Ogni avvocato ha diritto ad esercitare stabilmente la sua attività in
qualsiasi Stato membro con il suo titolo professionale d’origine senza essere
soggetto alla preventiva
verifica delle sue conoscenze linguistiche.
E’ quanto ha affermato la Corte di Giustizia, con sentenza, depositate
il 19 settembre scorso.
Il Lussemburgo prevedeva, per chi volesse esercitare la professione
di avvocato nel proprio territorio, il requisito della "padronanza della
lingua della legislazione e delle lingue amministrative e giudiziarie" ed
imponeva una previa verifica di tali conoscenze.
La Corte ha chiarito che il professionista dovrà comunque essere
in possesso, in concreto e in relazione alla peculiarità della vicenda da lui
seguita, delle
necessarie
conoscenze giuridiche e linguistiche.
Infine, la Corte ha affermato che
i rimedi "interni" previsti per tali casi dall’ordinamento lussemburghese non
forniscono le medesime
garanzie
di imparzialità
dei rimedi
giurisdizionali: "in
caso di diniego dell’iscrizione al foro dello Stato membro ospitante, un ricorso
presentato
dinanzi ad un collegio
disciplinare composto esclusivamente o prevalentemente di avvocati locali non
può essere ritenuto equivalente al rituale ricorso giurisdizionale che
la direttiva impone agli Stati membri di prevedere per tali casi".
. . . . . . . .
Corte di giustizia, Grande Sezione
Sentenza del 19 settembre 2006
(presidente Skouris, relatore Lenaerts)
cause C-506/04 e C-193/05
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE,
volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato
in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica
(GU L 77, pag. 36).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia
sorta in seguito al rifiuto, da parte del conseil de l’ordre des avocats
du barreau de Luxembourg (Consiglio dell’ordine degli avvocati del foro
di Lussemburgo; in prosieguo: il «consiglio dell’ordine»)
d’iscrivere il sig. Graham J. Wilson, cittadino del Regno Unito, all’albo
dell’ordine degli avvocati di Lussemburgo.
Contesto normativo
La direttiva 98/5
3 Ai sensi dell’art. 2, primo comma, della direttiva 98/5:
«Gli avvocati hanno il diritto di esercitare stabilmente le attività di
avvocato precisate all’articolo 5 in tutti gli altri Stati membri con
il proprio titolo professionale di origine».
4 L’art. 3 della direttiva 98/5, rubricato «Iscrizione presso
l’autorità competente», dispone quanto segue:
«1. L’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso
da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi
presso l’autorità competente di detto Stato membro.
2. L’autorità competente dello Stato membro ospitante procede
all’iscrizione dell’avvocato su presentazione del documento attestante
l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente
dello Stato membro di origine. Essa può esigere che l’attestato
dell’autorità competente dello Stato membro di origine non sia
stato rilasciato prima dei tre mesi precedenti la sua presentazione. Essa dà comunicazione
dell’iscrizione all’autorità competente dello Stato membro
di origine.
(…)».
5 L’art. 5 della direttiva 98/5, intitolato «Campo di attività»,
stabilisce quanto segue:
«1. Salvo i paragrafi 2 e 3, l’avvocato che esercita con il proprio
titolo professionale di origine svolge le stesse attività professionali
dell’avvocato che esercita con il corrispondente titolo professionale
dello Stato membro ospitante, e può, in particolare, offrire consulenza
legale sul diritto del proprio Stato membro d’origine, sul diritto comunitario,
sul diritto internazionale e sul diritto dello Stato membro ospitante. Esso
rispetta comunque le norme di procedura applicabili dinanzi alle giurisdizioni
nazionali.
2. Gli Stati membri che autorizzano una determinata categoria di avvocati
a redigere sul loro territorio atti che conferiscono il potere di amministrare
i beni dei defunti o riguardanti la costituzione o il trasferimento di diritti
reali immobiliari, che in altri Stati membri sono riservati a professioni diverse
da quella dell’avvocato, possono escludere da queste attività l’avvocato
che esercita con un titolo professionale di origine rilasciato in uno di questi
ultimi Stati membri.
3. Per l’esercizio delle attività relative alla rappresentanza
ed alla difesa di un cliente in giudizio e nella misura in cui il proprio diritto
riservi tali attività agli avvocati che esercitano con un titolo professionale
dello Stato membro ospitante, quest’ultimo può imporre agli avvocati
che ivi esercitano con il proprio titolo professionale di origine di agire
di concerto con un avvocato che eserciti dinanzi alla giurisdizione adita e
il quale resta, eventualmente, responsabile nei confronti di tale giurisdizione,
oppure con un “avoué” patrocinante dinanzi ad essa.
Ciononostante, per assicurare il buon funzionamento della giustizia, gli Stati
membri possono stabilire norme specifiche di accesso alle Corti supreme, quali
il ricorso ad avvocati specializzati».
6 L’art. 9 della direttiva 98/5, rubricato «Motivazione e ricorso
giurisdizionale», dispone quanto segue:
«Le decisioni con cui viene negata o revocata l’iscrizione di
cui all’articolo 3 e le decisioni che infliggono sanzioni disciplinari
devono essere motivate.
Tali decisioni sono soggette a ricorso giurisdizionale di diritto interno».
7 L’art. 10, della direttiva 98/5, rubricato «Assimilazione all’avvocato
dello Stato membro ospitante», contiene le seguenti disposizioni:
«1. L’avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale
di origine e che abbia comprovato l’esercizio per almeno tre anni di
un’attività effettiva e regolare nello Stato membro ospitante,
e riguardante il diritto di tale Stato, ivi compreso il diritto comunitario, è dispensato
dalle condizioni di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b) della
direttiva [del Consiglio 21 dicembre 1988] 89/48/CEE [relativa ad un sistema
generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano
formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989 L 19, pag.
16)] per accedere alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante.
Per attività effettiva e regolare si intende l’esercizio reale
dell’attività senza interruzioni che non siano quelle dovute agli
eventi della vita quotidiana.
(…)
3. Un avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine,
che dimostri un’attività effettiva e regolare per un periodo di
almeno tre anni nello Stato membro ospitante, ma di durata inferiore relativamente
al diritto di tale Stato membro, può ottenere dall’autorità competente
di detto Stato membro l’accesso alla professione di avvocato dello Stato
membro ospitante e il diritto di esercitarla con il titolo professionale corrispondente
a tale professione in detto Stato membro, senza dover rispettare le condizioni
di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 89/48
(…), alle condizioni e secondo le modalità qui di seguito indicate:
a) L’autorità dello Stato membro ospitante prende in considerazione
l’attività effettiva e regolare nel corso del periodo sopra precisato,
nonché le conoscenze e le esperienze professionali nel diritto dello
Stato membro ospitante, nonché la partecipazione del richiedente a corsi
o seminari che vertono sul diritto dello Stato membro ospitante, compreso l’ordinamento
della professione e la deontologia professionale.
(…)».
Il diritto nazionale
8 Ai sensi dell’art. 5 della legge 10 agosto 1991 sulla professione
di avvocato (Mémorial A 1991, pag. 1110; in prosieguo: la «legge
10 agosto 1991»):
«Nessuno può esercitare la professione di avvocato se non ha
ottenuto l’iscrizione all’albo di un ordine degli avvocati stabilito
nel Granducato di Lussemburgo».
9 L’art. 6 della legge 10 agosto 1991 dispone quanto segue:
«(1) Ai fini dell’iscrizione all’albo è necessario:
a) presentare le necessarie garanzie d’onorabilità.
b) dimostrare di ottemperare alle condizioni d’ammissione al tirocinio.
Eccezionalmente, il Consiglio dell’ordine può dispensare da determinati
requisiti di ammissione al tirocinio coloro che abbiano completato il tirocinio
professionale nel loro Stato d’origine e possano comprovare una pratica
professionale di almeno cinque anni.
c) avere la cittadinanza lussemburghese o la cittadinanza di uno Stato membro
delle Comunità europee. Il Consiglio dell’ordine, sentito il parere
del Ministro della Giustizia può, dietro prova di reciprocità da
parte del paese non membro della Comunità europea di cui il candidato è cittadino,
dispensare quest’ultimo dalla predetta condizione. Lo stesso vale per
i candidati che godono dello status di rifugiati politici e che beneficiano
del diritto d’asilo nel Granducato di Lussemburgo.
(2) Prima di potere essere iscritti all’albo, i candidati avvocati,
presentati dal presidente dell’ordine o dal suo delegato, prestano il
seguente giuramento dinanzi alla Cour de cassation: “Giuro fedeltà al
Granduca, obbedienza alla costituzione e alle leggi dello Stato, di non venire
mai meno al rispetto dovuto ai tribunali e di non patrocinare alcuna causa
che io non creda giusta secondo coscienza”».
10 Tali requisiti per l’iscrizione sono stati modificati dall’art.
14 della legge 13 novembre 2002, che recepisce nel diritto lussemburghese la
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE,
volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato
in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica
e recante: 1. modifica della legge modificata 10 agosto 1991, sulla professione
di avvocato; 2. modifica della legge 31 maggio 1999, sulla domiciliazione delle
società (Mémorial A 2002, pag. 3202; in prosieguo: la «legge
13 novembre 2002»).
11 Il detto art. 14 ha aggiunto, in particolare, all’art. 6, n. 1, della
legge 10 agosto 1991, il punto d), che stabilisce il seguente requisito per
l’iscrizione:
«abbia padronanza della lingua della legislazione e delle lingue amministrative
e giudiziarie ai sensi della legge 24 febbraio 1984 sul regime linguistico».
12 La lingua della legislazione è disciplinata dall’art. 2 della
legge 24 febbraio 1984, sul regime linguistico (Mémorial A 1984, pag.
196) nei seguenti termini:
«Gli atti legislativi e i relativi regolamenti d’attuazione sono
redatti in francese. Quando gli atti legislativi e regolamentari sono accompagnati
da una traduzione, fa fede solo il testo francese.
Quando regolamenti diversi da quelli di cui al comma precedente sono emanati
da un organismo dello Stato, dei comuni o degli enti pubblici in una lingua
diversa dal francese, fa fede solo il testo nella lingua utilizzata da tale
organismo per la stesura.
Questo articolo non deroga alle disposizioni applicabili in materia di convenzioni
internazionali».
13 Le lingue amministrative e giudiziarie sono disciplinate dall’art.
3 della legge 24 febbraio 1984, sul regime linguistico, nei seguenti termini:
«In materia amministrativa, contenziosa o non contenziosa, e in materia
giudiziaria è possibile utilizzare la lingua francese, tedesca o lussemburghese,
fatte salve le disposizioni speciali vigenti in specifiche materie».
14 Ai sensi dell’art. 3, n. 1, della legge 13 novembre 2002, l’avvocato
che ha conseguito la qualifica in uno Stato membro diverso dal Granducato di
Lussemburgo (in prosieguo: l’«avvocato europeo») deve aver
ottenuto l’iscrizione all’albo di uno degli ordini degli avvocati
di quest’ultimo Stato membro per potervi esercitare con il proprio titolo
d’origine.
15 In forza dell’art. 3, n. 2, della stessa legge:
«Il Consiglio dell’ordine degli avvocati del Granducato di Lussemburgo,
cui l’avvocato europeo presenti istanza di poter esercitare con il suo
titolo professionale d’origine, procede all’iscrizione dell’avvocato
europeo all’albo degli avvocati di tale ordine al termine di un colloquio
che permette al Consiglio dell’ordine di verificare che l’avvocato
europeo abbia la padronanza almeno delle lingue di cui all’art. 6, n.
1, lett. d), della legge 10 agosto 1991, dietro presentazione dei documenti
elencati all’art. 6, n. 1, lett. a), c), prima frase, e d) della legge
10 agosto 1991 e dell’attestato di iscrizione dell’avvocato europeo
presso l’autorità competente dello Stato membro d’origine
(…)
(…)».
16 In conformità all’art. 3, n. 3, della legge 13 novembre 2002,
le decisioni di diniego dell’iscrizione di cui al n. 2 di tale articolo
devono essere motivate e notificate all’avvocato interessato e possono
essere «impugnate ai sensi degli artt. 26, nn. 7 e segg., della legge
10 agosto 1991 alle condizioni e modalità ivi precisate».
17 L’art. 26, n. 7, della legge 10 agosto 1991 prevede, tra l’altro,
in caso di diniego dell’iscrizione all’albo di un ordine di avvocati,
la possibilità di adire il Conseil disciplinaire et administratif.
18 La composizione di tale organo è disciplinata come segue dall’art.
24 di detta legge:
«1. La presente legge prevede l’istituzione di un Conseil disciplinaire
et administratif composto da cinque avvocati iscritti all’elenco I degli
avvocati, di cui quattro sono eletti a maggioranza relativa dall’assemblea
generale dell’ordine di Lussemburgo e uno dall’assemblea generale
dell’ordine di Diekirch. L’assemblea generale dell’ordine
di Lussemburgo elegge quattro supplenti e l’assemblea generale dell’ordine
di Diekirch elegge un supplente. Tutti i membri effettivi sono, laddove impossibilitati,
sostituiti conformemente al grado di anzianità da un supplente dell’ordine
di appartenenza e, laddove fossero impossibilitati i supplenti del proprio
ordine, da un supplente dell’altro ordine.
2. Il mandato dei membri è di due anni a partire dal 15 settembre successivo
alla loro elezione. In caso di vacanza di un posto di membro effettivo o membro
supplente, il sostituto sarà cooptato dal Conseil disciplinaire et administratif.
Le funzioni dei membri effettivi e supplenti cooptati terminano alla data di
scadenza delle funzioni del rispettivo membro eletto sostituito. I membri del
Conseil disciplinaire et administratif possono essere rieletti.
3. Il Conseil disciplinaire et administratif elegge un presidente ed un vicepresidente.
Laddove presidente e vicepresidente fossero impossibilitati a svolgere le loro
funzioni, il Conseil è presieduto dal membro titolare che vanta maggiore
anzianità. Il membro più giovane del Consiglio svolge la funzione
di segretario.
4. Per essere membro del Conseil disciplinaire et administratif è necessario
avere la cittadinanza lussemburghese, essere iscritti nell’elenco I degli
avvocati da almeno cinque anni e non essere membro di un Consiglio dell’ordine.
5. Qualora non fosse possibile comporre il Conseil disciplinaire et administratif
secondo le modalità predette, i suoi membri sono designati dal Consiglio
dell’ordine cui appartengono i membri da sostituire».
19 L’art. 28, n. 1, della legge 10 agosto 1991 prevede la possibilità di
impugnare le decisioni del Conseil disciplinaire et administratif.
20 Nella versione precedente alla legge 13 novembre 2002, il n. 2 di tale
articolo disponeva quanto segue:
«A tale scopo è creato un Conseil disciplinaire et administratif
d’appel (Consiglio disciplinare ed amministrativo d’appello) composto
da due magistrati della Corte d’appello e da un aggiunto giudiziario
iscritto nell’elenco I degli avvocati.
I membri togati e i rispettivi supplenti, nonché il cancelliere assegnato
al Consiglio, sono nominati con decreto granducale su proposta della Corte
suprema per la durata di due anni. Le rispettive indennità sono fissate
con regolamento granducale.
L’aggiunto giudiziario e il suo sostituto sono nominati con decreto
granducale per la durata di due anni. Sono scelti da una lista di tre avvocati,
iscritti nell’elenco I degli avvocati da almeno cinque anni, proposta
da ciascun Consiglio dell’ordine per ogni funzione.
La funzione di aggiunto giudiziario è incompatibile con quella di membro
di un Consiglio dell’ordine o con quella di membro del Conseil disciplinaire
et administratif.
Il Conseil disciplinaire et administratif d’appel si riunisce nei locali
della Corte suprema ed usufruisce dei suoi servizi di cancelleria».
21 L’art. 28, n. 2, della legge 10 agosto 1991, come modificato dall’art.
14 della legge 13 novembre 2002, dispone ora:
«A tale scopo è creato un Conseil disciplinaire et administratif
d’appel composto da due magistrati della Corte d’appello e da tre
avvocati-aggiunti giudiziari iscritti nell’elenco I dell’albo degli
avvocati.
(…)
Gli avvocati-aggiunti giudiziari ed i loro sostituti sono nominati con decreto
granducale per la durata di due anni. Sono scelti da una lista di cinque avvocati
presso la Corte iscritti all’elenco I dell’albo degli avvocati
da almeno cinque anni, proposta da ciascun Consiglio dell’ordine per
ogni funzione.
(…)
Il giudice con maggiore anzianità di servizio presiede il Conseil disciplinaire
et administratif d’appel».
22 In conformità all’art. 8, n. 3, della legge 10 agosto 1991,
come modificato dall’art. 14, V, della legge 13 novembre 2002, l’albo
degli avvocati di ciascun ordine contiene quattro elenchi, ossia:
«1. L’elenco I degli avvocati che soddisfano i requisiti degli
artt. 5 e 6 e che hanno superato l’esame di fine tirocinio previsto dalla
legge;
2. L’elenco II degli avvocati che soddisfano i requisiti degli artt.
5 e 6;
3. L’elenco III degli avvocati onorari;
4. L’elenco IV degli avvocati che esercitano con il titolo professionale
di origine».
Causa principale e questioni pregiudiziali
23 Il sig. Wilson è un barrister di nazionalità britannica.
Egli è membro dell’ordine degli avvocati d’Inghilterra e
del Galles dal 1975. Esercita la professione di avvocato nel Lussemburgo dal
1994.
24 Il 29 aprile 2003 il sig. Wilson veniva convocato dal consiglio dell’ordine
per sostenere il colloquio previsto dall’art. 3, n. 2, della legge 13
novembre 2002.
25 Il 7 maggio 2003 il sig. Wilson si presentava a tale colloquio accompagnato
da un avvocato lussemburghese, ma il consiglio dell’ordine non consentiva
che quest’ultimo assistesse al detto colloquio.
26 Con lettera raccomandata di data 14 maggio 2003, il consiglio dell’ordine
notificava al sig. Wilson la sua decisione di negargli l’iscrizione all’albo
degli avvocati nell’elenco IV degli avvocati che esercitano con il titolo
professionale d’origine. Tale decisione veniva motivata nei seguenti
termini:
«Dopo che il consiglio dell’ordine la ha informata che non ammette
l’assistenza di un avvocato, non prevista dalla legge, lei ha rifiutato
di sostenere il colloquio senza essere assistito dall’avv. (…).
Il consiglio dell’ordine, pertanto, non è in grado di verificare
le sue conoscenze linguistiche ai sensi dell’art. l’art. 6, n.
1, lett. d), della legge 10 agosto 1991 (…)».
27 In tale lettera, il consiglio dell’ordine informava il sig. Wilson
che, «[c]onformemente all’art. 26, n. 7, della legge 10 agosto
1991, la presente decisione può essere oggetto di impugnazione da esperire
mediante ricorso dinanzi al Conseil disciplinaire et administratif (casella
postale 575, L-1025, Lussemburgo) entro un termine di quaranta giorni dall’invio
della presente».
28 Con atto introduttivo 28 luglio 2003, il sig. Wilson ha presentato un ricorso
di annullamento avverso tale decisione di diniego dinanzi al tribunal administratif
de Luxembourg (Tribunale amministrativo di Lussemburgo).
29 Con sentenza 13 maggio 2004, tale tribunale si è dichiarato incompetente
a decidere il detto ricorso.
30 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Cour administrative
(Corte d’appello amministrativa) il 22 giugno 2004, il sig. Wilson ha
proposto appello avverso la detta sentenza.
31 Il giudice del rinvio spiega che la questione della compatibilità con
l’art. 9 della direttiva 98/5 del procedimento di ricorso istituito dalla
normativa lussemburghese si ripercuote direttamente su quella della competenza
dei giudici amministrativi a dirimere la controversia della causa principale.
Nel merito, esso si pone la questione della compatibilità con il diritto
comunitario delle disposizioni lussemburghesi che istituiscono una verifica
delle conoscenze linguistiche degli avvocati europei che desiderano esercitare
in Lussemburgo.
32 In tali circostanze, la Cour administrative ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’art. 9 della direttiva 98/5/ (…) debba essere interpretato
nel senso che esclude un procedimento di ricorso quale quello previsto dalla
legge 10 agosto 1991, come modificata dalla legge 13 novembre 2002;
2) più in particolare, se organi quali il Conseil disciplinaire et
administratif e il Conseil disciplinaire et administratif d’appel rappresentino
organi competenti a conoscere dei “ricors[i] giurisdizional[i] di diritto
interno” ai sensi dell’art. 9 della direttiva 98/5 e se [tale articolo]
debba essere interpretato nel senso che esclude un mezzo di ricorso che imponga
di adire uno o più organi di tale natura prima di poter adire su una
questione di diritto una “corte o un tribunale” ai sensi del [detto
articolo];
3) se le autorità competenti di uno Stato membro siano autorizzate
a subordinare il diritto di un avvocato di un [altro] Stato membro di esercitare
stabilmente la professione di avvocato con il proprio titolo professionale
di origine, nei settori di attività specificati dall’art. 5 della
direttiva [98/5], al requisito della padronanza delle lingue di tale [primo]
Stato membro;
4) in particolare, se le autorità competenti possano disporre che tale
diritto all’esercizio della professione sia subordinato al superamento,
da parte dell’avvocato, di un esame orale di lingua in tutte o in alcune
delle tre lingue principali dello Stato membro ospitante, al fine di consentire
alle autorità competenti di verificare se l’avvocato conosca le
tre lingue e, in tal caso, quali debbano essere le garanzie procedurali eventualmente
richieste».
Sulla prima e la seconda questione
Sulla competenza della Corte a risolvere tali questioni e sulla loro ricevibilità
33 L’ordre des avocats du barreau de Luxembourg (ordine degli avvocati
del foro di Lussemburgo), sostenuto dal governo lussemburghese, afferma che
le prime due questioni non rientrano nella competenza della Corte. A suo avviso,
infatti, con tali questioni il giudice del rinvio chiede l’interpretazione
dell’art. 9 della direttiva 98/5 alla luce delle disposizioni nazionali.
Orbene, esso è dell’avviso che la Corte non è competente
né a verificare la compatibilità di disposizioni nazionali con
il diritto comunitario, né ad interpretare tali disposizioni.
34 È vero che, nell’ambito di un procedimento ex art. 234 CE,
non spetta alla Corte pronunciarsi sulla compatibilità di norme del
diritto interno con disposizioni del diritto comunitario (v., in particolare,
sentenza 7 luglio 1994, causa C-130/93, Lamaire, Racc. pag. I-3215, punto 10).
Inoltre, nell’ambito del sistema di cooperazione giudiziaria istituito
dal detto articolo, l’interpretazione delle norme nazionali incombe ai
giudici nazionali e non alla Corte (v., in particolare, sentenza 12 ottobre
1993, causa C-37/92, Vanacker e Lesage, Racc. pag. I-4947, punto 7).
35 Per contro, la Corte è competente a fornire al giudice nazionale
tutti gli elementi d’interpretazione propri del diritto comunitario che
gli consentano di valutare la compatibilità di norme di diritto interno
con la normativa comunitaria (v, in particolare, sentenza Lamaire, cit., punto
10).
36 Nel caso di specie, le prime due questioni implicano una richiesta di interpretazione
dell’art. 9 della direttiva 98/5, destinata a consentire al giudice del
rinvio di valutare la compatibilità del procedimento istituito dalla
normativa lussemburghese con tale articolo. Pertanto, esse rientrano nella
competenza della Corte.
37 L’ordre des avocats du barreau de Luxembourg sostiene inoltre che
la decisione di rinvio non contiene indicazioni sulla natura, sulla composizione
e sulle modalità di funzionamento degli organi competenti a conoscere
del ricorso oggetto della causa principale, il che, a suo avviso, impedisce
alla Corte di fornire una risposta utile al giudice del rinvio sulle prime
due questioni.
38 A tale proposito, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza,
l’esigenza di giungere ad un’interpretazione del diritto comunitario
che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca
l’ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate
o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate
(v., in particolare, sentenze 21 settembre 1999, causa C-67/96, Albany, Racc.
pag. I-5751, punto 39, e 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97,
Deliège, Racc. pag. I-2549, punto 30).
39 Le informazioni fornite nelle decisioni di rinvio pregiudiziale devono
non solo consentire alla Corte di dare risposte utili, ma altresì dare
ai governi degli Stati membri, nonché agli altri interessati, la possibilità di
presentare osservazioni ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte
di giustizia. Spetta alla Corte vigilare affinché tale possibilità sia
salvaguardata, tenuto conto del fatto che, a norma della suddetta disposizione,
agli interessati vengono notificate solo le decisioni di rinvio (v. in particolare,
sentenze Albany, cit., punto 40, e 12 aprile 2005, causa C-145/03, Keller,
Racc. pag. I-2529, punto 30).
40 Nel caso di specie, da un lato, dalle osservazioni presentate dalle parti
della causa principale emerge che i governi degli Stati membri e la Commissione
delle Comunità europee sono stati in grado di prendere posizione adeguatamente
sulle prime due questioni.
41 Dall’altro, la Corte si considera sufficientemente edotta dalle informazioni
contenute nella decisione di rinvio e nelle osservazioni che le sono state
presentata da potere risolvere efficacemente le questioni che le sono state
sottoposte.
42 Da quanto esposto risulta che la Corte deve risolvere le prime due questioni.
Nel merito
43 Con le prime due questioni, che occorre trattare congiuntamente, il giudice
del rinvio chiede alla Corte, in sostanza, di interpretare la nozione di ricorso
giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’art. 9 della direttiva
98/5 con riferimento ad una procedura di ricorso come quella prevista dalla
normativa lussemburghese.
44 In proposito, occorre ricordare che l’art. 9 della direttiva 98/5
stabilisce che le decisioni dell’autorità competente dello Stato
membro ospitante che respingono l’iscrizione di un avvocato che desidera
esercitarvi le sue attività con il suo titolo professionale d’origine
devono essere soggette a ricorso giurisdizionale di diritto interno.
45 Da tale disposizione si evince che gli Stati membri sono tenuti ad adottare
provvedimenti sufficientemente efficaci per raggiungere lo scopo della direttiva
98/5 e a garantire che i diritti in tal modo attribuiti possano essere effettivamente
fatti valere dagli interessati dinanzi ai giudici nazionali (v., per analogia,
sentenza 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punto 17).
46 Come sottolineato dal governo francese e dalla Commissione, il controllo
giurisdizionale imposto dalla detta disposizione è espressione di un
principio generale del diritto comunitario che deriva dalle tradizioni costituzionali
comuni agli Stati membri e che è inoltre sancito agli artt. 6 e 13 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (v., in particolare, sentenze Johnston, cit., punto
18; 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a., Racc. pag. 4097, punto 14;
27 novembre 2001, causa C-424/99, Commissione/Austria, Racc. pag. I-9285, punto
45, e 25 luglio 2002, causa C-459/99, MRAX, Racc. pag. I-6591, punto 101).
47 Ai fini dell’effettiva tutela giurisdizionale dei diritti previsti
dalla direttiva 98/5, l’organo chiamato a decidere i ricorsi contro le
decisioni di diniego dell’iscrizione di cui all’art. 3 di tale
direttiva deve corrispondere alla nozione di giudice come definita dal diritto
comunitario.
48 La detta nozione è stata definita, nella giurisprudenza della Corte
di giustizia relativa alla nozione di giudice nazionale ai sensi dell’art.
234 CE, enunciando una serie di requisiti che l’organo in questione deve
presentare, quali la sua origine legale, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della
sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che
l’organo applichi norme giuridiche (v., in questo senso, tra le altre,
sentenze 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Göbbels, Racc. pag. 377,
395, e 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult, Racc. pag. I-4961,
punto 23) nonché l’indipendenza e l’imparzialità (v.,
in questo senso, tra le altre, sentenze 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore
di Salò/X, Racc. pag. I-2545, punto 7; 21 aprile 1988, causa 338/85,
Pardini, Racc. pag. 2041, punto 9, e 29 novembre 2001, causa C-17/00, De Coster,
Racc. pag. I-9445, punto 17).
49 La nozione di indipendenza, intrinseca alla funzione giurisdizionale, implica
innanzi tutto che l’organo interessato si trovi in posizione di terzietà rispetto
all’autorità che ha adottato la decisione oggetto del ricorso
(v., in questo senso, in particolare, sentenza 30 marzo 1993, causa C-24/92,
Corbiau, Racc. pag. I-1277, punto 15 e 30 maggio 2002, causa C-516/99, Schmid,
Racc. pag. I-4573, punto 36).
50 Essa presenta inoltre due aspetti.
51 Il primo aspetto, avente carattere esterno, presuppone che l’organo
sia tutelato da pressioni o da interventi dall’esterno idonei a mettere
a repentaglio l’indipendenza di giudizio dei suoi membri per quanto riguarda
le controversie loro sottoposte (v., in questo senso, sentenze 4 febbraio 1999,
causa C-103/97, Köllensperger e Atzwanger, Racc. pag. I-551, punto 21,
e 6 luglio 2000, causa C-407/98, Abrahamsson e Anderson, Racc. pag. I-5539,
punto 36; v. anche, nello stesso senso, Corte eur. D.U., sentenza Campbell
e Fell c. Regno Unito del 28 giugno 1984, serie A n. 80, § 78). Tale indispensabile
libertà da siffatti elementi esterni richiede talune garanzie idonee
a tutelare la persona che svolge la funzione giurisdizionale, come, ad esempio,
l’inamovibilità (v., in questo senso, sentenza 22 ottobre 1998,
cause riunite C-9/97 e C-118/97, Jokela e Pitkäranta, Racc. pag. I-6267,
punto 20).
52 Il secondo aspetto, avente carattere interno, si ricollega alla nozione
di imparzialità e riguarda l’equidistanza dalle parti della controversia
e dai loro rispettivi interessi concernenti l’oggetto di quest’ultima.
Questo aspetto impone il rispetto dell’obiettività (v., in questo
senso, sentenza Abrahamsson e Anderson, cit., punto 32) e l’assenza di
qualsivoglia interesse nella soluzione da dare alla controversia all’infuori
della stretta applicazione della norma giuridica.
53 Tali garanzie di indipendenza e di imparzialità implicano l’esistenza
di disposizioni, relative, in particolare, alla composizione dell’organo
e alla nomina, durata delle funzioni, cause di astensione, di ricusazione e
di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio
che i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità del
detto organo rispetto a elementi esterni ed alla sua neutralità rispetto
agli interessi contrapposti (v, al riguardo, citate sentenze Dorsch Consult,
punto 36; Köllensperger e Atzwanger, punti 20-23, nonché De Coster,
punti 18-21; v. anche, in questo senso, Corte eur. D.U., sentenza De Cubber
c. Belgio del 26 ottobre 1984, serie A n. 86, § 24).
54 Nel caso di specie, la composizione del Conseil disciplinaire et administratif,
come stabilita dall’art. 24 della legge 10 agosto 1991, è caratterizzata
dalla esclusiva presenza di avvocati di nazionalità lussemburghese,
iscritti nell’elenco I dell’albo degli avvocati – ossia l’elenco
degli avvocati che esercitano con il titolo professionale lussemburghese e
che hanno superato l’esame di fine tirocinio – eletti dalle rispettive
assemblee generali dell’ordine degli avvocati di Lussemburgo e di quello
di Diekirch.
55 Per quanto riguarda il Conseil disciplinaire et administratif d’appel,
la modifica apportata all’art. 28, n. 2, della legge 10 agosto 1991 dall’art.
14 della legge 13 novembre 2002 attribuisce peso preponderante ai membri aggiunti,
che devono essere iscritti nel medesimo elenco e sono presentati dal consiglio
di ciascuno degli ordini di cui al punto precedente di questa sentenza, rispetto
ai magistrati di professione.
56 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 47 delle conclusioni,
le decisioni di diniego dell’iscrizione di un avvocato europeo adottate
dal conseil de l’ordre – i cui membri, a norma dell’art.
16 della legge 10 agosto 1991, sono avvocati iscritti nell’elenco I dell’albo
degli avvocati – in primo grado sono soggette al controllo di un organo
composto esclusivamente di avvocati iscritti nello stesso elenco e, in appello,
di un organo prevalentemente composto di tali avvocati.
57 Pertanto, in tali condizioni, un avvocato europeo cui il conseil de l’ordre
abbia negato l’iscrizione nell’elenco IV dell’albo degli
avvocati ha dei motivi legittimi di temere che, a seconda dei casi, la totalità o
la maggior parte dei membri di tali organi abbiano un comune interesse contrario
al suo, ossia quello di confermare una decisione che esclude dal mercato un
concorrente che ha acquisito la sua qualifica professionale in un altro Stato
membro, nonché di paventare il venir meno dell’equidistanza dagli
interessi in causa (v., in questo senso, Corte eur. D.U., sentenza Langborger
c. Svezia del 22 giugno 1989, serie A, n. 155, § 35).
58 Le disposizioni che disciplinano la composizione di organi come quelle
in esame nella causa principale non risultano quindi idonee a fornire un’adeguata
garanzia di imparzialità.
59 Contrariamente a quanto afferma l’ordre des avocats du barreau de
Luxembourg, i timori suscitati da tali norme in materia di composizione non
possono essere fugati dalla possibilità di esperire un ricorso in cassazione,
prevista dall’art. 29, n. 1, della legge 10 agosto 1991, avverso le sentenze
del Conseil disciplinaire et administratif d’appel.
60 L’art. 9 della direttiva 98/5, infatti, pur non escludendo la previa
presentazione di un ricorso dinanzi ad un organo non giurisdizionale, non prevede
però che l’interessato possa esperire il rimedio giurisdizionale
solo dopo l’eventuale esaurimento di rimedi di altra natura. In ogni
caso, quando un ricorso dinanzi ad un organo non giurisdizionale è previsto
dalla normativa nazionale, il detto art. 9 richiede un acceso effettivo ed
entro un termine ragionevole (v., per analogia, sentenza 15 ottobre 2002, cause
riunite C-238/99 P, C-244/99 P, C-245/99 P, C-247/99 P, C-250/99 P-C-252/99
P e C-254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I-8375,
punti 180-205 e 223-234) ad un giudice ai sensi del diritto comunitario, competente
a pronunciarsi sia in fatto che in diritto.
61 Ebbene, a prescindere dalla questione della compatibilità del previo
passaggio per due organi non giurisdizionali con il requisito del termine ragionevole,
la competenza della Cour de cassation del Granducato di Lussemburgo è limitata
alle questioni di diritto, per cui essa non dispone di una piena giurisdizione
(v., in questo senso, Corte eur. D.U., sentenza Incal c. Turchia del 9 giugno
1998, Recueil des arrêts e décisions 1998-IV, pag. 1547, § 72).
62 Alla luce di quanto precede, occorre risolvere le prime due questioni dichiarando
che l’art. 9 della direttiva 98/5 va interpretato nel senso che osta
ad un procedimento di ricorso nel contesto del quale la decisione di diniego
dell’iscrizione di cui all’art. 3 della detta direttiva deve essere
contestata, in primo grado, dinanzi ad un organo composto esclusivamente di
avvocati che esercitano con il titolo professionale dello Stato membro ospitante
e, in appello, dinanzi ad un organo composto prevalentemente di siffatti avvocati,
quando il ricorso in cassazione dinanzi al giudice supremo di tale Stato membro
consente un controllo giurisdizionale solo in diritto e non in fatto.
Sulla terza e la quarta questione
63 Con la terza e la quarta questione, che vanno esaminate congiuntamente,
il giudice del rinvio vuole appurare se, ed eventualmente a quali condizioni,
il diritto comunitario consenta allo Stato membro ospitante di subordinare
il diritto di un avvocato ad esercitare stabilmente le sue attività nel
detto Stato membro con il suo titolo professionale d’origine ad una verifica
della padronanza delle lingue di tale Stato membro.
64 In proposito, come emerge dal sesto ‘considerando’ della direttiva
98/5, con essa il legislatore comunitario ha inteso, in particolare, porre
fine alle disparità tra le norme nazionali relative ai requisiti d’iscrizione
presso le autorità competenti, da cui derivavano ineguaglianze ed ostacoli
alla libera circolazione (v. anche, in tal senso, sentenza 7 novembre 2000,
causa C-168/98, Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I-9131, punto
64).
65 In tale contesto, l’art. 3 della direttiva 98/5 prevede che l’avvocato
che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito
la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente
di detto Stato membro, la quale è tenuta a procedere all’iscrizione «su
presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso
la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine».
66 In considerazione dell’obiettivo della direttiva 98/5, richiamato
al precedente punto 64, si deve ritenere, come fanno il governo del Regno Unito
e la Commissione, che il legislatore comunitario, con l’art. 3 della
direttiva medesima, abbia effettuato la completa armonizzazione dei requisiti
preliminari richiesti ai fini dell’esercizio del diritto conferito dalla
direttiva stessa.
67 La presentazione all’autorità competente dello Stato membro
ospitante di un certificato di iscrizione presso l’autorità competente
dello Stato membro d’origine risulta, in tal modo, l’unico requisito
cui deve essere subordinata l’iscrizione dell’interessato nello
Stato membro ospitante, che gli consente di esercitare la sua attività in
quest’ultimo Stato membro con il suo titolo professionale d’origine.
68 Tale analisi trova conferma nell’esposizione dei motivi della proposta
di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio volta a facilitare l’esercizio
permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello
in cui è stata acquistata la qualifica [COM(94) 572 def.], ove, nel
commento all’art. 3, si precisa che «[l]’iscrizione [presso
l’autorità competente dello Stato membro ospitante] avviene di
diritto qualora il richiedente presenti il documento attestante la propria
iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro di
origine».
69 Come la Corte ha gia avuto occasione di rilevare, il legislatore comunitario,
al fine di facilitare l’esercizio della libertà fondamentale di
stabilimento di una determinata categoria di avvocati migranti, ha preferito
non optare per un sistema di previo controllo delle conoscenze degli interessati
(v. sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, cit., punto 43).
70 La direttiva 98/5, pertanto, non consente che l’iscrizione di un
avvocato europeo presso l’autorità competente dello Stato membro
ospitante possa essere subordinata ad un colloquio inteso a consentire all’autorità medesima
di valutare la padronanza, da parte dell’interessato, delle lingue di
tale Stato membro.
71 Come sottolineato dal sig. Wilson, dal governo del Regno Unito e dalla
Commissione, la rinuncia ad un sistema di previo controllo delle conoscenze,
in particolare linguistiche, dell’avvocato europeo coesiste tuttavia,
nella direttiva 98/5, con una serie di norme volte a garantire, ad un livello
accettabile nella Comunità, la protezione degli assistiti ed una buona
amministrazione della giustizia (v. sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio,
cit., punti 32 e 33).
72 Ad esempio, l’obbligo imposto dall’art. 4 della direttiva 98/5
agli avvocati europei di esercitare nello Stato membro ospitante con il proprio
titolo professionale di origine è diretto, secondo il nono ‘considerando’ della
direttiva medesima, a consentire di operare la distinzione tra tali avvocati
e quelli integrati nella professione del detto Stato membro, in modo che l’assistito
sia informato del fatto che il professionista cui affida la tutela dei propri
interessi non ha conseguito la propria qualifica nello Stato membro medesimo
(v., in tal senso, sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, cit., punto
34) e non possiede necessariamente adeguate conoscenze linguistiche per la
gestione della causa.
73 Quanto alle attività relative alla rappresentanza ed alla difesa
di un cliente in giudizio, gli Stati membri possono imporre agli avvocati europei
che esercitano con il proprio titolo professionale di origine, a termini dell’art.
5, n. 3, della direttiva 98/5, di agire di concerto con un avvocato che eserciti
dinanzi alla giurisdizione adita e il quale resta, eventualmente, responsabile
nei confronti di tale giurisdizione, oppure con un «avoué» patrocinante
dinanzi ad essa. Tale facoltà consente di ovviare ad eventuali carenze
dell’avvocato europeo quanto alla padronanza delle lingue giudiziarie
dello Stato membro ospitante.
74 Ai sensi degli artt. 6 e 7 della direttiva 98/5, l’avvocato europeo
non è tenuto solo al rispetto delle regole professionali e deontologiche
dello Stato membro di origine, ma anche di quelle dello Stato membro ospitante,
a pena di incorrere in sanzioni disciplinari e nella propria responsabilità professionale
(v. sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, cit., punti 36-41). Tra le
regole deontologiche applicabili agli avvocati ricorre generalmente, come previsto
dal codice di deontologia adottato dal Consiglio degli ordini forensi europei
(CCBE), l’obbligo per i professionisti interessati, corredato di sanzioni
disciplinari, di non assumere incarichi in merito ai quali essi siano, o dovrebbero
essere, consapevoli della loro incompetenza, ad esempio per una carenza nelle
conoscenze linguistiche (v., in tal senso, sentenza Lussemburgo/Parlamento
e Consiglio, cit., punto 42). La comunicazione con la clientela, con le autorità amministrative
e con le associazioni professionali dello Stato membro ospitante, al pari del
rispetto delle regole deontologiche emanate dalle autorità del detto
Stato membro, infatti, è tale da richiedere all’avvocato europeo
adeguate conoscenze linguistiche ovvero il ricorso ad un’assistenza in
caso di conoscenze insufficienti.
75 Come osservato dalla Commissione, si deve ancora sottolineare che uno degli
obiettivi della direttiva 98/5, a termini del suo quinto ‘considerando’,
consiste nel rispondere «dando agli avvocati la possibilità di
esercitare stabilmente con il loro titolo professionale d’origine in
uno Stato membro ospitante, […] alle esigenze degli utenti del diritto,
che a motivo del flusso crescente delle attività commerciali, dovuto
particolarmente alla creazione del mercato interno, chiedono consulenze in
occasione di operazioni transfrontaliere nelle quali si trovano spesso strettamente
connessi il diritto internazionale, il diritto comunitario e i diritti nazionali».
Siffatte questioni internazionali, al pari delle cause disciplinate dal diritto
di uno Stato membro diverso dallo Stato membro ospitante, possono non richiedere
un grado di conoscenza delle lingue di quest’ultimo Stato membro tanto
elevato quanto quello richiesto per la gestione di cause in cui sia applicabile
il diritto del detto Stato membro.
76 Si deve osservare, infine, che l’assimilazione dell’avvocato
europeo all’avvocato dello Stato membro ospitante, che la direttiva 98/5
intende facilitare, a termini del suo quattordicesimo ‘considerando’,
richiede, ai sensi dell’art. 10 della direttiva medesima, che l’interessato
dimostri un’attività effettiva e regolare per un periodo di almeno
tre anni attinente al diritto di tale Stato membro ovvero, nell’ipotesi
di durata inferiore, ogni altra conoscenza, attività formativa o esperienza
professionale relativa al detto diritto. Una siffatta misura consente all’avvocato
europeo che intenda integrarsi nella professione dello Stato membro ospitante
di acquisire familiarità con la lingua ovvero le lingue di tale Stato
membro.
77 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre risolvere la terza e
la quarta questione dichiarando che l’art. 3 della direttiva 98/5 deve
essere interpretato nel senso che l’iscrizione di un avvocato presso
l’autorità competente di uno Stato membro diverso da quello in
cui egli ha acquisito la sua qualifica, ai fini dell’esercizio, in tale
Stato, della sua attività con il titolo professionale d’origine,
non può essere subordinata ad un previo controllo della padronanza delle
lingue dello Stato membro ospitante.
Sulle spese
78 Nei confronti delle parti nella causa principale, il presente procedimento
costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta
quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare
osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) L’art. 9 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16
febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della
professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata
acquistata la qualifica, va interpretato nel senso che osta ad un procedimento
di ricorso nel contesto del quale la decisione di diniego dell’iscrizione
di cui all’art. 3 della detta direttiva deve essere contestata, in primo
grado, dinanzi ad un organo composto esclusivamente di avvocati che esercitano
con il titolo professionale dello Stato membro ospitante e, in appello, dinanzi
ad un organo composto prevalentemente di siffatti avvocati, quando il ricorso
in cassazione dinanzi al giudice supremo di tale Stato membro consente un controllo
giurisdizionale solo in diritto e non in fatto.
2) L’art. 3 della direttiva 98/5 deve essere interpretato nel senso
che l’iscrizione di un avvocato presso l’autorità competente
di uno Stato membro diverso da quello in cui egli ha acquisito la sua qualifica
ai fini dell’esercizio, in tale Stato, della sua attività con
il titolo professionale d’origine, non può essere subordinata
ad un previo controllo della padronanza delle lingue dello Stato membro ospitante.