IRAP, il testo della sentenza della Corte di Giustizia

L’IRAP, a differenza dell’IVA, non puo’ essere ritenuta un’imposta sulla
cifra d’affari.

E’ quanto ha infine ritenuto la Corte di Giustizia di Bruxelles, salvando, tra
gli altri, il governo italiano, e dunque, la legittimità dell’IRAP, alla luce
della Sesta direttiva del Consiglio, 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di
armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla
cifra di
affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme.

Questa la vicenda.

La
Banca popolare di Cremona aveva impugnato dinanzi alla Commissione tributaria
provinciale
di
Cremona
il
provvedimento
con
il quale
l’Agenzia
delle
Entrate
le aveva rifiutato il rimborso dell’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive)
versata negli anni 1998 e 1999.

La Commissione tributaria aveva quindi chiesto alla Corte di pronunciarsi sulla
compatibilità dell’IRAP con la sesta direttiva IVA, e in particolare
con il divieto, per gli Stati membri, di introdurre o mantenere sistemi fiscali
aventi
natura di imposte sulla cifra d’affari.

La Corte di giustizia ha preliminarmente osservato che il sistema comune
dell’IVA non consente di mantenere o di introdurre tributi con le caratteristiche
di
un’imposta
sulla
cifra d’affari.
Esso non si
oppone invece al mantenimento o all’introduzione di un’imposta che non presenti
una delle caratteristiche essenziali dell’IVA.

La Corte ha quindi esaminato e confrontato i due tributi:

"L’IVA, in base al sistema comune, si applica in modo generale alle operazioni
sui beni e i servizi; essa è proporzionale al prezzo dei beni o dei servizi; è riscossa
in ciascuna fase del procedimento di produzione e di distribuzione; il soggetto
passivo può detrarla dagli importi pagati in occasione delle fasi precedenti
(in definitiva, il peso dell’imposta ricade sul consumatore).

L’IRAP, per contro, è calcolata in primo luogo sul valore netto della
produzione (la differenza tra il «valore della produzione» e i «costi
della produzione» sulla base del conto economico, come definiti dalla legislazione
italiana) dell’impresa (società o persona fisica) nel territorio di una
regione, nel corso di un determinato periodo. Essa comprende elementi come le
variazioni delle rimanenze, gli ammortamenti e le svalutazioni, che non hanno
un rapporto diretto con le forniture di beni o servizi in quanto tali. Inoltre
il soggetto passivo non può determinare con precisione l’importo dell’IRAP
già compreso nel prezzo di acquisto dei beni e dei servizi. Anche se si
può supporre che un soggetto passivo dell’IRAP che effettua la vendita
al consumatore finale tenga conto, nel determinare il suo prezzo, dell’ammontare
dell’imposta incorporato nelle sue spese generali, non tutti i soggetti passivi
si trovano nella condizione di poter ripercuotere il carico dell’imposta, o di
poterlo ripercuotere nella sua interezza, sul consumatore finale.

In definitiva, l’IRAP si distingue dall’IVA in quanto non è proporzionale
al prezzo dei beni o dei servizi forniti e non è strutturata in modo da
essere posta a carico del consumatore finale nel modo tipico dell’IVA.

L’IRAP si distingue dall’IVA in modo tale da non poter essere considerata
un’imposta sulla cifra d’affari ai sensi della sesta direttiva. Ne deriva
che un prelievo
fiscale con le caratteristiche dell’IRAP è compatibile con la sesta direttiva".

Di seguito, il testo integrale della sentenza.


. . . . . . .

Corte di Giustizia, Grande Sezione

Sentenza del 3 ottobre 2006

(presidente Skouris, estensore Colneric)

nella causa C- 475/03

(…)

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione dell’art.
33 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia
di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte
sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base
imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), come modificata dalla direttiva del
Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE (GU L 376, pag. 1) (in prosieguo: la «sesta
direttiva»).

2 La domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la
Banca popolare di Cremona Soc. coop. a r.l. (in prosieguo: la «Banca
popolare») e l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Cremona relativamente
alla riscossione di un’imposta regionale sulle attività produttive.

Contesto normativo

Diritto comunitario

3 L’art. 33, n. 1, della sesta direttiva così prevede:

«Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, in particolare quelle
previste dalle vigenti disposizioni comunitarie relative al regime generale
per la detenzione, la circolazione e i controlli dei prodotti soggetti ad accise,
le disposizioni della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di
mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui
giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e, più in generale,
qualsiasi imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere di imposta sulla
cifra d’affari, sempreché tuttavia tale imposta, diritto e tassa non
dia luogo, negli scambi fra Stati membri, a formalità connesse con il
passaggio di una frontiera».

4 Già la versione originaria della direttiva 77/388 conteneva un art.
33 sostanzialmente identico a quello citato.

Diritto nazionale

5 L’imposta regionale sulle attività produttive (in prosieguo: l’«IRAP») è stata
istituita con il decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (supplemento
ordinario alla GURI 23 dicembre 1997, n. 298; in prosieguo: il «decreto
legislativo»).

6 Il testo degli artt. 1-4 di tale decreto è il seguente:

«Art. 1. Istituzione dell’imposta

1. È istituita l’imposta regionale sulle attività produttive
esercitate nel territorio delle regioni.

2. L’imposta ha carattere reale e non è deducibile ai fini delle imposte
sui redditi.

Art. 2. Presupposto dell’imposta

1. Presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività autonomamente
organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione
di servizi. L’attività esercitata dalle società e dagli enti,
compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso
presupposto di imposta.

Art. 3. Soggetti passivi

1. Soggetti passivi dell’imposta sono coloro che esercitano una o più delle
attività di cui all’articolo 2. Pertanto sono soggetti all’imposta:

a) le società e gli enti di cui all’articolo 87, comma 1, lettere a)
e b), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917;

b) le società in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle
ad esse equiparate (…) nonché le persone fisiche esercenti attività commerciali
di cui all’articolo 51 del medesimo testo unico;

c) le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate
(…) esercenti arti e professioni di cui all’articolo 49, comma 1, del
medesimo testo unico;

d) i produttori agricoli titolari di reddito agrario (…)

(…)

2. Non sono soggetti passivi dell’imposta:

a) i fondi comuni di investimento (…)

b) i fondi pensione (…)

c) i gruppi economici di interesse europeo (GEIE) (…)

Art. 4. Base imponibile

1. L’imposta si applica sul valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata
nel territorio della regione.

(…)».

7 Gli artt. 5-12 del decreto legislativo contengono i criteri per determinare
il citato «valore della produzione netta», i quali variano in base
alle differenti attività economiche il cui esercizio costituisce il
fatto generatore dell’IRAP.

8 L’art. 5 di tale decreto precisa che, per i soggetti di cui all’art. 3,
primo comma, lett. a) e b) del decreto stesso non esercenti le attività delle
banche, degli altri enti e società finanziari e delle imprese di assicurazione,
la base imponibile è determinata dalla differenza tra la somma delle
voci classificabili nel valore della produzione di cui al primo comma, lett.
A), dell’art. 2425 del codice civile e la somma di quelle classificabili nei
costi della produzione di cui alla lett. B) del medesimo comma, ad esclusione
di alcune di esse, fra le quali le spese per il personale dipendente.

9 L’art. 2425 del codice civile, rubricato «Contenuto del conto economico»,
così prevede:

«Il conto economico deve essere redatto in conformità al seguente
schema:

A) Valore della produzione:

1) ricavi delle vendite e delle prestazioni;

2) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati
e finiti;

3) variazioni dei lavori in corso su ordinazione;

4) incrementi di immobilizzazioni per lavori interni;

5) altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto
esercizio.

Totale.

B) Costi della produzione:

6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci;

7) per servizi;

8) per godimento di beni di terzi;

9) per il personale:

a) salari e stipendi;

b) oneri sociali;

c) trattamento di fine rapporto;

d) trattamento di quiescenza e simili;

e) altri costi;

10) ammortamenti e svalutazioni:

a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali;

b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali;

c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni;

d) svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide;

11) variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e
merci;

12) accantonamenti per rischi;

13) altri accantonamenti;

14) oneri diversi di gestione.

Totale.

Differenza tra valore e costi della produzione (A – B).

(…)».

10 Ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo, «l’imposta è dovuta
per periodi di imposta a ciascuno dei quali corrisponde una obbligazione tributaria
autonoma. Il periodo di imposta è determinato secondo i criteri stabiliti
ai fini delle imposte sui redditi».

11 Ai sensi dell’art. 16 del decreto legislativo, in linea generale «l’imposta è determinata
applicando al valore della produzione netta l’aliquota del 4,25 per cento».
Tale aliquota è variabile secondo la regione in cui ha sede l’impresa.

Causa principale e questione pregiudiziale

12 La Banca popolare ha impugnato dinanzi al giudice del rinvio il provvedimento
dell’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Cremona con il quale quest’ultima le
ha rifiutato il rimborso dell’IRAP versata negli anni 1998 e 1999.

13 A giudizio della ricorrente nella causa principale sussiste un contrasto
fra il decreto legislativo e l’art. 33 della sesta direttiva.

14 Il giudice del rinvio osserva quanto segue:

– in primo luogo, l’IRAP si applica, in modo generalizzato, a tutte
le operazioni commerciali di produzione o di scambio aventi ad oggetto beni
e servizi poste in essere nell’esercizio in modo abituale di un’attività svolta
a tale fine, vale a dire nell’esercizio di imprese o di arti e professioni;

– in secondo luogo l’IRAP, sebbene sia calcolata con un procedimento
diverso da quello utilizzato per l’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo:
l’«IVA»), colpisce il valore netto derivante dalle attività produttive,
e più esattamente il valore netto «aggiunto» al prodotto
dal produttore, cosicché l’IRAP sarebbe un’IVA;

– in terzo luogo, l’IRAP è riscossa in ogni fase del processo
di produzione o di distribuzione;

– in quarto luogo, la somma delle IRAP riscosse nelle varie fasi del
ciclo, dalla produzione alla immissione al consumo, è pari all’aliquota
IRAP applicata al prezzo di vendita di beni e servizi praticato in sede di
immissione al consumo.

15 Tale giudice si domanda però se le differenze esistenti tra l’IVA
e l’IRAP riguardino le caratteristiche essenziali che determinano l’appartenenza
o meno dell’una e dell’altra imposta alla medesima categoria di tributi.

16 Alla luce di quanto sopra, la Commissione tributaria provinciale di Cremona
ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente
questione pregiudiziale:

«Se l’art. 33 della [sesta direttiva] debba essere interpretato nel
senso che esso vieti di assoggettare ad IRAP il valore della produzione netta
derivante dall’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata
diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi».

Sulla questione pregiudiziale

17 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’art.
33 della sesta direttiva osti al mantenimento di un prelievo fiscale avente
caratteristiche analoghe a quelle dell’imposta di cui si discute nella causa
principale.

18 Per interpretare l’art. 33 della sesta direttiva è necessario collocare
tale disposizione nell’ambito del suo contesto normativo. A tal fine è utile,
come già fatto nella sentenza 8 giugno 1999, cause riunite C-338/97,
C-344/97 e C-390/97, Pelzl e a. (Racc. pag. I-3319, punti 13-20) ricordare
innanzitutto gli obiettivi perseguiti con la creazione di un sistema comune
dell’IVA.

19 Risulta dai ‘considerando’ della prima direttiva del Consiglio
11 aprile 1967, 67/227/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni
degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra d’affari (GU 1967, n.
71, pag. 1301; in prosieguo: la «prima direttiva»), che l’armonizzazione
delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d’affari deve consentire
la creazione di un mercato comune nel quale vi sia una concorrenza non alterata
e che abbia caratteristiche analoghe a quelle di un mercato interno, eliminando
le differenze di oneri fiscali che possono alterare la concorrenza e ostacolare
gli scambi.

20 L’istituzione di un sistema comune di IVA è stata realizzata con
la seconda direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/228/CEE, in materia di
armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte
sulla cifra d’affari – Struttura e modalità d’applicazione del sistema
comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 1967, n. 71, pag. 1303; in prosieguo:
la «seconda direttiva») e con la sesta direttiva.

21 Il principio del sistema comune dell’IVA consiste, ai sensi dell’art. 2
della prima direttiva, nell’applicare ai beni ed ai servizi, fino allo stadio
del commercio al minuto, un’imposta generale sul consumo esattamente proporzionale
al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero di transazioni intervenute
nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell’imposizione.

22 Tuttavia, a ciascun passaggio, l’IVA si può esigere solo previa
detrazione dell’IVA che ha gravato direttamente sul costo dei vari fattori
che compongono il prezzo; il sistema delle detrazioni è disciplinato
dall’art. 17, n. 2, della sesta direttiva, in modo che i soggetti passivi siano
autorizzati a detrarre dall’IVA da essi dovuta gli importi di IVA che hanno
già gravato sui beni o sui servizi a monte e che l’imposta colpisca
ogni volta solo il valore aggiunto e vada, in definitiva, a carico del consumatore
finale.

23 Per conseguire lo scopo dell’uguaglianza impositiva della stessa operazione,
indipendentemente dallo Stato membro nel quale viene effettuata, il sistema
comune dell’IVA doveva sostituire, secondo i ‘considerando’ della
seconda direttiva, le imposte sulla cifra d’affari in vigore nei vari Stati
membri.

24 In quest’ordine di idee, l’art. 33 della sesta direttiva consente il mantenimento
o l’istituzione da parte di uno Stato membro di imposte, diritti e tasse gravanti
sulle forniture di beni, sulle prestazioni di servizi o sulle importazioni
solo se non hanno natura di imposte sulla cifra d’affari.

25 Per valutare se un’imposta, un diritto o una tassa abbiano la natura di
imposta sulla cifra d’affari, ai sensi dell’art. 33 della sesta direttiva,
occorre in particolare verificare se essi abbiano l’effetto di danneggiare
il funzionamento del sistema comune dell’IVA, gravando sulla circolazione dei
beni e dei servizi e colpendo le transazioni commerciali in modo analogo all’IVA.

26 A tale proposito, la Corte ha precisato che in ogni caso devono essere
considerati gravanti sulla circolazione dei beni e dei servizi allo stesso
modo dell’IVA le imposte, i diritti e le tasse che presentano le caratteristiche
essenziali dell’IVA, anche se non sono in tutto identici ad essa (sentenze
31 marzo 1992, causa C-200/90, Dansk Denkavit e Poulsen Trading, Racc. pag.
I-2217, punti 11 e 14, nonché 29 aprile 2004, causa C-308/01, GIL Insurance
e a., Racc. pag. I-4777, punto 32).

27 Per contro, l’art. 33 della sesta direttiva non osta al mantenimento o
all’introduzione di un’imposta che non presenti una delle caratteristiche essenziali
dell’IVA (sentenze 17 settembre 1997, causa C-130/96, Solisnor-Estaleiros Navais,
Racc. pag. I-5053, punti 19 e 20, nonché GIL Insurance e a., cit., punto
34).

28 La Corte ha precisato quali siano le caratteristiche essenziali dell’IVA.
Nonostante alcune differenze redazionali, risulta dalla sua giurisprudenza
che tali caratteristiche sono quattro: l’IVA si applica in modo generale alle
operazioni aventi ad oggetto beni o servizi; è proporzionale al prezzo
percepito dal soggetto passivo quale contropartita dei beni e servizi forniti;
viene riscossa in ciascuna fase del procedimento di produzione e di distribuzione,
compresa quella della vendita al minuto, a prescindere dal numero di operazioni
effettuate in precedenza; gli importi pagati in occasione delle precedenti
fasi del processo sono detratti dall’imposta dovuta, cosicché il tributo
si applica, in ciascuna fase, solo al valore aggiunto della fase stessa, e
in definitiva il peso dell’imposta va a carico del consumatore finale (v.,
in particolare, sentenza Pelzl e a., cit., punto 21).

29 Al fine di evitare risultati discordanti rispetto all’obiettivo perseguito
dal sistema comune dell’IVA, ricordato ai punti 20-26 della presente sentenza,
ogni confronto delle caratteristiche di un’imposta come l’IRAP con quelle dell’IVA
deve essere compiuto alla luce di tale obiettivo. In questo contesto deve essere
riservata un’attenzione particolare alla necessità che sia sempre garantita
la neutralità del sistema comune dell’IVA.

30 In questo caso, relativamente alla seconda caratteristica fondamentale
dell’IVA, si deve innanzitutto rilevare che, mentre l’IVA è riscossa
in ciascuna fase al momento della commercializzazione e il suo importo è proporzionale
al prezzo dei beni o servizi forniti, l’IRAP è invece un’imposta calcolata
sul valore netto della produzione dell’impresa nel corso di un certo periodo.
La sua base imponibile è infatti uguale alla differenza che risulta,
in base al conto economico, tra il «valore della produzione» e
i «costi della produzione», come definiti dalla legislazione italiana.
Essa comprende elementi come le variazioni delle rimanenze, gli ammortamenti
e le svalutazioni, che non hanno un rapporto diretto con le forniture di beni
o servizi in quanto tali. L’IRAP non deve pertanto essere considerata proporzionale
al prezzo dei beni o dei servizi forniti.

31 Occorre poi osservare, relativamente alla quarta caratteristica fondamentale
dell’IVA, che l’esistenza di differenze relativamente al metodo per calcolare
la detrazione dell’imposta già pagata non può sottrarre un’imposta
al divieto contenuto nell’art. 33 della sesta direttiva qualora tali differenze
siano più che altro di natura tecnica, e non impediscano che tali imposta
funzioni sostanzialmente nello stesso modo dell’IVA. Per contro, si può collocare
all’esterno dell’ambito applicativo dell’art. 33 della sesta direttiva un’imposta
la quale colpisca le attività produttive in modo tale che non sia certo
che la stessa vada, in definitiva, a carico del consumatore finale, come avviene
per un’imposta sul consumo come l’IVA.

32 In questo caso, mentre l’IVA, attraverso il sistema della detrazione dell’imposta
previsto dagli artt. 17-20 della sesta direttiva, grava unicamente sul consumatore
finale ed è perfettamente neutrale nei confronti dei soggetti passivi
che intervengono nel processo di produzione e di distribuzione che precede
la fase di imposizione finale, indipendentemente dal numero di operazioni avvenute
(sentenze 24 ottobre 1996, causa C-317/94, Elida Gibbs, Racc. pag. I-5339,
punti 19, 22 e 23, nonché 15 ottobre 2002, causa C-427/98, Commissione/Germania,
Racc. pag. I-8315, punto 29), lo stesso non vale per quanto riguarda l’IRAP.

33 Da un lato, infatti, un soggetto passivo non può determinare con
precisione l’importo dell’IRAP già compreso nel prezzo di acquisto dei
beni e dei servizi. Dall’altro, se un soggetto passivo potesse includere tale
costo nel prezzo di vendita, al fine di ripercuotere l’importo dell’imposta
dovuta per le sue attività sulla fase successiva del processo di distribuzione
o di consumo, la base imponibile dell’IRAP comprenderebbe di conseguenza non
solo il valore aggiunto, ma anche l’imposta stessa, cosicché l’IRAP
sarebbe calcolata su un importo determinato a partire da un prezzo di vendita
comprendente, in anticipo, l’imposta da pagare.

34 In ogni caso, anche se si può supporre che un soggetto passivo IRAP
che effettua la vendita al consumatore finale tenga conto, nel determinare
il suo prezzo, dell’importo dell’imposta incorporato nelle sue spese generali,
non tutti i soggetti passivi si trovano nella condizione di poter così ripercuotere
il carico dell’imposta, o di poterlo ripercuotere nella sua interezza (v.,
in tal senso, sentenza Pelzl e a., cit., punto 24).

35 Risulta da tutte queste considerazioni che, in base alla disciplina dell’IRAP,
tale imposta non è stata concepita per ripercuotersi sul consumatore
finale nel modo tipico dell’IVA.

36 È vero che la Corte ha dichiarato incompatibile con il sistema armonizzato
dell’IVA un’imposta che era riscossa come una percentuale dell’importo totale
delle vendite realizzate e dei servizi forniti da un’impresa nel corso di un
determinato periodo di tempo, detratto l’importo degli acquisti di beni e servizi
effettuati nel corso dello stesso periodo dalla medesima impresa. La Corte
ha osservato che il tributo in questione era accostabile nei suoi elementi
fondamentali all’IVA e che, nonostante le differenze, esso conservava il suo
carattere di imposta sulla cifra d’affari (v., in tal senso, sentenza Dansk
Denkavit e Poulsen Trading, cit., punto 14).

37 Qui però l’IRAP si distingue dal tributo oggetto di tale sentenza
in quanto quest’ultimo era destinato a ripercuotersi sul consumatore finale,
come risulta dal punto 3 della detta sentenza. Tale tributo era dunque calcolato
a partire da una base imponibile identica a quella utilizzata per l’IVA, ed
era riscosso parallelamente all’IVA.

38 Risulta dalle considerazioni svolte che un’imposta con le caratteristiche
dell’IRAP si distingue dall’IVA in modo tale da non poter essere considerata
un’imposta sulla cifra d’affari, ai sensi dell’art. 33, n. 1, della sesta direttiva.

39 Alla luce di quanto sopra, la questione pregiudiziale va risolta dichiarando
che l’art. 33 della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che
esso non osta al mantenimento di un prelievo fiscale avente le caratteristiche
dell’imposta di cui si discute nella causa principale.

Sulle spese

40 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento
costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta
quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare
osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi la Corte (Grande Sezione) dichiara:

L’art. 33 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE,
in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative
alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto:
base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva del Consiglio 16
dicembre 1991, 91/680/CEE, deve essere interpretato nel senso che esso non
osta al mantenimento di un prelievo fiscale avente le caratteristiche dell’imposta
di cui si discute nella causa principale.

 

Redazione

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