Quale motivazione sugli esami di avvocato

La Corte Costituzionale è stata nuovamente investita, adesso dal TAR Puglia-Lecce, in riferimento agli articoli 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, sulla legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), ove si ritenga che non trovi applicazione in sede di valutazione delle prove negli esami di avvocato.

Ad avviso del giudice a quo la censura di difetto di motivazione formulata dai ricorrenti risulterebbe infondata alla stregua di un orientamento da ritenersi “consolidato” della giurisprudenza del giudice di ultima istanza, secondo la quale, in materia di concorsi pubblici l’obbligo motivazionale è adeguatamente assolto mediante attribuzione di un punteggio numerico alla prova di ciascun candidato.

Tale orientamento avrebbe assunto le caratteristiche di un vero e proprio “diritto vivente”, non conforme a Costituzion, in quanto:
– risulta irragionevole (art. 3 della Costituzione) escludere l’obbligo di motivazione per i giudizi d’esame;
– la tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.) si ridurrebbe al mero riscontro di profili estrinseci e formali, come quelli inerenti alle garanzie relative alla collegialità dell’organo giudicante e alla sua composizione;
– il principio di buon andamento e di imparzialità (art. 97 Cost.) richiederebbe la piena trasparenza dell’azione amministrativa.

Osserva la Corte Costituzionale che, lungi dal potersi parlare di “diritto vivente”, la giurisprudenza amministrativa ha invece mostrato di fornire un panorama articolato di possibili soluzioni interpretative, spaziando tra:
– la tesi che esclude l’applicabilità del censurato art. 3 alle operazioni di mero giudizio conseguenti a valutazioni tecniche, in quanto attività in tesi non provvedimentali;
– quella che invece ritiene applicabile l’obbligo di motivazione previsto dalla disposizione censurata anche ai giudizi valutativi.

All’interno di tale ultimo indirizzo, potrebbero secondo la Corte individuarsi tre diverse posizioni, a seconda che si ritenga:
a) l’attribuzione di un punteggio numerico una valida ed idonea espressione motivatoria del giudizio valutativo;
b) si escluda tale idoneità;
c) si rifiuti una prospettiva aprioristica, per risolvere la questione in relazione alle peculiarità della singola fattispecie, e segnatamente alla relazione intercorrente fra l’estensione dei criteri valutativi prestabiliti dalla commissione esaminatrice ed il carattere più o meno analitico del giudizio sulle prove di esame;

Rileva infine, secondo la Corte, che lo stesso giudice rimettente, successivamente alla proposizione della questione, avrebbe mostrato di esplorare una ulteriore, possibile interpretazione della disposizione censurata, con una serie di ordinanze cautelari nelle quali ha diversamente ricostruito le modalità del sindacato giurisdizionale ex art. 3 della legge n. 241 del 1990 sui giudizi valutativi delle prove scritte relative all’abilitazione alla professione forense, “in ragione dell’indirizzo che consente al giudice amministrativo una valutazione sulle manifestazioni di discrezionalità tecnica, così ridimensionando la funzione di strumento di verifica estrinseca dell’operato della p.a. proprio della motivazione”.

In definitiva, “va confermato il richiamato orientamento di questa Corte, tanto più in presenza delle riportate evoluzioni del panorama giurisprudenziale, che consentono al giudice di adottare una delle (plurime) interpretazioni che ritenga conforme agli invocati parametri costituzionali”, e ritenuta manifestamente inammissibile la questione sollevata, “perché essa non è in realtà diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma si traduce piuttosto in un improprio tentativo di ottenere l’avallo di questa Corte a favore di una determinata interpretazione della norma, attività, questa, rimessa al giudice di merito” (cfr. ordinanza n. 466 del 2000)”.

Si pubblicano di seguito sia l’ordinanza della Corte Costituzionale sia l’ordinanza di rimessione del TAR Puglia-Lecce.

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Corte Costituzionale

Ordinanza 14 novembre 2005 n. 419

(presidente Marini, relatore De Siervo)

Nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), promossi con tre ordinanze del 22 settembre 2004 dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, rispettivamente iscritte ai numeri 1009, 1012, e 1014 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visti gli atti di costituzione di Vergari Maria Serena, Matranga Alfredo e Largo Francesca nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’11 ottobre 2005 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

uditi l’avvocato Gianluigi Pellegrino per Vergari Maria Serena, Matranga Alfredo e Largo Francesca e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, investito di ricorsi per l’annullamento di provvedimenti di non ammissione alle prove orali per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato, con tre ordinanze di identico contenuto ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi);

che, ad avviso del giudice a quo la censura di difetto di motivazione formulata dai ricorrenti sarebbe infondata alla stregua di un orientamento consolidato della giurisprudenza del giudice di ultima istanza, secondo la quale, in materia di concorsi pubblici l’obbligo motivazionale è adeguatamente assolto mediante attribuzione di un punteggio numerico alla prova di ciascun candidato;

che, secondo il rimettente, tale orientamento avrebbe assunto le caratteristiche di un vero e proprio diritto vivente, nonostante un contrario indirizzo interpretativo della VI sezione del Consiglio di Stato, di cui dà conto lo stesso giudice a quo, il quale precisa tuttavia che si tratterebbe «di precedenti isolati e comunque non univoci»;

che il Tribunale amministrativo dubita pertanto della conformità a Costituzione di tale indirizzo interpretativo, sostenendo che non sarebbe ragionevole (art. 3 della Costituzione) escludere l’obbligo di motivazione per i giudizi d’esame;

che la tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.) si ridurrebbe al mero riscontro di profili estrinseci e formali, come quelli inerenti alle garanzie relative alla collegialità dell’organo giudicante e alla sua composizione;

che, comunque, il principio di buon andamento e di imparzialità (art. 97 Cost.) richiederebbe la piena trasparenza dell’azione amministrativa;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo nel senso della inammissibilità della questione, in quanto identica a quella già dichiarata manifestamente inammissibile da questa Corte con ordinanza n. 466 del 2000;

che si sono costituiti nel presente giudizio i dottori Alfredo Matranga, Francesca Largo e Maria Serena Vergari, ricorrenti nei tre giudizi a quibus, aderendo ai dubbi di legittimità costituzionale avanzati dal Tribunale amministrativo, e concludendo per l’accoglimento della questione;

che in prossimità della data fissata per la pubblica udienza, la difesa delle parti private ha depositato delle memorie nelle quali, preliminarmente, richiama la giurisprudenza costituzionale in merito alle questioni di legittimità costituzionale in via incidentale sollevate con riferimento all’interpretazione che di una determinata disposizione viene data dal diritto vivente, e sulla base di tali premesse ritiene superato l’ostacolo che aveva condotto alla pronuncia di manifesta inammissibilità resa da questa Corte, su identica questione, con l’ordinanza n. 466 del 2000, dal momento che l’orientamento della giurisprudenza, allora oscillante, si sarebbe oggi invece stabilizzato nel senso censurato dalle ordinanze di rimessione.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, alla luce dell’interpretazione di detta disposizione fornita dalla giurisprudenza amministrativa in pronunce, che il rimettente reputa “diritto vivente”, che hanno escluso l’obbligo di esplicita motivazione per i giudizi espressi in sede di valutazione degli esami di abilitazione professionale;

che il Tribunale amministrativo regionale chiede sostanzialmente una pronuncia sulla conformità a Costituzione di tale indirizzo interpretativo, con riguardo ai principî costituzionali di cui alle disposizioni sopra indicate;

che i giudizi, aventi ad oggetto identica norma, vanno riuniti e decisi con unica pronuncia;

che identica questione è già stata ritenuta manifestamente inammissibile da questa Corte, con l’ordinanza n. 466 del 2000, «perché essa non è in realtà diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma si traduce piuttosto in un improprio tentativo di ottenere l’avallo di questa Corte a favore di una determinata interpretazione della norma, attività, questa, rimessa al giudice di merito»;

che, successivamente, questa Corte, con ordinanza n. 233 del 2001, ha nuovamente dichiarato manifestamente inammissibile la stessa questione, in considerazione del fatto che il rimettente avrebbe voluto «estendere l’obbligo di motivazione ai giudizi espressi in sede di valutazione delle prove d’esame per l’iscrizione all’albo degli avvocati», ma non avrebbe tratto «le conseguenze applicative dell’interpretazione che egli considera conforme ai parametri costituzionali, deducendo l’esistenza della giurisprudenza del Consiglio di Stato, che segue l’interpretazione da lui non condivisa», osservando come «nulla impedisce al rimettente di adottare l’interpretazione da lui ritenuta corretta alla luce dei parametri costituzionali»;

che non sussistono ragioni per discostarsi dal richiamato orientamento, tenuto conto che nel frattempo la giurisprudenza amministrativa ha mostrato di fornire un panorama ulteriormente articolato di possibili soluzioni interpretative, spaziando dalla tesi che esclude l’applicabilità del censurato art. 3 alle operazioni di mero giudizio conseguenti a valutazioni tecniche, in quanto attività in tesi non provvedimentali, a quella che invece ritiene applicabile l’obbligo di motivazione previsto dalla disposizione censurata anche ai giudizi valutativi;

che all’interno di tale ultimo indirizzo possono poi individuarsi tre diverse posizioni, a seconda che si ritenga l’attribuzione di un punteggio numerico una valida ed idonea espressione motivatoria del giudizio valutativo, ovvero che si escluda tale idoneità, o ancora che si rifiuti una prospettiva aprioristica, per risolvere la questione in relazione alle peculiarità della singola fattispecie, e segnatamente alla relazione intercorrente fra l’estensione dei criteri valutativi prestabiliti dalla commissione esaminatrice ed il carattere più o meno analitico del giudizio sulle prove di esame;

che lo stesso giudice rimettente, peraltro, successivamente alla proposizione della questione, ha mostrato di esplorare una ulteriore, possibile interpretazione della disposizione censurata, con una serie di ordinanze cautelari nelle quali ha diversamente ricostruito le modalità del sindacato giurisdizionale ex art. 3 della legge n. 241 del 1990 sui giudizi valutativi delle prove scritte relative all’abilitazione alla professione forense, «in ragione dell’indirizzo che consente al giudice amministrativo una valutazione sulle manifestazioni di discrezionalità tecnica, così ridimensionando la funzione di strumento di verifica estrinseca dell’operato della p.a. proprio della motivazione»;

che pertanto va confermato il richiamato orientamento di questa Corte, tanto più in presenza delle riportate evoluzioni del panorama giurisprudenziale, che consentono al giudice di adottare una delle (plurime) interpretazioni che ritenga conforme agli invocati parametri costituzionali.

P.Q.M.

La Corte Costituzionale riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), sollevata, in relazione agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con le ordinanze indicate in epigrafe.

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L’ordinanza di rimessione

TAR Puglia-Lecce, sezione prima

Ordinanza 22 settembre 2004 n. 1047

(presidente Ravalli, estensore Palatiello)

Diritto

1. – L’illegittimità dell’impugnato giudizio negativo viene denunciata nel ricorso sotto molteplici profili; ritiene il Collegio che tra questi debba essere prioritariamente definito quello concernete il difetto di motivazione. Ciò in quanto il fine perseguito dalla ricorrente è, insieme alla caducazione degli atti impugnati, la rinnovazione del giudizio sulle sue prove scritte; rispetto a tale obiettivo, la decisione sulla censura relativa al profilo motivazionale risulta centrale, non solo ai fini dell’invocato annullamento del giudizio negativo già formulato (stante il carattere tipicamente assorbente, rispetto alle altre censure, del vizio di carenza di motivazione), ma anche e soprattutto ai fini conformativi dell’attività che la Pubblica Amministrazione sarebbe chiamata a svolgere nell’eventualità di un accoglimento del gravame, essendo evidente che, in tale ipotesi, la Commissione dovrebbe, in diversa composizione, procedere ad un nuovo esame delle prove scritte della ricorrente, fornendo congrua motivazione del nuovo giudizio, esplicitata da significative formule verbali; e ciò a prescindere da eventuali lacune degli elaborati, poiché l’enunciazione, ancorché sintetica, delle ragioni di un giudizio non positivo corrisponde al generalissimo precetto di clare loqui, (costituente di per sé un preminente valore fornito di garanzia costituzionale ex artt. 97 e 2 della Carta Fondamentale), consentendo al candidato un adeguato riscontro tra il contenuto della prova svolta e la sua negativa valutazione: il che può alternativamente condurre ad una consapevole reazione in sede giurisdizionale ovvero all’accettazione dell’esito negativo, visto anche in funzione di aiuto e di indirizzo per le scelte future.

2. – Sostiene, in proposito, la ricorrente che il detto giudizio negativo, espresso esclusivamente in forma numerica, attraverso voti, contrasta con il principio generale enunciato dall’art. 3, comma 1, della Legge 7 agosto 1990, n. 241, a tenore del quale : “ ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.”.

La questione dell’integrale applicabilità della norma citata agli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense è stata oggetto di ripetuto esame da parte del Consiglio di Stato il quale ha elaborato in proposito un orientamento secondo cui, anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 241 del 1990, l’onere di motivazione dei giudizi concernenti prove scritte ed orali di un concorso pubblico o di un esame di abilitazione è sufficientemente adempiuto con l’attribuzione di un punteggio alfanumerico, configurandosi quest’ ultimo come formula sintetica, ma eloquente, che esterna adeguatamente la valutazione tecnica della commissione e contiene in sé la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti. Si è inoltre precisato che l’art. 3, comma 1, della L. n. 241 del 1990 si riferisce all’attività amministrativa provvedimentale e non all’attività di giudizio conseguente a valutazione, quale è, appunto, quella relativa all’attribuzione di un punteggio alla preparazione culturale o tecnica del candidato.

Detti principi possono dirsi assolutamente pacifici nella giurisprudenza del Giudice d’Appello, essendo stati ribaditi, da ultimo, tra le tante, dalle seguenti decisioni: C.d.S., IV Sez., 1 febbraio 2001, n. 367; id. 12 marzo 2001, n. 1366; id. 29 ottobre 2001, n. 5635; id. 27 maggio 2002, n. 2926; id. 1 marzo 2003, n. 1162; id. 8 luglio 2003, n. 4084; id. 17 dicembre 2003, n. 8320; id. 4 maggio 2004, n. 2748; id. 4 maggio 2004, n. 2745; id. 7 maggio 2004, n. 2881; id. 7 maggio 2004, n. 2863; id. 7 maggio 2004, n. 2846; id. 19 luglio 2004, n. 5175). A scalfire tale consolidato orientamento non vale la diversa tesi sostenuta dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato, secondo cui le commissioni esaminatrici, in mancanza di criteri generali di valutazione sufficientemente puntuali ed analitici, sono tenute a rendere percepibile l’ iter logico seguito nell’attribuzione del punteggio, se non attraverso diffuse esternazioni relative al contenuto delle prove, quanto meno mediante taluni elementi che concorrano ad integrare e chiarire la valenza del punteggio, esternando le ragioni dell’apprezzamento sinteticamente espresso con l’indicazione numerica (cfr. Sez. IV, 30 aprile 2003, n. 2331; id. 13 febbraio 2004, n. 558; id. 22 giugno 2004, n. 4409; si veda anche, Cons. Stato, Sez. V, 28 giugno 2004, n. 4782).

Ed invero, a parte il rilievo che nessuna delle pronunce da ultimo citate riguarda l’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, osserva il Collegio che trattasi di precedenti isolati e comunque non univoci, essendo stati smentiti da coeve decisioni della medesima Sezione Sesta (cfr., Sez. VI, 17 febbraio 2004, n. 659); onde, allo stato, non è possibile sostenere un revirement in materia del Consiglio di Stato, come dimostrato anche dalla circostanza che la questione circa la sufficienza del punteggio numerico per gli elaborati relativi alle prove scritte dell’esame di avvocato non è stata deferita all’Adunanza Plenaria ex art. 45, comma 2, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054; di talché deve escludersi che sul punto che qui interessa siano sorti apprezzabili contrasti giurisprudenziali, tali da incrinare il pacifico orientamento di cui si è detto.

Si deve, dunque, riconoscere che, in seno alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, si è affermato il principio per cui l’art. 3, comma 1, della L. n. 241 del 1990 (alla luce del quale vanno interpretate le disposizioni sull’esame di avvocato contenute nel R.D. 22 gennaio 1934, n. 37 e, in particolare, quelle di cui agli artt. 17 bis e 23 che utilizzano il termine “punteggio”) esclude dall’obbligo di puntuale motivazione i giudizi espressi in sede di valutazione delle prove dell’ esame di abilitazione all’esercizio della professione forense; e che tale principio giurisprudenziale si è così stabilmente consolidato da acquisire i connotati del “diritto vivente”, nel senso che le norme suddette vigono nel nostro ordinamento nella versione e con il contenuto precettivo ad esse assegnato dalla su riferita giurisprudenza del Consiglio di Stato, al punto che non ne è ipotizzabile una modifica senza l’intervento del Legislatore o della Corte Costituzionale.
A tale proposito, osserva il Collegio che in data 3 luglio 2001 è stata presentata alla Camera dei Deputati una proposta di legge (contraddistinta dal n. 1160, ed oggi assorbita dall’approvazione del più organico disegno di modifica ed integrazione della L. n. 241 del 1990 di cui al progetto di legge n. 3890 – B) che intendeva modificare il testo del comma 1 dell’art. 3 della Legge n. 241 del 1990 (secondo l’interpretazione offertane dal Consiglio di Stato) in modo da estendere anche alle commissioni di esame per l’abilitazione all’esercizio della professione forense “l’obbligo di motivare per iscritto le valutazioni degli elaborati”; ciò che, evidentemente, conferma la natura di “diritto vivente” acquisita dal su riferito orientamento del Giudice d’Appello.

3. – L’interpretazione del citato art. 3 seguita dal Consiglio di Stato appare sospettabile di illegittimità costituzionale, per cui non resta al Collegio che prospettare ex officio tali dubbi alla Corte Costituzionale, conformemente a quel consolidato indirizzo della giurisprudenza del Giudice delle Leggi, secondo cui, in presenza di un diritto vivente non condiviso dal Giudice a quo perché ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facoltà di optare tra l’adozione, sempre consentita, di una diversa interpretazione, oppure –adeguandosi al diritto vivente- la proposizione della questione davanti alla Corte Costituzionale (cfr., ex plurimis, Corte Cost., sentt. n. 350/1997; 307/1996; 345/1995).
Nel caso in esame il Collegio dubita della conformità a determinate norme costituzionali dell’indirizzo interpretativo dell’art. 3 della Legge n. 241/1990 uniformemente seguito dal Consiglio di Stato in rapporto alla formulazione ed alla motivazione dei giudizi relativi ad esami di abilitazione professionale (con specifico riguardo agli esami per accedere alla professione di avvocato). In particolare tali dubbi si prospettano:

3.1 – in relazione all’art. 3 della Costituzione perché non appare ragionevole, nel contesto della legge generale sul procedimento amministrativo, una disposizione normativa che, mentre consacra il generale principio dell’obbligo di motivazione, tra l’altro facendo specifico riferimento a “lo svolgimento dei pubblici concorsi”, ne esclude, al contempo, l’applicazione a categorie di atti (nella specie i giudizi nell’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense) rispetto ai quali l’esigenza dei destinatari di conoscere, attraverso un’idonea motivazione, le concrete ragioni poste a fondamento della loro adozione non è diversa, né minore di quella dei soggetti interessati agli altri atti e provvedimenti amministrativi; se del caso egualmente esprimenti valutazioni di natura tecnica, sicuramente vincolati all’osservanza della norma, atteso che il diritto alla trasparenza dell’agire amministrativo e la garanzia di effettività del sindacato giurisdizionale non variano certo in funzione della tipologia di atto adottato dalla pubblica amministrazione;

3.2 – in relazione agli art. 24 e 113 della Costituzione; ed invero le valutazioni affidate dalla legge alle commissioni esaminatrici in subiecta materia, si risolvono in una attività che, pur comportando scelte discrezionali su base tecnica, si atteggia non diversamente da qualunque attività valutativa che debba fondarsi su parametri prestabiliti (nel caso di specie di natura giuridica) ed è suscettibile, quindi, di essere sindacata, in sede di legittimità, da parte del Giudice Amministrativo, sia per vizi logici sia per errore di fatto, sia per travisamento dei presupposti, sia per difetto di istruttoria sia, infine, per cattiva applicazione delle regole tecniche di riferimento. Orbene il controllo della ragionevolezza, della coerenza e della logicità delle valutazioni della commissione d’esame risulta precluso (o quanto meno reso sommamente difficoltoso) di fronte al mero dato numerico del voto ed in assenza, quindi, di una sia pur sintetica esternazione delle ragioni che hanno indotto la Commissione alla formulazione di un giudizio di segno negativo, tenuto anche conto dell’estrema genericità che, di prassi, connota i criteri di valutazione che vengono stabiliti dalle commissioni esaminatrici; ne consegue che la tutela così consentita dall’ordinamento all’aspirante avvocato si riduce al solo riscontro di profili estrinseci e formali, quali quelli inerenti al rispetto delle garanzie connesse alla collegialità dell’organo giudicante ed alla sua composizione, con una cospicua riduzione del tasso di effettività della tutela giurisdizionale in sede di giudizio di legittimità davanti al Giudice Amministrativo;

3.3 – in relazione all’art. 97 della Costituzione poiché la sottrazione di una categoria di atti all’obbligo di motivazione appare confliggente sia con il principio di imparzialità (evidentemente meno garantito da un giudizio espresso in forma soltanto numerica), sia con il principio di buon andamento dell’amministrazione, che in un ordinamento modernamente democratico postula anche la piena trasparenza dell’azione amministrativa; né le esigenze di snellezza e di speditezza del procedimento di correzione degli elaborati, pur riconducibili al principio di buon andamento ex art. 97 della Costituzione, possono essere ritenute prevalenti rispetto all’inderogabile necessità di assicurare il più corretto rapporto tra il cittadino e l’amministrazione pubblica, essendo esse diversamente tutelabili attraverso un’ applicazione del principio dell’obbligo di motivazione ragionevole e proporzionata alla tipologia delle prove di esame per l’accesso alla professione forense: ed invero, la mera sottolineatura dei brani censurati o l’indicazione succinta delle parti della prova contenenti lacune, inesattezze o errori non paiono rappresentare, anche nell’esame d’avvocato, solitamente caratterizzato da un elevatissimo numero di candidati, un comportamento inesigibile da parte dei componenti delle (sotto) commissioni giudicatrici.

4. – In subordine, ove si ritenga conforme al dato normativo l’interpretazione dell’art. 3 della Legge n. 241/1990, quale risulta dal “diritto vivente” formatosi attraverso le decisioni del Consiglio di Stato rese sulla questione che riguarda il presente giudizio, il Collegio prospetta l’illegittimità del medesimo art. 3, in rapporto ai parametri costituzionali più sopra richiamati e per le ragioni già illustrate.

5. – Le questioni che precedono appaiono al Collegio non manifestamente infondate e sicuramente rilevanti nel presente giudizio, perché dalla loro risoluzione dipende l’accoglimento o meno del ricorso sotto il denunziato profilo del difetto di motivazione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Prima Sezione di Lecce, visto l’art. 23 della Legge 11 Marzo 1953 n° 87, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sopra illustrate, sospende il giudizio sul ricorso n. 929 del 2003 e ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Dispone che, a cura della Segretaria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Redazione

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