 5 giugno 2003, n. 131, di attuazione della
riforma costituzionale del 2001, ha infatti introdotto modificazioni profonde
nella disciplina delle attività di controllo e di referto della Corte
dei conti nei confronti di comuni, province, città metropolitane e regioni,
potenziando in modo significativo i compiti delle sezioni regionali di controllo.
Ciò nell’organico assetto, su cui in passato più volte
ho insistito, di una Corte unitaria, la quale riferisce al Parlamento sul rispetto
complessivo degli equilibri di bilancio da parte di tutti gli enti di autonomia
ed effettua, attraverso le sue sezioni regionali di controllo, istituite in
ogni capoluogo di regione, verifiche, sia finanziarie che sulla gestione amministrativa,
nei confronti di tutti gli enti territoriali; controlli questi finalizzati
a garantire il rispetto delle regole contabili e dei vincoli di bilancio nazionali
e comunitari, nonché a collaborare con le Amministrazioni controllate
nel conseguimento di più elevati livelli di efficienza ed economicità.
Ed è proprio la sua collocazione, ad un tempo centrale e decentrata,
quella che consente alla Corte dei conti l’utilizzo di criteri uniformi
nel controllo, nonché l’uso ampio di quel metodo comparativo che è l’essenza
stessa del controllo sulla gestione. Infatti, tale controllo ha un senso proprio
in quanto si fonda sulla comparazione di “performances” e sul confronto
fra metodi operativi seguiti nelle diverse realtà.
Al riguardo, nel discorso di inaugurazione dello scorso anno giudiziario, ho
dato contezza di come, con particolare tempestività, la Corte, pur nelle
ristrettezze del suo bilancio, si sia mossa per indirizzare la propria struttura
organizzativa periferica alla finalità di raccordare l’attività di
controllo di competenza di ciascuna sezione regionale con le funzioni, da svolgersi
a livello centrale, di referto generale sulla finanza statale, regionale e
locale, i cui esiti, necessariamente collegati ai risultati delle analisi effettuate
in sede periferica, sono destinati al Parlamento nazionale.
E’ sorta, difatti, per l’Istituto, l’esigenza di individuare
uno strumento organizzativo in grado di assicurare tale raccordo attraverso
un coordinamento agevole ed efficace, nel rispetto dell’autonomia delle
singole sezioni regionali; nel contempo – e per quanto attiene segnatamente
ai controlli sulla gestione – si è reso necessario individuare
una sede di coordinamento atta ad assicurare la definizione di metodologie
e linee comuni di indirizzo nel controllo, soprattutto per conseguire quei
raffronti e quelle comparazioni che devono contraddistinguere le indagini comuni
a più sezioni.
Tale strumento organizzativo e tale sede di coordinamento sono stati individuati
nella Sezione delle Autonomie, definita dalla norma “espressione delle
sezioni regionali di controllo”, attraverso la quale le funzioni di referto
al Parlamento sugli equilibri generali della finanza regionale locale e quelle
di coordinamento vengono ad assumere una precisa valenza fondata su “scelte
condivise”.
Nel descritto quadro normativo, particolarmente complesso, si colloca il controllo,
sia quello di natura finanziaria, sia quello sulla gestione, che la Corte dei
conti è chiamata a svolgere nei confronti degli enti locali. Come già osservato
lo scorso anno, è però impensabile che il nostro Istituto, con
le sue attuali strutture, possa svolgere un’attività di verifica
seria e puntuale su tutti gli enti locali, considerato che soltanto i comuni
sono oltre 8.000. Le funzioni delle sezioni regionali dovranno, quindi, trovare
una conformazione tale da potersi avvalere dell’opera degli organi interni
di controllo e di revisione contabile di quegli enti. L’attività di
questi organi interni dovrà, da una parte, trovare ispirazione nei criteri
e nelle linee guida stabiliti, in modo uniforme e coordinato, dalle sezioni
regionali di controllo e, dall’altra, essi avranno il compito di segnalare
quelle anomalie e, in genere, quei profili di criticità che, nei casi
di maggiore gravità, potranno formare oggetto di intervento diretto
da parte delle competenti sezioni regionali di controllo.
Peraltro, questo disegno normativo, appena abbozzato nelle disposizioni contenute
nella legge n. 131 del 2003, potrà dispiegarsi in una più completa
ed organica disciplina soltanto attraverso il coerente esercizio della delega
legislativa, per la revisione dell’ordinamento degli enti locali, prevista
dall’art. 2 della medesima legge 131. Sulla necessità ed urgenza
di tale intervento, mi permetto di richiamare nuovamente l’attenzione
delle Autorità del Governo e, in particolare, del Ministro dell’Interno,
al quale è da tutti riconosciuta una particolare sensibilità su
queste tematiche.
Da parte sua, sin da ora, la Corte dei conti, attraverso la Sezione delle autonomie,
adempie ai propri compiti di coordinamento delle sezioni regionali: sono stati
già approvati gli indirizzi e i criteri generali per l’attività di
referto finanziario annuale sul rendiconto delle Regioni e quelli per le indagini
sulle gestioni comuni a più sezioni regionali (per il 2004 il settore
individuato è quello dell’edilizia residenziale pubblica), nonché le
linee guida per il coordinamento delle metodologie finalizzate alle rilevazioni
sul funzionamento dei controlli interni di Regioni ed enti locali. Sono state,
inoltre, fornite alle medesime sezioni regionali indicazioni sia per uno svolgimento
uniforme della nuova funzione consultiva in materia di contabilità pubblica,
prevista a favore degli enti di autonomia, dalla già citata legge 131,
sia per l’attuazione di alcune delle richiamate norme contenute nel D.L.
168 del 2004.
Le sezioni regionali di controllo, contestualmente, hanno iniziato ad operare
a pieno regime, sia per quanto attiene all’esercizio del controllo di
regolarità contabile volto ad agevolare e supportare tecnicamente la
funzione di controllo politico esercitata dall’organo rappresentativo
dell’ente locale in sede di approvazione del rendiconto, sia per quanto
riguarda le attività di controllo sulla gestione amministrativa volte
a verificare i modi con i quali le singole amministrazioni si conformano agli
indirizzi ed alle direttive programmatiche degli organi di governo.

3. – L’attività svolta dalla Corte dei conti nell’esercizio
delle funzioni di controllo e di referto nel 2004.

Nel quadro, ad un tempo normativo
e operativo, che ho appena rappresentato, si è svolta, nel 2004, l’attività di
tutte le Sezioni del controllo del nostro Istituto.
Tale attività, globalmente e singolarmente considerata, è stata
come sempre svolta con impegno tanto silenzioso quanto costante, così come
imposto dalle difficoltà derivate dall’evoluzione normativa della
materia e dello stesso Ordinamento della Repubblica.
I tempi mi impongono di rinviare il discorso all’ampia documentazione
allegata al testo scritto.
Da tale allegazione emerge la qualità e la quantità del lavoro
richiesto, che ha spaziato dall’attività di referto, sempre più di
frequente richiesta, anche autorevolmente, dagli organi di governo e parlamentari,
alle operazioni di verifica del rendiconto generale dello Stato, dal diuturno
impegno delle Sezioni centrali e periferiche del controllo sulla gestione delle
amministrazioni dello Stato, sugli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria,
per giungere alle funzioni, che possono definirsi di frontiera, su cui già mi
sono soffermato, svolte dalla Sezione Autonomie e dalla Sezione per gli affari
comunitari e internazionali.

4. Quadro generale della giurisdizione.

a) Problemi e prospettive
di riforma
della responsabilità amministrativa.

E’ ben noto che uno dei nodi maggiormente problematici della giurisdizione
finalizzata ad accertare la responsabilità amministrativa per danno
all’Erario prodotto dai dipendenti pubblici e da coloro che, secondo
l’ordinamento vigente, sono soggetti alla medesima disciplina, è rappresentato
dalla difficoltà nella riscossione delle somme determinate nelle sentenze
di condanna del giudice contabile.
Il significativo ammontare di tale tipologia di crediti erariali – che,
quando non riscossi, sono riportati come residui nel bilancio dello Stato – è alla
base dell’intervento normativo di cui al DPR 24 giugno 1998, n. 260,
teso a semplificare e a rendere più efficace l’esecuzione delle
decisioni di condanna emesse dalla Corte dei conti.

Ed invero, l’applicazione di tali nuove disposizioni – che, tra
l’altro, hanno affidato il compito della riscossione, piuttosto che alla
sola amministrazione del Demanio, alle singole amministrazioni od enti titolari
del credito mediante ritenute sui trattamenti economici dei responsabili o
attraverso l’iscrizione a ruolo – ha iniziato a produrre qualche
effetto, non tale, però, da poter far sperare in una sollecita soluzione
del problema. Infatti, perché la situazione possa veramente migliorare
occorre, in primo luogo, una maggiore consapevolezza e determinazione dei vertici
politici e organizzativi delle varie amministrazioni nell’affrontare
il problema che deve qualificarsi come una priorità assoluta, da risolvere
anche dotando i competenti uffici delle risorse umane e strumentali occorrenti
e potenziando l’attività di vigilanza sui concessionari della
riscossione.
Sussistono, comunque, nell’attività di esecuzione delle sentenze
di condanna almeno due limiti oggettivi difficilmente superabili: il primo è costituito
dai caratteri propri dei giudizi di esecuzione – ivi compreso l’ordinario
diritto civile – che rendono inevitabile un’alea nel recupero delle
somme liquidate in sentenza; il secondo limite, che è proprio della
giurisdizione contabile, è legato alle modeste risorse finanziarie e
patrimoniali di cui, almeno mediamente, dispongono i funzionari pubblici e
alle restrizioni al recupero poste dalla normativa vigente, cui si aggiunge
la non estensione agli eredi del responsabile del debito risarcitorio, se non
nelle ipotesi d’illecito arricchimento del de cuius.

E’ tempo, in definitiva, che il legislatore ordinario “metta mano” alla
regolamentazione dell’istituto della responsabilità amministrativa
e ne delinei i caratteri fondanti e unificati, anche attraverso una disciplina
processuale completa e coerente che, nel rispetto dei principi costituzionali,
tenga conto delle peculiarità proprie del giudizio contabile ed eviti
rinvii generici, seppur residuali, tanto al processo civile che a quello penale.

Nell’attuale assetto ordinamentale e, in particolare, all’indomani
dell’organica riforma dei controlli degli anni novanta, è stato
prodotto uno sforzo diretto ad adeguare i compiti della Corte dei conti alle
esigenze particolari di un’amministrazione pubblica, sì da costituire
un fattore dello sviluppo economico che sia più efficiente ed in grado
di meglio rispondere ai bisogni della collettività. Ne deriva che la
funzione giurisdizionale, per la sua esclusività e con i suoi concorrenti
effetti di deterrenza e di punizione dei più gravi illeciti amministrativi
causa di danno, costituisce il naturale complemento del sistema dei controlli
e l’ultimo baluardo a garanzia del buon andamento dell’Amministrazione.
Ma, per essere completamente coerente con la sua natura, la responsabilità contabile
deve assumere in modo ancor più preminente, superando le residue incertezze
ordinamentali, caratteri pubblicistici che la differenzino sempre più dalla
comune responsabilità civile.

Tale natura pubblicistica dovrebbe essere espressamente affermata in
via generale, dando un seguito sistematico ai segnali inequivocabili
che, in
tal senso, il
legislatore stesso ha già dato: se, infatti, si fosse voluto esclusivamente
perseguire l’obiettivo del risarcimento pieno ed integrale del danno
arrecato alla pubblica amministrazione, non sarebbe stato da gran tempo attribuito
alla Corte il potere riduttivo dell’addebito, e neppure sarebbe stata
esclusa la solidarietà e la trasmissibilità del danno agli eredi.

Sembra, dunque, evidente che il legislatore, più che al reintegro – che
l’esperienza ha dimostrato, come già ricordato, essere così difficoltoso,
se non a volte impossibile – sin dall’inizio mirasse soprattutto
ad assicurare, attraverso il timore di incorrere in sanzioni, il rispetto da
parte dei dipendenti pubblici delle buone regole di amministrazione.

La stessa Corte Costituzionale, d’altro canto, ha affermato (sent. 340/2001)
che il potere riduttivo attribuito al nostro Istituto deve tenere conto anche
delle capacità economiche del soggetto.

Peraltro, a questa situazione insoddisfacente per il sistema di
difesa del pubblico Erario, si affianca uno stato di disagio
non solo per
il pubblico impiego, ma anche per i vertici di direzione politico-amministrativa
dello
Stato e degli enti pubblici istituzionali e locali, nonché, ugualmente,
degli amministratori delle s.p.a. a partecipazione pubblica, di cui recentemente è stato
dichiarato l’assoggettamento alla giurisdizione di responsabilità.

Questo disagio nasce dal fatto che, al momento di assumere il
suo ufficio, il funzionario o l’amministratore sa bene di esporsi doverosamente a
vari tipi di responsabilità, quali quella penale, quella disciplinare,
quella professionale, e infine, quella amministrativo-contabile. Peraltro,
mentre per le prime tre, conosce a priori l’entità della sanzione
alla quale in teoria si espone, invece, sempre a priori, non può prevedere
l’ammontare della condanna pecuniaria cui, in concreto, potrebbe essere
soggetto per responsabilità amministrativa, essendo questa connessa
all’entità del “danno” che a lui, eventualmente e
occasionalmente, sia pure per colpa grave, accadesse di provocare. Il che,
in lui stesso, spesso si traduce in un deleterio “timore di agire”,
causa di immobilismo, tanto più che questo danno – come si è detto – può oggi
risultare quantificato in somme anche esorbitanti.

D’altronde, la c.d. “stagione delle riforme” che negli anni
novanta ha ridisegnato compiti e struttura della P.A., modulandone funzioni
e contenuti sui parametri dell’economicità, efficienza ed efficacia,
ha reso ancor più attuale la necessità di stabilire a priori
il “castigo in denaro” che già nel 1852, con geniale intuizione,
sosteneva il Cavour doversi comminare in ipotesi di “perdite” subite
dallo Stato “per colpa di un verificatore o d’un agente delle Finanze”,
così preconizzando tutti i successivi dibattiti sulla ripartizione del
rischio tra Amministrazione pubblica e proprio dipendente. L’idea del
Cavour, successivamente, trovò solo un parziale accoglimento nell’introduzione
del già ricordato potere riduttivo accordato al giudice contabile. Tuttavia,
malgrado le profonde modificazioni introdotte dalle leggi di riforma del 1994
e 1996, l’esercizio di tale potere riduttivo, appunto perché non
definito in sede legislativa, non sempre si è potuto esercitare con
riferimento a criteri uniformi e costanti e, quindi, con vero spirito di giustizia.

In definitiva, nell’ottica della comune azione di risarcimento del danno,
non appare più organico l’attuale modo di essere della funzione
giurisdizionale della Corte dei conti, che deve, invece, intendersi come di
accertamento giudiziale dell’obbligazione risarcitoria erariale, tale,
cioè da assicurare, ad un tempo, la necessaria tutela contenziosa dell’Erario
e la dovuta garanzia per i dipendenti pubblici.
Di tutta evidenza si appalesa, pertanto, l’esigenza di una incisiva e
mirata rimodulazione della normativa vigente riguardante la responsabilità amministrativa,
così da farla rientrare in una logica di ragionevolezza e di proporzionalità.
Ciò potrebbe realizzarsi ridisegnando, con legge, più visibili
parametri logico-giuridici, ai quali, sin dall’inizio del procedimento,
dovrebbe ispirarsi l’azione dei procuratori regionali, quali la natura
della violazione dedotta, l’elemento psicologico della colpa grave, quello
soggettivo del comportamento e della capacità patrimoniale, quello oggettivo
dell’entità della somma rappresentativa del danno, e infine, della
pericolosità del soggetto responsabile, con l’adozione peraltro
del massimo rigore in caso di dolo.

In ogni caso, per rendere ancora più coerente l’intento, ormai
da anni perseguito dal legislatore, di armonizzare l’istituto della responsabilità per
danno con la fondamentale funzione di garanzia del buon andamento dell’amministrazione
pubblica che – come detto – la Costituzione assegna alla Corte
dei conti, sarebbe di particolare utilità che alla pronuncia di condanna
del giudice contabile potessero accompagnarsi, beninteso solo in casi di rilevante
gravità, particolari misure sanzionatorie di carattere non patrimoniale,
quali, per i pubblici amministratori elettivi, limitazioni anche temporanee
del diritto di elettorato passivo, così come, del resto, è stato
già dal legislatore previsto in casi di “responsabilità da
dissesto” di amministrazioni comunali (art. 81, co. 4 bis, del D. L.vo
n. 77 del 1995, come integrato dal D. L.vo n. 342 del 1997).

Sarà compito del Governo, e in ultimo del Parlamento, stabilire, nell’ambito
dei rispettivi poteri di scelta politica, se e in quale misura possa realizzarsi
una siffatta riforma, come – del resto – in questi giorni è stato
annunciato dall’attuale Ministro della Funzione Pubblica.

b) La responsabilità delle società in
mano pubblica.

Nel discorso di inaugurazione
dello scorso anno giudiziario, annunciai, come una grande novità per l’ambito operativo della giurisdizione della
Corte dei conti, l’intervento di una allora recentissima pronuncia delle
SS.UU. della Corte di Cassazione, l’ordinanza n. 19667 del 22
dicembre 2003
, che aveva sancito l’attribuzione al giudice contabile dello jus
dicere in materia di responsabilità degli amministratori delle società per
azioni a partecipazione pubblica.

Nel detto mio discorso, ne commentai le motivazioni, sottolineando come
la pronuncia avesse giustamente esteso, sino a comprendere zone sino
ad allora
scoperte di tutela, il sistema di garanzia voluto dalla Costituzione per
la corretta gestione della cosa pubblica.

Con senso di responsabile prudenza, l’anno appena trascorso è stato
utilizzato dalla Procura generale della Corte per meditare sull’esatta
portata di questa, tanto innovativa quanto attesa, nuova prospettiva della
giurisdizione contabile.

Da tale disamina è emerso un quadro complesso, fatto di molte certezze
e di qualche problema di ordine sistematico, prima che operativo.

Le certezze riguardano principalmente: l’irrilevanza, ai fini del riparto
della giurisdizione tra Autorità giudiziaria ordinaria e Corte dei conti,
dell’utilizzazione di strumenti privatistici per il conseguimento di
finalità pubbliche; il riconoscimento quale necessaria “interpositio
legislatoris” per l’applicazione dell’art. 103 della Costituzione,
delle norme contenute nelle leggi di riforma n. 20 del 1994 e n. 639 del 1996;
la sostanziale limitazione della giurisdizione contabile alle s.p.a. con partecipazione
pubblica totalitaria o maggioritaria; la differenziazione concettuale dell’azione
di responsabilità amministrativa rispetto alle ordinarie azioni ex art.
2393, ex art. 2393 bis ed ex art. 2395 del Codice civile.

I problemi emersi riguardano, invece, la definizione, tuttora incerta,
del rapporto tra giurisdizione contabile e giurisdizione civile in
ordine alle
responsabilità degli amministratori delle s.p.a. in mano pubblica. Qualora
infatti debba ritenersi tuttora esercitabile l’ordinaria azione societaria
avanti al giudice civile, si avrebbe un regime che è stato definito
del “doppio binario”.

Al riguardo appaiono profilarsi
due diverse concezioni.

L’una è quella secondo
cui, pur nella logica dell’ormai
consolidata giurisprudenza espressa nella materia dalla Cassazione,
non può non
ammettersi che la tutela giurisdizionale dei soggetti societari
nei confronti della società o di altri soci per pregiudizi personalmente
subiti debba necessariamente trovare la sua collocazione avanti al giudice
civile, mentre
il P.M. contabile sarebbe legittimato ad agire solo in presenza
di un danno subito dalla società, intesa come espressione di una privatizzazione
solo formale, ma in realtà soggetto destinato alla realizzazione
di un servizio pubblico o all’esercizio di una funzione
pubblica.
Ciò ovviamente,
comporterebbe l’esistenza
di una diversa legittimazione ad agire.
Peraltro,
affermata così la separatezza tra le due menzionate giurisdizioni,
nascerebbero inevitabilmente rapporti di ordine processuale tra
i due giudizi, da risolversi, nel caso, secondo i principi generali
e secondo le norme sulle
sospensioni processuali.

L’altra è quella che, a parte evidenti ragioni di ordine pratico
e di speditezza procedurale (i giudizi civili sono già troppo lunghi),
scorge nel nuovo orientamento della Cassazione un valore di riconoscimento
del carattere di esclusività della giurisdizione della Corte dei conti,
in funzione di garanzia del corretto uso delle pubbliche risorse, quali che
siano le forme della loro utilizzazione, e di conseguenza appare addirittura
mettere in dubbio la stessa ammissibilità del detto sistema del “doppio
binario”.

Come si vede non mancano i problemi applicativi dell’ordinanza
della Corte di Cassazione, ma essi non sembrano insolubili.
Del resto, sarà la giurisprudenza della Corte dei conti, e, se adita,
quella delle SS.UU. della Corte di Cassazione, a sciogliere, con ulteriori
puntualizzazioni, i dubbi che dovessero nascere, e ciò nell’ambito
delle regole del nostro ordinamento.

c) La giurisdizione contabile nel settore delle regioni.

Come è noto, la Corte
Costituzionale, con sentenza
n. 345 del 28 ottobre scorso
, ha riconosciuto la legittimità costituzionale
delle norme che assoggettano le regioni alla giurisdizione della Corte
dei conti in materia
di responsabilità contabile. La pronuncia dà nuove ragioni alla
tesi del carattere esclusivo e unitario della giurisdizione della stessa Corte
dei conti, anche al fine di garantire, sul piano nazionale, uniformità di
criteri di giudizio. Non solo, però. Funzionalmente questo riconoscimento potrà essere
utilmente usato anche al fine di garantire quelle regioni che maggiormente
contribuiscono all’alimentazione del fondo perequativo, così da
evitare che tale loro maggiore impegno economico venga altrove, eventualmente,
vanificato con sprechi e cattiva gestione.
Mi piace ricordare che, in tal senso, si sono espressi autorevoli amministratori
regionali.

d) La giurisdizione pensionistica

Non posso non indugiare, ora,
sulla giurisdizione pensionistica, per l’attenzione
che ad essa riserva il cittadino e per l’incidenza finanziaria che la
materia ha sulle gestioni previdenziali.
Ritengo opportuno ricordare, tra le altre significative decisioni rese nell’anno
dalla Corte in materia pensionistica, le numerose sentenze, emanate da varie
Sezioni regionali e dalla Sezione prima centrale d’appello, le quali,
dopo la pronuncia n. 8 del 2003 delle Sezioni riunite, hanno univocamente riconosciuto
la spettanza dell’assegno vitalizio di benemerenza agli ebrei discriminati
dalle leggi razziali, ritenendo le misure di attuazione della normativa antiebraica,
compresi i provvedimenti di espulsione dalle scuole pubbliche, tali da concretizzare
una specifica azione lesiva proveniente dall’apparato statale intesa
a colpire la persona nei suoi valori inviolabili.

Inoltre, con la recente sentenza n. 373 del 3 dicembre scorso, la Sezione
seconda centrale d’appello, confermando una sua precedente pronuncia (n. 95 del
2002), ha accolto l’appello, proposto dall’Amministrazione (Comando
generale della Guardia di finanza) avverso una decisione della Sezione regionale
per il Veneto, ed ha statuito che la speciale indennità pensionabile,
prevista per il Capo della Polizia, per i Comandanti generali dell’Arma
dei carabinieri e della Guardia di finanza e per i Direttori generali degli
istituti di prevenzione e pena e per l’economia montana e forestale (articoli
5 della legge n. 121 del 1981 e 11 bis della legge n. 472 del 1987), non può essere
inclusa nell’indennità di ausiliaria liquidata ad altri soggetti
che rivestano il medesimo grado o la medesima qualifica, senza avere conseguito
le predette cariche di vertice. Malgrado le univoche pronunce della Sezione
d’appello, l’incertezza giurisprudenziale ancora esistente a riguardo
nelle decisioni delle Sezioni territoriali della Corte rende auspicabile, stante
il rilievo erariale della questione, un meditato intervento del legislatore,
che indichi con chiarezza i termini entro i quali possa essere resa pensionabile
l’indennità in parola.

Circa la oramai annosa questione del cumulo delle indennità integrative
speciali, la giurisprudenza della Corte, sulla base dell’assetto normativo
come configurato a seguito delle pronunce di incostituzionalità del
giudice delle leggi e del mancato conseguente intervento del legislatore, si è consolidata
nel senso del diritto alla doppia percezione per i pensionati che prestino
anche attività lavorativa retribuita, mentre esiste ancora incertezza
di orientamento, nonostante la sentenza n. 14/2003 delle Sezioni Riunite, circa
la spettanza del cumulo, integrale ovvero nei limiti del trattamento minimo
INPS, per i titolari di più pensioni. Sul punto, si attende a breve
una nuova pronuncia della Corte costituzionale (l’udienza risulta fissata
per il prossimo 25 gennaio), che si spera dia chiarimenti definitivi.

5. L’attività svolta nell’esercizio
della funzione requirente.

I fenomeni più frequenti
di danno erariale.
Anche nel 2004, le cause più frequenti di illeciti contabili fatti oggetto
di istruttoria da parte degli organi requirenti della Corte, con l’ausilio
prezioso dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e delle
Forze di Polizia, e attraverso le talvolta essenziali segnalazioni provenienti
dall’autorità giudiziaria, hanno riguardato la materia contrattuale
e quella fiscale, dove continua a riscontrarsi una forte evasione, anche per
comportamenti colposi e dolosi di pubblici dipendenti e di esattori. Altrettanto
frequenti sono stati gli eventi di danno al demanio e al patrimonio pubblico,
nella gestione del personale e, specialmente, in quella della sanità.
Altre istruttorie hanno riguardato i casi di perdite in materia di cooperazione
allo sviluppo. A ben considerare, però, tutti i detti comportamenti,
dal punto di vista economico e contabile, producono un’unica, fondamentale
figura di danno, quella che comunemente va sotto il nome di “spreco”.

Per quanto riguarda l’attività di vigilanza e di repressione di
competenza della Corte, mi basterà ricordare che, sin dal 2000, ogni
anno ho pubblicamente e ufficialmente affermato l’assoluta necessità di
ridurre al minimo questo antico fenomeno, vera piaga delle nostre amministrazioni
pubbliche, in continuo affanno nel perseguimento di risultati contabili che
rispettino i vincoli, interni ed esterni di bilancio .
Va apprezzato pienamente, pertanto, il forte impegno assunto dalle autorità di
governo, anche in sede di strutturazione della legge finanziaria, al fine di
eliminare, nell’indicazione delle spese da effettuare “il troppo
e il vano”.

Peraltro, per uscire dal generico, sento l’obbligo di indicare un modo
di “fare amministrazione”, nel quale, anche per l’alto livello
di spesa, si annida frequentemente il “troppo e il vano” di cui
ho detto. Mi riferisco al fenomeno del conferimento di incarichi e consulenze
all’esterno delle strutture amministrative. I dati acquisiti presso il
Ministero della Funzione Pubblica, limitatamente peraltro al 2003, sono eloquenti.
In tale anno, infatti, gli incarichi censiti ai sensi dell’art. 53 del
D.L.vo n. 165 del 2001 sarebbero stati poco meno di 200.000, ma si ha motivo
di ritenere che, nel 2004, siano ulteriormente aumentati.
Già, di per sé, la cifra globale di tali conferimenti è impressionante,
nel senso che è rappresentativa di un aggravio dei bilanci che sta assumendo
dimensioni preoccupanti, pur dopo la lodevole emanazione nell’estate
scorsa, da parte dell’allora Ministro Mazzella, di una dettagliata e
puntuale circolare, che certamente verrà confermata dall’attuale
Ministro.
In più, il fenomeno, per la sua stessa notevolissima estensione, oltre
ad una spesa aggiuntiva a quella già necessaria per l’organizzazione
amministrativa, sta producendo un effetto negativo sulle funzioni pubbliche,
quello costituito dalla sottoutilizzazione delle strutture, sicché qualche
attento osservatore ha parlato di consequenziale, progressivo “disseccamento” della
P.A.

Evidentemente, si è di fronte ad una scelta politica che, almeno apparentemente,
suona come sfiducia verso il pubblico impiego e che appare tesa al dichiarato
scopo di ridurre le uscite di bilancio. Il che, peraltro, non è sicuro
che sempre avvenga, stante il già detto alto costo degli incarichi a
soggetti esterni, cui si deve ricorrere. Il solo reale effetto, invece, che
appare essersi verificato è quello di un affievolimento delle potestà gestorie
delle dette strutture amministrative pubbliche e di una ulteriore riduzione
delle assunzioni, con conseguente insorgere di problemi sociali.

Peraltro, questo modo di governare, che chiamerei “Amministrazione
per incarichi
”, non è neppure detto che dia sempre risultati positivi
in termini di efficienza e di trasparenza, così come molti casi, evidenziati
in sede di istruttoria effettuati dalle Procure, stanno a dimostrare, nei quali,
al contrario, frequentemente sono emersi episodi di palese inutilità e,
persino, casi di sospetto favoritismo.
Né posso dimenticare come continui ad essere frequente il ricorso, spesso
costosissimo, a consulenze e assistenze legali esterne, anche nei casi di doveroso
ricorso all’Avvocatura dello Stato.

Dell’eccesso di incarichi esterni, tuttavia, sembra aver preso coscienza
il Parlamento, che, nella già ricordata, ultima legge finanziaria, proposta
dal Governo, ha espresso una norma che ha posto un tetto alla relativa spesa
e, in più, opportunamente ha stabilito come l’affidamento degli
stessi incarichi debba essere adeguatamente motivato, sia consentito soltanto
nell’ipotesi di eventi straordinari e, in casi di assenza di presupposto,
costituisca illecito disciplinare e in più, determini responsabilità erariale.
Per migliore garanzia, infine, il provvedimento, poi, dovrà essere trasmesso
alla Corte dei conti.

E’ un’altra prova questa che il legislatore, con meditata prudenza,
ma con precisa scelta politica, sta da qualche tempo indirizzando le funzioni
di controllo e giurisdizionali della Corte dei conti verso maggiori compiti
di vigilanza e di garanzia, non solo nei riguardi degli uffici centrali della
Repubblica, ma anche nei confronti di altri enti dotati di autonomia. Ciò risulta
anche dalla già ricordata disposizione di cui al decreto legislativo
n. 77 del 1995, diretta a sanzionare con limitazione all’elettorato passivo
gli amministratori riconosciuti responsabili, in sede giurisdizionale contabile,
del “dissesto finanziario” di enti locali.
Nella materia, dopo che il giudice delle leggi ha dichiarato la
legittimità costituzionale
della detta disposizione (ord. n. 319 del 1998), le Procure regionali della
Corte hanno aperto istruttorie e, in un caso, è stato già introdotto
giudizio di responsabilità. E’ di tutta evidenza, tuttavia, che
i nuovi, maggiori compiti attribuiti ai vari uffici della Corte dei conti produrranno
un impatto organizzativo al quale doverosamente bisognerà far fronte,
confidando in un’adeguata integrazione del bilancio.

Perorazione.
Come
ogni discorso, questo mio di oggi è giunto
a quella sua parte finale che gli antichi chiamavano perorazione.
Mi accingo a pronunciarla con spirito di personale umiltà, ma nella
consapevolezza che oggi, nei limiti che mi sono consentiti, rappresento un
Istituto di rilevanza costituzionale, un Istituto che quindi, anche per questa
sua posizione, è essenziale all’Ordinamento della Repubblica,
e, ancor prima e più in astratto, lo è alla realizzazione del “buon
governo”.
Infatti, come le persone, anche gli istituti valgono non tanto per il nome
che portano, ma per quello che sono, e ancor di più, per quello che
rappresentano e per come lo sanno rappresentare.
E la Corte dei conti, al di là della sua storia secolare, che in Italia
si riallaccia al nome di Cavour, esercita funzioni che, in ogni organismo costituzionale,
sono ineliminabili e insostituibili: quella del controllo sulle amministrazioni
pubbliche e, l’altra, di vigilanza contenziosa sulla gestione delle relative
risorse.
Queste funzioni debbono certamente essere garantite e tutelate, ma debbono
anche, per risultare efficaci, conformarsi al “modo” in cui, secondo
la legge e le scelte politiche, si evolve il governo della cosa pubblica. In
questo mio discorso, credo di aver ricordato come, negli ultimi anni, questo
obbligo di “conformarsi” si stia realizzando e, anche, come, specie
nel settore della responsabilità amministrativa, si possa e si debba
ancora innovare. L’ho fatto con il doveroso rispetto verso chi, persone
e istituzioni, esercitano il potere politico.
Confido che, nell’interesse della Nazione, rappresentata da una Repubblica
che, nella sua Carta fondamentale, si dichiara “una e indivisibile”,
tutto questo possa completarsi e, in meglio, modificarsi.
Lo richiede quel “buon governo” di cui ho parlato e che va realizzato
nell’equilibrato integrarsi delle istituzioni, delle funzioni e dei poteri,
nella concordia dei cittadini e in un pienamente ritrovato spirito di unità nazionale.
Signor Presidente, ho l’onore di chiederLe di voler dichiarare aperto
l’anno giudiziario della Corte dei conti per il 2005.



Redazione

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