Il sindaco di Pastrengo, con ordinanza contingibile e
urgente, aveva ordinato di rimuovere
gli ostacoli
che
deviavano la circolazione; ostacoli che consistevano in vasi
e blocchi di calcestruzzo, uniti a tratti da un nastro di cordonatura.
I ricorrenti dal canto loro affermavano di aver semplicemente recintato il
loro fondo.
Il Consiglio di Stato, con la decisione riportata in calce, osserva come
l’ordinanza impugnata non contenga alcuna asserzione circa la proprietà dell’area
su cui insistono i vasi e i blocchi.
Sono i ricorrenti ad avere contestato la
legittimità del provvedimento sostenendo di essersi limitati a recintare
la loro proprietà; e perciò "erroneamente il giudice di primo grado
si è attardato ad esaminare la questione della proprietà del terreno,
considerandola il punto nodale della controversia".
I Giudici di Palazzo Spada hanno osservato che, anche ammesso che i ricorrenti
abbiano
posto i manufatti all’interno del loro terreno e sul confine con la sede
stradale, ciò non è comunque ammesso, dal momento che le strade
sono
protette
da una fascia di rispetto.
Il divieto di collocare manufatti e recinzioni è contenuto
espressamente nel nuovo codice della strada, successivo ai fatti di causa (articoli
da 16 a 18 del codice della strada emanato con decreto legislativo 30 aprile
1992 n. 285); ma è implicito anche nell’elencazione contenuta nell’articolo
1, vigente all’epoca dei fatti, del codice della strada del 1933 (regio
decreto 8 dicembre 1933 n. 1740, che vietava di «costruire case, altre
fabbriche o muri di cinta lungo le strade fuori degli abitati, a distanza minore
di tre metri dal confine della strada …»: è ovvio che qualsiasi
manufatto posto sul confine della carreggiata recinge anche la strada e restringe
la circolazione stradale.
I ricorrenti, in definitiva, se ritengono che
la sede stradale abbia occupato la loro proprietà, "ben possono rivendicarla
con apposita azione davanti al tribunale civile, e non certo apponendo blocchi
di calcestruzzo o cemento sulla o lungo la strada".
. . . . . . .
Consiglio di Stato, V sezione
Sentenza numero 4227 del 2006
(presidente Elefante, estensore Carboni)
Conferma (con diversa motivazione) sentenza 31 ottobre 1997 n. 1852 del TAR Veneto,
seconda
sezione
FATTO
I coniugi Rama, proprietari in Pastrengo di un terreno confinante con la via
Fontane, posero lungo tutto il confine, per circa 100 m, vasi di fiori e blocchi
di calcestruzzo, uniti a tratti da una cordonatura effettuata con nastro rosso
e bianco. I vigili urbani il 2 dicembre 1986 rilevarono che i suddetti manufatti
rendevano malagevole la circolazione stradale sulla via Fontane, e la rendevano
particolarmente pericolosa nel tratto finale della strada, che immette sulla
strada statale n. 450, nel quale la carreggiata era stata ristretta di una
larghezza da uno a sei metri, in modo tale che la corsia di destra era stata
invasa e gli
automobilisti erano costretti a circolare contromano.
Il sindaco, sulla base della relazione dei vigili urbani, con ordinanza contingibile
e urgente emessa ai sensi dell’articolo 55 del testo unico della legge
comunale e provinciale emanato con regio decreto 3 marzo 1934 n. 383 ha ordinato
ai signori Rama e Veronesi di rimuovere gli ostacoli che deviavano il traffico
in via Fontane.
I signori Rama con ricorso al tribunale amministrativo regionale per il Veneto
notificato il 30 gennaio 1987 hanno impugnato l’atto, premettendo che i
vasi e i blocchi erano stati da loro collocati all’interno della loro proprietà e
senza invadere il sedime stradale, al fine di recintare il fondo, e deducendo
l’illegittimità del provvedimento, emanato sull’errato presupposto
che l’opera fosse stata realizzata sul sedime della pubblica strada. In
via subordinata hanno dedotto l’illegittimità del provvedimento
per carenza di motivazione, non essendo individuate le opere da rimuovere.
Il tribunale amministrativo regionale con la sentenza indicata in epigrafe
ha respinto il ricorso, osservando che le planimetrie prodotte dai ricorrenti
non
erano sufficienti a definire in modo certo e univoco la linea di confine tra
la proprietà privata e la strada né, quindi, a provare che i ricorrenti
erano proprietari dell’area occupata; e giudicando altresì infondato
il motivo d’insufficiente motivazione.
Appellano i signori Rama, censurando la motivazione della sentenza, in particolare
osservando «che in fatto nel passato la striscia di terreno contesa era
appartenuta ai ricorrenti non era mai stato contestato dal comune di Pastrengo».
Gli appellanti fanno presente altresì che il prefetto di Verona aveva
accolto un loro ricorso amministrativo contro la contestazione, da parte del
comune, di occupazione di suolo stradale.
DIRITTO
Il sindaco di Pastrengo con l’ordinanza contingibile e urgente sopra indicata
ha ordinato ai signori Rama e Veronesi di rimuovere gli ostacoli che deviavano
la circolazione sulla via Fontane; ostacoli che, come era stato rilevato dai
vigili urbani e come ammettono gli stessi ricorrenti, consistevano in vasi e
blocchi di calcestruzzo, uniti a tratti da un nastro di cordonatura. Secondo
il rapporto dei vigili urbani, i manufatti invadevano la carreggiata per una
profondità fino a sei metri, mentre i ricorrenti negano di avere invaso
il sedime stradale e affermano di aver semplicemente recintato il loro fondo.
La predetta ordinanza non contiene nessuna asserzione circa la proprietà dell’area
su cui insistono i vasi e i blocchi. Sono i ricorrenti ad avere contestato la
legittimità del provvedimento sostenendo di essersi limitati a recintare
la loro proprietà; e perciò erroneamente il giudice di primo grado
si è attardato ad esaminare la questione della proprietà del terreno,
considerandola il punto nodale della controversia. Il Collegio osserva invece
che la tesi dei ricorrenti non è conferente: anche ammesso che essi abbiano
posto i manufatti all’interno del loro terreno e sul confine con la sede
stradale, ciò non è ammesso, dal momento che le strade sono protette
da una fascia di rispetto. Il divieto di collocare manufatti e recinzioni è contenuto
espressamente nel nuovo codice della strada, successivo ai fatti di causa (articoli
da 16 a 18 del codice della strada emanato con decreto legislativo 30 aprile
1992 n. 285); ma è implicito anche nell’elencazione contenuta nell’articolo
1, vigente all’epoca dei fatti, del codice della strada del 1933 (regio
decreto 8 dicembre 1933 n. 1740, che vietava di «costruire case, altre
fabbriche o muri di cinta lungo le strade fuori degli abitati, a distanza minore
di tre metri dal confine della strada …»: è ovvio che qualsiasi
manufatto posto sul confine della carreggiata recinge anche la strada e restringe
la circolazione stradale. S’intende che i ricorrenti, se ritengono che
la sede stradale abbia occupato la loro proprietà, ben possono rivendicarla
con apposita azione davanti al tribunale civile, e non certo apponendo blocchi
di calcestruzzo o cemento sulla o lungo la strada.
L’appello, pertanto, è infondato e, con la diversa motivazione
che precede, va respinto.
Non si deve provvedere sulle spese di giudizio, dal momento che il comune non
si è costituito in giudizio.
P.Q.M.
respinge l’appello indicato in epigrafe. Nulla sulle spese di giudizio.
Così deciso in Roma il 20 gennaio 2006. Depositata il
28 giugno 2006.