Approvata in prima lettura la Direttiva servizi

Dal sito del Parlamento europeo:

“Il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza, in prima lettura, la direttiva relativa ai servizi nel mercato interno.

Si tratta, allo stato, di una prima lettura (che dovrà ora essere vagliata da Commissione e Consiglio) di uno dei testi di maggiore importanza per l’UE, avente l’obiettivo di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi (salvi i diritti sociali dei lavoratori previsti dalle legislazioni nazionali).



Lo scopo della direttiva è di realizzare un vero mercato interno dei servizi stabilendo un quadro giuridico volto a eliminare, da un lato, gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi e, dall’altro, le barriere alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri.

Secondo il Parlamento europeo è sì importante realizzare un mercato unico dei servizi ma, contemporaneamente, è anche necessario mantenere «un equilibrio tra apertura dei mercati, servizi pubblici, nonché diritti sociali e del consumatore».



Oggetto della direttiva



La direttiva «si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro».



Essa intende stabilire le disposizioni generali che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori di servizi nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi.

Esclusioni

L’elenco delle attività escluse è particolarmente ampio.

La direttiva «non riguarda la liberalizzazione dei servizi di interesse economico generale, né la privatizzazione di enti pubblici che prestano tali servizi».

Essa non intende pregiudicare le misure adottate a livello comunitario o nazionale volte a tutelare o a promuovere la diversità culturale o linguistica o il pluralismo dei media, così come non incide sul diritto del lavoro e, in particolare, sulle disposizioni relative «ai rapporti tra le parti sociali, compresi il diritto di svolgere un’azione sindacale e il diritto a contratti collettivi». Infine, la presente vigenti negli Stati membri.



La direttiva poi, non riguarda l’abolizione dei monopoli che forniscono servizi (come ad esempio le lotterie o taluni servizi di distribuzione), né gli aiuti concessi dagli Stati membri in base alle norme europee sulla concorrenza. La direttiva, infine, non incide sulla libertà degli Stati membri di definire, conformemente al diritto comunitario, quelli che essi considerano servizi d’interesse economico generale, né di determinare le modalità di organizzazione e di finanziamento di tali servizi e gli obblighi specifici cui essi devono sottostare.



Il provvedimento non vuole incidere nemmeno sulle norme penali degli Stati membri (che non devono essere oggetto di abuso per aggirare le disposizioni della direttiva), né sui servizi che perseguono un obiettivo nel settore dell’assistenza sociale, come quelli destinati alle famiglie e ai bambini nonché i servizi di istruzione e culturali che tipicamente perseguono obiettivi sociali oppure il sostegno per gli alloggi sociali. Parimenti, non sono messe in discussione le legislazioni in materia di sicurezza sociale degli Stati membri.



E’ anche precisato che la direttiva non si applica e non pregiudica il diritto del lavoro e, in particolare, le disposizioni relative ai rapporti tra le parti sociali, compresi il diritto di svolgere un’azione sindacale e il diritto a contratti collettivi, né le disposizioni nazionali in materia di previdenza sociale vigenti negli Stati membri. In particolare, deve essere pienamente rispettato il diritto di negoziare, concludere, estendere e applicare i contratti collettivi, e il diritto di sciopero. La direttiva, inoltre, non riguarda i servizi pubblici sanitari e l’accesso al finanziamento pubblico da parte dei prestatori di cure sanitarie.



La direttiva, è infine specificato, non deve essere interpretata in modo tale da recare pregiudizio all’esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti dagli Stati membri e della Carta europea.



Essa non sarà applicata ai servizi d’interesse generale «quali definiti dagli Stati membri», a meno che, è spiegato in un considerando, non si tratti di attività economiche «aperte alla concorrenza», ossia alla cui fornitura partecipano anche imprese private.

Sono anche esclusi i servizi sociali come l’edilizia sociale, l’assistenza ai figli e i servizi alla famiglia. Considerando le attività sportive senza scopo di lucro di notevole importanza sociale, i deputati ritengono che esse non debbano essere considerate un’attività economica e, pertanto, non rientrano nel campo d’applicazione della direttiva.



In merito all’esclusione dei “servizi finanziari”, il Parlamento specifica che la direttiva non si applica ai «servizi di natura bancaria, creditizia, assicurativa» né ai «servizi pensionistici professionali o individuali, di investimento o di pagamento». E’ poi confermata l’esclusione dei servizi e delle reti di comunicazione elettronica. I deputati mantengono l’esclusione dei servizi di trasporto, compresi i trasporti urbani, portuali, i taxi e le ambulanze e, in un considerando precisano che sono invece inclusi nel campo d’applicazione della direttiva il trasporto di fondi e di salme, «visto che in tale ambito sono stati identificati problemi di mercato interno». L’elenco dei servizi esclusi è poi allungato con i servizi giuridici già disciplinati da altri strumenti comunitari e con i servizi medico-sanitari, prestati o meno nel quadro di una struttura sanitaria. Riguardo a questi ultimi, è inoltre precisato che comprendono anche quelli farmaceutici e che tali servizi devono essere forniti ai pazienti da professionisti qualora queste attività sono professioni regolamentate negli Stati membri in cui è prestato il servizio.



Nel ritenere che svolgono «un ruolo fondamentale in sede di formazione delle identità culturali e delle opinioni pubbliche europee», il Parlamento esclude esplicitamente i servizi audiovisivi, a prescindere dal modo di produzione, distribuzione e trasmissione, inclusi i servizi radiofonici e cinematografici. Per i deputati, infatti, la salvaguardia e la promozione della diversità e del pluralismo culturali «postulano misure particolari in grado di tener conto delle specifiche situazioni regionali e nazionali».



Non sono comprese nel campo d’applicazione nemmeno le attività di giochi d’azzardo, inclusi i giochi con poste in denaro, le lotterie, i casinò e le transazioni relative a scommesse. Tale esclusione è anche giustificata dai deputati dalla totale impossibilità di attuare una concorrenza transfrontaliera leale tra gli operatori europei senza trattare – in parallelo o preventivamente – le questioni di coerenza della fiscalità fra gli Stati membri.



Inoltre, sono escluse le professioni e le attività «associate permanentemente o temporaneamente all’esercizio dei poteri pubblici in uno Stato membro», in particolare la professione di notaio. I deputati, poi, escludono del tutto i servizi fiscali dal campo d’applicazione della direttiva, mentre la Commissione prevedeva una serie di eccezioni.

Il Parlamento prevede anche l’esclusione delle agenzie di lavoro interinale, dei servizi di sicurezza e segnala quindi la necessità di armonizzare pienamente le norme sullo stabilimento per definire un quadro legale in merito all’attuazione del mercato interno in questi settori.



L’esclusione degli obblighi contrattuali ed extracontrattuali dal campo d’applicazione della direttiva comporterà che i consumatori beneficeranno in ogni caso della tutela riconosciuta loro dalla normativa in materia, nel proprio Stato membro.



Libertà di presentazione di servizi e principio del paese d’origine




Cancellato del principio del paese d’origine.



Gli Stati membri devono «rispettare il diritto dei prestatori di servizi» di operare in uno Stato membro diverso da quello «in cui hanno sede», e devono assicurare il libero accesso a un’attività di servizio e il libero esercizio dell’attività di servizio sul proprio territorio. Inoltre, gli Stati membri non devono ostacolare la prestazione di servizi sul loro territorio imponendo requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati.

La discriminazione, in particolare, non deve essere fondata sulla cittadinanza o sulla sede sociale.

I requisiti, poi, sono ritenuti giustificati solamente per motivi di pubblica sicurezza, protezione dell’ambiente e della salute.



Il compromesso, inoltre, elenca una lunga serie di requisiti non giustificati.

In particolare, sono considerati incompatibili con la libertà di prestazione dei servizi:

– gli obblighi di stabilirsi sul territorio dove si presta il servizio;

– gli obblighi di ottenere un’autorizzazione, inclusa la registrazione in un albo professionale (salve le eccezioni contenute in norme comunitarie);

– gli obblighi al prestatore di aprire un ufficio o una sede sul proprio territorio oppure di possedere un documento d’identità emesso dalle autorità locali;

– i divieti al prestatore di ricorrere a materiali o attrezzature «che costituiscono parte integrante della prestazione del servizio».



Queste disposizioni non ostano a che gli Stati membri in cui è prestato un servizio impongano requisiti specifici giustificati con motivi di politica pubblica, di politica di sicurezza, di protezione dell’ambiente e di salute pubblica. Lo stesso vale per quanto riguarda le condizioni di assunzione, inclusi gli accordi collettivi. 



Entro cinque anni dall’entrata in vigore della direttiva, e previa consultazione degli Stati membri e delle parti sociali, la Commissione dovrà presentare una relazione sull’applicazione di queste disposizioni in cui dovrà essere esaminata la necessità di proporre misure di armonizzazione per le attività di servizio rientranti nel campo d’applicazione della direttiva.



Le deroghe



Il Parlamento precisa che le disposizioni previste dall’articolo relativo alla libertà di prestazione dei servizi non si applicano ai servizi di interesse economico generale forniti in un altro Stato membro, come ad esempio, ai servizi postali (coperti dalla direttiva 97/67/CE), ai servizi di trasmissione, distribuzione e fornitura di energia elettrica (direttiva 2003/54/CE ), ai servizi di trasmissione, distribuzione e di fornitura e stoccaggio di gas (direttiva 2003/55/CE), ai servizi di distribuzione e di fornitura idrica e ai servizi di gestione delle acque reflue e al trattamento dei rifiuti.



Una deroga generale vale anche per le materie disciplinate dalle direttive sul distacco dei lavoratori e per le disposizioni che determinano la legislazione applicabile in materia di lavoratori subordinati, per il controllo legale dei conti, per le spedizioni di rifiuti nonché per le attività di recupero giudiziario dei crediti.



La deroga, inoltre, rimane applicata alle disposizioni della direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali, compresi i requisiti fissati dagli Stati membri (dove il servizio è prestato) che riservano un’attività ad una particolare professione.



Gli Stati membri dunque potranno continuare ad applicare le norme che riservano alcune attività a particolari professioni, tra cui le consulenze giuridiche agli avvocati.

La deroga è valida anche per tutte le disposizioni di diritto internazionale privato, in particolare quelle relative al trattamento dei rapporti obbligatori contrattuali e extracontrattuali, compresa la forma dei contratti.



Controlli consentiti



Lo Stato membro di destinazione ha la facoltà di adottare delle misure di controllo al fine di garantire che il prestatore si conformi al proprio diritto nazionale per quanto riguarda l’esercizio della sua attività. Lo Stato membro può quindi procedere alle verifiche, ispezioni e indagini necessarie per controllare il servizio prestato, comprese quelle richieste dallo Stato membro di primo stabilimento Qualora lo Stato membro di destinazione constati che il prestatore di servizi non ha rispettato i propri obblighi, esso può obbligare il prestatore di servizi a depositare una cauzione oppure applicargli misure intermedie. La cauzione può essere utilizzata per l’esecuzione di decisioni e di sentenze di carattere amministrativo, civile e penale.



Restrizioni vietate



Gli Stati membri non possono imporre requisiti che limitano a un destinatario l’utilizzazione di un servizio fornito da un prestatore stabilito in un altro Stato membro. Non possono quindi imporre l’obbligo di ottenere un’autorizzazione dalle autorità competenti o di effettuare una dichiarazione presso di esse. Non è nemmeno possibile limitargli le possibilità di detrazione fiscale o la concessione di aiuti finanziari a causa del fatto che il prestatore è stabilito in un altro Stato membro o in funzione del luogo di esecuzione della prestazione. Infine, è vietato l’assoggettamento del destinatario ad imposte discriminatorie o sproporzionate sull’attrezzatura necessaria per ricevere un servizio a distanza proveniente da un altro Stato membro.



La risoluzione di conflitti con altre norme comunitarie

In caso di conflitto tra le disposizioni della direttiva e altre normative comunitarie che disciplinano aspetti specifici dell’accesso all’attività di un servizio e del suo esercizio in settori specifici o per professioni specifiche, «prevalgono e si applicano a tali settori o professioni specifiche» le normative comunitarie speciali.

Norme sociali per il distacco dei lavoratori



La direttiva non concerne le condizioni di lavoro e di occupazione che si applicano ai lavoratori distaccati per prestare un servizio nel territorio di un altro Stato membro. In tali casi, è precisato, la direttiva 96/71/CE prevede che i prestatori dei servizi debbano conformarsi alle condizioni di occupazione applicabili, in alcuni settori elencati, nello Stato membro in cui viene prestato il servizio. Tra tali condizioni figurano: periodi massimi di lavoro e minimi di riposo, durata minima delle ferie annuali retribuite, tariffe minime salariali, condizioni di cessione temporanea dei lavoratori, salute, sicurezza e igiene sul lavoro, provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti, puerpere, bambini e giovani, parità di trattamento tra uomo e donna nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione.



Si aggiunge che ciò non riguarda solo le condizioni di occupazione stabilite per legge, ma anche quelle stabilite in contratti collettivi o sentenze arbitrali.

La direttiva, infine, non dovrebbe impedire agli Stati membri di applicare condizioni di lavoro e condizioni di occupazione a questioni diverse da quelle elencate nella direttiva 96/71/CE per motivi di ordine pubblico.



Alcune definizioni fondamentali contenute nella proposta di direttiva



– Servizio

E’ qualsiasi attività economica non salariata «fornita normalmente dietro retribuzione, la quale costituisce il corrispettivo economico della prestazione in questione ed è di norma convenuta tra prestatore e destinatario del servizio».

La retribuzione è assente nelle attività svolte dallo Stato o da un’autorità regionale o locale, in campo sociale, culturale e giudiziario e, pertanto, non rientrano in tale definizione i corsi impartiti nell’ambito della pubblica istruzione da istituti pubblici e privati o la gestione dei regimi di previdenza sociale non impegnati in attività economiche.



– Servizi d’interesse economico generale

Sono quelli qualificati in quanto tali dallo Stato membro e che sono soggetti a specifici obblighi di servizio pubblico imposti al prestatore di servizi dallo Stato membro interessato al fine di rispondere a determinati obiettivi di interesse pubblico.




– Prestatore

E’ qualsiasi persona fisica, avente la cittadinanza di uno Stato membro, o qualsiasi persona giuridica, stabilita in conformità con la legge di detto Stato membro, che offre o fornisce un servizio.

Per evitare il ricorso a società di facciata, sono poi specificati i criteri per poter considerare un’impresa come “stabilita”: occorre esercitare effettivamente un’attività economica a tempo indeterminato mediante un’installazione stabile e con un’adeguata infrastruttura a partire dalla quale viene effettivamente offerto un servizio.

Una semplice casella postale, quindi, «non costituisce uno stabilimento».



– Stato membro di destinazione

E’ il paese in cui un servizio è fornito ed eseguito «su base transfrontaliera in modo saltuario» da un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro.




Semplificazione amministrativa

La direttiva prevede una serie di misure volte ad agevolare la prestazione di servizi transfrontalieri, eliminando regimi, procedure e formalità di autorizzazione eccessivamente onerosi «che ostacolano la libertà di stabilimento e la creazione di nuove società di servizi». 



Più in particolare, è chiesto agli Stati membri, d’intesa con la Commissione, di introdurre, se necessario e possibile, moduli europei armonizzati, equivalenti ai certificati, agli attestati e ad altri documenti in materia di stabilimento che sanciscono il rispetto di un requisito nello Stato membro di destinazione.

D’altra parte, gli Stati membri che chiedono ad un prestatore o ad un destinatario di fornire un qualsiasi documento attestante il rispetto di un particolare requisito, dovranno accettare i documenti rilasciati da un altro Stato membro che abbiano valore equivalente o dai quali risulti che il requisito in questione è rispettato.

Di norma, inoltre, non potranno imporre la presentazione di documenti rilasciati da un altro Stato membro sotto forma di originale, di copia conforme o di traduzione autenticata.



Tre anni dopo l’entrata in vigore della direttiva, gli Stati membri dovranno istituire un punto di contatto denominato “sportello unico” che dovranno essere coordinati dalla Commissione attraverso uno sportello europeo.

In queste strutture, ogni prestatore di servizi potrà espletare una serie di procedure e formalità necessarie per poter svolgere le attività di servizio di sua competenza – come dichiarazioni, notifiche o domande di autorizzazione presso le autorità competenti, comprese le domande di iscrizione in registri, ruoli, banche dati, o ordini professionali – oppure inoltrare le domande di autorizzazione necessarie all’esercizio delle attività di servizio di sua competenza.



Attraverso gli sportelli unici, inoltre, gli Stati membri dovranno garantire ai prestatori e ai destinatari di prendere agevolmente conoscenza di una serie di informazioni relative alle procedure e alle formalità, alle coordinate delle autorità competenti, alle condizioni di accesso ai registri e alle banche dati pubblici, nonché alle informazioni concernenti le possibilità di ricorso disponibili e gli estremi delle associazioni presso le quali possono ricevere assistenza.

Dopo tre anni dall’entrata in vigore della direttiva – e non entro il 31 dicembre 2008 come proposto dalla Commissione – tutte le procedure e le formalità dovranno poter essere espletate anche a distanza e per via elettronica.



Libertà di stabilimento

La direttiva prevede anche una semplificazione delle procedure di autorizzazione per l’accesso alle attività di servizi e il loro esercizio.



Gli Stati membri possono prevedere un regime di autorizzazione, se:

– ciò non comporti una discriminazione nei confronti del prestatore;

– l’obiettivo perseguito non possa essere conseguito tramite una misura meno restrittiva;

– la sua necessità sia giustificata da «motivi imperativi di interesse generale».

Con quest’ultima nozione i deputati intendono, tra gli altri, la protezione della politica pubblica, l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica e la sanità pubblica. Ma anche il mantenimento dell’equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale, «compreso il mantenimento di servizi medici equilibrati e accessibili a tutti», la tutela dei consumatori, dei destinatari di servizi e dei lavoratori, l’equità delle transazioni commerciali e la lotta alla frode. E ancora la tutela dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano, la salute degli animali, la proprietà intellettuale, la conservazione del patrimonio nazionale storico ed artistico od obiettivi di politica sociale e di politica culturale.



I regimi di autorizzazione, d’altra parte, devono basarsi su criteri che inquadrino l’esercizio del potere di valutazione da parte delle autorità competenti «affinché non sia utilizzato in modo arbitrario o discrezionale». Più in particolare, i criteri devono essere non discriminatori, giustificati da un motivo imperativo di interesse generale e ad esso commisurati, precisi e inequivocabili, oggettivi, resi pubblici in precedenza e, hanno aggiunto i deputati, trasparenti e accessibili.

L’autorizzazione che, in principio, ha durata illimitata, deve permettere al prestatore di accedere all’attività di servizio o di esercitarla su tutto il territorio nazionale, anche mediante l’apertura di agenzie, di succursali, di filiali o di uffici. Ciò non vale nei casi in cui un motivo imperativo di interesse generale giustifichi la necessità di un’autorizzazione specifica per ogni installazione o di un’autorizzazione limitata ad una specifica parte del territorio nazionale.



Gli Stati membri, inoltre, non potranno subordinare l’accesso ad un’attività di servizi e il suo esercizio sul loro territorio al rispetto di una serie di requisiti fondati, ad esempio, sulla nazionalità del prestatore o del suo personale o sulla sede della società. Non si potrà neanche ricorrere al divieto di essere stabilito in diversi Stati membri o di essere iscritto nei registri o nell’albo professionale di diversi Stati membri. Oppure, non si potrà imporre l’obbligo di presentare una garanzia finanziaria o di sottoscrivere un’assicurazione presso un prestatore o presso un organismo stabilito sul territorio degli Stati membri in questione, né quello di essere già stato iscritto per un determinato periodo nei registri degli Stati membri in questione o di aver esercitato in precedenza l’attività sul loro territorio per un determinato periodo”.

(Parlamento europeo, 16 febbraio 2006)

Redazione

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