Arbitrato obbligatorio nei confronti della PA

Il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, sicché la legge ordinaria non può prevedere ipotesi di arbitrato obbligatorio (cfr. Corte Cost. n. 127 del 1977, ma anche in precedenza sentenze n. 62 del 1968 e n.50 del 1966; principio poi costantemente ribadito con le sentenze n. 325 del 1998, n. 381 del 1997, n. 54 del 1996, numeri 232, 206 e 49 del 1994, n. 488 del 1991).

Purché a ciascuna delle parti sia assicurata la libertà di sottrarsi all’arbitrato previsto dalla legge o da una fonte eteronoma, ben può essere prevista la non impugnabilità del lodo per errores in iudicando ovvero una certa composizione (purché rispettosa del principio di eguaglianza delle parti: cfr. Corte Cost. n. 33 del 1995) del collegio arbitrale, in quanto la garanzia costituzionale attiene alla libertà di scelta dello strumento dell’arbitrato e non già, assicurata che sia tale consapevole e libera scelta, a peculiari modalità di svolgimento dell’arbitrato stesso.

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Corte Costituzionale

Sentenza 8 giugno 2005 n. 221

(presidente Capotosti, estensore Vaccarella)

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13 del regio decreto-legge 28 agosto 1930, n. 1345 (Norme per la costruzione e l’esercizio dell’acquedotto del Monferrato), convertito nella legge 6 gennaio 1931, n. 80, promosso con ordinanza del 4 febbraio 2004 dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte sul ricorso proposto dal Consorzio dei Comuni per l’Acquedotto del Monferrato contro l’Acquedotto Monferrato S.p.A., iscritta al n. 512 del registro ordinanze del 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visti gli atti di costituzione del Consorzio dei Comuni per l’Acquedotto del Monferrato e dell’Acquedotto Monferrato S.p.A.; udito nell’udienza pubblica del 3 maggio 2005 il Giudice relatore Romano Vaccarella; uditi gli avvocati Alberto Romano e Paolo Monti per il Consorzio dei Comuni per l’Acquedotto del Monferrato e Mario Alberto Quaglia per l’Acquedotto Monferrato S.p.A.

Ritenuto in fatto

1.– Nel corso di un giudizio, promosso davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte dal Consorzio dei Comuni per l’Acquedotto del Monferrato nei confronti della Società Acquedotto Monferrato S.p.A. per l’accertamento di crediti risarcitori vantati dal Consorzio in conseguenza del mancato rilascio degli impianti alla scadenza della concessione per l’esercizio dell’acquedotto del Monferrato, l’adito Tribunale, con ordinanza del 4 febbraio 2004, ha sollevato, in riferimento agli articoli 24, primo comma, 25, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 del regio decreto-legge 28 agosto 1930, n. 1345 (Norme per la costruzione e l’esercizio dell’acquedotto del Monferrato), convertito nella legge 6 gennaio 1931, n. 80, in quanto detta norma prevede un arbitrato obbligatorio per la risoluzione delle controversie relative alla costruzione o all’esercizio dell’acquedotto del Monferrato e all’applicazione dello stesso decreto-legge.

1.1.– In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce che, essendo stata accertata con sentenza passata in giudicato la scadenza (nel 1994) della concessione per l’esercizio dell’acquedotto del Monferrato, la società concessionaria aveva manifestato l’intenzione di adire il collegio arbitrale, previsto dall’art. 13 del r.d.l. n. 1345 del 1930, perché fossero decise le questioni (e, tra queste, le pretese risarcitorie avanzate dal Consorzio) pendenti tra le parti; sicché il Consorzio aveva proposto ricorso giurisdizionale per l’accertamento delle sue pretese creditorie, facendo valere preliminarmente l’incostituzionalità della citata norma, a tenore della quale «ogni controversia relativa alla costruzione od esercizio dell’acquedotto e alla applicazione del presente decreto, comprese quelle dipendenti dal riscatto ed escluse quelle di cui all’articolo precedente, sarà decisa da un Collegio di tre arbitri, dei quali uno scelto dal Consorzio, altro scelto dalla Società ed il terzo nominato dal Ministro per l’interno di concerto con quello per le finanze; gli arbitri giudicheranno secondo le regole di diritto e la sentenza non sarà soggetta né ad appello, né a ricorso in cassazione».

1.2.– Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che l’applicazione della norma denunciata precluderebbe qualsiasi pronuncia in rito e in merito dello stesso Tribunale riguardo alla controversia portata al suo esame, sicché il giudizio non può essere definito, prescindendo dalla risoluzione della sollevata questione di costituzionalità.

Osserva, altresì, che l’obiezione della convenuta Società Acquedotto Monferrato S.p.A., secondo cui la disposizione dell’art. 13 del r.d.l. n. 1345 del 1930 sarebbe stata superata da una successiva manifestazione di volontà delle parti, è destituita di fondamento, dal momento che la convenzione, stipulata fra il Consorzio dei Comuni e la società concessionaria il 14 ottobre 1935, ha, in punto di arbitrato, semplicemente riprodotto, precisandone i termini, il precetto contenuto nella norma denunciata, cui ha dato concreta esecuzione.

Osserva, ancora, che non può ritenersi esistente un principio di abrogazione implicita di norme anteriori alla Costituzione in contrasto con questa, giacché, come è stato chiarito dalla giurisprudenza costituzionale fin dalla sentenza n. 1 del 1956, il “nuovo” istituto della “illegittimità costituzionale” si riferisce non solo alle leggi posteriori alla Costituzione, ma anche a quelle anteriori, «sia perché, dal lato testuale, tanto l’art. 134 della Costituzione quanto l’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, parlano di questioni di legittimità costituzionale delle leggi, senza fare alcuna distinzione, sia perché, dal lato logico, è innegabile che il rapporto tra leggi ordinarie e leggi costituzionali e il grado che ad esse rispettivamente spetta nella gerarchia delle fonti non mutano affatto, siano le leggi ordinarie anteriori, siano posteriori a quelle costituzionali».

Ne consegue che è riservato alla Corte costituzionale il giudizio di legittimità costituzionale anche delle leggi anteriori all’entrata in vigore della Costituzione.

1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente osserva che la norma denunciata appare in contrasto con l’art. 24, primo comma, Cost., che garantisce a tutti la possibilità di ricorrere al “sistema giudiziario” a tutela delle proprie ragioni; con l’art. 25, primo comma, Cost., che pone la garanzia dell’individuazione del “giudice naturale” in base a criteri prederminati; con l’art. 102, primo comma, Cost., che stabilisce il principio della unitarietà della giurisdizione.

Richiama, al riguardo, il costante insegnamento della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittime specifiche norme di legge contenenti la previsione di forme di arbitrato obbligatorio per la risoluzione di controversie.

2.– Si è ritualmente costituito in giudizio il Consorzio dei Comuni per l’Acquedotto del Monferrato per sostenere la fondatezza della questione di legittimità costituzionale.

Afferma il deducente che sembra del tutto scontato il contrasto dell’art. 13 del r.d.l. n. 1345 del 1930 con gli artt. 24, primo comma, 25, primo comma, e 102, primo comma, Cost., alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale ha chiarito che l’arbitrato è legittimo solo se fondato sulla concorde volontà delle parti, sicché sono incostituzionali le norme che, non consentendo alle parti di derogarvi con atto unilaterale, prevedono arbitrati obbligatori.

3.– Si è ritualmente costituita in giudizio, altresì, la Società Acquedotto Monferrato S.p.A., che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o di infondatezza della questione di legittimità costituzionale.

Osserva la deducente che fra le parti è intercorsa una convenzione, stipulata in data 14 ottobre 1935, con la quale è stata pattiziamente regolata – al punto V – la competenza arbitrale per le controversie, che potessero insorgere fra le parti medesime, precisando quali controversie sarebbero state sottratte alla decisione degli arbitri e quali altre, invece, sarebbero state loro deferite. Siffatta regolazione convenzionale vale a conferire natura negoziale e pattizia all’arbitrato in questione, sicché, non versandosi, nel caso in esame, nell’ipotesi dell’arbitrato obbligatorio, la questione – a suo avviso – è irrilevante e infondata.

Al riguardo, la deducente evidenzia che le parti, nella convenzione, non si sono limitate a un mero richiamo, puramente ripetitivo, della norma denunciata, ma, intendendo la previsione di legge come una norma dispositiva, hanno operato una libera opzione negoziale, scegliendo di rimettere al collegio arbitrale determinate controversie.

A sostegno della sua tesi, la deducente richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale, con riferimento al capitolato generale per le opere pubbliche e all’arbitrato obbligatorio in esso previsto, dichiarato incostituzionale dal giudice delle leggi con la sentenza n. 152 del 1996, ha costantemente ritenuto sussistente la competenza arbitrale relativamente ai rapporti, per i quali detto capitolato fosse stato richiamato dalle parti in termini non meramente riproduttivi, ma volontaristici (ciò in particolare per gli enti locali, non tenuti normativamente alla applicazione del medesimo capitolato).

4.– In prossimità dell’udienza, entrambe le parti costituite hanno presentato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.

4.1.– Il Consorzio dei Comuni per l’Acquedotto del Monferrato – richiamata la giurisprudenza di questa Corte in tema di arbitrato obbligatorio – sostiene che l’incostituzionalità della norma denunciata discenderebbe altresì da due suoi profili, implicitamente dedotti dall’ordinanza di rimessione, relativi, rispettivamente, alla sottrazione alle parti del potere di designare il terzo arbitro ed alla esclusione di ogni gravame nei confronti della pronuncia del collegio arbitrale.

4.2.– La Società Acquedotto Monferrato S.p.A. – ribadite le ragioni per le quali la questione di legittimità costituzionale sarebbe irrilevante – ne deduce, in subordine, l’infondatezza, in quanto la norma impugnata sarebbe suscettibile di interpretazione, costituzionalmente corretta, nel senso della facoltatività dell’arbitrato da essa previsto.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 24, comma primo, 25 comma primo e 102, comma primo, della Costituzione, dell’art. 13 del regio decreto-legge 28 agosto 1930, n. 1345 (Norme per la costruzione e l’esercizio dell’acquedotto del Monferrato), convertito nella legge 6 gennaio 1931, n. 80, in quanto prevede un arbitrato obbligatorio per la risoluzione delle controversie relative alla costruzione o all’esercizio dell’acquedotto del Monferrato e all’applicazione dello stesso decreto-legge.

2.– Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione di irrilevanza della questione proposta dalla Società Acquedotto Monferrato S.p.A. sulla base del rilievo che, nel caso di specie, l’arbitrato non troverebbe il suo fondamento nella legge, bensì nella convenzione, stipulata nel 1935, con la quale le parti avrebbero liberamente disposto – sottraendovi talune controversie – in ordine all’arbitrato, quale modo di risolvere le altre controversie che sarebbero potute insorgere tra di esse.

E’ appena il caso di rilevare, in proposito, che la questione del fondamento – legislativo ovvero negoziale – dell’arbitrato può essere esaminata da questa Corte esclusivamente sotto il profilo dell’adeguatezza della motivazione dell’ordinanza di rimessione in punto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale (sentenze n. 47 del 2003, n. 195 del 1999): e certamente non può dirsi implausibile ovvero contraddetta dagli atti la conclusione, cui perviene il giudice a quo, secondo la quale la clausola contenuta nella convenzione è meramente ricognitiva del vincolo imposto alle parti dalla legge.

3.– Passando al merito, la questione è fondata.

3.1.– Non è contestabile che la norma denunciata disciplina una ipotesi di arbitrato rituale: ciò che è reso evidente sia dall’uso di qualificazioni tipiche di tale istituto (in particolare, il ricorso al termine “giudicare” per designare il modo di formazione della “sentenza” resa dagli “arbitri”, “secondo le regole del diritto”) sia dal chiaro riferimento alla disciplina che l’allora vigente codice di procedura civile (del 1865) dedicava all’arbitrato rituale prevedendo la possibilità di proporre appello (art. 28) e, poi, ricorso per cassazione (art. 31) avverso la “sentenza” arbitrale.

Altrettanto indubbio è che la formulazione della norma è tale da escludere, come osserva il rimettente, ogni possibilità, per entrambe le parti, di adire i giudici statuali per la risoluzione di qualsiasi controversia tra di esse potesse insorgere: e cioè prevede un arbitrato rituale obbligatorio, il cui lodo – emesso da un collegio di tre arbitri, uno dei quali «nominato dal Ministro per l’interno di concerto con quello per le finanze» – non è impugnabile per violazione delle norme di diritto che gli arbitri sono tenuti ad applicare.

3.2.– Questa Corte fin dalla sentenza n. 127 del 1977 (in realtà anche in precedenza; ma, nei casi allora sottopostile, aveva escluso che si fosse in presenza di un vero arbitrato obbligatorio: sentenze n. 62 del 1968 e n.50 del 1966 ), ha osservato che, poiché la Costituzione garantisce ad ogni soggetto il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, «il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti: perché solo la scelta dei soggetti (intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all’art. 24, comma primo, Cost.) può derogare al precetto contenuto nell’art. 102, comma primo, Cost. […], sicché la “fonte” dell’arbitrato non può più ricercarsi e porsi in una legge ordinaria o, più generalmente, in una volontà autoritativa».

Tale principio è stato costantemente ribadito da questa Corte con le sentenze n. 325 del 1998, n. 381 del 1997, n. 54 del 1996, numeri 232, 206 e 49 del 1994, n. 488 del 1991, e precisato nel senso che, anche qualora sia richiesto «l’accordo delle parti per derogare alla competenza arbitrale, si rimette pur sempre alla volontà della sola parte che non voglia tale accordo derogatorio, l’effetto di rendere l’arbitrato concretamente obbligatorio per l’altro soggetto che non l’aveva voluto», essendo «sufficiente la mancata intesa sulla deroga della competenza arbitrale per vanificare l’apparente facoltatività bilaterale dell’opzione» (sentenza n. 152 del 1996).

3.3.– L’illegittimità costituzionale della norma censurata, pertanto, risiede nella circostanza che essa preclude alle parti la possibilità di adire il giudice statuale, essendo totalmente irrilevanti, viceversa, i profili relativi sia al regime del lodo sia alla composizione del collegio: purché a ciascuna delle parti sia assicurata la libertà di sottrarsi all’arbitrato previsto dalla legge o da una fonte eteronoma, ben può essere prevista la non impugnabilità del lodo per errores in iudicando ovvero una certa composizione (purché rispettosa del principio di eguaglianza delle parti: cfr. sentenza n. 33 del 1995) del collegio arbitrale, in quanto la garanzia costituzionale attiene alla libertà di scelta dello strumento dell’arbitrato e non già, assicurata che sia tale consapevole e libera scelta, a peculiari modalità di svolgimento dell’arbitrato stesso.

P.Q.M.

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 del regio decreto-legge 28 agosto 1930, n. 1345 (Norme per la costruzione e l’esercizio dell’acquedotto del Monferrato), convertito nella legge 6 gennaio 1931, n. 80.

Redazione

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