La Corte Costituzionale, con sentenza depositata oggi, ha dichiarata
l’illegittimità costituzionale
del Testo Unico Espropriazioni.
In particolare, è stato dichiarata l’incostituzionalità dell’art.
53,
comma
1,
del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 325 (Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo
B), trasfuso nell’art. 53, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica
8 giugno 2001 n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A).
Secondo la Consulta, ai sensi delle precedenti sentenze nn. 204 e 281 del
2004, possono essere devolute legittimamente alla giurisdizione esclusiva del
giudice
amministrativo
le controversie
relative
a “i comportamenti
delle
pubbliche
amministrazioni
e dei soggetti ad esse equiparati”, ma debbono nel contempo essere esclusi
da detta giurisdizione “i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente,
all’esercizio di un
pubblico potere”.
. . . . . .
Corte Costituzionale
Sentenza 11 maggio 2006 numero 191
(presidente Marini, estensore Vaccarella)
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, del
decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (Testo unico delle disposizioni legislative
in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo B),
trasfuso nell’art. 53, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica
8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A),
promossi con ordinanze del 22 ottobre 2004 e del 5 maggio 2005 dal Tribunale
amministrativo per la Calabria sui ricorsi proposti da Marzano Fabrizio ed
altri contro il Ministero dell’interno ed altri e da Carè Ilario contro
il Comune di Nardodipace, iscritte ai numeri 36 e 425 del registro ordinanze
2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 7 e 37,
prima serie speciale, dell’anno 2005.
Udito nella camera di consiglio dell’8 marzo 2006 il Giudice relatore Romano
Vaccarella.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 22 ottobre 2004 (n. 36 del 2005), il Tribunale
amministrativo regionale per la Calabria ha sollevato, in riferimento agli
artt. 25 e 102, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 53, comma 1, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica
utilità – Testo A), nella parte in cui devolve alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo «le controversie aventi per oggetto
[…] i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad
esse equiparati, conseguenti alla applicazione delle disposizioni del testo
unico», segnatamente allorché detti comportamenti riguardino progetti
la cui dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed
urgenza sia intervenuta prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del
2001.
1.1.– Il giudizio, introdotto nell’anno 2000, nel corso del quale il
dubbio è stato prospettato, ha avuto origine da una causa intentata
dagli eredi del titolare di un fondo, oggetto di accessione invertita, contro
il Ministero dell’interno, l’Ente nazionale per le strade (ANAS) e il Concordato
preventivo IGIEMME, già impresa Grandinetti Michele costruzioni s.n.c.
(quest’ultima in qualità di concessionaria per l’espropriazione e per
l’esecuzione dei lavori), al fine di ottenere il ristoro dei danni subiti in
conseguenza della perdita della proprietà di un immobile, che, durante
il periodo di occupazione disposta in vista della realizzazione di un’opera
pubblica, aveva subìto una radicale trasformazione, in mancanza di un
valido decreto di esproprio.
1.2.– In punto di rilevanza, osserva il rimettente che il comma 1 dell’art.
53 del d.P.R. n. 327 del 2001 devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo «le controversie aventi per oggetto […] i comportamenti
delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti
alla applicazione delle disposizioni del testo unico», mentre il successivo
comma 3 mantiene ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le sole controversie
riguardanti «la determinazione e la corresponsione delle indennità in
conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa».
Rileva quindi come la giurisprudenza, nell’affrontare le problematiche di
diritto transitorio connesse all’entrata in vigore del testo unico sulle espropriazioni,
abbia distinto tra norme di carattere sostanziale e norme di carattere processuale,
condivisibilmente ritenendo queste ultime, e quindi anche l’art. 53, applicabili
a tutti i giudizi pendenti, pur se introdotti prima dell’entrata in vigore
del testo unico stesso: del resto – rileva il rimettente – la predetta
norma si salda, ad essi sostituendosi, con l’art. 34, comma 1, del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione
e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle
controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione
dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), e con l’art.
7, lettera b), della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia
di giustizia amministrativa), che già attribuivano tali controversie
al giudice amministrativo. L’applicazione del primo comma dell’art. 53 comporta,
pertanto, che la cognizione della controversia dedotta in giudizio – che «verte
in ordine alla domanda di riparazione del pregiudizio subito dal privato in
conseguenza di un comportamento materiale dell’amministrazione qualificabile
come illecito» – spetta al giudice amministrativo in sede di giurisdizione
esclusiva.
1.3.– In punto di non manifesta infondatezza, ricorda il giudice a
quo che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 204 del 2004, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del d.lgs. 31
marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lettera b), della
legge 21 luglio 2000, n. 205, nella parte in cui prevede la devoluzione alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie aventi
per oggetto «gli atti, i provvedimenti e i comportamenti», anziché delle
sole controversie aventi per oggetto «gli atti e i provvedimenti»,
delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparati, in materia
urbanistica ed edilizia, e cioè in una materia che abbraccia tutti gli
aspetti dell’uso del territorio, ivi compresa la disciplina dell’acquisizione
dei beni all’amministrazione a seguito, o per effetto, di procedimenti espropriativi.
Orbene, le stesse argomentazioni che hanno indotto il giudice delle leggi
alla declaratoria di incostituzionalità, nei termini innanzi precisati – e
segnatamente l’ affermazione secondo cui nei «comportamenti […]
la pubblica amministrazione non esercita nemmeno mediatamente […] alcun
pubblico potere», e che «la mera partecipazione della pubblica
amministrazione al giudizio» non è sufficiente «perché si
radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe
le sembianze di giudice “della” pubblica amministrazione, con violazione
degli artt. 25 e 102, secondo comma, della Costituzione») –, si
presterebbero ad operare con riferimento alla devoluzione al giudice amministrativo
dei comportamenti della pubblica amministrazione in materia espropriativa,
a meno che essi non riguardino progetti in relazione ai quali la dichiarazione
di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza sia stata pronunziata
dopo l’entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001: e invero in tal caso ben
potrebbe l’amministrazione avvalersi del disposto dell’art. 43, comma 1, per
il quale «valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che
utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza
del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica
utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio
indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni». La previsione
di un siffatto potere di dichiarazione «postuma» di pubblica utilità dell’opera,
connotato da evidenti profili di discrezionalità, consentirebbe infatti – nella
prospettiva adottata dalla Corte costituzionale con riguardo all’ipotesi, per
vero di portata minore, di uso, da parte della pubblica amministrazione, di
strumenti intrinsecamente privatistici, in quanto forma di esercizio «mediato» del
potere pubblico – di ritenere giustificata l’attribuzione della materia
al giudice amministrativo.
Il medesimo potere, peraltro, differenzierebbe nettamente la fattispecie
di cui all’art. 53 del d.P.R. n. 327 del 2001, da quella di cui all’art. 34
del d.lgs. n. 80 del 1998; il che spiegherebbe anche perché la Corte
nella sentenza n. 204 del 2004 non ritenne di estendere d’ufficio la statuizione
di illegittimità anche a tale ultima norma, ex art. 27 della legge 11
marzo 1953 n. 87.
Sottolinea, infine, il rimettente che nel caso dedotto in giudizio la dichiarazione
di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dell’opera è intervenuta «ben
prima del 30 giugno 2003».
1.4.– Per le ragioni esposte il TAR per la Calabria ritiene non manifestamente
infondato il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma
1, del d.P.R. n. 327 del 2001, nella parte in cui devolve alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo «le controversie aventi per oggetto
[…] i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad
esse equiparati, conseguenti alla applicazione delle disposizioni del testo
unico», segnatamente allorché detti comportamenti riguardino progetti
la cui dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed
urgenza è intervenuta prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 327
del 2001, per violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, della Costituzione.
2.– Con ordinanza del 5 maggio 2005 (n. 425 del 2005), il Tribunale
amministrativo regionale per la Calabria ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’art. 53, comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazione per pubblica
utilità – Testo B) – «cui è conforme l’art.
53, comma 1, del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327» – per contrasto con
l’art. 103 della Costituzione, nella parte in cui prevede la devoluzione alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie concernenti
i comportamenti delle amministrazioni pubbliche, e dei soggetti equiparati,
in materia di espropriazione per pubblica utilità.
2.1.– Il dubbio è stato prospettato nel corso di un giudizio
proposto dal proprietario di un terreno, oggetto di decreto di occupazione
d’urgenza emesso dal Sindaco del Comune di Nardodipace in data 14 gennaio 1992,
in vista della realizzazione, entro cinque anni dalla data dell’immissione
in possesso, di infrastrutture di carattere turistico-sportivo. Decorso tale
termine senza che fosse stato emesso provvedimento di esproprio né corrisposta
alcuna indennità, il ricorrente, dopo avere adìto il Tribunale
di Vibo Valentia, che aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione
a conoscere la controversia, aveva chiesto al Tribunale amministrativo regionale
per la Calabria la condanna del convenuto al pagamento dell’indennità di
occupazione nonché al risarcimento del danno per la perdita del diritto
dominicale conseguente all’irreversibile trasformazione del fondo.
2.2.– Osserva il rimettente che quest’ultima domanda si fonda sull’avvenuto
perfezionamento di una fattispecie di occupazione acquisitiva, nella quale
l’acquisto della proprietà del fondo, in mancanza di tempestivo e formale
provvedimento di esproprio, si ricollega alla sua irreversibile trasformazione,
avvenuta nell’ambito di un procedimento ablativo iniziato con una valida ed
efficace dichiarazione di pubblica utilità. Peraltro – osserva
il rimettente – rispetto a tale parte del petitum si impone la verifica
della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, posto che,
dopo l’introduzione del giudizio, è intervenuta la sentenza della Corte
costituzionale n. 204 del 2004, dichiarativa della parziale illegittimità,
per contrasto con l’art. 103 della Costituzione, dell’art. 34, comma 1, del
decreto legislativo n. 80 del 1998, modificato dall’art. 7, comma 1, lettera
b), della legge n. 205 del 2000 nella parte in cui, comprendendo nella giurisdizione
esclusiva, anche i «comportamenti», estende la cognizione del giudice
amministrativo a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita
nemmeno mediatamente, «e cioè avvalendosi della facoltà di
adottare strumenti intrinsecamente privatistici, alcun pubblico potere».
Ricorda segnatamente il giudice a quo che il fenomeno dell’occupazione acquisitiva è stato
unanimemente ricondotto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
in materia urbanistica, prevista dall’art. 34, comma 1, del menzionato decreto
legislativo n. 80 del 1998, in considerazione del riferimento, contenuto in
tale disposizione, ai «comportamenti» delle amministrazioni e dell’ampia
nozione di «urbanistica» accolta dal comma 2 della stessa norma,
secondo una prospettiva fatta propria anche dal giudice delle leggi, nella
sentenza innanzi menzionata.
Segnala quindi che, ai fini della decisione della controversia dedotta in
giudizio, assume rilevanza l’art. 53 del decreto legislativo 8 giugno 2001,
n. 325, il quale, parzialmente riproduttivo dell’art. 34 del decreto legislativo
n. 80 del 1998, e non toccato dalla pronuncia di incostituzionalità,
afferma la perdurante vigenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
in ordine alle controversie concernenti fattispecie di appropriazione acquisitiva.
Precisa, in particolare, il giudicante di non condividere l’assunto secondo
cui l’intervento attuato dalla Consulta nei confronti dell’art. 34 del decreto
legislativo n. 80 del 1998 avrebbe travolto anche l’art. 53, comma 1, del d.P.R.
n. 327 del 2001, nella parte in cui estende la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo ai «comportamenti» della pubblica amministrazione:
a suo avviso, tale approdo ermeneutico sarebbe in contrasto con le previsioni
di legge – e segnatamente con l’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.
87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale),
in base al quale spetta alla Corte costituzionale individuare le disposizioni
la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata – oltre
che contraddetto e dalla diversa estensione della previsione racchiusa nella
norma censurata, estesa anche agli accordi, e dal suo carattere speciale rispetto
al disposto dell’art. 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998.
Segnala altresì il rimettente che l’art. 53 del d.P.R. n. 327 del
2001 si inserisce nel contesto normativo delle espropriazioni, in cui vi è una
forte accentuazione dei poteri di carattere autoritativo e in cui sono presenti
norme, come l’art. 43, che, sia pure in vista del superamento del fenomeno
dell’occupazione appropriativa, «sembrerebbero strettamente collegate
alla previsione concernente la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
in ordine ai comportamenti dell’amministrazione pubblica», quanto meno
con riferimento alla mera utilizzazione del bene per finalità di pubblico
interesse.
2.3.– In punto di non manifesta infondatezza, osserva il Tribunale
rimettente che gli argomenti che indussero la Corte costituzionale a dichiarare
la parziale illegittimità dell’art. 34 del decreto legislativo n. 80
del 1998, ben potrebbero riferirsi anche all’art. 53, comma 1, del decreto
legislativo 8 giugno 2001, n. 325. E, invero, nella menzionata pronuncia, il
Giudice delle leggi, escluso che l’art. 103 della Costituzione abbia conferito
al legislatore ordinario una assoluta e incondizionata discrezionalità nell’individuazione
delle materie da devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
ritenne non conforme al dettato costituzionale l’art. 34 del decreto legislativo
n. 80 del 1998, nella parte in cui estendeva detta giurisdizione, in materia
urbanistica ed edilizia, anche ai comportamenti, così allargando l’ambito
della giurisdizione esclusiva a fattispecie in cui la pubblica amministrazione
non esercita, neppure mediatamente, un pubblico potere.
La decisione della Corte costituzionale avvalorerebbe allora il dubbio di
contrasto col medesimo parametro anche dell’art. 53 del testo unico delle espropriazioni,
norma che, benché non meramente riproduttiva dell’art. 34 del decreto
legislativo n. 80 del 1998, e speciale rispetto ad essa, riconduce alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo fattispecie nelle quali l’acquisto della
proprietà del bene si realizza in conseguenza di meri comportamenti
della pubblica amministrazione.
2.4.– In ordine alla rilevanza della questione, osserva il rimettente
che il giudizio, concernente una fattispecie acquisitiva perfezionatasi prima
dell’entrata in vigore del nuovo testo unico in materia di espropriazioni,
avvenuta il 30 giugno 2003, è stato introdotto successivamente a tale
data, risultando il ricorso notificato il 26 settembre 2003 e depositato il
successivo 13 ottobre. Di modo che, ai sensi dell’art. 5 del codice di procedura
civile, non possono esservi dubbi sull’applicabilità alla fattispecie
dedotta in giudizio della norma sospettata di illegittimità.
2.5. – Per le ragioni esposte, il TAR per la Calabria dubita della
compatibilità, con l’art. 103 della Costituzione, dell’art. 53, comma
1, del decreto legislativo n. 325 del 2001, nella parte in cui prevede la devoluzione
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie
concernenti i comportamenti delle amministrazioni pubbliche, e dei soggetti
equiparati, in materia di espropriazione per pubblica utilità.
Considerato in diritto
1.– Il TAR per la Calabria, sede di Catanzaro, solleva, con ordinanza
n. 36 del 2005, in riferimento agli artt. 25 e 102, comma secondo, della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, del d.P.R.
8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A),
e con ordinanza n. 425 del 2005, in riferimento all’art. 103 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, del decreto
legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (Testo unico delle disposizioni legislative
in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo B),
disposizione trasfusa nell’art. 53, comma 1, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327,
innanzi menzionato, nella parte in cui devolvono alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto i «comportamenti» delle
pubbliche amministrazioni, e dei soggetti ad esse equiparati, in materia di
espropriazione per pubblica utilità.
Entrambe le ordinanze – emesse nel corso di giudizi nei quali era stata
proposta domanda di risarcimento dei danni per avere subìto, il fondo
di proprietà dei ricorrenti, radicali trasformazioni durante il periodo
di occupazione disposta per la realizzazione di un’opera pubblica senza che
fosse intervenuto il decreto di esproprio – osservano che l’art. 53,
comma 1, prevede la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
delle controversie aventi ad oggetto (anche) «i comportamenti» delle
pubbliche amministrazioni, e cioè la medesima ipotesi che questa Corte – con
la sentenza n. 204 del 2004 – ha espunto, ritenendola costituzionalmente
illegittima, dall’art. 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro
nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro
e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11,
comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito dall’art. 7, comma
1, lettera b), della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia
di giustizia amministrativa).
L’ordinanza n. 36 del 2005 precisa che il dubbio circa la conformità a
Costituzione della norma de qua non avrebbe ragion d’essere ove la dichiarazione
di pubblica utilità ed urgenza fosse stata pronunciata dopo l’entrata
in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001 (e cioè dopo il 30 giugno 2003:
art. 1 del decreto legislativo n. 302 del 2002), dal momento che in tal caso
opererebbe (ex art. 57 del d.P.R. n. 327, come modificato dal citato art. 1
del decreto legislativo n. 302 del 2002) anche l’art. 43 del medesimo d.P.R.,
il quale attribuisce alla pubblica amministrazione il potere (certamente sindacabile
dal giudice amministrativo) di acquisire l’immobile, «modificato in assenza
del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica
utilità», al patrimonio indisponibile con «condanna al risarcimento
del danno e con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo»;
poiché nel caso sottoposto al suo esame la dichiarazione di pubblica
utilità è intervenuta «ben prima del 30 giugno 2003»,
la previsione (che sarebbe certamente di diritto sostanziale) dell’art. 43
non potrebbe operare e, pertanto, ci si troverebbe in una situazione perfettamente
analoga a quella che era disciplinata dall’art. 34 (dichiarato incostituzionale
dalla sentenza n. 204 del 2004), del quale l’art. 53, comma 1, riproduce (aggiungendovi
soltanto «gli accordi») il contenuto.
2.– Va rilevato che mentre una ordinanza (n. 425 del 2005) vede nella
dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1,
una sorta di completamento di quanto, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953,
già con la sentenza n. 204 del 2004 questa Corte avrebbe potuto fare;
l’altra (n. 36 del 2005) osserva che il mancato utilizzo da parte della Corte
dello strumento della dichiarazione consequenziale di illegittimità costituzionale
si giustificherebbe per il collegamento, sopra ricordato, della previsione
di cui all’art. 53, comma 1, con quella di cui all’art. 43: sicché,
ove tale collegamento ratione temporis non operi, il riferimento ai “comportamenti” dovrebbe
essere cassato come lo fu quello contenuto nell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del
1998.
Ne discende che il petitum delle due ordinanze diverge in ciò, che
l’una (n. 425) sollecita una pronuncia che definitivamente espunga dalla norma
censurata la locuzione “i comportamenti”, mentre l’altra (n. 36)
chiede che la Corte ciò faccia relativamente ai giudizi nei quali non
potrebbe trovare applicazione la norma (ritenuta) di diritto sostanziale (art.
43), che, sola, giustifica la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
in quanto contempla un potere della pubblica amministrazione sindacabile da
parte di quel giudice.
3.– Questa Corte, con la sentenza n. 204 del 2004, ha giudicato di
questioni di legittimità costituzionale che investivano, da un lato,
l’art. 33 (relativo ai pubblici servizi) e, dall’altro, l’art. 34 (relativo
all’edilizia ed urbanistica) del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificati dall’art.
7 (lettere a e b) della legge n. 205 del 2000, in quanto con tali norme il
legislatore aveva «sostituito al criterio di riparto della giurisdizione
fissato in Costituzione, e costituito dalla dicotomia diritti soggettivi-interessi
legittimi, il diverso criterio dei “blocchi di materie”» (punto
2.1. del Considerato in diritto).
La Corte ha osservato che le censure mosse dai giudici rimettenti «colgono
nel segno nella parte in cui denunciano l’adozione, da parte del legislatore
ordinario del 1998-2000, di un’idea di giurisdizione esclusiva ancorata alla
pura e semplice presenza, in un certo settore dell’ordinamento, di un rilevante
pubblico interesse», laddove «è evidente che il vigente
art. 103, primo comma, Cost., non ha conferito al legislatore ordinario una
assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice
amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli
ha conferito il potere di indicare “particolari materie” nelle
quali “la tutela nei confronti della pubblica amministrazione” investe “anche” diritti
soggettivi». «Tale necessario collegamento delle “materie” assoggettabili
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle
situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal Costituente
come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso
dall’art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono essere “particolari” rispetto
a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono
partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza
che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della
quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo»,
sicché, «da un lato, è escluso che la mera partecipazione
della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si
radichi la giurisdizione del giudice amministrativo […] e, dall’altro
lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un
pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta
al giudice amministrativo» (punto 3.2.).
Sulla base di tali premesse, questa Corte – dopo aver distinto nell’ambito
dell’art. 33 le ipotesi in cui la materia dei servizi pubblici era legittimamente
devoluta al giudice amministrativo in quanto «la pubblica amministrazione
agisce esercitando il suo potere autoritativo» da quelle prive di tale
connotato (punto 3.4.2.) – ha osservato che «analoghi rilievi investono
la nuova formulazione dell’art. 34», la quale «si pone in contrasto
con la Costituzione nella parte in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva – oltre “gli
atti e i provvedimenti” attraverso i quali le pubbliche amministrazioni
[…] svolgono le loro funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed
edilizia – anche “i comportamenti”, la estende a controversie
nelle quali la pubblica amministrazione non esercita – nemmeno mediatamente,
e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente
privatistici – alcun pubblico potere» (punto 4.3.3. del Considerato
in diritto).
3.1.– Discende, dalla sommaria esposizione dell’iter argomentativo
seguito dalla sentenza n. 204 del 2004, che non è corretta la premessa
dalla quale implicitamente muovono entrambe le ordinanze di rimessione, e cioè che,
avendo questa Corte espunto dalla disposizione di cui all’art. 34 la locuzione “i
comportamenti”, tale espunzione non possa non estendersi all’identica
locuzione impiegata nell’art. 53, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001.
Tale tesi, infatti, si fonda esclusivamente sulla circostanza che, con il
suo dispositivo, la sentenza n. 204 del 2004 ha inciso sul testo dell’art.
34, ma trascura del tutto non soltanto la motivazione che è alla base
di quel dispositivo, ma anche, e soprattutto, la valenza che la locuzione espunta
aveva, specie in relazione alla questione di legittimità costituzionale
allora sottoposta alla Corte, nella disposizione dell’art. 34 del d.lgs. n.
80 del 1998.
Ed infatti, nell’affrontare la questione del se fosse costituzionalmente
legittimo devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “blocchi
di materie” ed in particolare l’intera “materia urbanistica ed
edilizia” (comprensiva, la prima, di “tutti gli aspetti dell’uso
del territorio”), questa Corte ha ravvisato – come risulta dalla
motivazione della sentenza – nella locuzione “i comportamenti” lo
strumento utilizzato dal legislatore per operare l’indiscriminata devoluzione
che si andava a censurare: sicché l’espunzione di tale locuzione, per
la funzione “di chiusura” assegnatale dal legislatore nell’art.
34, valeva a ribadire che la “materia edilizia ed urbanistica” non
poteva essere devoluta “in blocco” alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo, ma poteva esserlo nei limiti precisati nella motivazione.
3.2.– La questione di legittimità costituzionale sulla quale
questa Corte è ora chiamata a pronunciarsi investe (non più la
pretesa del legislatore ordinario di attribuire alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo “in blocco” la materia edilizia ed urbanistica,
ma) specificamente la conformità a Costituzione – e, segnatamente,
agli artt. 25, 102, comma secondo, e 103 – della norma che, in tema di
espropriazione per pubblica utilità, devolve «alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto»,
oltre che «gli atti, i provvedimenti, gli accordi», anche «i
comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati»;
questione che, per quanto si è fin qui osservato, non può essere
risolta attraverso la semplice e meccanica estensione a questa disposizione
dell’espunzione (solo perché, allora, operata) della locuzione de qua
dall’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998.
Va, altresì, precisato che, non essendo implausibile la tesi per cui
l’art. 53, in quanto norma processuale (e non anche l’art. 43, in quanto norma
di diritto sostanziale), troverebbe applicazione nei giudizi aventi ad oggetto
fattispecie non governate, quanto al diritto sostanziale, dal d.P.R. n. 327
del 2001, la questione di legittimità costituzionale ora all’esame della
Corte concerne l’art. 53, comma 1, esclusivamente nella sua valenza di norma
attributiva della giurisdizione al giudice amministrativo, e pertanto senza
che in alcun modo possa esserne coinvolta la norma nella parte in cui – essendo
applicabile l’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001 – presuppone la possibilità che
sia sindacato dal giudice amministrativo l’esercizio, da parte della pubblica
amministrazione, del potere di acquisire al suo patrimonio indisponibile l’immobile
modificato.
Peraltro la questione sollevata è rilevante nei giudizi a quibus perché,
non essendo implausibile la tesi dell’immediata applicabilità dell’art.
53, comma 1, quale norma processuale (specie a giudizi incardinati nella vigenza
dell’art. 34 del d. lgs. n. 80 del 1998, come modificato dalla legge n. 205
del 2000) e pendendo la causa davanti al giudice amministrativo, l’eventuale
carenza di sua giurisdizione a norma dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 – a
seguito dell’espunzione della locuzione “i comportamenti” operata
da questa Corte – legittimerebbe (ex art. 5 del codice di procedura civile)
una pronuncia declinatoria della giurisdizione solo ove fosse dichiarata costituzionalmente
illegittima la disposizione dell’art. 53, comma 1, che ex novo rende il giudice
amministrativo munito di giurisdizione: se è vero, infatti, che la giurisdizione
si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione
della domanda, è anche vero che il sopravvenire della giurisdizione
in capo al giudice che originariamente ne era (o ne era divenuto) sfornito
impedisce – per pacifica giurisprudenza – la pronuncia declinatoria.
4.– Le questioni sono fondate nei limiti di seguito precisati.
4.1.– Entrambe le fattispecie oggetto dei giudizi a quibus sono riconducibili
alle ipotesi tradizionalmente denominate (in giurisprudenza e dottrina) di
occupazione appropriativa (ovvero, anche, di accessione invertita o espropriazione
sostanziale): il che si verifica quando il fondo è stato occupato a
seguito di dichiarazione di pubblica utilità, e pertanto nell’ambito
di una procedura di espropriazione, ed ha subìto una irreversibile trasformazione
in esecuzione dell’opera di pubblica utilità senza che, tuttavia, sia
intervenuto il decreto di esproprio o altro atto idoneo a produrre l’effetto
traslativo della proprietà.
Tale fenomeno viene contrapposto a quello cosiddetto di occupazione usurpativa,
caratterizzato dall’apprensione del fondo altrui in carenza di titolo: carenza
universalmente ravvisata nell’ipotesi di assenza ab initio della dichiarazione
di pubblica utilità, e da taluni anche nell’ipotesi di annullamento,
con efficacia ex tunc, della dichiarazione inizialmente esistente ovvero di
sua inefficacia per inutile decorso dei termini previsti per l’esecuzione dell’opera
pubblica.
Nel caso dell’occupazione appropriativa, perfezionandosi con l’irreversibile
trasformazione del fondo la traslazione in capo all’amministrazione del diritto
di proprietà, il proprietario del fondo non può che chiedere
la tutela per equivalente, laddove, nel caso dell’occupazione usurpativa (rectius:
nelle ipotesi – in relazione a taluna delle quali non v’è unanimità di
consensi – ad essa riconducibili) il proprietario può scegliere
tra la restituzione del bene e, ove a questa rinunci così determinando
il prodursi (dei presupposti) dell’effetto traslativo, la tutela per equivalente.
4.2.– È evidente che la soluzione della questione di legittimità costituzionale
in esame non può che muovere da quanto questa Corte, con la più volte
citata sentenza n. 204 del 2004, ha statuito riguardo all’art. 35 (come modificato
dall’art. 7, lettera c, della legge n. 205 del 2000) del d.lgs. n. 80 del 1998;
statuizione, va precisato, e non già obiter dictum, in quanto la Corte – investita
della questione di legittimità costituzionale della devoluzione alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dei “blocchi di materie” relative
ai servizi pubblici ed all’edilizia ed urbanistica e del potere, altresì,
di giudicare di azioni risarcitorie riconosciutogli come attributo della giurisdizione
esclusiva – non poteva non considerare, quanto meno con riferimento al
disposto dell’art. 35, comma 1, se anche la tutela risarcitoria fosse configurabile
come una “materia” devoluta in blocco alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo.
In proposito questa Corte ha statuito che «il potere riconosciuto al
giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma
specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo
una nuova “materia” attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno
strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o
conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti
della pubblica amministrazione».
4.3.– I principi appena ricordati impongono di escludere che, per ciò solo
che la domanda proposta dal cittadino abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento
del danno, la giurisdizione competa al giudice ordinario: ciò dicendo
non intende questa Corte prendere posizione sul tema della natura della situazione
soggettiva sottesa alla pretesa risarcitoria, ovvero sulla natura (di norma
secondaria, id est sanzionatoria di condotte aliunde vietate, oppure primaria)
dell’art. 2043 cod. civ., ma esclusivamente ribadire che laddove la legge – come
fa l’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998 – costruisce il risarcimento del
danno, ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice
amministrativo, come strumento di tutela affermandone – come è stato
detto – il carattere “rimediale”, essa non viola alcun precetto
costituzionale e, anzi, costituisce attuazione del precetto dell’art. 24 Cost.
laddove questo esige che la tutela giurisdizionale sia effettiva e sia resa
in tempi ragionevoli.
In altri termini, al precedente sistema che, in considerazione della natura
intrinseca di diritto soggettivo della situazione giuridica conseguente all’annullamento
del provvedimento amministrativo, attribuiva al giudice ordinario «le
controversie sul risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti
amministrativi» (così l’art. 35, comma 5, del d. lgs. n. 80 del
1998, come modificato dall’art. 7, lettera c della legge n. 205 del 2000),
il legislatore ha sostituito (appunto con l’art. 35 cit.) un sistema che riconosce
esclusivamente al giudice naturale della legittimità dell’esercizio
della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi
anche il potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma specifica, il
danno sofferto per l’illegittimo esercizio della funzione.
Da ciò consegue che, ai fini del riparto di giurisdizione, è irrilevante
la circostanza che la pretesa risarcitoria abbia – come si ritiene da
alcuni –, o non abbia, intrinseca natura di diritto soggettivo: avendo
la legge, a questi fini, inequivocabilmente privilegiato la considerazione
della situazione soggettiva incisa dall’illegittimo esercizio della funzione
amministrativa, a questa Corte competeva (e compete) solo di valutare se tale
scelta del legislatore – di collegare, cioè, quanto all’attribuzione
della giurisdizione, la tutela risarcitoria a quella della situazione soggettiva
incisa dal provvedimento amministrativo illegittimo – confligga, o non,
con norme costituzionali; ciò che, con la più volte ricordata
sentenza n. 204 del 2004, questa Corte ha escluso.
5.– Le considerazioni fin qui esposte rendono palese che la questione
di legittimità costituzionale sollevata dalle ordinanze de quibus non
può risolversi in base al solo petitum, id est alla domanda di risarcimento
del danno, bensì considerando il fatto, dedotto a fondamento della domanda,
che si assume causativo del danno ingiusto.
Con espressione ellittica l’art. 53, comma 1, individua (anche) nei “comportamenti” della
pubblica amministrazione il fatto causativo del danno ingiusto, in parte qua
riproducendo il contenuto dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 (come modificato
dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000).
Tale previsione è costituzionalmente illegittima là dove la
locuzione, prescindendo da ogni qualificazione di tali “comportamenti”,
attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo controversie
nelle quali sia parte – e per ciò solo che essa è parte – la
pubblica amministrazione, e cioè fa del giudice amministrativo il giudice
dell’amministrazione piuttosto che l’organo di garanzia della giustizia nell’amministrazione
(art. 100 Cost.).
Viceversa, nelle ipotesi in cui i “comportamenti” causativi di
danno ingiusto – e cioè, nella specie, la realizzazione dell’opera – costituiscono
esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica
utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili
all’esercizio del pubblico potere dell’amministrazione, la norma si sottrae
alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali “comportamenti” esercizio,
ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della
pubblica amministrazione.
In sintesi, i principi sopra esposti – peraltro già enunciati
da questa Corte con la sentenza n. 204 del 2004 – comportano che deve
ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo delle controversie relative a “comportamenti” (di
impossessamento del bene altrui) collegati all’esercizio, pur se illegittimo,
di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima
la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di “comportamenti” posti
in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto.
L’attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo della tutela
risarcitoria – non a caso con la medesima ampiezza, e cioè sia
per equivalente sia in forma specifica, che davanti al giudice ordinario, e
con la previsione di mezzi istruttori, in primis la consulenza tecnica, schiettamente “civilistici” (art.
35, comma 3) – si fonda sull’esigenza, coerente con i principi costituzionali
di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice
l’intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della
funzione pubblica (così Corte di cassazione, sez. un., 22 luglio 1999,
n. 500 ), ma non si giustifica quando la pubblica amministrazione non abbia
in concreto esercitato, nemmeno mediatamente, il potere che la legge le attribuisce
per la cura dell’interesse pubblico.
P.Q.M.
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, del
decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (Testo unico delle disposizioni legislative
in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo B),
trasfuso nell’art. 53, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica
8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A),
nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
le controversie relative a «i comportamenti delle pubbliche amministrazioni
e dei soggetti ad esse equiparati», non esclude i comportamenti non riconducibili,
nemmeno mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 3 maggio 2006. Depositata in Cancelleria l’11 maggio 2006.