Il Tar Catania sulla mancata partecipazione al procedimento



TAR Sicilia-Catania, sezione I

Sentenza 11 gennaio 2006 n. 14



(presidente Zingales, estensore Messina)

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L’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti che saranno incisi dalla realizzazione dell’opera deve avvenire prima della dichiarazione di pubblica utilità (cfr.: T.a.r. Catania, I sezione, sent. n. 1525/2005; C.S., A.p., n. 14/1999), e ciò per consentire una effettiva tutela delle proprie ragioni ai privati interessati dal procedimento espropriativo.

L’art. 21 octies, 2° comma, della legge n. 241 del 1990, introdotto con recente legge n. 15 del 2005 (art. 14), consente all’amministrazione di far valere – contro la pretesa del privato di veder annullato l’atto per mancata partecipazione al procedimento – la “inevitabilità” dell’assetto di interessi determinato dall’atto stesso (in astratto, ma solo in astratto illegittimo a causa di tale omessa partecipazione), così paralizzandosi la pretesa del ricorrente.

La disposizione, anche se sopravvenuta, è applicabile (in quanto norma processuale) ai giudizi in corso (cfr., per l’applicabilità dello jus superveniens in materia processuale ai giudizi pendenti, C.S., A. p., 14 febbraio 2001, n. 1; T.a.r. Toscana, 8 giugno 2000, n. 1123; C. Conti reg. Sicilia, sez. giurisd., 6 novembre 1995, n. 362; con specifico riferimento all’applicabilità immediata dell’art. 21 octies sopra richiamato, cfr. T.a.r. Liguria, I, 21 aprile 2005, n. 519).

La norma, secondo cui “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, descrive un meccanismo che ha tutte le caratteristiche di una vera e propria eccezione, con la conseguenza che –secondo le ordinarie regole in materia di distribuzione dell’onere della prova- i fatti idonei a paralizzare l’azione devono essere dimostrati dalla parte che li introduce nel giudizio a fondamento dell’eccezione.

Resta dunque nella disponibilità dell’amministrazione la scelta difensiva di andare incontro alla riedizione del procedimento a seguito del probabile annullamento in sede giurisdizionale degli atti impugnati per omessa partecipazione (di correrne il rischio, per così dire), ovvero di tentare di conservare l’azione amministrativa svolta, ove (in mancanza di altri vizi suscettibili di condurre all’annullamento) essa si ritenga in grado di dimostrare l’ininfluenza di una eventuale partecipazione del privato.

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(…)

FATTO E DIRITTO



I. Premesse di fatto



Con il ricorso all’esame e con i successivi atti di motivi aggiunti sono stati impugnati gli atti della procedura ablatoria relativa alla realizzazione, da parte del Comune di Pedara, di una struttura polivalente per attività sportive in area destinata dal PRG vigente ad attrezzature sportive. In detta area ricadrebbero terreni (meglio specificati negli atti di causa) di proprietà della ricorrente , la quale ivi esercita attività vivaistica.

La pubblica utilità, nonché indifferibilità ed urgenza della realizzazione dell’opera in questione è stata dichiarata con deliberazione di Giunta municipale 12/10/2000 n. 244; con deliberazione 17/2/2003 n. 14 la Giunta approvava il progetto esecutivo e fissava i termini per l’inizio e l’ultimazione delle procedure espropriative; con deliberazione 11/12/2003 n. 218 detti termini venivano modificati.

Parte ricorrente veniva resa edotta di tale procedimento e dei relativi atti con avviso di deposito notificato un data 8/7/2004; essa reagiva in via giurisdizionale con il ricorso originario in epigrafe descritto, e deduceva violazione degli artt. 10 e 11 legge n. 865 del 1971 e degli artt. 7 e ss. legge n. 241 del 1990, nonché 8 ss. della legge regionale n. 10 del 1991, eccesso di potere per difetto di istruttoria (primo motivo, riferito alle prime due deliberazioni sopra indicate), ed invalidità derivata (secondo motivo, riferito alla più recente di esse).

Il Comune di Pedara si costituiva in resistenza, ed in primo luogo eccepiva la tardività del gravame con riferimento ai su richiamati provvedimenti deliberativi del 2000 e del febbraio 2003; ciò sul rilievo della piena conoscenza da parte della ricorrente della prima di tali deliberazioni. Tale piena conoscenza sarebbe da ricollegare, secondo parte resistente, alla comunicazione del 13/10/2000, di invito a prendere visione degli atti del procedimento depositati presso l’Ufficio tecnico comunale.

Inoltre, piena conoscenza delle deliberazioni del 2003 si sarebbe poi verificata giusta pubblicazione in GURS 27/7/2004, parte II, n. 9.

In secondo luogo il ricorso sarebbe, secondo parte resistente, infondato, in quanto la ricorrente avrebbe avuto la possibilità di esaminare gli atti del procedimento prima della redazione del progetto esecutivo, sì da presentare le proprie osservazioni, cui è stato dato riscontro.

Con ord. n. 1592/2004 l’istanza cautelare avanzata dalla ricorrente veniva rigettata, per ritenuta fondatezza dell’eccezione di irricevibilità per tardività.

In sede d’appello detta decisione veniva confermata (ord. n. 909/2004).

Con un primo atto di motivi aggiunti parte ricorrente impugnava l’ordinanza di occupazione d’urgenza dell’immobile di sua proprietà e l’avviso di immissione in possesso, meglio indicati in epigrafe; censurava tali atti per violazione dell’art. 1, comma 3, legge n. 1 del 1978, eccesso di potere per carenza dei presupposti, invalidità derivata in relazione alla violazione delle norme sulla partecipazione (primo motivo), eccesso di potere per indeterminatezza delle aree da occupare (secondo motivo), violazione dell’art. 3 della legge n. 1 del 1978 (terzo motivo).

Il Comune di Pedara contestava tutte le deduzioni avversarie.

Con ord. n. 349/2005 veniva rigettata per ritenuta infondatezza delle predette censure l’istanza cautelare avanzata in una ai suddetti motivi aggiunti.

In sede d’appello veniva rilevata la sussistenza del fumus di fondatezza con riferimento alla sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di p.u. originaria, “comportante ex se l’illegittimità dell’impugnato decreto d’occupazione d’urgenza”, e tuttavia non veniva ritenuta sussistente l’estrema gravità ed urgenza di cui all’art. 23 bis, quinto comma, della legge T.a.r.

Con ulteriore atto di motivi aggiunti parte ricorrente impugnava un successivo avviso di immissione in possesso (meglio indicato in epigrafe), deducendo – con unico articolato motivo – le censure di violazione dell’art. 20 legge n. 865 del 1971, eccesso di potere per carenza dei presupposti, invalidità derivata in relazione alla violazione delle norme sulla partecipazione.

Su richiesta della parte ricorrente, il Presidente del T.a.r. Catania concedeva in sede monocratica la tutela cautelare, sospendendo le operazioni di immissione in possesso (D.P. 1161/2005).

Con ord. n. 1420/2005 è stato confermato il predetto D.P., con motivazione basata sul rilievo della inefficacia di una prima dichiarazione di pubblica utilità e della illegittimità di ulteriori deliberazioni non precedute da comunicazione di avvio del procedimento.

Trattenuta la causa in decisione alla pubblica udienza del 11/10/ 2005, è stato pubblicato il dispositivo di sentenza n. 82 del 14/10/2005, ai sensi del comma sesto dell’art. 23 bis legge T.a.r.

II. Esame delle questioni di diritto



Ritiene il collegio di dover seguire l’orientamento già espresso in sede cautelare, in prime cure come in secondo grado, laddove si è sottolineata la rilevanza di due aspetti: da un lato quello dell’inefficacia, sopravvenuta nelle more del giudizio, della dichiarazione di p.u.; dall’altro, quello della mancata comunicazione di avvio del procedimento in relazione agli atti a detta dichiarazione successivi, che vizia tutti gli atti della procedura espropriativa.

E’ appena il caso di osservare che la su rilevata inefficacia comporta l’assorbimento ed il superamento della eccezione di tardività del ricorso introduttivo del giudizio.

In sostanza, la vicenda va così ricostruita:

Alla dichiarazione di p.u. del 12/10/2000 non hanno fatto seguito nel termine triennale di cui all’art. 1, comma 3, della legge n. 1 del 1978, l’inizio e l’ultimazione dell’espropriazione. Né le successive deliberazioni adottate dall’amministrazione avrebbero potuto impedire la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di p.u.; ciò in quanto la deliberazione n. 14/2003, recante approvazione del progetto esecutivo, non costituisce ovviamente effettivo inizio dei lavori, e la deliberazione n. 218/2003, recante nuova e diversa dichiarazione di p.u., è viziata dalla violazione delle garanzie partecipative previste dalla legge generale sul procedimento (241/1990, e, in Sicilia, legge regionale n. 10/1991), nonché dalla legge n. 865/1971 (artt. 10 ss.).

Orbene, con particolare riferimento a tale nuova dichiarazione di p.u. del 2003, osserva il collegio che è pacifico il principio secondo cui l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti che saranno incisi dalla realizzazione dell’opera deve avvenire prima di tale dichiarazione (cfr.: T.a.r. Catania, I sezione, sent. n. 1525/2005; C.S., A.p., n. 14/1999), e ciò per consentire una effettiva tutela delle proprie ragioni ai privati interessati dal procedimento espropriativo.

Quanto al più recente avviso di immissione in possesso, adottato dall’amministrazione dopo la interruzione delle operazioni avviate a seguito di ordinanza di occupazione d’urgenza e relativo primo avviso di immissione in possesso, oggetto del primo atto di motivi aggiunti, deve ritenersi ormai inefficace – come esattamente sostenuto nella prima delle censure dedotte con il secondo atto di motivi aggiunti – l’ordinanza con la quale è stata disposta l’occupazione temporanea e d’urgenza, per mancata esecuzione entro il termine trimestrale fissato dall’art. 20 della legge n. 865/1971.

Vale la pena di dedicare qualche attenzione all’applicabilità alla fattispecie dell’art. 21 octies, 2° comma, della legge n. 241 del 1990, introdotto con recente legge n. 15 del 2005 (art. 14), norma richiamata nelle difese svolte oralmente dall’amministrazione resistente in pubblica udienza, ma che tuttavia nella specie, ad avviso del collegio, non è idonea, per le ragioni che si passa ad esporre, a determinare la infondatezza del gravame, ovvero, a seconda delle ricostruzioni, la inammissibilità di esso (per difetto di interesse a far valere l’astratta violazione delle garanzie partecipative).

L’art. 21 octies, 2° comma, poco oltre riportato consente all’amministrazione, in sostanza, di far valere – contro la pretesa del privato di veder annullato l’atto per mancata partecipazione al procedimento – la “inevitabilità” dell’assetto di interessi determinato dall’atto stesso (in astratto, ma solo in astratto illegittimo a causa di tale omessa partecipazione), così paralizzandosi la pretesa del ricorrente.

La norma, secondo cui “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, descrive un meccanismo che ha tutte le caratteristiche di una vera e propria eccezione, con la conseguenza che – secondo le ordinarie e notissime regole in materia di distribuzione dell’onere della prova –i fatti idonei a paralizzare l’azione devono essere dimostrati dalla parte che li introduce nel giudizio a fondamento dell’eccezione.

Prima di approfondire l’esame dell’appena citata disposizione, emanata in epoca successiva alla proposizione del ricorso in epigrafe, va innanzitutto premesso che, in astratto, essa, in quanto norma processuale, è applicabile al giudizio in questione (cfr., per l’applicabilità dello jus superveniens in materia processuale ai giudizi pendenti, C.S., A. p., 14 febbraio 2001, n. 1; T.a.r. Toscana, 8 giugno 2000, n. 1123; C. Conti reg. Sicilia, sez. giurisd., 6 novembre 1995, n. 362; con specifico riferimento all’applicabilità immediata dell’art. 21 octies sopra richiamato, cfr. T.a.r. Liguria, I, 21 aprile 2005, n. 519).

Sebbene l’art. 21 octies, 2° comma, nulla dica sulla rilevabilità d’ufficio o meno della “inevitabilità” del provvedimento e della speculare “inutilità” della partecipazione, che costituiscono le due facce del medesimo fenomeno (sicché il contenuto dell’atto non sarebbe stato modificabile a causa degli apporti partecipativi dell’interessato, dei quali si assume che sono “inutili” al fine di orientare l’amministrazione nel provvedere), tuttavia, ad avviso del collegio, la natura di eccezione e, soprattutto, l’espresso addossamento dell’onere della relativa prova all’amministrazione resistente (“il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”), fanno propendere per la necessità che sia quest’ultima ad introdurre nel giudizio la questione della inevitabilità del provvedimento ai sensi del ripetuto secondo comma dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990 e successive modificazioni ed integrazioni. Insomma, resta per così dire nella disponibilità dell’amministrazione la scelta difensiva di andare incontro alla riedizione del procedimento a seguito del probabile annullamento in sede giurisdizionale degli atti impugnati per omessa partecipazione (di correrne il rischio, per così dire), ovvero di tentare di conservare l’azione amministrativa svolta, ove (in mancanza di altri vizi suscettibili di condurre all’annullamento) essa si ritenga in grado di dimostrare l’ininfluenza di una eventuale partecipazione del privato.

Tale impostazione è per altro coerente con la funzione della partecipazione, che soddisfa non soltanto interessi dei privati (ad interloquire, rappresentando circostanze e osservazioni, prima dell’emanazione del provvedimento finale, orientandone il contenuto in senso a loro favorevole), bensì anche interessi pubblici, quale quello specifico dell’amministrazione procedente alla composizione anticipata, in sede procedimentale, dei possibili conflitti giuridicamente rilevanti suscettibili di sfociare in controversie giudiziarie, e quello generale (della collettività intera) ad evitare le conseguenze indirette ma pesanti delle soluzioni giudiziarie dei conflitti, ovvero gli esborsi di denaro anche pubblico, l’inceppamento della macchina giudiziaria, le stasi del procedimento e i rifacimenti dello stesso ogni qual volta si pervenga a decisioni giurisdizionali di annullamento.

Tutto ciò premesso a fini di chiarezza del quadro di riferimento, occorre tuttavia rilevare che nella fattispecie in esame la su richiamata disposizione non è in grado di spiegare alcun effetto, in quanto essa non è stata adeguatamente invocata dall’amministrazione.

Non solo parte resistente non ha sollevato l’eccezione di cui all’art. 21 octies, 2° comma, più volte citato negli scritti difensivi, facendone soltanto oggetto di rilievi in sede di discussione orale in pubblica udienza, ma – quel che più conta – non ha fornito alcuna concreta prova della impossibilità di disporre diversamente degli interessi in gioco, che, come s’è detto, costituisce l’unica via consentita per accertare la superfluità della partecipazione del privato, e, nella specie, della partecipazione della ricorrente, proprietaria dell’area, ai fini dell’adozione dei provvedimenti impugnati.

Tale prova avrebbe dovuto riguardare la inesistenza di altre aree, di proprietà della stessa ricorrente ma diverse da quella su cui insiste il vivaio di cui essa si occupa, ovvero di proprietà di altre ditte, idonee alla realizzazione dell’opera pubblica di cui trattasi.

In mancanza di ciò, deve ritenersi che la partecipazione della ricorrente avrebbe consentito (e potrà consentire nella futura azione amministrativa) di trovare un assetto di interessi soddisfacente per tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti.

Pertanto, conclusivamente, attesa la fondatezza delle doglianze con cui nei diversi atti di impugnazione proposti da parte ricorrente è stata fatta valere la violazione delle norme sulla partecipazione (primo motivo del ricorso introduttivo, e, in termini di invalidità derivata, secondo motivo del medesimo ricorso nonché primo di entrambi i motivi aggiunti), ed attesa altresì l’inefficacia sopravvenuta della originaria dichiarazione di p.u. – che già ex se priva di fondamento tutti gli atti ad essa successivi – ed assorbite le ulteriori censure, vanno accolti sia il ricorso originario sia i motivi aggiunti successivamente proposti, e per l’effetto vanno annullati tutti gli atti della procedura espropriativa in questione, salvi gli ulteriori motivati e legittimi provvedimenti che potranno sempre essere adottati nell’ambito di un nuovo procedimento conforme alla legalità ed ai principi statuiti con la presente decisione.

Appare tuttavia equo, tenuto conto di tutte le circostanze, compensare integralmente le spese e gli onorari di giudizio.

P.Q.M.



Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania (sez. I) – accoglie il ricorso ed i motivi aggiunti in epigrafe, come precisato in motivazione, per l’effetto annullando gli atti impugnati, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione conformi all’ordinamento ed ai principi statuiti nella presente decisione.

Redazione

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