Legge Finanziaria 2007

Rassegna stampa

Da La Repubblica di lunedì, 2 ottobre 2006

L’editoriale

“Questa finanziaria
merita un bel voto”

di Eugenio Scalfari

‘Stangata fiscale, grida la destra (e il centro). Poche riforme e nessun serio
recupero strutturale della spesa, affermano sentenziosi gli economisti indipendenti.
Berlusconi, Tremonti, Bossi e Fini chiamano la piazza a scendere in piazza.
Casini forse in piazza non ci andrà ma sicuramente applaudirà dalla
finestra. Il circo mediatico dal canto suo (con pochissime eccezioni) piange
sulle sorti del ceto medio tartassato. Quanto al governo, difetta di efficaci
strumenti di comunicazione e quando ne ha li usa male per difetto di comunicativa.

Sicché l’impressione generale, l’apparenza, è che questa Finanziaria
con i suoi annessi e connessi sia nel migliore dei casi mediocre e segni comunque
la vittoria politica della sinistra massimalista che avrebbe Prodi come portabandiera.
Personalmente non condivido affatto questa “apparenza”.

Personalmente
ritengo in tutta onestà che questa sia una buona Finanziaria. Con alcuni
difetti, ma con un saldo positivo rispetto agli obiettivi che erano stati sostenuti
in campagna elettorale. Quegli obiettivi, ricordiamolo, erano tre: raddrizzamento
dei conti pubblici rispetto ai parametri europei, sviluppo dell’economia, equità sociale.
Padoa-Schioppa aveva aggiunto l’impegno di economizzare sulla previdenza, sugli
sprechi della pubblica amministrazione centrale e locale, sulla sanità.
Prodi infine aveva più volte ripetuto che non avrebbe gravato la mano
sui contribuenti specificando però che avrebbe spostato il carico dalle
spalle deboli a spalle meno deboli.

Dopo essermi studiato per quanto possibile la foresta dei numeri (sciopero
dei giornali permettendo) io penso che gli impegni assunti con gli elettori
e con l’Europa siano stati adempiuti almeno in buona misura. Ho l’impressione
d’essere tra i pochi a sostenere questa tesi, ma poiché mi capita spesso,
questa probabile solitudine non mi sconforta. Cercherò di essere chiaro
nella dimostrazione di questa tesi.

La manovra ammonta complessivamente a 33,4 miliardi di euro. Manovra imponente,
su questo non mi pare ci possano esser dubbi. Nonostante il netto miglioramento
delle entrate del 2006 che si valuta attualmente – a legislazione vigente
– in oltre 10 miliardi. Faccio osservare a questo proposito che la sinistra
massimalista aveva chiesto perentoriamente di ridurre la manovra prima a 30
e poi 26 miliardi e di spalmare la parte destinata al raddrizzamento dei conti
pubblici su due anni anziché sul solo 2007. Questi suggerimenti avrebbero
creato più danni che vantaggi e il governo non li ha accolti. Vuol
dire che il cosiddetto timone riformista ha tenuto.

Il governo sostiene che i 33,4 miliardi si ripartiscono in 15 destinati al
raddrizzamento e 18,4 alla crescita e all’equità. Sostiene anche che
13 miliardi proverranno da entrate e 20 da economie. L’opposizione naturalmente
contesta, cifre alla mano. Purtroppo quelle cifre, nove volte su dieci, sono
dei falsi palesi. Dico purtroppo perché a me piacerebbe che almeno sui
numeri non si discutesse, ma basta consultare i giornali della destra usciti
per due giorni senza concorrenza nelle edicole per avere la dimostrazione di
quei falsi.

Vediamo dunque quei numeri più da vicino, a cominciare dall’operazione
equitativa con la quale il governo, e Visco in particolare, ha modificato il
peso fiscale spostandolo da spalle deboli a spalle meno deboli.

Il ceto medio è un termine che designa realtà diverse. Si va
dalle fasce di reddito intorno ai 15 mila euro annui ai 60 mila, cioè da
1.200 euro netti mensili a 3.500. Questa platea coinvolge più dell’80
per cento dei contribuenti. Il resto è formato da fasce esenti o da
ricchi-ricchissimi. Il sommerso è un mondo a sé che secondo calcoli
aggiornati supera il 20 per cento del Pil “visibile”.

Tra le fasce da 15 mila e quelle da 60 mila di reddito ci sono quattro lunghezze
di distacco, 60 mila è infatti di quattro volte superiore a 15 mila.
Il governo ha fissato la linea di discrimine a 40 mila euro di reddito. Vuol
dire che da 40 mila cominciano i ricchi? Ovviamente no, tanto più che
40 mila sono lordi. Al netto dell’imposta ne restano poco più di 30
mila, vuol dire 2.300 euro mensili per tredici mensilità. Non c’è affatto
da scialare. I redditi da 60 mila arrivano ad un netto mensile di circa 3.000
euro. Non si sciala neanche lì, ma si respira. L’operazione redistributiva
premia le fasce di reddito fino a 40 mila in modo abbastanza consistente. La
spesa totale destinata al miglioramento di questi cittadini lavoratori e contribuenti è di
7,3 miliardi. Dalle fasce superiori il fisco preleverà complessivamente
6,7 miliardi. La differenza di 600 milioni la metterà lo Stato.

Un economista indipendente (di quelli che simpatizzano col centrosinistra
e danno sempre ragione alla destra) ha sostenuto che i contribuenti beneficiari
percepiranno un vantaggio di 6 euro a testa all’anno. Mentre – ha detto – tutto
il peso si scaricherà sui redditi da 75 mila euro in su e lì sarà macelleria.
Naturalmente queste simulazioni sono sbagliate. I redditi dei ceti medi inferiori
avranno benefici del 3 per cento attraverso detrazioni e tagli alle imposte
sul lavoro. I ceti medio-alti subiranno aggravi molto modesti fino a 60 mila
euro di reddito. Ho calcolato la penalità d’un reddito di 80 mila (55
mila netti). Pagherà in più 66 euro al mese, una discreta cena
per un coperto e una cena magra per due coperti al ristorante. Macelleria sociale? È un
po’ forte.

Gli esenti dalle imposte sono i redditi fino a 8 mila euro per un singolo.
Per un contribuente con moglie e un figlio l’esenzione arriva a 13 mila euro,
con due figli a 15 mila. Di fatto l’asticella dell’esenzione media si colloca
sui redditi da 15 mila. Non è poco.

Mi pare che la vituperata macelleria si riduce a tirare il collo ad un pollo
al mese. E passo perciò ad un altro argomento, quello delle tasse
tasse tasse. Tutte pagate dal Nord. In particolare dal lombardo-veneto.
Che il lombardo-veneto sia la zona più produttiva d’Italia è un
dato reale che fa onore a quelle regioni. Che essendo la zona più produttiva
e quindi più ricca sia anche quella che contribuisce di più,
mi pare altrettanto ovvio. Che debba avere i servizi ai quali ha diritto e
che su questo punto vi sia un deficit drammatico è lapalissiano e di
quel deficit sono responsabili i governi degli ultimi vent’anni, a terminare
col quinquennio berlusconiano.

L’opposizione, in nome del Nord, si ribella. Vuole che a pagare siano gli
evasori e non i contribuenti che fanno il dover loro. Lo dice Formigoni, lo
dice Cesa, lo dice perfino La Russa, il d’Artagnan dei poveri. E lo dice anche
Silvio Berlusconi. Ora a questo punto io voglio tributare un caloroso applauso
a questi convertiti. Veramente. Era tempo che si convertissero e vanno accolti
come altrettanti figlioli prodighi. Sia dunque ucciso il vitello grasso in
onore di questi professionisti del condono fiscale.

Ciò detto, perché protestano? Di che cosa si dolgono?
Nella Finanziaria in questione ci sono 7 miliardi di entrate provenienti dal
recupero dell’evasione. Sette miliardi su un’entrata tributaria stimata in
Finanziaria a 13 miliardi. In dodici mesi un risultato così è un
esercizio per il quale Visco meriterebbe una promozione. Si tratta di previsioni,
perciò gli ho chiesto ieri se è sicuro dell’esito. E ha risposto
che ne è certo. Mi auguro che porti a casa quel risultato e che prosegua
su quella strada.

Se nei cinque anni di legislatura si arrivasse gradualmente a recuperare il
15 per cento dell’evasione, il fisco incasserebbe annualmente niente meno che
30 miliardi da questa voce. I 7 miliardi del 2007 sono (saranno, sarebbero)
un ottimo inizio perché recuperare l’evasione comporta tempi lunghi.
Perciò trovo assai strano che nessuno fin qui abbia messo l’accento
su quest’aspetto della Finanziaria.
Debbo aggiungere che l’evasione non è quasi mai totale. Molto spesso
l’evasore paga almeno il 30 per cento del suo debito fiscale. È oltraggioso
pensare alla struttura delle aziende grandi e piccole? Private e pubbliche?
Ai professionisti? Agli artigiani che non ti danno una fattura nemmeno se li
impicchi? Ai lavoratori dipendenti che hanno un secondo lavoro (nero)? Non è oltraggioso, è la
realtà. L’evasione, parziale ma consistente, è la frangia di
ogni tappeto. Il guaio italiano consiste nell’entità della frangia che
occupa a dir poco un quarto del tappeto.

I paletti di Padoa-Schioppa. Nei numeri della Finanziaria le risorse provenienti
dalla sanità sono di circa 3 miliardi, dalla previdenza più di
5, dagli enti locali 4,3, dalla pubblica amministrazione (al netto dei contratti)
altri 3. Per di più in queste cifre non entrano i risultati a più lungo
termine che proverranno dalla riforma pensionistica di cui si comincerà a
discutere dal prossimo gennaio.

Poteva far di più il tecnico Padoa-Schioppa? Forse sì, difficile
dirlo, bisognerebbe star seduti su quella sedia per saperlo. Di una cosa però sono
certo: il ministro del Tesoro che è un uomo politico per definizione,
non poteva fare di più. Secondo me il risultato che ha raggiunto merita
110 con la lode. La mia pagella non conta, ma io comunque gliela do. E la do
anche, anzi “in primis”, al presidente del Consiglio al quale però mi
permetto di attribuire un voto di insufficienza per la sua “performance” a
Montecitorio sulla questione Telecom. Lì è andata male, lui non è tagliato
per i dibattiti parlamentari. Ma sulla Finanziaria è stato bravo ed
era il passaggio più tosto.

Resta da dire sui cinque miliardi del Tfr, punto dolentissimo per la Confindustria.
E sul cuneo fiscale.
Su questo secondo aspetto non c’è che rallegrarsi: era un impegno, è stato
mantenuto. Attenzione però: dà un po’ di ossigeno alla competitività e
sostiene i consumi del ceto medio-basso. Ma il problema dell’imprenditoria
italiana o, se volete del capitalismo italiano non si risolve certo tagliando
il cuneo di cinque punti (fossero anche dieci non cambierebbe). Non si risolve
da fuori ma da dentro il capitalismo. Si risolve valorizzando gli imprenditori
che innovano il prodotto e non solo il modo di produrlo; che cambiano i gusti
del mercato; che modificano i termini dell’offerta, non quelli che seguono
passivamente la domanda.

Ho detto prima dell’insufficienza di Prodi nel dibattito su Telecom, ma aggiungo
che quell’insufficienza ha toccato il culmine negli interventi dell’opposizione.
La quale si è avventata sul tema Rovati senza spendere neppure un minuto
di tempo sull’assetto di Telecom, dei mancati investimenti, dell’assetto del
capitale. Insomma della sostanza della questione. Prodi almeno su quell’aspetto
qualcosa ha detto. I suoi interlocutori neppure una sillaba. Un dibattito,
voglio dirlo, d’una povertà intellettuale inaudita.

Il Tfr. Quei soldi, diciamolo ancora una volta, non sono delle imprese ma
dei lavoratori. Se i lavoratori optano per lasciarli alla previdenza pubblica,
hanno pieno diritto di farlo. Alle imprese resta comunque lo stock perché il
passaggio all’Inps si esercita su una parte dell’accantonamento annuale.

Certo le imprese ne sono penalizzate. Dovranno ricorrere di più all’autofinanziamento
e alle banche. In questo secondo caso spenderanno un 3 per cento in più.
Saranno indotte ad essere più competitive. L’operazione si limiterà ad
essere una “una tantum”? Dipende dai recuperi dell’evasione. Intanto
l’avanzo primario salirà dallo zero lasciato da Tremonti al 2 per cento.
Questa è la migliore premessa per la riduzione del debito pubblico,
altra meta che l’Europa richiede e che è nel nostro precipuo interesse
raggiungere.

Sembra che nessuno si ricordi più del lascito che è stato ereditato
dalla trascorsa legislatura. Un lascito disastroso. Con le casse vuote, l’avanzo
primario azzerato, il debito in ascesa, il deficit al 4 e mezzo per cento,
i cantieri delle imprese pubbliche allo sbando, la previdenza integrativa rinviata
al 2008, i contratti non rinnovati. Dopo di noi il diluvio e chi se ne frega,
questa sembrò essere la filosofia di quei cinque anni.
Il diluvio per fortuna non c’è stato, la Finanziaria va ora in Parlamento
col voto unanime di tutte le componenti governative.

Io vedo questo e questo scrivo.
Ora comincia il passaggio parlamentare. Qualche
modifica migliorativa si potrà fare ma i paletti sono stati messi e
non potranno essere divelti.
Il domani è in gran parte figlio dell’oggi.
Oggi la giornata è stata buona”.

Eugenio Scalfari
Editoriale, La Repubblica di lunedì, 2 ottobre 2006

(La Repubblica – su Internet all’indirizzo www.repubblica.it)

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