L’Amministrazione statale non può sostituire la propria valutazione tecnico-discrezionale a quella effettuata dal Comune; il quale, in sede di rilascio del nulla osta paesaggistico, quale sub-delegato regionale, ha ritenuto l’insussistenza di pregiudizio alla conservazione delle caratteristiche ambientali dei luoghi interessati dall’intervento.
Lo ha deciso il Consiglio di Stato, con sentenza della sesta sezione, numero 207 del 2006, confermando la sentenza di primo grado del Tar Abruzzo-Pescara.
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Consiglio di Stato, VI sezione, sentenza numero 207/2006
(presidente Giovannini, estensore Volpe)
[Conferma Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, 7 settembre 2004, n. 806]
(…)
FATTO E DIRITTO
1. Il signor Mario Farina, con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, impugnava i seguenti atti:
a) decreto del Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio per l’Abruzzo di L’Aquila in data 18 dicembre 2003, con cui è stato annullato il nulla osta n. 22513 in data 1° ottobre 2003, rilasciato dal dirigente dell’area urbanistica del Comune di Pescara per la ristrutturazione, con demolizione e ricostruzione, di un edificio sito in Pescara viale Primo Vere n. 13;
b) nota del soprintendente della detta Soprintendenza n. 26423 in data 19 dicembre 2003, di trasmissione del citato decreto;
c) provvedimento del dirigente dell’area urbanistica del Comune di Pescara n. 1 in data 2 gennaio 2004, relativo alla sospensione dei lavori assentiti con il permesso di costruire n. 403 in data 12 novembre 2003.
Il signor Farina chiedeva anche il risarcimento dei danni conseguenti agli atti impugnati.
Nella specie, i lavori di ristrutturazione erano stati iniziati il 17 novembre 2003, con la demolizione dell’edificio preesistente.
Il primo giudice, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto il ricorso, ma ha respinto la domanda risarcitoria. Ha ritenuto la fondatezza del terzo motivo, per avere l’amministrazione compiuto un’inammissibile riesame nel merito in quanto ha sovrapposto e ha sostituito la propria valutazione tecnico-discrezionale a quella effettuata dal Comune, sub delegato regionale, in sede di rilascio del nulla osta paesaggistico.
2. La sentenza viene appellata dal Ministero per i beni e le attività culturali e dalla Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio per l’Abruzzo di L’Aquila, per i seguenti motivi:
1) non vi sarebbe stato un riesame nel merito;
2) nella specie non si tratterebbe di ristrutturazione, ma della realizzazione di un edificio del tutto diverso, per sagoma e volume, rispetto a quello preesistente;
3) il nulla osta annullato con il decreto impugnato sarebbe stato privo di motivazione e la realizzazione delle opere sarebbe incompatibile con i valori paesistici tutelati dal vincolo esistente sulla zona;
4) l’intervento autorizzato inciderebbe su edifici degli anni venti, tutelati anche dal punto di vista urbanistico.
Il signor Farina si è costituito in giudizio resistendo al ricorso in appello. Italia Nostra è intervenuta ad adiuvandum degli appellanti.
Il signor Farina ha prodotto memoria deducendo, tra l’altro, l’inammissibilità e la tardività dell’intervento proposto da Italia Nostra.
La sezione, con ordinanza 27 giugno 2005, n. 3418, ha disposto incombenti istruttori, che sono stati adempiuti.
Le parti hanno prodotto memorie (il signor Farina in numero di due) con le quali hanno ulteriormente illustrato le rispettive difese.
3.1. Il ricorso in appello è infondato. Conseguentemente, può prescindersi dall’esame delle questioni inerenti l’ammissibilità e la tempestività dell’intervento ad adiuvandum proposto da Italia Nostra.
La questione per cui è causa attiene alla legittimità del suindicato decreto soprintendentizio, con il quale è stato annullato il provvedimento del Comune di Pescara che aveva autorizzato il signor Farina a realizzare la ristrutturazione, con demolizione e ricostruzione, di un suo fabbricato sito in Pescara, viale Primo Vere.
Il fabbricato si trova in una zona del Comune di Pescara dichiarata di notevole interesse pubblico con decreto ministeriale (d.m.) 13 maggio 1965. L’adozione di tale decreto era così motivata: “…la zona proposta per l’ampliamento del vincolo già esistente ha notevole interesse pubblico perché presenta una grande importanza panoramica e paesistica per il susseguirsi di incantevoli quadri naturali costituiti da impareggiabili arenili, nonché per i numerosissimi punti di belvedere aperti al pubblico dai quali può godersi lo spettacolo di quelle bellezze e dei meravigliosi e talora estesissimi panorami sul mare, sugli arenili e sui frastagliati e pittoreschi profili costieri”.
Il decreto soprintendentizio impugnato in primo grado è stato così motivato:
a) esistenza del vincolo di cui al citato d.m. 13 maggio 1965 posto per i motivi di cui sé detto;
b) la zona è classificata dal piano territoriale paesistico vigente quale A1 (conservazione integrale);
c) l’area ricade in area sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 146, comma 1, lett. a), del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490;
d) “nell’intervento in questione la diversità della conformazione planivolumetrica altera le caratteristiche paesaggistiche ed ambientali preesistenti” e “il panorama edilizio preesistente è stato realizzato secondo tecniche costruttive di tipo tradizionale con qualità formali tipicizzate realizzate in una fase storica e pianificate dallo strumento urbanistico degli Anni Venti che prevedeva l’espansione dell’abitato di Pescara verso sud”;
e) il provvedimento comunale di autorizzazione “comporterebbe la realizzazione di opere non compatibili con le imprescindibili esigenze di tutela e conservazione dei valori paesistici riconosciuti dal decreto ministeriale del 13/5/1965 esigenze che rappresentano, come è noto la ragione costitutiva del vincolo stesso”;
f) l’autorizzazione comunale in esame “attua una inammissibile deroga al vincolo stesso”;
g) la medesima autorizzazione comunale è viziata da “eccesso di potere e da violazione di legge perché in contrasto con le disposizioni normative sopracitate”.
3.2. La sezione ritiene, innanzitutto, che il vincolo di cui al citato d.m. 13 maggio 1965 non sia stato imposto a protezione degli edifici risalenti agli anni venti esistenti sul viale Primo Vere di Pescara, ma per la particolare bellezza naturale del sito e per i vari punti di belvedere aperti al pubblico dai quali si possono godere i panorami sul mare, sugli arenili e sui profili costieri. Non è stato protetto il panorama edilizio preesistente, che, semmai, può avere rilievo solo nel garantire il punto di belvedere, ossia che la costruzione non ostruisca o limiti la vista delle bellezze del sito.
Quanto poi allo stato di fatto (anche costruttivo) del litorale e dei luoghi interessati dall’intervento edilizio per cui è causa, dalla documentazione in atti e da quella acquisita a seguito della disposta istruttoria, può dedursi che il litorale, nella zona in cui si trova la proprietà del signor Farina, risulta completamente edificato e che su di esso si trovano diversi edifici di realizzazione moderna, mentre pochi sono quelli risalenti agli anni venti e ancora esistenti.
La sezione ritiene, inoltre, che le diversità costruttive della realizzazione edilizia di cui trattasi rispetto all’edificio preesistente non alterino la bellezza della zona, in considerazione sia della situazione dei luoghi esistente al momento dell’emanazione del decreto impugnato sia delle ragioni alla base del vincolo imposto con il d.m. 13 maggio 1965. Così che l’opera non appare incompatibile con la salvaguardia dei valori paesistici protetti dal vincolo, che non sono gli edifici degli anni venti; conseguentemente, non sussistono i vizi di eccesso di potere e di violazione di legge rilevati dal contestato decreto soprintendentizio.
La sezione, quindi, concorda con quanto statuito dal primo giudice, nel senso che l’amministrazione statale non poteva sostituire la propria valutazione tecnico-discrezionale a quella effettuata dal Comune; il quale, in sede di rilascio del nulla osta paesaggistico, aveva ritenuto, anche se con motivazione stringata, l’insussistenza di alcun pregiudizio alla conservazione delle caratteristiche ambientali dei luoghi interessati dall’intervento.
3.3. Con riguardo all’ulteriore circostanza dedotta dagli appellanti, secondo cui, nella specie, non si tratterebbe di ristrutturazione bensì della realizzazione di un edificio del tutto diverso, per sagoma e volume, di quello preesistente, si tratta di motivazione ulteriore rispetto al contenuto del decreto impugnato in primo grado. Così che la circostanza non è in grado di integrare la motivazione del decreto stesso.
4. Il ricorso in appello, pertanto, deve essere respinto. Gli ulteriori motivi addotti da Italia Nostra non possono essere esaminati, dato che ad un atto di intervento ad adiuvandum non è consentito ampliare il tema del decidere così come delimitato dal ricorso in appello.
Depositata il 24 gennaio 2006.