Il Consiglio di Stato, riunito in Adunanza Plenaria, chiarisce che la “legalizzazione” di
situazioni
di
lavoro irregolare verificatesi nei tre mesi antecedenti alla data del 10 settembre
2002,
ossia
la regolarizzazione di un rapporto di lavoro dipendente già instaurato,
può trovare corretta applicazione soltanto nei casi in cui l’attività lavorativa
in parola, avendo avuto almeno la durata minima di un trimestre, fissata dalla
norma di legge, risulti “idonea ad offrire un sufficiente affidamento per
la esistenza di un serio impegno lavorativo e la effettiva prosecuzione e la
possibile
successiva
stabilizzazione del rapporto, apparendo chiaramente estranea alle finalità delle
norme in parola quella di assecondare iniziative concernenti situazioni le quali,
per la scarsa durata e per la conseguente precarietà che le caratterizza,
possono rappresentare la dissimulazione di un rapporto fittizio o sorto unicamente
per la sola finalità della regolarizzazione”.
La Sesta Sezione del Consiglio di Stato, che aveva rimesso la questione all’Adunanza
Plenaria, aveva al contrario espresso l’avviso
che, in base al tenore letterale della norma ed alle finalità specifiche
della stessa, “il periodo di tre mesi indicato dalla legge, per consentire
la regolarizzazione,
debba
essere
considerato come mero riferimento al lasso temporale nell’ambito del
quale il lavoro, di qualsiasi durata, sia stato effettivamente svolto, ancorché avviato
dopo l’inizio del trimestre”.
(art. 1 del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195
(convertito dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222), e art.
33 della legge 30 luglio 2002, n. 189 )
. . . .
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria
Sentenze
31 marzo 2006, numeri 4 e 5
(presidente De Roberto, estensore Lodi)
(…)
FATTO
Con provvedimento n. 7179/Z del 17 novembre 2003 il Prefetto della provincia
di Padova respingeva la domanda di regolarizzazione e di rilascio del conseguente
permesso di soggiorno al cittadino extracomunitario X. M., presentata
ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 9 settembre 2002, convertito in
legge 9 ottobre 2002, n. 222.
Dalla documentazione in atti emerge che il diniego era dovuto alla insussistenza
del rapporto di lavoro nell’intero trimestre antecedente alla data di entrata
in vigore del citato decreto-legge, essendo il predetto entrato in Italia in
data 5 luglio 2002, successiva al 10 giugno 2002.
Con l’impugnata sentenza n. 3797/2004 il T.A.R. per il Veneto aveva accolto
il ricorso aderendo all’indirizzo giurisprudenziale che richiede, ai fini della
regolarizzazione, il requisito della prestazione dell’attività di lavoro
nel trimestre antecedente all’entrata in vigore della normativa in questione,
ma non necessariamente per tutti e tre i mesi, come potrebbe evincersi dalla
stessa dizione letterale della norma e da una sua interpretazione logico-sistematica.
Il Ministero dell’interno ha proposto appello contestando le argomentazioni
poste a base della decisione impugnata e sostenendo che, sulla base della giurisprudenza
del Consiglio di Stato, la regolarizzazione dei cittadini comunitari, ai sensi
della normativa di cui sopra, sarebbe possibile solo in presenza di una effettiva
occupazione durante l’intero periodo preso a riferimento dal legislatore
(10 giugno – 10 settembre 2002).
L’appellato non si è costituito in giudizio.
Con ordinanza n. 6518/05 del 22 novembre 2005, la Sezione Sesta di questo
Consiglio di Stato, tenuto conto degli opposti orientamenti giurisprudenziali
registratisi al riguardo, ha ritenuto opportuno devolvere all’esame dell’Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato la questione relativa alle modalità di
interpretazione ed applicazione della norma sopra richiamata.
La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 27 marzo
2006.
DIRITTO
1. – Viene sottoposta all’Adunanza Plenaria la questione relativa alla
interpretazione ed alle corrette modalità di applicazione della norma
di cui all’art. 1, comma 1, del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195
(convertito dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222) che indica il procedimento
per la regolarizzazione della posizione di lavoratori immigrati stabilendo,
in particolare, quanto segue: “Chiunque, nell’esercizio di un’attività di
impresa…ha occupato, nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore
del presente decreto, alle proprie dipendenze lavoratori extracomunitari in
posizione irregolare, può denunciare, entro la data dell’11 novembre
2002, la sussistenza del rapporto di lavoro alla Prefettura – Ufficio
territoriale del Governo competente per territorio, mediante la presentazione,
a proprie spese, di apposita dichiarazione attraverso gli uffici postali”.
Tale disposizione è stata introdotta con decreto-legge in via d’urgenza
estendendo la procedura di regolarizzazione (inizialmente prevista per il solo
lavoro domestico dall’art. 33 della legge 30 luglio 2002, n. 189) a tutti
i tipi di attività di lavoro dipendente. La data di entrata in vigore
di entrambe le normative risulta essere la stessa (10 settembre 2002), così come
i requisiti richiesti, rendendosi in tal modo omogenee le scadenze temporali
e gli adempimenti per le previste regolarizzazioni.
2. – La Sezione VI di questo Consiglio ha proceduto all’esame dell’appello
proposto dal Ministero dell’interno avverso la sentenza del T.A.R. Veneto
che aveva giudicato illegittimo il decreto prefettizio di rigetto dell’istanza
di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario interessato, in relazione
al mancato svolgimento dell’attività lavorativa nell’intero
arco temporale del trimestre indicato dalla norma di legge.
Pur propendendo per una soluzione in senso contrario, la detta Sezione ha
tuttavia ritenuto opportuno deferire la soluzione della controversia all’Adunanza
Plenaria, avendo riscontrato orientamenti in senso diverso che emergono dalla
giurisprudenza ed, in particolare, da alcune decisioni in forma semplificata
della Sezione IV (nn. 5085 e 5088 del 14 luglio 2004; n. 1712 del 13 aprile
2005).
Nell’ordinanza di rimessione la Sezione VI ha espresso l’avviso
che, in base al tenore letterale della norma ed alle finalità specifiche
della stessa, il periodo di tre mesi indicato dalla legge, per consentire la
regolarizzazione, debba essere considerato come mero riferimento al lasso temporale
nell’ambito del quale il lavoro, di qualsiasi durata, sia stato effettivamente
svolto, ancorché avviato dopo l’inizio del trimestre.
3. – Ritiene l’Adunanza Plenaria che la tesi anzidetta non possa essere
condivisa.
3.1 – Deve preliminarmente considerarsi che la surriportata norma dell’art.
1, comma 1, del citato decreto-legge n. 195 del 2002 (così come quella
analoga dell’art. 33 della legge n. 189 del 2002) recano disposizioni
di carattere eccezionale, in quanto volte a consentire una deroga alla normativa
ordinaria concernente il regime contingentato degli ingressi dei lavoratori
extracomunitari, ai fini della “legalizzazione” delle posizioni
di lavoro irregolare, agevolando anche il rilascio del permesso di soggiorno
(di validità pari ad un anno, come indicato dal successivo comma 4 dello
stesso art. 1).
Ne consegue che la norma in questione, in virtù dei criteri ermeneutici
dettati dall’art. 14 delle “preleggi”, non può trovare
applicazione oltre i casi ed i tempi in essa considerati.
3.2. – Ciò posto, il Collegio rileva che, pur se la norma si colloca
in un quadro di iniziative legislative (oltre al decreto-legge in discorso
il già ricordato art. 33 della legge n. 109 del 2002) propriamente finalizzate
alla emersione di tutti i lavoratori extracomunitari in qualsiasi modo già occupati
con un rapporto destinato a stabilizzarsi dopo il completamento della procedura
di regolarizzazione, resta comunque fermo che tale regolarizzazione, con i
benefici conseguenti, deve restare rigorosamente confinata nei limiti espressamente
fissati dalla legge. In altri termini, i benefici in questione non possono
che essere riservati soltanto ai lavoratori extracomunitari in possesso dei
requisiti normativamente previsti, tenuto altresì conto dell’esigenza
di evitare una disparità di trattamento tra i diversi soggetti interessati.
3.3. – Tanto premesso, per quanto riguarda la interpretazione letterale
della norma, deve convenirsi che il testo non appare del tutto univoco, indicando
soltanto un arco di tempo “nel” corso del quale deve essersi verificata
la “occupazione” del lavoratore extracomunitario, con una dizione
che di per sé non impedirebbe la possibilità di attribuire rilevanza
determinante anche alla instaurazione del rapporto in un qualsiasi momento
del trimestre considerato, escludendosi, quindi, la necessità di una
prestazione lavorativa di carattere continuativo per l’intero periodo
di tre mesi.
Ma, a parte che se il legislatore avesse voluto dettare una regola in tal
senso avrebbe presumibilmente usato il verbo “assumere” e non “occupare” (in
quanto quest’ultimo termine sembra postulare la continuità dell’impegno
lavorativo), una simile accezione della disposizione in parola risulterebbe
in realtà incompatibile con il sistema delineato dalle diverse disposizioni
della normativa in questione, oltreché dalle finalità proprie
della normativa stessa.
3.4. – A tal riguardo va in particolare ricordato l’argomento
posto a base della giurisprudenza che ritiene debba attribuirsi rilevanza soltanto
ad una attività lavorativa svolta per l’intero trimestre, facendo
leva sulla previsione del successivo comma 3, lettera b) del ripetuto art.
1 del decreto-legge n. 195 del 2002, relativa all’obbligo di allegare,
alla dichiarazione del datore di lavoro, un “attestato di pagamento di
un contributo forfettario pari a 700 euro per ciascun lavoratore”.
Sottolinea opportunamente, infatti, l’anzidetta giurisprudenza, che
sarebbe illogico ammettere la possibilità della regolarizzazione di
prestazioni lavorative di durata minore di un trimestre, una volta che il contributo
in parola, da versare ai fini previdenziali, risulti commisurato all’importo
dovuto per prestazioni di lavoro subordinato aventi la durata di tre mesi.
Né appare persuasiva l’obiezione che, secondo la previsione del
decreto-legge in parola (così come della citata legge n. 189 del 2002),
il contributo in parola viene espressamente qualificato come “forfettario”,
ed in base allo stesso decreto-legge viene addirittura predeterminato nella
misura fissa di 700 euro, il che potrebbe condurre a negare la possibilità di
stabilire una effettiva connessione del versamento con lo specifico rapporto
di lavoro del singolo dipendente.
In proposito sembra, invero, agevole replicare che, nella disposizione dettata
dalla legge n. 189 del 2002, viene espressamente dichiarata la stretta correlazione
del contributo all’attività lavorativa della durata di tre mesi,
facendosi menzione di un versamento “pari all’importo trimestrale
corrispondente al rapporto di lavoro dichiarato”; e pur se nel successivo
decreto-legge tale specifica indicazione risulta omessa, l’analogia delle
due normative e delle relative finalità porta ad escludere una applicazione
delle stesse con criteri eterogenei e divergenti.
Quanto, poi, alla misura forfettaria del contributo, può coerentemente
ritenersi che si tratti soltanto di un mezzo pratico di semplificazione della
complessa procedura di regolarizzazione prevista dalla legge.
3.5. – A ciò può ancora aggiungersi che una interpretazione
rigorosa della legge viene altresì postulata dall’esigenza di
evitare il rischio di assecondare tentativi di utilizzazione fraudolenta della
procedura di regolarizzazione, mediante la incontrollata stipula di contratti
con lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno e la precostituzione
di situazioni meramente apparenti e fittizie, in epoca immediatamente antecedente
alla emanazione del decreto-legge (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del
9 settembre 2002), cosa resa possibile e verosimile, nel caso di cui si tratta,
per il fatto che la precedente normativa, di cui alla legge n. 189 del 2002
(già protesa alla emersione del lavoro irregolare, anche se riguardante
il solo lavoro domestico), era stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale fin
dal 26 agosto 2002.
3.6. – In conclusione deve ribadirsi che la normativa in esame, avendo
la specifica finalità di consentire, in via eccezionale, la “legalizzazione” di
situazioni di lavoro irregolare verificatesi nei tre mesi antecedenti alla
data del 10 settembre 2002, ossia la regolarizzazione di un rapporto di lavoro
dipendente già instaurato, può trovare corretta applicazione
soltanto nei casi in cui l’attività lavorativa in parola, avendo
avuto almeno la durata minima di un trimestre, fissata dalla norma di legge,
risulti idonea ad offrire un sufficiente affidamento per la esistenza di un
serio impegno lavorativo e la effettiva prosecuzione e la possibile successiva
stabilizzazione del rapporto, apparendo chiaramente estranea alle finalità delle
norme in parola quella di assecondare iniziative concernenti situazioni le
quali, per la scarsa durata e per la conseguente precarietà che le caratterizza,
possono rappresentare la dissimulazione di un rapporto fittizio o sorto unicamente
per la sola finalità della regolarizzazione.
3.7. – Per le ragioni sopra esposte l’appello deve ritenersi fondato,
apparendo meritevole di annullamento la pronuncia del Giudice di primo grado.
4. – Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione
delle spese del presente giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente
pronunciando sul ricorso in appello meglio specificato in epigrafe:
– accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza
appellata, respinge il ricorso proposto in primo grado;
– dispone l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio
tra le parti.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 marzo 2006. Depositata
il 31 maro 2006.