La sentenza della Corte di Giustizia sulla detraibilita’ IVA

La Corte di Giustizia delle Comunita’ europee, con sentenza
pubblicata il 14 settembre scorso, emessa in sede di interpretazione
pregiudiziale
della sesta direttiva europea sull’IVA tesa all’armonizzazione delle
legislazioni degli Stati membri in materia (77/388), ha escluso limitazioni alla
detraibilita’ dell’IVA su beni come autoveicoli e carburanti utilizzati
nell’attivita’ d’impresa.

Si tratta della causa C-228/05, instaurata su richiesta di pronuncia pregiudiziale
proposta alla Corte dalla Commissione tributaria
di primo grado di Trento, nel procedimento tra
Stradasfalti Srl
e
Agenzia delle Entrate – Ufficio di Trento.

La Corte ha così statuito, in sintesi:

"La sesta direttiva del Consiglio
17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni
degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, non autorizza
uno Stato membro ad escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni dell’imposta
sul valore aggiunto … ove siano privi di
indicazioni quanto alla loro limitazione temporale e/o facciano parte di un
insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo
di bilancio e a consentire il rimborso del debito pubblico".

"Qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia
stata stabilita conformemente alla sesta direttiva 77/388, le autorità tributarie
nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga
al principio del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto
enunciato da tale direttiva. Il soggetto passivo
cui sia stata applicata tale misura derogatoria deve poter ricalcolare il suo
debito d’imposta sul valore aggiunto conformemente alle disposizioni
della sesta direttiva 77/388 nella misura in cui
i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta".

Di seguito, il testo integrale della decisione della Corte di Giustizia.


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. . . .

Corte di Giustizia delle Comunità europee, III Sezione

sentenza del 14 settembre 2006

(presidente Rosas, estensore Puissochet)

Procedimento C-228/05
(avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta alla Corte dalla Commissione tributaria
di primo grado di Trento, con ordinanza 21 marzo 2005, nel procedimento tra
Stradasfalti Srl
e
Agenzia delle Entrate – Ufficio di Trento).

(…)

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art.
17, n. 7, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in
materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle
imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore
aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta
direttiva»).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia
tra la società a responsabilità limitata Stradasfalti Srl (in
prosieguo: la «Stradasfalti») e l’Agenzia delle Entrate – Ufficio
di Trento, in merito al rimborso dell’imposta sul valore aggiunto (in
prosieguo: l’«IVA») che la Stradasfalti sostiene di aver
indebitamente versato negli anni 2000-2004 per l’acquisto, l’uso
e la manutenzione di veicoli da turismo che non formano oggetto dell’attività propria
di tale società.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

3 L’art. 17 della sesta direttiva, intitolato «Origine e portata
del diritto a deduzione», dispone, al suo n. 2, lett. a), che «[n]ella
misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette
ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta
di cui è debitore (…) l’imposta sul valore aggiunto dovuta o
assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che
gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo».

4 L’art. 17, n. 6, della sesta direttiva prevede quanto segue:

«Al più tardi entro un termine di quattro anni a decorrere dalla
data di entrata in vigore della presente direttiva, il Consiglio, con decisione
all’unanimità adottata su proposta della Commissione, stabilisce
le spese che non danno diritto a deduzione dell’imposta sul valore aggiunto.
Saranno comunque escluse dal diritto a deduzione le spese non aventi un carattere
strettamente professionale, quali le spese suntuarie, di divertimento o di
rappresentanza.

Fino all’entrata in vigore delle norme di cui sopra, gli Stati membri
possono mantenere tutte le esclusioni previste dalla loro legislazione nazionale
al momento dell’entrata in vigore della presente direttiva».

5 Ai sensi dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva:

«Fatta salva la consultazione prevista dall’articolo 29, ogni
Stato membro può, per motivi congiunturali, escludere totalmente o in
parte dal regime di deduzioni la totalità o parte dei beni di investimento
o altri beni. Per mantenere condizioni di concorrenza identiche, gli Stati
membri possono, anziché rifiutare la deduzione, tassare i beni fabbricati
dallo stesso soggetto passivo o acquistati dal medesimo all’interno del
paese, oppure importati, in modo che questa imposizione non superi l’ammontare
dell’imposta sul valore aggiunto che graverebbe sull’acquisto di
beni analoghi».

6 L’art. 29, nn. 1 e 2, della sesta direttiva dispone quanto segue:

«1. È istituito un comitato consultivo dell’imposta sul
valore aggiunto [in prosieguo: il «Comitato IVA»], in appresso
denominato “comitato”.

2. Il comitato si compone di rappresentanti degli Stati membri e della Commissione.

Il comitato è presieduto da un rappresentante della Commissione.

Il segretariato del comitato è assicurato dai servizi della Commissione».

Normativa nazionale

7 La normativa nazionale rilevante figura all’art. 19 bis 1, intitolato «Esclusione
o riduzione della detrazione per alcuni beni e servizi», del decreto
del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Supplemento ordinario
alla GURI n. 292 dell’11 novembre 1972; in prosieguo: il «DPR n.
633/72»), nella sua formulazione risultante dall’art. 3 del decreto
legislativo 2 settembre 1997, n. 313 (Supplemento ordinario alla GURI n. 219
del 27 dicembre 1997).

8 Il detto art. 19 bis 1 dispone quanto segue:

«In deroga alle disposizioni di cui all’articolo 19:

(…)

c) l’imposta relativa all’acquisto o alla importazione di ciclomotori,
di motocicli e di autovetture ed autoveicoli indicati nell’articolo 54,
lettere a) e c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, non compresi
nell’allegata tabella B e non adibiti ad uso pubblico, che non formano
oggetto dell’attività propria dell’impresa, e dei relativi
componenti e ricambi, nonché alle prestazioni di servizi di cui al terzo
comma dell’articolo 16 ed a quelle di impiego, custodia, manutenzione
e riparazione relative ai beni stessi, non è ammessa in detrazione salvo
che per gli agenti o rappresentanti di commercio;

d) l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di
carburanti e lubrificanti destinati ad autovetture e veicoli, aeromobili, navi
e imbarcazioni da diporto è ammessa in detrazione se è ammessa
in detrazione l’imposta relativa all’acquisto, all’importazione
o all’acquisizione mediante contratti di locazione finanziaria, di noleggio
e simili di dette autovetture, veicoli, aeromobili e natanti».

9 L’efficacia di tale disposizione è stata limitata al 31 dicembre
2000 dall’art. 7, terzo comma, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Supplemento
ordinario alla GURI n. 302 del 27 dicembre 1999).

10 La misura è stata poi prorogata e il suo campo di applicazione modificato
con l’art. 30, quarto comma, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Supplemento
ordinario alla GURI n. 302 del 29 dicembre 2000), a termini del quale:

«L’indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto
afferente le operazioni aventi per oggetto ciclomotori, motocicli, autovetture
e autoveicoli di cui alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 19-bis
1 del [DPR n. 633/72], prorogata da ultimo al 31 dicembre 2000 dall’articolo
7, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, è ulteriormente prorogata
al 31 dicembre 2001; tuttavia limitatamente all’acquisto, all’importazione
e all’acquisizione mediante contratti di locazione finanziaria, noleggio
e simili di detti veicoli la indetraibilità è ridotta al 90 per
cento del relativo ammontare ed al 50 per cento nel caso di veicoli con propulsori
non a combustione interna».

11 Tale testo è rimasto in vigore per effetto di ulteriori provvedimenti
annuali di proroga. La scadenza è stata infatti modificata dall’art.
9, quarto comma, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, poi dall’art.
2, tredicesimo comma, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, dall’art.
2, diciassettesimo comma, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e, infine,
dall’art. 1, comma 503, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, che ne
ha prorogato gli effetti fino al 31 dicembre 2005.

La controversia principale e le questioni pregiudiziali

12 La Stradasfalti è una società a responsabilità limitata
di diritto italiano, con sede legale in provincia di Trento, che opera nel
settore delle costruzioni stradali.

13 Essa dispone di veicoli aziendali che non formano oggetto dell’attività propria
dell’impresa, e per il cui acquisto, uso, manutenzione e rifornimento
di carburante non ha potuto beneficiare della detraibilità dell’IVA
ad essi afferente, secondo quanto previsto dalla normativa italiana.

14 Il 7 luglio 2004 la Stradasfalti, ritenendo tale normativa incompatibile
con le disposizioni della sesta direttiva relative alla detraibilità dell’IVA,
chiedeva all’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Trento la restituzione
di circa EUR 31 340, a titolo di rimborso dell’IVA indebitamente pagata
dal 2000 al 2004 per l’acquisto, l’uso, la manutenzione ed il rifornimento
di carburante dei propri veicoli aziendali.

15 Con varie decisioni adottate il 15 luglio 2004, l’Agenzia delle Entrate – Ufficio
di Trento respingeva tale istanza.

16 Il 22 novembre 2004, la Stradasfalti proponeva un ricorso alla Commissione
tributaria di primo grado di Trento per ottenere l’annullamento di tali
decisioni ed il rimborso dell’IVA per i periodi considerati.

17 In tale contesto, la Commissione tributaria di primo grado di Trento ha
deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:

«1) Se l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva (…)
in relazione al n. 2 dello stesso articolo (…) vada interpretato nel
senso che:

a) il detto articolo si oppone a considerare “consultazione del comitato
IVA” di cui all’art. 29 della citata direttiva, la semplice notifica
da parte di uno Stato membro dell’adozione di una norma di legge nazionale,
come quella di cui all’attuale art. 19 bis 1 D.P.R. n. 633/72, lett.
c) e d) e successive proroghe, che limita il diritto di detrazione dall’IVA
relativa all’impiego e manutenzione dei beni di cui al paragrafo 2 dell’art.
17, sulla base di una semplice presa d’atto da parte del comitato IVA;

b) lo stesso si oppone egualmente a considerare come misura ricadente nel
suo campo di applicazione una qualsivoglia limitazione del diritto a fruire
della detrazione IVA connessa all’acquisto, impiego e manutenzione dei
beni sub a) introdotta prima della consultazione del comitato IVA e mantenuta
in vigore attraverso numerose proroghe legislative, ripetutesi a catena e senza
soluzione di continuità da oltre venticinque anni;

c) in caso di risposta affermativa alla questione sub 1 b) si chiede che la
Corte indichi i criteri sulla scorta dei quali si possa determinare l’eventuale
durata massima delle proroghe, in relazione ai motivi congiunturali presi in
considerazione dall’art. 17, n. 7, della sesta direttiva; ovvero che
precisi se l’inosservanza della temporaneità delle deroghe (ripetute
nel tempo) attribuisca al contribuente il diritto a fruire della detrazione;

2) qualora i requisiti e le condizioni della procedura di cui all’art.
17, n. 7, sopra richiamato, non risultassero rispettati, dica la Corte se l’art.
17, n. 2, della citata direttiva vada interpretato nel senso che esso si oppone
a che una norma di legge nazionale od una prassi amministrativa adottata da
uno Stato membro dopo l’entrata in vigore della sesta direttiva (1º gennaio
1979 per l’Italia) possa limitare la detrazione dell’IVA connessa
all’acquisto, impiego e manutenzione di determinati autoveicoli, in via
oggettiva e senza limitazioni di tempo».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione, sub a)

18 Con la prima questione, sub a), il giudice del rinvio chiede se l’art.
17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva vada interpretato nel senso che
si oppone a che si consideri «consultazione del comitato IVA» di
cui all’art. 29 della citata direttiva, la notifica da parte di uno Stato
membro dell’adozione di una norma di legge nazionale che limita il diritto
di detrazione dell’IVA afferente all’impiego e alla manutenzione
dei beni di cui all’art. 17, n. 2, laddove il comitato IVA si è limitato
a prendere atto di tale notifica.

Osservazioni presentate alla Corte

19 La Commissione sostiene che la consultazione del comitato IVA prevista
dall’art. 29 della sesta direttiva costituisce un’imprescindibile
condizione procedurale per l’esercizio delle deroghe congiunturali relative
all’IVA. La consultazione di tale comitato deve permettere ai rappresentanti
degli Stati membri e della Commissione di esaminare congiuntamente le misure
nazionali che derogano al principio della detraibilità dell’IVA.
Al riguardo, non basta a configurare una consultazione la mera notifica al
comitato IVA della normativa nazionale adottata o in via di adozione, né una
presa d’atto, da parte di tale comitato, della normativa nazionale ad
esso notificata.

20 Una conferma di tale interpretazione dell’art. 29 della sesta direttiva
sarebbe offerta dalle varie versioni linguistiche della formula usata dall’art.
17, n. 7, della sesta direttiva. Inoltre, nella sentenza 8 gennaio 2002, causa
C-409/99, Metropol e Stadler (Racc. pag. I-81), la Corte ha già statuito
che la consultazione del comitato IVA era un presupposto per l’adozione
di qualsiasi misura basata sul detto art. 17, n. 7.

21 Per quanto riguarda la misura in questione nella controversia principale,
il governo italiano ha consultato il comitato IVA nel 1980 e ha illustrato,
attraverso il proprio rappresentante, il contenuto e la portata della misura
nella riunione del comitato tenutasi in quell’anno. Esso ha seguito la
stessa procedura in occasione delle successive proroghe della misura, consultando
il comitato nel 1990, nel 1995, nel 1996, nel 1999 e nel 2000.

22 La Commissione riconosce che la consultazione del comitato IVA ha avuto
luogo dopo l’entrata in vigore della misura derogatoria e che ci si può chiedere
se l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva imponga questa consultazione
prima di tale entrata in vigore. Tuttavia, la procedura seguita dalle autorità italiane
nel caso di specie sembra rispettosa delle prerogative del comitato IVA e conforme
alla prassi seguita dagli altri Stati membri. La Commissione rimette quindi
la decisione su tale questione alla saggezza della Corte.

23 Il governo italiano, da parte sua, sostiene che la procedura seguita nel
caso di specie non ha violato l’obbligo di consultazione del comitato
IVA. Infatti, questo è stato investito di un’espressa domanda
del governo italiano, sulla base della quale i servizi della Commissione hanno
potuto elaborare un documento di lavoro, prima che il fascicolo fosse sottoposto
a tale comitato. Quella che il giudice del rinvio chiama «una semplice
presa d’atto» è in realtà la decisione conclusiva
della procedura di consultazione prevista dall’art. 17, n. 7, della sesta
direttiva, adottata dal comitato IVA.

24 In ogni caso, anche nell’ipotesi in cui la procedura non fosse stata
seguita alla lettera, il governo italiano ritiene che non vi sia stata alcuna
violazione dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva.

25 La Stradasfalti sostiene, innanzi tutto, che l’art. 19 bis 1, lett.
c) e d), del DPR n. 633/72, modificato, è incompatibile con le disposizioni
della sesta direttiva in quanto l’indetraibilità da esso introdotta
non rientra in alcuna delle categorie di deroghe lecite previste da tale direttiva.
La misura in questione violerebbe le disposizioni dell’art. 17, n. 7,
della medesima direttiva, per il fatto che il comitato IVA non è stato
previamente consultato dal governo italiano, che gli unici motivi che potrebbero
giustificare la deroga al diritto di detrazione dell’IVA, ossia i motivi
congiunturali, non sono mai sussistiti e che la misura di cui trattasi, lungi
dall’essere temporanea, si applica in maniera strutturale da più di
venticinque anni.

26 Relativamente alla prima questione, sub a), la Stradasfalti sostiene che
la normativa comunitaria prescrive una concertazione effettiva nell’ambito
del comitato IVA, in quanto unico mezzo che consente di controllare come gli
Stati membri si avvalgono della possibilità di deroga offerta dall’art.
17, n. 7, della sesta direttiva. Tale disposizione osta quindi all’introduzione
di una deroga al diritto di detrazione dell’IVA previa mera notifica
di una disposizione legislativa nazionale di uno Stato membro o previa semplice
notifica dell’intenzione dello Stato membro di adottare tale disposizione,
seguita da semplice presa d’atto da parte del comitato IVA.

Giudizio della Corte

27 L’art. 17, n. 7, della sesta direttiva prevede una delle procedure
di autorizzazione di misure derogatorie contemplate dalla detta direttiva,
accordando agli Stati membri la facoltà di escludere alcuni beni dal
regime delle detrazioni «fatta salva la consultazione prevista dall’articolo
29».

28 Tale consultazione permette alla Commissione e agli altri Stati membri
di controllare l’uso da parte di uno Stato membro della possibilità di
derogare al regime generale delle detrazioni dell’IVA, verificando, in
particolare, se la misura nazionale di cui trattasi soddisfi la condizione
di essere stata adottata per motivi congiunturali.

29 L’art. 17, n. 7, della sesta direttiva prevede così un obbligo
procedurale che gli Stati membri devono rispettare per potersi avvalere della
norma derogatoria da esso stabilita. La consultazione del comitato IVA risulta
essere un presupposto dell’adozione di qualsiasi misura basata su detta
disposizione (v. sentenza Metropol e Stadler, cit., punti 61-63).

30 L’obbligo di consultare il comitato IVA sarebbe privo di senso qualora
gli Stati membri si limitassero a notificare al medesimo la misura nazionale
derogatoria che intendono adottare senza corredare tale notifica della minima
spiegazione sulla natura e sulla portata della misura. Il comitato IVA deve
essere in grado di deliberare validamente sulla misura ad esso sottoposta.
L’obbligo procedurale previsto all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva
presuppone quindi che gli Stati membri informino tale comitato del fatto che
intendono adottare una misura derogatoria e che gli forniscano informazioni
sufficienti per consentirgli di esaminare tale misura con cognizione di causa.

31 Per contro, l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva non prevede alcun
obbligo quanto al risultato della consultazione del comitato IVA, e in particolare
non impone a tale comitato di pronunciarsi favorevolmente o sfavorevolmente
sulla misura nazionale derogatoria. Nulla impedisce quindi al comitato IVA
di limitarsi a prendere atto della misura nazionale derogatoria che gli viene
comunicata.

32 Occorre dunque risolvere la prima questione, sub a), nel senso che l’art.
17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva impone che gli Stati membri, per
rispettare l’obbligo procedurale di consultazione di cui all’art.
29 della medesima direttiva, informino il comitato IVA del fatto che intendono
adottare una misura nazionale che deroga al regime generale delle detrazioni
dell’IVA e che forniscano a tale comitato informazioni sufficienti per
consentirgli di esaminare la misura con cognizione di causa.

Sulla prima questione, sub b) e c), prima parte

33 Con la prima questione, sub b) e c), prima parte, il giudice del rinvio
chiede sostanzialmente se l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva
debba essere interpretato nel senso che esso autorizza uno Stato membro ad
escludere taluni beni indicati all’art. 17, n. 2, della medesima direttiva,
dal regime delle detrazioni dell’IVA:

– senza la previa consultazione del comitato IVA e

– senza limitazioni temporali.

Osservazioni presentate alla Corte

34 La Commissione ricorda che le disposizioni che prevedono deroghe al principio
del diritto alla detrazione devono essere interpretate restrittivamente (v.
sentenza Metropol e Stadler, cit., punto 59). La Corte ha già dichiarato
che l’applicazione dei provvedimenti previsti all’art. 17, n. 7,
della sesta direttiva, il quale permette di introdurre, per «motivi congiunturali»,
eccezioni alla regola della detraibilità, dev’essere limitata
nel tempo e che, per definizione, tali provvedimenti non possono essere di
natura strutturale (v. sentenza Metropol e Stadler, cit., punto 67).

35 A tale proposito, la misura in questione nella causa principale è stata
introdotta nella legislazione italiana nel 1979 come norma permanente. Solo
a partire dal 1980 è stato fissato un limite temporale alla sua efficacia,
limite da allora peraltro sistematicamente prorogato. In realtà, la
misura sembra essere stata adottata al fine di prevenire le frodi e l’evasione
fiscale, obiettivi questi riconducibili alla procedura e alle condizioni particolari
previste dall’art. 27 della sesta direttiva.

36 Del resto, sin dal 1980, il comitato IVA ha costantemente segnalato al
governo italiano come la deroga in questione non potesse giustificarsi sulla
base dell’art. 17, n. 7, della sesta direttiva. L’atteggiamento
più conciliante adottato da tale comitato nelle sue riunioni del 1999
e del 2000 si spiega alla luce dell’impegno, assunto e non mantenuto
dalle autorità italiane, di riesaminare la misura a partire dal 1º gennaio
2001, e sulla base delle prospettive allora aperte dalla proposta della Commissione
di modificare la sesta direttiva per quanto concerne il regime del diritto
alla detrazione dell’IVA.

37 Ciò premesso, la Commissione ritiene la deroga in questione nella
causa principale incompatibile con le disposizioni dell’art. 17, n. 7,
della sesta direttiva.

38 Il governo italiano sostiene che la prima questione, sub b), non è pertinente
ed è quindi irricevibile.

39 Infatti, la controversia di cui alla causa principale riguarda solo l’IVA
versata nel corso degli anni 2000-2004. Orbene, nel 1999 e nel 2000 le richieste
di consultazione del comitato hanno preceduto l’adozione del provvedimento
nazionale di proroga. In tale contesto, la questione sottoposta alla Corte
va al di là della normativa applicabile alla controversia principale
ed è pertanto irricevibile (v., da ultimo, sentenza 30 giugno 2005,
causa C-165/03, Mathias Längst, Racc. pag. I-5637). Ad ogni modo, la Corte
avrebbe dichiarato che l’art. 27 della sesta direttiva non esclude che
la decisione del Consiglio di autorizzare uno Stato membro a introdurre misure
particolari in deroga alla detta direttiva intervenga a posteriori (v. sentenza
29 aprile 2004, causa C-17/01, Sudholz, Racc. pag. I-4243, punto 23). Lo stesso
dovrebbe valere per la consultazione del comitato IVA prevista all’art.
17, n. 7, della medesima direttiva.

40 Per quanto riguarda la prima questione, sub c), prima parte, essa sarebbe
puramente ipotetica e quindi parimenti irricevibile.

41 Secondo la Stradasfalti, occorre risolvere la prima questione, sub b),
nel senso che l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva osta all’introduzione
di una deroga al diritto alla detraibilità dell’IVA prima della
consultazione del comitato IVA, dato che la normativa comunitaria richiede
espressamente che tale comitato sia consultato in via preventiva.

42 Inoltre, l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva impone che la deroga
conservi un carattere temporaneo, posto che, come statuito dalla Corte, essa
deve rispondere a motivi congiunturali. Tale articolo osta quindi al mantenimento
della deroga in questione da oltre venticinque anni, sulla base di proroghe
successive.

43 Per quanto riguarda la prima questione, sub c), la Stradasfalti fa valere
che, nella citata sentenza Metropol e Stadler, la Corte ha già dichiarato
che l’art. 17, n. 7, autorizza uno Stato membro a discostarsi dal regime
comunitario della detrazione dell’IVA solo per una «durata limitata».
Del resto, l’avvocato generale Geelhoed, nelle conclusioni in tale causa,
ha definito la politica congiunturale come diretta ad influenzare «a
breve termine» e su «un periodo di uno-due anni» i dati macroeconomici
del paese. Una deroga mantenuta per più di venticinque anni manifestamente
viola l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva.

Giudizio della Corte

– Sulla ricevibilità delle questioni

44 Il procedimento ex art. 234 CE costituisce uno strumento di cooperazione
tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai
secondi gli elementi d’interpretazione del diritto comunitario necessari
per risolvere le controversie dinanzi ad essi pendenti (v., segnatamente, sentenza
5 febbraio 2004, causa C-380/01, Schneider, Racc. pag. I-1389, punto 20).

45 Nell’ambito di tale cooperazione, spetta esclusivamente al giudice
nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi
la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale valutare,
alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di
una decisione pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza
sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza,
se le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono sull’interpretazione
del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire
(sentenza Schneider, cit., punto 21).

46 Tuttavia, la Corte ha parimenti affermato che, in ipotesi eccezionali,
le spetta esaminare le condizioni in cui è adita dal giudice nazionale
al fine di verificare la propria competenza. Il rifiuto di statuire su una
questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile
solo qualora risulti manifestamente che la richiesta interpretazione del diritto
comunitario non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto
della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure
qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari
per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza
Schneider, cit., punto 22).

47 Infatti, lo spirito di collaborazione che deve presiedere allo svolgimento
del procedimento pregiudiziale implica che il giudice nazionale, dal canto
suo, tenga presente la funzione di cui la Corte è investita, che è quella
di contribuire all’amministrazione della giustizia negli Stati membri
e non di esprimere pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche
(sentenza Schneider, cit., punto 23).

48 Nella fattispecie, dalle osservazioni presentate alla Corte emerge che,
sebbene la causa principale riguardi solo l’IVA versata nel corso degli
anni 2000-2004, anni per i quali le richieste di consultazione del comitato
IVA, secondo il governo italiano, hanno preceduto l’adozione del provvedimento
nazionale di proroga, quest’ultimo è in realtà entrato
in vigore prima di tale periodo e viene sistematicamente prorogato da molti
anni. Non appare quindi che la richiesta interpretazione del diritto comunitario
non abbia manifestamente alcuna relazione con l’oggetto della controversia
o che sollevi un problema di natura ipotetica.

49 Di conseguenza, va constatato che la prima questione, sub b) e c), prima
parte, è ricevibile.

– Nel merito

50 Per quanto riguarda la prima questione, sub b), con cui si chiede se l’art.
17, n. 7, della sesta direttiva autorizzi uno Stato membro a escludere taluni
beni dal regime di detrazione dell’IVA senza previa consultazione del
comitato IVA, la Corte ha già dichiarato, come è stato osservato
sopra al punto 29, che la consultazione di tale comitato è un presupposto
dell’adozione di qualsiasi misura basata su detta disposizione (v. sentenza
Metropol e Stadler, cit., punti 61-63).

51 Contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, la risposta a tale
questione non può essere dedotta dalla soluzione elaborata dalla Corte
nella citata sentenza Sudholz. Con tale sentenza, la Corte ha dichiarato segnatamente
che l’art. 27 della sesta direttiva non imponeva al Consiglio di dare
la sua autorizzazione a misure particolari derogatorie prese dagli Stati membri,
prima dell’adozione di tali misure. Tuttavia, la procedura di consultazione
prevista all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, in questione nella
fattispecie, non ha il medesimo oggetto della procedura di autorizzazione prevista
all’art. 27 della stessa direttiva. Non è dunque fondata la tesi
del governo italiano secondo cui dalla sentenza Sudholz, citata, risulterebbe
che la soluzione già fornita dalla Corte nella citata sentenza Metropol
e Stadler andrebbe esclusa nella fattispecie.

52 Quanto alla prima questione, sub c), prima parte, con cui si chiede se
l’art. 17, n. 7, della sesta direttiva autorizzi uno Stato membro ad
escludere taluni beni dal regime di detrazione dell’IVA senza limitazioni
temporali, va ricordato che tale articolo autorizza gli Stati membri a escludere
taluni beni dal regime delle detrazioni «per motivi congiunturali».

53 Tale disposizione autorizza dunque uno Stato membro ad adottare misure
temporanee destinate ad ovviare alle conseguenze di una situazione congiunturale
in cui si trova la sua economia in un determinato momento. Pertanto, l’applicazione
delle misure a cui si riferisce tale disposizione deve essere limitata nel
tempo e, per definizione, le medesime non possono essere di natura strutturale.

54 Ne consegue che l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva
non autorizza uno Stato membro ad adottare provvedimenti che escludano beni
dal regime delle detrazioni dell’IVA ove siano privi di indicazioni quanto
alla loro limitazione temporale e/o facciano parte di un insieme di provvedimenti
di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio e a consentire
il rimborso del debito pubblico (v. sentenza Metropol e Stadler, cit., punto
68).

55 Pertanto, la prima questione pregiudiziale, sub b) e c), prima parte, va
risolta dichiarando che l’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva
dev’essere interpretato nel senso che esso non autorizza uno Stato membro
ad escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni dell’IVA senza previa
consultazione del comitato IVA. La detta disposizione non autorizza nemmeno
uno Stato membro ad adottare provvedimenti che escludano alcuni beni dal regime
delle detrazioni di tale imposta ove siano privi di indicazioni quanto al loro
limite temporale e/o facciano parte di un insieme di provvedimenti di adattamento
strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio e a consentire il rimborso
del debito pubblico.

Sulla prima questione, sub c), seconda parte, e sulla seconda questione

56 Con tali questioni, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se le
autorità tributarie nazionali possano opporre ad un soggetto passivo
una disposizione derogatoria al principio del diritto alla detrazione dell’IVA
che non sia stata introdotta conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta
direttiva.

Osservazioni presentate alla Corte

57 La Commissione sostiene che, secondo una costante giurisprudenza della
Corte (v., in particolare, sentenza 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz,
Racc. pag. I-1883, punti 16-18), il diritto a detrazione costituisce parte
integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, attribuisce
al contribuente un diritto che può essere soggetto alle sole limitazioni
stabilite dalla direttiva stessa.

58 Nel caso in cui uno Stato membro abbia introdotto una deroga nazionale
al principio della detraibilità dell’IVA in violazione delle disposizioni
della sesta direttiva, il contribuente ha diritto alla detrazione dell’IVA
versata sui beni interessati dalla misura nazionale. In tal senso, al punto
64 della citata sentenza Metropol e Stadler, la Corte ha già dichiarato
che, qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata
stabilita conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, che
impone agli Stati membri un obbligo di consultazione, le autorità tributarie
nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga
al principio del diritto alla detrazione dell’IVA enunciato dall’art.
17, n. 1, della stessa direttiva.

59 Il governo italiano sostiene che, per il periodo 2000-2004, il rispetto
della procedura prevista dall’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, il
parere favorevole emesso dalla Commissione sulle domande di deroga e la situazione
congiunturale in cui si trovava l’economia italiana ostano a che la normativa
nazionale sia disapplicata e, quindi, al riconoscimento di un diritto di detrazione
a favore del contribuente.

60 A parere del governo italiano, la seconda questione sarebbe doppiamente
irricevibile. Da un lato, essa fa riferimento a periodi anteriori al 2000,
che non sono oggetto della causa principale.

61 Dall’altro, tale questione, nella parte in cui parla di una limitazione
della detrazione «in via oggettiva e senza limitazioni di tempo»,
sarebbe inconferente alla situazione in Italia tra il 2000 e il 2004. Infatti,
una prima deroga è stata stabilita fino al 31 dicembre 2000 in seguito
a consultazione del comitato IVA e parere favorevole della Commissione. La
seconda deroga per tale periodo è stata chiesta con efficacia a partire
dal 1º gennaio 2001 ed era preceduta da un parere favorevole della Commissione,
che ha ritenuto che la misura fosse giustificata fino all’adozione della
nuova direttiva.

62 Ad ogni modo, il governo italiano sostiene che il fatto che il comitato
IVA prenda atto di una misura nazionale derogatoria successivamente all’adozione
di tale misura non consente di considerarla illegittima, come statuito dalla
Corte, in riferimento all’art. 27 della sesta direttiva, al punto 23
della sentenza Sudholz, citata.

63 La Stradasfalti sostiene che, nel caso di una violazione dell’art.
17, n. 7, della sesta direttiva, l’art. 17, n. 2, della medesima direttiva
osta ad una disposizione nazionale che impedisca ai soggetti passivi di esercitare
pienamente e immediatamente il loro diritto alla detrazione in relazione all’imposta
versata per l’acquisto, l’impiego e la manutenzione di autoveicoli
c.d. da turismo.

Giudizio della Corte

– Sulla ricevibilità della questione

64 Come è stato dichiarato al punto 46 della presente sentenza, il
rifiuto di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice
nazionale è possibile solo qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione
del diritto comunitario chiesta da tale giudice non ha alcuna relazione con
l’effettività o con l’oggetto della causa principale, qualora
il problema sia di natura ipotetica o quando la Corte non disponga degli elementi
di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni
che le vengono sottoposte (sentenza Schneider, cit., punto 22).

65 Nella fattispecie, dalle osservazioni presentate alla Corte emerge che,
sebbene la causa principale riguardi solo l’IVA versata nel corso degli
anni 2000-2004, anni per i quali le richieste di consultazione del comitato
IVA, secondo il governo italiano, hanno sempre preceduto l’adozione del
provvedimento nazionale di proroga, questo in realtà è entrato
in vigore prima di tale periodo e viene sistematicamente prorogato da molti
anni. Non appare quindi che la richiesta interpretazione del diritto comunitario
non abbia manifestamente alcuna relazione con l’oggetto della controversia.

– Nel merito

66 In forza dell’obbligo generale sancito dall’art. 189, terzo
comma, del Trattato CE (divenuto art. 249, terzo comma, CE), gli Stati membri
sono tenuti a conformarsi a tutte le disposizioni della sesta direttiva (v.
sentenza 11 luglio 1991, causa C-97/90, Lennartz, Racc. pag. I-3795, punto
33). Qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata
stabilita conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, le
autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo
una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione dell’IVA
enunciato dall’art. 17, n. 1, della stessa direttiva (v. sentenza Metropol
e Stadler, citata, punto 64).

67 Nella controversia principale, anche se il governo italiano sostiene che
le richieste di consultazione del comitato IVA, nel 1999 e nel 2000, hanno
preceduto l’adozione della misura nazionale di proroga della disposizione
derogatoria al principio del diritto a detrazione dell’IVA, è pacifico
che tale disposizione, salvo modifiche di esigua importanza, è stata
sistematicamente prorogata dal governo italiano a partire dal 1980. Essa non
può presentare quindi un carattere temporaneo e non può nemmeno
essere considerata motivata da ragioni congiunturali. Tale misura deve, di
conseguenza, essere considerata parte di un insieme di provvedimenti di adattamento
strutturale, non rientranti nell’ambito di applicazione dell’art.
17, n. 7, della sesta direttiva. Il governo italiano non può dunque
invocare tali misure a discapito di un soggetto passivo (v., in tal senso,
sentenza Metropol e Stadler, cit., punto 65).

68 Il soggetto passivo cui sia stata applicata tale misura deve poter ricalcolare
il suo debito IVA conformemente alle disposizioni dell’art. 17, n. 2,
della sesta direttiva, nella misura in cui i beni e i servizi sono stati impiegati
ai fini di operazioni soggette ad imposta.

69 Occorre dunque risolvere la prima questione, sub c), seconda parte, e la
seconda questione nel senso che, qualora un’esclusione dal regime delle
detrazioni non sia stata stabilita conformemente all’art. 17, n. 7, della
sesta direttiva, le autorità tributarie nazionali non possono opporre
ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto
alla detrazione dell’IVA enunciato dall’art. 17, n. 1, della medesima
direttiva. Il soggetto passivo cui sia stata applicata tale misura derogatoria
deve poter ricalcolare il suo debito IVA conformemente alle disposizioni dell’art.
17, n. 2, della sesta direttiva, nella misura in cui i beni e i servizi sono
stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta.

Sulla richiesta di limitazione degli effetti nel tempo della sentenza

70 Il governo italiano ha evocato la possibilità che la Corte, nel
caso in cui dovesse ritenere che le deroghe al diritto a detrazione per gli
anni 2000-2004 non siano state introdotte conformemente all’art. 17,
n. 7, della sesta direttiva, limiti nel tempo gli effetti della presente sentenza.

71 A sostegno di tale domanda, il governo italiano invoca il grave danno per
l’erario che può essere causato dalla sentenza della Corte e la
tutela del legittimo affidamento che esso poteva nutrire quanto alla conformità al
diritto comunitario della misura in questione. Esso osserva, a tale riguardo,
che la Commissione, nel 1999 e nel 2000, ha emesso un parere favorevole alle
misure da adottare in attesa dell’approvazione della direttiva che doveva
disciplinare in via organica la materia e che la Commissione non ha mai formulato
alcuna contestazione alla Repubblica italiana circa il mantenimento della deroga.

72 Si deve rilevare che solo in via eccezionale la Corte, applicando il principio
generale della certezza del diritto inerente all’ordinamento giuridico
comunitario, può essere indotta a limitare la possibilità per
gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata onde rimettere
in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede. Per stabilire se
si debba limitare la portata di una sentenza nel tempo, è necessario
tener conto del fatto che, benché le conseguenze pratiche di qualsiasi
pronuncia del giudice vadano vagliate accuratamente, non ci si può tuttavia
spingere fino a sminuire l’obiettività del diritto e compromettere
la sua applicazione futura a motivo delle ripercussioni che la pronuncia può avere
per il passato (sentenze 2 febbraio 1988, causa 24/86, Blaizot, Racc. pag.
379, punti 28 e 30, nonché 16 luglio 1992, causa C-163/90, Legros e
a., Racc. pag. I-4625, punto 30).

73 Nella fattispecie, se è vero che la Commissione ha avallato la domanda
delle autorità italiane per gli anni in questione nella controversia
principale, dalle osservazioni presentate alla Corte risulta tuttavia che il
comitato IVA, fin dal 1980, ha costantemente segnalato al governo italiano
come la deroga in questione non potesse giustificarsi sulla base dell’art.
17, n. 7, della sesta direttiva, e che l’atteggiamento più conciliante
adottato dal detto comitato nelle sue riunioni del 1999 e del 2000 si spiega
alla luce dell’impegno assunto dalle autorità italiane di riesaminare
la misura a partire dal 1º gennaio 2001, nonché sulla base delle
prospettive allora aperte dalla proposta della Commissione di modificare la
sesta direttiva per quanto concerne il regime del diritto alla detrazione dell’IVA.

74 Ciò premesso, le autorità italiane non potevano ignorare
che una proroga sistematica, a partire dal 1979, di una misura derogatoria
che doveva essere temporanea e che, in virtù della lettera stessa dell’art.
17, n. 7, della sesta direttiva, poteva essere giustificata solo da «motivi
congiunturali», non era compatibile con tale articolo.

75 Le autorità italiane non possono, di conseguenza, far valere l’esistenza
di rapporti giuridici costituiti in buona fede per chiedere alla Corte di limitare
nel tempo gli effetti della sua sentenza.

76 Inoltre, il governo italiano non è riuscito a dimostrare l’affidabilità del
calcolo in base al quale ha sostenuto dinanzi alla Corte che la presente sentenza
rischierebbe, qualora i suoi effetti non fossero limitati nel tempo, di comportare
conseguenze finanziarie rilevanti.

77 Di conseguenza, non occorre limitare nel tempo gli effetti della presente
sentenza.

Sulle spese

78 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento
costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta
quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare
osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

1) L’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva del Consiglio
17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni
degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema
comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, impone che
gli Stati membri, per rispettare l’obbligo procedurale di consultazione
di cui all’art. 29 della medesima direttiva, informino il comitato consultivo
dell’imposta sul valore aggiunto istituito da tale articolo del fatto
che essi intendono adottare una misura nazionale che deroga al regime generale
delle detrazioni dell’imposta sul valore aggiunto e che forniscano a
tale comitato informazioni sufficienti per consentirgli di esaminare la misura
con cognizione di causa.

2) L’art. 17, n. 7, prima frase, della sesta direttiva 77/388 dev’essere
interpretato nel senso che esso non autorizza uno Stato membro ad escludere
alcuni beni dal regime delle detrazioni dell’imposta sul valore aggiunto
senza previa consultazione del comitato consultivo dell’imposta sul valore
aggiunto, istituito all’art. 29 della detta direttiva. La detta disposizione
non autorizza nemmeno uno Stato membro ad adottare provvedimenti che escludano
alcuni beni dal regime delle detrazioni di tale imposta ove siano privi di
indicazioni quanto alla loro limitazione temporale e/o facciano parte di un
insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo
di bilancio e a consentire il rimborso del debito pubblico.

3) Qualora un’esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita
conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva 77/388, le autorità tributarie
nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga
al principio del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto
enunciato dall’art. 17, n. 1, di tale direttiva. Il soggetto passivo
cui sia stata applicata tale misura derogatoria deve poter ricalcolare il suo
debito d’imposta sul valore aggiunto conformemente alle disposizioni
dell’art. 17, n. 2, della sesta direttiva 77/388 nella misura in cui
i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta.

Redazione

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