La Corte Costituzionale, con sentenza depositata il 5 maggio, interviene
sul casellario giudiziale, e in particolare sulla prevista eliminazione delle
iscrizioni
al compimento
degli ottanta anni di età.
La Consulta sottolinea che si tratta di previsione normativa di natura amministrativa,
e non processuale (come già chiarito con precedente sentenza n. 209
del 1987);
“la relazione del Guardasigilli al codice
di rito penale del 1930 legava infatti esplicitamente la disposta eliminazione
delle iscrizioni relative agli ottuagenari alla necessità di smaltire
una grande mole di materiale cartaceo, allo scopo di guadagnare spazio negli
uffici, che mostravano un’insufficiente capienza; inoltre, la durata media
della vita umana era, nell’epoca in cui tale disposizione veniva introdotta
nell’ordinamento, sensibilmente più breve
e la stessa efficienza psico-fisica delle persone che raggiungessero un’età tanto
avanzata era ritenuta così bassa da doversi presumere che non
possedessero né sufficiente volontà né adeguata forza
fisica per commettere delitti” (sentenza n. 209 del 1987).
Inoltre,
“proprio la natura amministrativa della norma in questione esclude che l’eliminazione
dell’iscrizione nel casellario determini la cessazione degli effetti penali
delle eventuali condanne anteriormente riportate dal soggetto ultraottantenne,
con la conseguenza che il giudice, ove venga a conoscenza dei precedenti da
fonti diverse, ben può utilizzare i dati acquisiti, purché certi,
ai fini delle proprie valutazioni nell’ambito del processo.
La valutazione dei precedenti dell’imputato finisce così per dipendere
dal mero caso, non potendosi ipotizzare una ricerca sistematica e completa
degli stessi da parte del giudice o del pubblico ministero, che dovrebbero
acquisire notizie da tutti gli uffici giudiziari d’Italia, con esiti comunque
incerti e grave pregiudizio del principio di ragionevole durata del processo”.
Sul presupposto che la norma censurata non sia stata dettata dall’intento
di favorire una categoria di soggetti, gli ultraottantenni, ma solo da ragioni
organizzative, la Corte non nega che tutti gli elementi presi originariamente
in considerazione dal legislatore siano mutati: le schede cartacee sono state
sostituite
da archivi
informatizzati
che hanno risolto il problema dello spazio materiale per la conservazione dei
dati; la durata media della vita umana si è allungata notevolmente;
le condizioni di efficienza psico-fisiche delle persone si mantengono buone
in età avanzata in un numero elevato di casi.
E tuttavia, “pur auspicando che il legislatore riprenda
in considerazione la norma oggetto del presente giudizio, per valutarne l’adeguatezza
rispetto alla situazione di fatto attuale”, la Consulta conclude nel senso
della inammiissibilità della questione, per difetto di
rilevanza, poichè “in
ogni caso il giudice rimettente non potrebbe avvalersi, nel processo a quo,
di una eventuale pronuncia di questa Corte, a causa della già avvenuta
eliminazione dal casellario giudiziale dei dati riguardanti il soggetto sottoposto
al giudizio. Si è prodotta, in altre parole, una situazione di fatto
irreversibile, su cui una declaratoria di illegittimità costituzionale
non avrebbe alcun effetto, rimanendo in tal modo priva dell’incidenza nel processo
principale imposta dal vigente sistema di giustizia costituzionale”.
. . . . .
Corte Costituzionale
Sentenza 5 maggio 2006 n. 184
(presidente Marini, estensore Silvestri)
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del
decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002 n. 313 (Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale,
di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi
carichi pendenti), promosso con ordinanza del 6 aprile 2005 dal Giudice per
l’udienza preliminare del Tribunale di Cagliari, iscritta al n. 312 del registro
delle ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Udito nella camera di consiglio del 5 aprile il Giudice relatore Gaetano
Silvestri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza depositata in data 6 aprile 2005 il Giudice per l’udienza
preliminare del Tribunale di Cagliari ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale
dell’art. 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre
2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative
dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), nella parte in cui prevede
l’eliminazione delle iscrizioni dal casellario giudiziale al compimento dell’ottantesimo
anno di età della persona alla quale si riferiscono, per contrasto con
l’art. 3 della Costituzione.
Il rimettente è chiamato a decidere sull’istanza di applicazione della
pena ex art. 444 del codice di procedura penale, avanzata dalle parti in riferimento
all’imputazione di violenza sessuale continuata, consumata e tentata, ai sensi
degli artt. 56, 81, secondo comma, 609-bis e 609-ter del codice penale, elevata
a carico di un soggetto già ultraottantenne alla data del fatto di reato.
Osserva il giudice a quo come, in assenza di notizie riguardanti i precedenti
dell’imputato per effetto dell’eliminazione di ogni iscrizione dal casellario
giudiziale, le valutazioni previste dall’art. 444, comma 2, cod. proc. pen.,
in ordine alla correttezza dell’applicazione e comparazione delle circostanze,
alla congruità della pena e alla concedibilità della sospensione
condizionale della stessa, avverrebbero sulla base di una situazione di incensuratezza
apparente, che potrebbe non corrispondere alla realtà della vita pregressa
dell’imputato, risultando in tal modo impossibile l’adeguamento del trattamento
sanzionatorio alla personalità del predetto.
Risulterebbe evidente, a parere del rimettente, il conflitto tra la ratio
delle numerose disposizioni che, a diversi fini, impongono al giudice di valutare
i precedenti penali dell’imputato, e la norma impugnata, dalla cui applicazione
discende una lacuna di informazioni non rimediabile neppure nei casi, diversi
dall’attuale, nei quali il giudice sia dotato di poteri di integrazione istruttoria.
Gli accertamenti necessari a ricostruire le vicende personali di un soggetto
ultraottantenne imporrebbero, infatti, ricerche complesse da indirizzare verso
tutti gli uffici giudiziari del Paese, con esiti incerti e tempi di attesa
incompatibili con l’esigenza della rapida definizione dei procedimenti penali.
Sottolinea il giudice a quo come dall’applicazione della norma impugnata
derivi anche l’impossibilità di procedere all’iscrizione nel casellario
delle condanne riportate da soggetti che abbiano superato la soglia d’età indicata,
con la conseguenza che rimane priva di riscontro perfino l’eventuale reiterazione
di reati ad opera di persona ultraottantenne, senza che sia dato rinvenire,
nella legge penale sostanziale, alcuna disposizione di favore per tale categoria
di soggetti.
2. – In riferimento alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente
assume che la norma censurata sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. in quanto
produrrebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti
ultraottantenni e infraottantenni, laddove, in assenza di particolare significato
riconducibile al raggiungimento della predetta soglia d’età, i primi
si avvantaggiano dell’eliminazione dal casellario giudiziale delle iscrizioni
a loro carico, risultando da tale momento in avanti del tutto immuni da censure.
Rileva il rimettente come, in conseguenza della eliminazione delle iscrizioni
dal casellario, risultino di fatto inapplicabili, ai soggetti ultraottantenni,
gli istituti della recidiva e della dichiarazione di delinquenza abituale,
professionale o per tendenza, con conseguenti ricadute sul giudizio di ammissibilità dell’oblazione
discrezionale. Allo stesso modo, nei confronti dei predetti soggetti non può trovare
applicazione l’istituto della revoca della sospensione condizionale della pena
previsto dall’art. 168, comma 3, cod. proc. pen., nel mentre, in senso opposto,
diventa automatica l’ammissione degli stessi al c.d. “patteggiamento
allargato”, nonostante il disposto dell’art. 444, comma 1-bis, cod. proc.
pen., espressamente escluda dall’accesso a tale rito coloro i quali siano stati
dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, o recidivi ai
sensi dell’art. 99, quarto comma, cod. pen.
Tali significative conseguenze si produrrebbero, a parere del giudice a quo,
in assenza di corrispondenti previsioni penali di favore per gli imputati ultraottantenni,
che pure il legislatore avrebbe potuto introdurre così come ha stabilito
che i soggetti infraventunenni e ultrasettantenni beneficino del più ampio
limite di due anni e sei mesi ai fini della sospensione condizionale della
pena.
Il rimettente evidenzia anche un profilo di irragionevolezza intrinseca della
previsione impugnata, la quale non sarebbe più coerente con la ratio
ad essa sottesa, considerati i profondi mutamenti intervenuti nella realtà sociale
e nell’organizzazione della pubblica amministrazione rispetto all’epoca in
cui è stata introdotta nell’ordinamento. A tale proposito si osserva
come, in conseguenza dell’innalzamento dell’età media della popolazione,
gli ultraottantenni risultino oggi numerosi e sovente ancora attivi nella vita
sociale ed economica, di modo che non sarebbe più attuale la presunzione
di ridotta pericolosità – connessa alla perdita di efficienza psico-fisica
– che giustificava, per il passato, la previsione dell’eliminazione delle iscrizioni
dal casellario giudiziale dopo il raggiungimento della predetta soglia di età.
Inoltre, con l’introduzione del sistema informatico nell’organizzazione del
casellario giudiziale, sarebbero definitivamente cessate le difficoltà di
gestione del cospicuo materiale cartaceo, di cui il legislatore aveva disposto
a certe condizioni la distruzione, allo scopo precipuo di alleggerire l’attività dell’amministrazione.
In punto di rilevanza il giudice a quo ribadisce di non poter svolgere attività di
integrazione probatoria per rimediare alla lacuna cognitiva riguardante gli
eventuali precedenti penali dell’imputato, attesa la natura del rito scelto
dalle parti.
Assume, inoltre, il rimettente che, non sussistendo elementi che gli impongano
di prosciogliere l’imputato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., egli deve
procedere necessariamente alla verifica dell’accoglibilità della richiesta
di applicazione della pena sulla base dei parametri fissati dall’art. 444,
comma 2, cod. proc. pen., quindi previa valutazione della comparazione delle
circostanze del reato, della congruità della pena richiesta e, infine,
della concedibilità del beneficio della sospensione condizionale di
questa, alla quale l’imputato ha espressamente condizionato la definizione
del procedimento nelle forme del patteggiamento.
Considerato in diritto
1. – Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Cagliari
solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1,
del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313 (Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario
giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e
dei relativi carichi pendenti), nella parte in cui prevede l’eliminazione delle
iscrizioni nel casellario giudiziale al compimento dell’ottantesimo anno di
età della persona cui si riferiscono. La norma citata violerebbe l’art.
3 della Costituzione, perché, in relazione alla mera anzianità raggiunta
dall’interessato (e con riguardo ad una soglia arbitrariamente individuata),
il giudice verrebbe irragionevolmente privato del principale – e normalmente
unico – strumento di conoscenza di fattori rilevanti per l’applicazione
delle norme in materia di circostanze di reato, di recidiva, di abitualità e
professionalità nel reato, di quantificazione della pena e di sospensione
condizionale della relativa esecuzione, producendo, altresì, una ingiustificata
disparità di trattamento tra imputati ultraottantenni ed infraottantenni.
2. – La questione è inammissibile.
2.1. – Occorre premettere che la norma censurata non ha natura processuale,
bensì amministrativa, come ha già chiarito questa Corte (sentenza
n. 209 del 1987) a proposito della disposizione di identico contenuto di cui
all’art. 605 del codice procedura penale del 1930, nel testo modificato dalle
leggi 14 marzo 1952, n. 158 (Riordinamento del casellario giudiziale) e 18
giugno 1955, n. 517 (Modificazioni al codice di procedura penale). Ciò si
desume dal pacifico e costante orientamento del “diritto vivente” e
dalla relazione del Guardasigilli al codice di rito penale del 1930, che legava
esplicitamente la disposta eliminazione delle iscrizioni relative agli ottuagenari
alla necessità di smaltire una grande mole di materiale cartaceo, allo
scopo di guadagnare spazio negli uffici, che mostravano un’insufficiente capienza.
D’altra parte, la durata media della vita umana era, nell’epoca in cui tale
disposizione veniva introdotta nell’ordinamento, sensibilmente più breve
e la stessa efficienza psico-fisica delle persone che raggiungessero un’età tanto
avanzata era ritenuta così bassa «da doversi presumere che non
possedessero né sufficiente volontà né adeguata forza
fisica per commettere delitti» (sentenza n. 209 del 1987).
Nella medesima pronuncia questa Corte ha osservato che la irragionevole disparità di
trattamento tra imputati, lesiva del principio di eguaglianza, segnalata dal
giudice rimettente di quel giudizio e riproposta da quello attuale, si pone «come
effetto perverso e occasionale della disposizione amministrativa». Difatti,
proprio la natura amministrativa della norma in questione esclude che l’eliminazione
dell’iscrizione nel casellario determini la cessazione degli effetti penali
delle eventuali condanne anteriormente riportate dal soggetto ultraottantenne,
con la conseguenza che il giudice, ove venga a conoscenza dei precedenti da
fonti diverse, ben può utilizzare i dati acquisiti, purché certi,
ai fini delle proprie valutazioni nell’ambito del processo.
La valutazione dei precedenti dell’imputato finisce così per dipendere
dal mero caso, non potendosi ipotizzare una ricerca sistematica e completa
degli stessi da parte del giudice o del pubblico ministero, che dovrebbero
acquisire notizie da tutti gli uffici giudiziari d’Italia, con esiti comunque
incerti e grave pregiudizio del principio di ragionevole durata del processo.
Sul presupposto che la norma censurata non sia stata dettata dall’intento
di favorire una categoria di soggetti, gli ultraottantenni, ma solo da ragioni
organizzative, questa Corte ha negato, nella pronuncia citata, che essa arrechi
ingiusto svantaggio a coloro i cui precedenti vengono comunque a conoscenza
del giudice – come sosteneva invece il giudice rimettente – ed ha affermato
che «è semmai proprio colui, i cui precedenti vengono sottaciuti
a causa dell’eliminazione, ad avvantaggiarsi ingiustamente della situazione
e contro la volontà del legislatore».
La Corte ha concluso, in quel giudizio, per l’inammissibilità della
questione perché, nella fattispecie, il giudice risultava in possesso
dei precedenti penali ed era perciò in grado di procedere prescindendo
dalla risoluzione della questione sollevata.
2.2. – La questione oggi sottoposta al vaglio di questa Corte è opposta
e simmetrica rispetto a quella oggetto della precedente pronuncia. Mentre in
quel caso veniva invocata dal giudice a quo una sentenza additiva che dichiarasse
l’illegittimità costituzionale della norma censurata nella parte in
cui non vieta ai giudici di tener conto dei precedenti penali dell’imputato
ultraottantenne comunque risultanti dagli atti, nel presente giudizio, al contrario,
si chiede alla Corte di emanare una sentenza puramente caducatoria, che espunga
dall’ordinamento la disposizione che prescrive l’eliminazione dal casellario
giudiziale delle iscrizioni relative ai soggetti che abbiano compiuto l’ottantesimo
anno di età.
La richiesta dell’odierno rimettente si aggancia a quanto detto incidentalmente
nella più volte citata sentenza n. 209 del 1987: «Se si dovesse
[…] pervenire ad una declaratoria di illegittimità, questa dovrebbe
essere semplicemente ablativa della disposizione denunziata: tanto più che
attualmente, a seguito della computerizzazione dei servizi, l’eliminazione
della scheda ha perduto l’importanza che aveva negli anni ’30».
In altre parole, vi sarebbe stata una profonda alterazione del contesto fattuale,
con innegabili ricadute sul bilanciamento tra opposte esigenze operato dal
legislatore in tempi passati. È appena il caso di rilevare, infatti,
che tutti gli elementi presi tradizionalmente in considerazione dal legislatore
sono mutati: le schede cartacee sono state sostituite da archivi informatizzati
che hanno risolto il problema dello spazio materiale per la conservazione dei
dati; la durata media della vita umana si è allungata notevolmente;
le condizioni di efficienza psico-fisiche delle persone si mantengono buone
in età avanzata in un numero elevato di casi.
2.3. – Osservato quanto sopra, pur auspicando che il legislatore riprenda
in considerazione la norma oggetto del presente giudizio, per valutarne l’adeguatezza
rispetto alla situazione di fatto attuale, deve tuttavia concludersi che la
questione sollevata è inammissibile per difetto di rilevanza, giacché in
ogni caso il giudice rimettente non potrebbe avvalersi, nel processo a quo,
di una eventuale pronuncia di questa Corte, a causa della già avvenuta
eliminazione dal casellario giudiziale dei dati riguardanti il soggetto sottoposto
al giudizio. Si è prodotta, in altre parole, una situazione di fatto
irreversibile, su cui una declaratoria di illegittimità costituzionale
non avrebbe alcun effetto, rimanendo in tal modo priva dell’incidenza nel processo
principale imposta dal vigente sistema di giustizia costituzionale.
P.Q.M.
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre
2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative
dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), sollevata, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale
di Cagliari con l’ordinanza indicata in epigrafe.