Le Casse professionali organismi di diritto pubblico

Le Casse professionali sono organismo di diritto pubblico e dunque tenute all’applicazione delle regole dell’evidenza pubbliche, perchè posseggono i tre requisiti caratterizzanti tali organismi:

– sono dotate di personalità giuridica,

– sono istituite per soddisfare specifiche finalità d’interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale,

– la loro attività è sottoposta a rilevanti controlli pubblicistici.

Non rileva a tal fine il fatto che le Casse medesime non siano espressamente menzionate nell’elenco degli organismi di diritto pubblico stilato dal Dlg 157/1995, in quanto tale elenco non ha valore esaustivo, ma solo indicativo.

Nè la trasformazione ex Dlg 509/1994 ha mutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dalle Casse professionali.

In particolare, il mantenimento dell’obbligo contributivo, in una con l’iscrizione, costituisce il corollario della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale degli enti trasformati; la riscossione dei contributi previdenziali costituiscono prestazioni imposte tanto per la Cassa impositrice, quanto per i soggetti obbligati.

E, se è pur vero che le Casse gestiscono il servizio, pubblico ex lege, di previdenza ed assistenza per la sola categoria professionale di riferimento, l’interesse così curato è delimitato solo quanto ai beneficiari diretti, ma è d’ordine generale e collettivo, secondo la conformazione che la legge v’imprime in diretta esecuzione dell’art. 38 Cost.

Tale servizio, d’interesse generale, non ha dunque carattere industriale o commerciale, cioè non è compiutamente realizzabile fuori dallo schema dell’inderogabile assolvimento degli obblighi di solidarietà sociale imposti jure imperii dall’ordinamento generale.

Vi è dunque un’irriducibile diversità tra l’imposizione contributiva ex art. 38 Cost. e la circostanza che, in altre realtà o esperienze giuridiche, la previdenza s’atteggi a mera assicurazione volontaria. Anche in Italia v’è pluralismo delle forme previdenziali, ma questo, in varia guisa lasciato alla volontà dei lavoratori ed alle dinamiche di mercato o governato attraverso strumenti pattizi tra le categorie, non sostituisce, ma presuppone e s’affianca alla contribuzione generale obbligatoria.

Infine, la vigilanza esercitata dal Ministro del lavoro, non diversamente da quella che il previgente assetto tout court pubblicistico assegnava al Ministro del tesoro, va intesa in senso non enfatico, ma effettivo, ossia come potestà d’approvazione, nel merito, degli atti fondamentali della CNP e sulle deliberazioni in materia di contributi e prestazioni.

– – – –

TAR Lazio, Roma, sezione III ter

Sentenza 3 giugno 2005 n. 4364

(presidente Corsaro, estensore Russo)

(…)

DIRITTO

1. – Come già accennato nelle premesse in fatto, la Cassa nazionale di previdenza e di assistenza dei Dottori commercialisti ha avviato, come di solito ed anche per l’anno 2005, una procedura informale di selezione, basata su oggettivi criteri di detenzione di quote di mercato, per la scelta dell’impresa assicuratrice cui affidare la copertura sanitaria dei propri iscritti. La UNIONVITA s.p.a., impresa assicuratrice operante in particolare nel ramo vita, impugna gli atti di tale procedura effettuata senza alcuna forma d’evidenza pubblica, affermandone invece la doverosità stante la natura d’organismo di diritto pubblico riconoscibile in capo all’intimata CNP.

Il ricorso in epigrafe è anzitutto ammissibile, in quanto, a differenza di ciò che argomenta la resistente CNP, essa s’appalesa, come prospetta la ricorrente, un organismo di diritto pubblico, ricorrendone nella specie tutt’e tre gli indici rivelatori.

2. – Ora, ai fini dell’identificazione d’un organismo di diritto pubblico –quale soggetto aggiudicatore di pubblici incanti di servizi tenuto all’applicazione delle norme nazionali e comunitarie sull’evidenza pubblica–, soccorre l’art. 2, c. 1, lett. b) del Dlg 17 marzo 1995 n. 157. Detta norma, di derivazione comunitaria (cfr. l’art. 1, lett. b della dir. n. 92/50/CEE), individua detti organismi in quelli dotati di personalità giuridica, istituiti per soddisfare specifiche finalità d’interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dalle regioni, dagli enti locali, da altri enti pubblici o organismi di diritto pubblico, o la cui gestione è sottoposta al loro controllo o i cui organi d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sono costituiti, almeno per la metà, da componenti designati dai medesimi soggetti pubblici.

È jus receptum, affinché si abbia in concreto un organismo di diritto pubblico, che vi sia la compresenza necessaria dei citati tre parametri, da accertare rigorosamente, al fine d’evitare che soggetti non pubblici siano costretti ad adoperare modalità d’acquisizione di beni e servizi non legate alle dinamiche dei relativi liberi mercati.

Tuttavia, deve il Collegio fin d’ora precisare, anche per fugare ogni dubbio sollevato sul punto dalle parti resistenti, che la nozione d’organismo di diritto pubblico, da leggere alla stregua del diritto comunitario vivente, non a caso è sussunta nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici di pubblici appalti.

Essa serve a garantire che, in tale delicato settore –ove v’è il fondato rischio che l’acquirente di beni e servizi si comporti in modo non economicamente conveniente e segua logiche talvolta irrazionali, quando non addirittura illecite–, soggiacciano alle regole dell’evidenza pubblica tutte quelle entità che, pur se soggettivamente diverse dai pubblici poteri, in realtà ne condividano le funzioni ed i poteri di cura di interessi generali.

È evidente che tale sussunzione, specie se coinvolge entità in forma di fondazione o di corporazione secondo il diritto dei particolari, determina l’alterazione del sistema di libera concorrenza nei mercati di beni e servizi, che l’ordinamento comunitario si sforza costantemente d’attuare. Del pari, non è chi non veda come il metodo dell’evidenza pubblica, nella misura in cui crea una sorta di mercato “artificiale” dell’offerta dei beni e dei servizi che i pubblici poteri intendono acquistare, non assicuri nei fatti quello stesso grado di competizione economica esistente nel mercato naturale. Tuttavia, il legislatore comunitario s’è dato carico di contemperare le esigenze di quest’ultimo con quelle dell’imparzialità e della trasparenza dell’acquisizione pubblica di tali beni e servizi, ponendo limiti al libero ingresso nel relativo mercato a quei soggetti i quali astrattamente ne potrebbero beneficiare, ma, per la missione di cui sono investiti, in realtà ne potrebbero strumentalizzare le opportunità per pervenire in concreto a risultati ben più poveri, sotto il profilo concorrenziale, di quelli raggiungibili con l’evidenza pubblica.

Sicché, se come il legislatore comunitario ha imposto parametri molto stretti per identificare gli organismi di diritto pubblico, se giustamente occorre pari rigore ermeneutico per verificare se un privato debba, o no fuoriuscire dal suo naturale mercato ed assoggettarlo alle regole vigenti per i pubblici poteri, altrettanta seria fermezza si deve adoperare per impedire che soggetti, la cui unica privatezza è solo affermata dalla norma d’ organizzazione soggettiva, ma non è rinvenibile nella loro missione –specie quando questa curi interessi generali dalla Costituzione indicati, resi rilevanti e considerati pertinenti al solo Stato-ordinamento–, non si regolino, in certe materie ove tale privatezza potrebbe rivelarsi fonte di abusi, con l’imparzialità, l’efficacia e la legalità che detta missione impone loro.

3. – Per verificare se i requisiti ex art. 2 del Dlg 157/1995 ricorrano nella specie, giova rammentare che la resistente CNP dei Dottori commercialisti non è che uno degli enti di cui all’elenco A) allegato al Dlg 30 giugno 1994 n. 509, in virtù del cui art. 1, c. 1 è stato trasformato, a decorrere dal 1° gennaio 1995, in un’associazione o fondazione, in base ad apposita deliberazione dei competenti organi.

Tale trasformazione, resasi possibile nella misura in cui detta CNP non usufruiva già ab illo tempore di finanziamenti pubblici o di altri ausili pubblici di carattere finanziario, ha determinato sì la continuazione funzionale dell’ente previdenziale preesistente. Nondimeno, ciò ha implicato l’assenza dello scopo di lucro in capo all’ente trasformato e la sua assunzione della personalità giuridica di diritto privato ex art. 12 e ss., c.c.

Esso inoltre è rimasto titolare di tutti i rapporti attivi e passivi del corrispondente ente previdenziale e del relativo patrimonio. In particolare, in base al successivo c. 3, la CNP ha continuato a svolgere le attività previdenziali e assistenziali in atto, a favore della categoria professionale dei Dottori commercialisti, per le quali fu originariamente istituito, ferma sempre restando l’obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione previdenziale a carico dei professionisti iscritti.

È appena da ricordare, infine, il divieto per tale CNP, come per tutti gli enti trasformati con le procedure ex Dlg 509/1994, di finanziamenti pubblici diretti o indiretti, tranne quelli connessi con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali.

4.1. – Questo essendo per sommi capi il quadro normativo di riferimento per l’intimata CNP, s’avrà che, per ciò che attiene alla ricorrenza dei parametri ex art. 2 del Dlg 157/1995, sussiste la soggettività giuridica giusta quanto stabilito dall’art. 1, c. 2 del Dlg 509/1994 e, comunque, v’è accordo delle parti sul punto.

4.2. – In ordine, poi, al requisito del perseguimento di scopi d’interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale –l’accertamento della natura dell’interesse dovendo precedere quello sul predetto carattere–, può il Collegio, in linea di mero principio, ammettere che vi possa essere, analizzando i dati normativi ed il modo di redigerli, una certa qual differenza tra le espressioni «interesse pubblico» ed «interesse generale». Invero, si potrebbe dire che l’uno, il quale può esser pure settoriale, afferisca ai bisogni individuati e curati dallo Stato-persona e l’altro non sia che la descrizione giuridica di quelli direttamente emergenti dallo Stato-comunità. Sennonché tale diversità s’appalesa più descrittiva, che ontologica, in quanto, nella specie, l’espressione «interesse generale» ai fini degli appalti pubblici non è che la letterale trasposizione nell’art. 2 del Dlg 157/1995 dell’omonima indicazione recata nell’art. 1, lett. b) della dir. n. 92/50/CEE, senza, quindi, un significato peculiare o connotante.

Ma anche ad accedere alla tesi delle parti resistenti, non per ciò solo quello perseguito dall’intimata CNP non sarebbe un interesse “generale”, atteso che essa cura e provvede, secondo norme statali e pur se limitatamente finora ai soli Dottori commercialisti, il bisogno previdenziale ed assistenziale sancito dall’art. 38 Cost. per tutti i cittadini e per tutti i lavoratori, bisogno, questo sì, appartenente all’intera comunità dei consociati e disciplinato come inderogabile dallo Stato-ordinamento.

Non bisogna confondere l’interesse corporativo professionale dei Dottori commercialisti in quanto esercenti una professione liberale con il predetto bisogno, né con l’esatta indicazione dei beneficiari delle prestazioni previdenziali.

L’uno, invero, riguarda l’assetto della prestazione professionale in sé ed è perciò un quid proprio e limitato della categoria. L’altro pertiene invece a tutta la collettività ancorché si materializzi, ferma l’obbligatorietà generale dell’iscrizione e della contribuzione a carico di tutti e di ciascun Dottore commercialista alla CNP –che l’hanno in comune con tutti gli altri lavoratori–, in formule differenziate per ciascuna categoria di professionisti o di prestatori d’opera.

Il terzo indica la sfera d’applicazione dei beneficiari finali delle prestazione, a fronte delle quali la legge impone la contribuzione generale ed obbligatoria. Non a caso, tanto l’art. 1, commi 33 e 34 della l. 24 dicembre 1994 n. 537, quanto l’art. 1, c. 3 del Dlg 509/1994 si premurano di precisare che la privatizzazione degli enti previdenziali, diversi da quelli che fruiscano di finanziamenti pubblici o di altre provvidenze a carico dei bilanci pubblici, avviene sì con garanzia dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile, ma sempre ferme restandone le finalità istitutive, il riferimento alla natura pubblica dell’attività svolta e l’obbligatoria iscrizione e contribuzione degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali essi risultano istituiti (cfr. l’art. 3, c. 4).

Dal quadro così tracciato emerge che la trasformazione ex Dlg 509/1994 ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta da gli enti, la privatizzazione servendo a mantenere e rendere effettiva quell’autonomia che già ab origine aveva caratterizzato le Casse professionali rispetto al sistema dell’a.g.o.

Tuttavia, il mantenimento dell’obbligo contributivo, in una con l’ iscrizione, costituisce il corollario della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale degli enti trasformati.

La modifica degli strumenti di gestione e la differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi costituisce sì un evento rilevante per connotarne la struttura emenintemente associativa. Ciò, però, non solo non ne elide la funzione d’ordine generale, ma soprattutto, con riguardo alla loro missione, ne costituisce un’innovazione di carattere essenzialmente organizzativo.

4.3. – Insomma, se è pur vero che l’intimata CNP sussiste tuttora per la gestione del servizio, pubblico ex lege, di previdenza ed assistenza per la sola categoria professionale dei Dottori commercialisti, l’interesse così curato è delimitato solo quanto ai beneficiari diretti, ma è d’ordine generale e collettivo, secondo la conformazione che la legge v’imprime in diretta esecuzione dell’art. 38 Cost.

Da ciò discende, ad avviso del Collegio, l’impossibilità di riconoscere a tal servizio d’interesse generale un carattere industriale o commerciale, nel senso, cioè, che esso non è compiutamente realizzabile fuori dallo schema dell’inderogabile assolvimento degli obblighi di solidarietà sociale imposti jure imperii dall’ordinamento generale.

Non importa che un’attività, specie se coinvolge dazioni di denaro e movimenti di capitali, possa astrattamente coincidere con quella imprenditoriale della raccolta del privato risparmio, in quanto la riscossione dei contributi previdenziali costituiscono prestazioni imposte tanto per la Cassa impositrice, quanto per i soggetti obbligati.

È questa la chiave di lettura dell’irriducibile diversità tra l’imposizione contributiva ex art. 38 Cost. e la circostanza che, in altre realtà o esperienze giuridiche, la previdenza s’atteggi a mera assicurazione volontaria. Anche in Italia v’è pluralismo delle forme previdenziali, ma questo, in varia guisa lasciato alla volontà dei lavoratori ed alle dinamiche di mercato o governato attraverso strumenti pattizi tra le categorie, non sostituisce, ma presuppone e s’affianca alla contribuzione generale obbligatoria.

5. – Infine, relativamente al requisito dell’influenza pubblica, è opinione ferma in giurisprudenza e v’è nella specie concordia tra le parti che siffatto parametro sia desumibile alternativamente dal finanziamento pubblico, dal controllo pubblico sulla gestione, oppure dall’ingerenza dello Stato, dei poteri locali o d’altro ente od organismo pubblici nella designazione perlomeno della metà dei componenti degli organi amministrativi e di gestione.

Ebbene, non coglie nel segno l’eccezione della CNP, laddove argomenta dall’art. 1, commi 1 e 3 del Dlg 509/1994 l’insussistenza d’ogni forma di finanziamento pubblico a suo favore, e ciò per un duplice ordine di ragioni.

Anzitutto, le disposizioni testé citate fissano rispettivamente uno dei presupposti per la privatizzazione ex art. 1, c. 33 della l. 537/1993 ed il divieto d’assumere finanziamenti diretti o indiretti a carico del Tesoro dello Stato o di altri bilanci pubblici, salvi gli sgravi e le fiscalizzazioni degli oneri sociali, senza che ciò implichi l’esclusione assoluta d’ogni altra forma di finanziamento diversa da quella a carico della fiscalità generale.

In secondo luogo, la contribuzione obbligatoria ex artt. 10 e 11 della l. 29 gennaio 1986 n. 21, pur non assurgendo di per sé ad un’obbligazione formalmente tributaria, in realtà ne partecipa di tutti gli aspetti, di talché, concretandosi in un’erogazione di denaro necessitata ex lege, essa realizza lo schema del finanziamento pubblico della Cassa ancorché non nell’ esclusivo interesse di questa, ma pure per soddisfare esigenze solidaristiche, quali sono quelle sottese ai tipi di trattamenti e di prestazioni erogabili agli iscritti a’sensi della stessa l. 21/1986. È da osservare infine che l’obbligatoria iscrizione alla CNP di cui al successivo art. 22, giusta quanto all’uopo stabilito dall’art. 2 della l. 3 febbraio 1963 n. 100, implica sia la necessarietà dell’appartenenza alla Cassa, sia, soprattutto, la giuridica impossibilità, per tutti e ciascun Dottore commercialista, d’associarsi liberamente tra loro per conferire a tal nuovo organismo le funzioni previdenziali che la l. 100/ 1963 e la l. 21/1986 attribuirono a suo tempo alla CNP stessa e che il Dlg 509/1994 non ha mai derogato.

Né basta: si può anche ammettere che, per altro verso, l’ingerenza pubblica si manifesti non già in contrasto con l’autonomia gestionale, organizzativa e contabile, ma assecondandone gli indirizzi, Ciò non fa dell’intimata CNP, nondimeno, un ente indipendente e non soltanto per la mera circostanza che tale autonomia incontra gli ovvi limiti derivanti dalla natura del servizio pubblico svolto dalla Cassa stessa. Anzi, la vigilanza esercitata dal Ministro del lavoro, non diversamente da quella che il previgente assetto tout court pubblicistico assegnava al Ministro del tesoro, va intesa in senso non enfatico, ma effettivo, ossia come potestà d’approvazione, nel merito, degli atti fondamentali della CNP e sulle deliberazioni in materia di contributi e prestazioni.

Anche i motivati rilievi, che il Ministro vigilante, di concerto con quello dell’economia e gli altri indicati nell’art. 3, c. 1 del Dlg 509/1994, esercita sui bilanci preventivi ed i conti consuntivi, le note di variazione al bilancio di previsione, i criteri d’individuazione e di ripartizione del rischio nella scelta degli investimenti come indicati in ogni bilancio preventivo e le delibere contenenti criteri direttivi generali, devono esser certo formulati entro un termine prestabilito, all’evidente fine di non intralciare troppo il funzionamento della CNP. Nessun dato testuale autorizza, tuttavia, a concludere che tal forma di vigilanza non implichi un controllo non già di sola legittimità, ma soprattutto sulla convenienza delle scelte assunte nel merito, stante che l’oggetto del rilievo riguarda i contenuti stessi della gestione finanziaria, ossia la parte più cospicua e rilevante dell’attività della Cassa. Né ciò è revocato in dubbio dal fatto che non all’organo di vigilanza, bensì al solo ente deve spettare la statuizione definitiva sul punto contestato, per l’evidente distinzione che la legge impone, tra i predetti attori istituzionali, tra i loro compiti e relative responsabilità.

Resta in ogni caso fermo l’obbligo dell’adeguamento degli organi di gestione al rilievo, ogni inadempimento rimanendo sanzionato fino addirittura al commissariamento della Cassa, ove le irregolarità riscontrate si manifestassero in gravi violazioni di legge.

È appena da osservare come non sia conferente il fatto che l’intimata CNP non sia espressamente menzionata nell’elenco degli organismi di diritto pubblico stilato dal Dlg 157/1995, in quanto tale elenco non ha valore esaustivo, ma solo indicativo e, comunque, anche aldilà della nuova normativa comunitaria in tema di pubblici appalti, siffatta indicazione s’appalesa superflua, in quanto detta Cassa può esser agevolmente ricompresa nell’ambito degli enti di servizi.

6. – Assodato, quindi, che in capo all’intimata Cassa sussistono tutt’e tre i requisiti ex art. 2 del Dlg 157/1995, da ciò discende immediatamente il di lei obbligo di conformarsi e rispettare le norme comunitarie e nazionali sull’evidenza pubblica che, nella specie, s’appalesano del tutto disattese.

Invero, a tutto concedere –ossia a voler prescindere dal rifiuto dell’intimata Cassa d’assoggettarsi sua sponte alla predetta evidenza pubblica–, al più la procedura selettiva prescelta potrebbe lato sensu esser ritenuta una trattativa privata senza previa pubblicazione del bando.

Rettamente al riguardo la Società ricorrente stigmatizza, più che il disfavore con cui le procedure negoziate sono trattate dalle norme sugli appalti, come nella specie non ricorra alcuno dei presupposti ex art. 7 del Dlg 157/1995, applicabile in ragione dell’ammontare dell’importo del servizio, per cui l’Amministrazione aggiudicatrice possa ricorrere alla trattativa privata. Né l’intimata Cassa ha giustificato a suo tempo (e, invero, neppure in corso di giudizio) se, nella specie, versasse in una di tali ipotesi, che, com’è noto, sono eccezionali e di stretta interpretazione.

7. – In definitiva, il ricorso in epigrafe va accolto, con assorbimento del secondo mezzo di gravame e con contestuale obbligo della CNP intimata di procedere all’indizione d’un pubblico incanto, qualora permanga un interesse alla copertura sanitaria dei suoi iscritti per l’anno 2005, per la scelta dell’impresa cui affidare detto servizio.

Non v’è d’uopo di risarcire alcun danno alla ricorrente, fuori dalla reintegrazione in forma specifica derivante dall’annullamento degli atti impugnati e dalla consequenziale indizione della predetta gara, in quanto essa non ha perduto alcun’opportunità. Infatti e sempreché il predetto interesse permanga, l’accoglimento della domanda attorea non concede altra utilità che l’indizione della gara secondo le regole ex Dlg 157/1995 e, quindi, non elide, in capo alla soccombente CNP, la potestà discrezionale di confezionarne il bando, negli ovvi limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, secondo le proprie esigenze d’istituto, senza possibilità che il presente decisum possa condizionare il relativo contenuto.

La novità della questione e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti costituite, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, accoglie il ricorso n. 12101/2004 in epigrafe e per l’effetto annulla, per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione, gli atti impugnati e meglio indicati in premessa, con salvezza dell’attività di riemanazione. Spese compensate. Ordina all’Autorità amministrativa d’eseguire la presente sentenza. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 5 maggio 2005.

Redazione

Lo studio legale Giurdanella & Partners dedica, tutti i giorni, una piccola parte del proprio tempo all'aggiornamento del sito web della rivista. E' un'attività iniziata quasi per gioco agli albori di internet e che non cessa mai di entusiasmarci. E' anche l'occasione per restituire alla rete una parte di tutto quello che essa ci ha dato in questi anni. I giovani bravi sono sempre i benvenuti nel nostro studio legale. Per uno stage o per iniziare la pratica professionale presso lo studio, scriveteci o mandate il vostro cv a segreteria@giurdanella.it