La responsabilita’ per danni dello Stato per violazione del diritto comunitario

Uno Stato membro e’ responsabile per i danni causati da una violazione manifesta
del diritto comunitario, compiuta da un giudice.

E la violazione e’ sempre da ritenere “manifesta” quando la decisione interviene
ignorando la giurisprudenza della Corte di Giustizia.

E’ quanto ha di recente stabilito la Corte di Giustizia, nel procedimento intentato
dalla societa’ Traghetti del Mediterraneo contro lo Stato italiano.

Questi i fatti.

Nel 1981 l’impresa di trasporti marittimi la Traghetti del Mediterraneo
(TDM)
citava in giudizio la Tirrenia di Navigazione, un’impresa concorrente, dinanzi
al Tribunale di Napoli. La TDM intendeva ottenere il risarcimento del danno
che, a suo avviso, la concorrente le aveva arrecato a causa della sua politica
di
prezzi bassi sul mercato del cabotaggio marittimo tra l’Italia continentale
e le isole della Sardegna e della Sicilia grazie al conseguimento di sovvenzioni
pubbliche.

La TDM ha sostenuto, in particolare, che il comportamento contestato costituiva
un atto di concorrenza sleale, nonché un abuso di posizione dominante,
vietato dal Trattato CE.

La domanda di risarcimento è stata respinta in tutti e tre i gradi
di giudizio,
ossia dal Tribunale di Napoli,
poi successivamente, dalla Corte d’appello di Napoli
e, infine, dalla Corte di Cassazione.

Ritenendo che la sentenza di tale ultimo giudice
fosse fondata su un’errata interpretazione delle norme comunitarie, il curatore
fallimentare della TDM, società nel frattempo messa in liquidazione, ha
citato in giudizio la Repubblica italiana dinanzi al Tribunale di Genova.

Il
suo ricorso è diretto ad ottenere il risarcimento del danno che la TDM
avrebbe subito a seguito degli errori di interpretazione commessi dal giudice
supremo e a seguito della violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale alla
Corte di giustizia delle Comunità europee.

Il Tribunale di Genova ha chiesto alla Corte di Giustizia
se il diritto comunitario e, in particolare, i principi sanciti dalla Corte
nella
sentenza "Köbler" ostino ad una normativa nazionale quale la legge
italiana che, da un lato, esclude ogni responsabilità dello Stato
membro per i danni causati a seguito di una violazione del diritto
comunitario
commessa da un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado allorquando
tale violazione risulti da un’interpretazione delle norme di diritto o da una
valutazione
dei fatti e delle prove ad opera di tale organo giurisdizionale e che, dall’altro
lato, limita, peraltro, tale responsabilità ai soli casi del dolo e
della colpa grave del giudice.

La Corte di Giustizia, con la decisione che si riporta, ha anzitutto affermato
che "il principio per il quale uno Stato membro è obbligato
a risarcire i danni arrecati ai singoli per violazioni del diritto comunitario
ad esso imputabili vale in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del
diritto comunitario, e qualunque sia l’organo di tale Stato la cui azione
od omissione ha dato origine alla trasgressione".

Secondo i Giudici europei, "escludere ogni possibilità di
sussistenza della responsabilità dello
Stato per il motivo che la violazione contestata al giudice nazionale riguarda
l’interpretazione delle norme giuridiche ovvero la valutazione effettuata da
quest’ultimo su fatti o prove equivarrebbe a privare della sua stessa
sostanza il principio della responsabilità dello Stato e avrebbe come
conseguenza che i singoli non beneficerebbero di alcuna tutela giurisdizionale
ove un organo
giurisdizionale nazionale di ultimo grado commettesse un errore manifesto nell’esercizio
di tali attività di interpretazione o di valutazione".

La violazione delle norme comunitarie è da ritenere "manifesta", in relazione
ad un certo numero di criteri quali:

il
grado
di chiarezza
e di precisione
della
norma
violata,

– il
carattere scusabile o inescusabile
dell’errore di diritto commesso,
– la mancata osservanza, da parte dell’organo
giurisdizionale, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale.

La violazione "manifesta" è in ogni caso presunta
quando la decisione interessata interviene ignorando manifestamente la giurisprudenza
della Corte in materia.

In conclusione, limitare la sussistenza della responsabilità dello
Stato ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, è contrario al
diritto comunitario ove tale limitazione conduca ad escludere la sussistenza
di responsabilità nel caso in cui sia commessa una violazione
manifesta del diritto vigente
.

Di seguito, il testo della decisione della Corte di Giustizia.

. . . . . . . . .


Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Grande Sezione

Sentenza del 13 giugno 2006

(presidente Skouris, estensore Timmermans)

Nel procedimento C-173/03,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte,
ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale di Genova con ordinanza 20 marzo
2003, pervenuta in cancelleria il 14 aprile 2003, nella causa

Traghetti del Mediterraneo SpA, in liquidazione,

contro

Repubblica italiana,

(…)

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sul principio e sulle condizioni
per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale degli Stati
membri per i danni arrecati ai singoli da una violazione del diritto comunitario,
allorquando tale violazione è imputabile a un organo giurisdizionale
nazionale.

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una causa intentata
contro la Repubblica italiana dalla Traghetti del Mediterraneo SpA, impresa
di trasporti marittimi, attualmente in liquidazione (in prosieguo: la «TDM»),
al fine di ottenere il risarcimento del danno che essa avrebbe subito a causa
di un’erronea interpretazione, da parte della Corte suprema di cassazione,
delle norme comunitarie relative alla concorrenza e agli aiuti di Stato e,
in particolare, per il rifiuto opposto da quest’ultima alla sua richiesta
di sottoporre alla Corte le pertinenti questioni di interpretazione del diritto
comunitario.

Contesto normativo nazionale

3 Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della legge 13 aprile 1988, n. 117 [sul]
risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie
e [sulla] responsabilità civile dei magistrati (GURI n. 88 del 15 aprile
1988, pag. 3; in prosieguo: la «legge n. 117/88»), detta legge
si applica «a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa,
contabile, militare e speciali, che esercitano l’attività giudiziaria,
indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei
che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria».

4 L’art. 2 della legge n. 117/88 prevede:

«1. Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento,
di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato
con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego
di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento
dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione
della libertà personale.

2. Nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo
a responsabilità l’attività di interpretazione di norme
di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.

3. Costituiscono colpa grave:

a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto
la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui
esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà della
persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione».

5 Ai sensi dell’art. 3, n. 1, prima frase, della legge n. 117/88, costituisce
peraltro un diniego di giustizia «il rifiuto, l’omissione o il
ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso
il termine di legge per il compimento dell’atto, la parte ha presentato
istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato
motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria».

6 Gli articoli seguenti della legge n. 117/88 precisano le condizioni e le
modalità per proporre un’azione di risarcimento del danno ai sensi
degli artt. 2 o 3 di detta legge, così come le azioni che possono essere
intraprese, a posteriori, nei confronti del magistrato che si sia reso colpevole
di dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni, se non addirittura
di un diniego di giustizia.

I fatti all’origine della controversia nella causa principale e le
questioni pregiudiziali

7 La TDM e la Tirrenia di Navigazione (in prosieguo: la «Tirrenia»)
sono due imprese di trasporti marittimi che, negli anni ’70, effettuavano
regolari collegamenti marittimi tra l’Italia continentale e le isole
della Sardegna e della Sicilia. Nel 1981, mentre era stata sottoposta alla
procedura di concordato, la TDM citava la Tirrenia in giudizio dinanzi al Tribunale
di Napoli al fine di ottenere il risarcimento del pregiudizio che essa avrebbe
subito, negli anni precedenti, a causa della politica di prezzi bassi praticata
da quest’ultima.

8 La TDM invocava, a tal riguardo, tanto la violazione, da parte della sua
concorrente, dell’art. 2598, n. 3, del codice civile italiano, relativo
agli atti di concorrenza sleale, quanto la violazione degli artt. 85, 86, 90
e 92 del Trattato CEE (divenuti, rispettivamente, artt. 85, 86, 90 e 92 del
Trattato CE, a loro volta diventati artt. 81 CE, 82 CE, 86 CE, e, in seguito
a modifica, 87 CE) per il fatto che, a suo parere, la Tirrenia aveva violato
le norme fondamentali di tale Trattato, e in particolare aveva abusato della
propria posizione dominante sul mercato in questione, praticando tariffe notevolmente
inferiori al prezzo di costo grazie al conseguimento di sovvenzioni pubbliche
la cui legittimità sarebbe stata dubbia alla luce del diritto comunitario.

9 Con sentenza del Tribunale di Napoli 26 maggio 1993, confermata in appello
dalla sentenza 13 dicembre 1996 della Corte d’appello di Napoli, tale
domanda di risarcimento veniva tuttavia respinta dai giudici italiani, poiché le
sovvenzioni concesse dalle autorità di tale Stato erano legittime in
quanto perseguivano obiettivi di interesse generale connessi, in particolare,
allo sviluppo del Mezzogiorno ed in quanto, in ogni caso, non recavano pregiudizio
all’esercizio di attività di trasporto marittimo diverse e concorrenti
rispetto a quelle censurate dalla TDM. Pertanto, nessun atto di concorrenza
sleale poteva essere imputato alla Tirrenia.

10 Ritenendo, da parte sua, che queste due sentenze fossero viziate da errori
di diritto, in quanto fondate, in particolare, su un’interpretazione
erronea delle norme del Trattato in materia di aiuti di Stato, il curatore
fallimentare della TDM proponeva contro la sentenza della Corte d’appello
di Napoli un ricorso in cassazione, nell’ambito del quale invitava la
Corte suprema di cassazione a sottoporre alla Corte, ai sensi dell’art.
177, terzo comma, del Trattato CE (divenuto articolo 234, terzo comma, CE),
le pertinenti questioni d’interpretazione del diritto comunitario.

11 Con sentenza 19 aprile 2000, n. 5087 (in prosieguo: la «sentenza
19 aprile 2000»), la Corte suprema di cassazione tuttavia rifiutava di
accogliere tale istanza poiché la soluzione adottata dai giudici di
merito rispettava la lettera delle pertinenti disposizioni del Trattato ed
era, per di più, perfettamente conforme alla giurisprudenza della Corte,
in particolare alla sentenza 22 maggio 1985, causa 13/83, Parlamento/Consiglio
(Racc. pag. 1513).

12 Per giungere a tale conclusione, la Corte suprema di cassazione rilevava,
da un lato, riguardo alla presunta violazione degli artt. 90 e 92 del Trattato,
che tali articoli permettono di derogare, a certe condizioni, al divieto generale
degli aiuti di Stato al fine di favorire lo sviluppo economico di regioni svantaggiate
o di soddisfare domande di beni e servizi che il gioco della libera concorrenza
non permette di soddisfare pienamente. Orbene, secondo tale giudice, tali condizioni
ricorrerebbero appunto nella fattispecie in quanto, nel corso del periodo contestato
(cioè tra il 1976 e il 1980), i trasporti di massa tra l’Italia
continentale e le sue isole maggiori potevano essere assicurati, attesi i loro
costi, solo per via marittima, cosicché sarebbe stato necessario soddisfare
la domanda, sempre più pressante, per tale tipo di servizi affidando
la gestione di tali trasporti ad un concessionario pubblico che praticava una
tariffa imposta.

13 Secondo lo stesso giudice, la distorsione della concorrenza che deriverebbe
dall’esistenza di tale concessione non comporterebbe, tuttavia, l’illegittimità automatica
dell’aiuto accordato. In effetti, l’attribuzione di una tale concessione
di servizio pubblico comporterebbe sempre, implicitamente, un effetto distorsivo
della concorrenza e la TDM non sarebbe riuscita a dimostrare che la Tirrenia
avesse tratto vantaggio dall’aiuto accordato dallo Stato per realizzare
utili connessi ad attività diverse da quelle per cui le sovvenzioni
erano state effettivamente concesse.

14 Dall’altro lato, quanto al motivo relativo alla violazione degli
artt. 85 e 86 del Trattato, la Corte suprema di cassazione lo ha respinto in
quanto infondato poiché, all’epoca dei fatti della controversia,
l’attività di cabotaggio marittimo non era ancora stata liberalizzata
e poiché la natura ed il contesto territoriale limitati di tale attività non
consentivano di individuare chiaramente il mercato rilevante ai sensi dell’art.
86 del Trattato. In siffatto contesto, tale giudice ha, tuttavia, rilevato
che, se era difficile identificare detto mercato, una concorrenza reale poteva
nondimeno esercitarsi nel settore interessato dal momento che l’aiuto
concesso nella fattispecie riguardava solamente una delle attività tra
quelle, numerose, tradizionalmente svolte da un’impresa di trasporto
marittimo e che era per di più limitata ad un solo Stato membro.

15 In tali circostanze, la Corte suprema di cassazione ha, di conseguenza,
respinto il ricorso per cui era stata adita, dopo aver rigettato anche le censure
sollevate dalla TDM riguardo alla violazione delle disposizioni nazionali relative
agli atti di concorrenza sleale e all’omissione da parte della Corte
d’appello di Napoli di statuire sulla domanda della TDM diretta a sottoporre
alla Corte le pertinenti questioni d’interpretazione. Precisamente tale
decisione di rigetto è all’origine del procedimento pendente dinanzi
al giudice del rinvio.

16 Infatti, ritenendo che la sentenza 19 aprile 2000 fosse fondata su un’errata
interpretazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza e di aiuti
di Stato e sulla premessa erronea dell’esistenza di una giurisprudenza
costante della Corte in materia, il curatore fallimentare della TDM, società nel
frattempo messa in liquidazione, citava la Repubblica italiana dinanzi al Tribunale
di Genova per ottenere la condanna di quest’ultima al risarcimento del
danno che tale impresa avrebbe subito a causa degli errori di interpretazione
commessi dalla Corte suprema di cassazione e a causa della violazione dell’obbligo
di rinvio che graverebbe a carico di quest’ultimo organo giurisdizionale
ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE.

17 A tal riguardo, fondandosi, segnatamente, sulla decisione della Commissione
21 giugno 2001, 2001/851/CE, relativa agli aiuti di Stato corrisposti dall’Italia
alla compagnia marittima Tirrenia di Navigazione (GU L 318, pag. 9) – decisione
riguardante, sì, sovvenzioni concesse successivamente al periodo controverso
nella causa principale, ma adottata al termine di un procedimento avviato dalla
Commissione delle Comunità europee prima dell’udienza dibattimentale
della Corte suprema di cassazione nella causa conclusasi con sentenza 19 aprile
2000 – la TDM sostiene che, se quest’ultimo giudice si fosse rivolto
alla Corte, l’esito del ricorso in cassazione sarebbe stato completamente
diverso. Al pari della Commissione, nella summenzionata decisione, la Corte
avrebbe, infatti, rilevato la dimensione comunitaria delle attività di
cabotaggio marittimo così come le difficoltà inerenti alla valutazione
della compatibilità di sovvenzioni pubbliche con le norme del Trattato
in materia di aiuti di Stato, il che avrebbe portato la Corte di cassazione
a dichiarare illegittimi gli aiuti concessi alla Tirrenia.

18 La Repubblica italiana contesta la ricevibilità stessa di tale azione
di risarcimento, basandosi sul tenore della legge n. 117/88, ed in particolare
sul suo art. 2, n. 2, ai sensi del quale l’interpretazione di norme giuridiche
effettuata nell’ambito dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali
non potrebbe comportare la responsabilità dello Stato. Tuttavia, nel
caso in cui la ricevibilità di tale ricorso dovesse essere ammessa dal
giudice del rinvio, essa sostiene, in subordine, che il ricorso deve in ogni
caso essere respinto poiché non ricorrerebbero i presupposti per un
rinvio pregiudiziale e la sentenza 19 aprile 2000, passata in giudicato, non
potrebbe più essere rimessa in discussione.

19 In risposta a tali argomentazioni, la TDM si interroga sulla compatibilità della
legge n. 117/88 con le prescrizioni del diritto comunitario. Essa sostiene,
in particolare, che le condizioni di ricevibilità delle azioni previste
da tale legge e la prassi seguita in materia dagli organi giurisdizionali nazionali
(tra cui la stessa Corte suprema di cassazione) sono talmente restrittive che
rendono eccessivamente difficile, se non addirittura impossibile, il conseguimento
di un risarcimento da parte dello Stato dei danni causati da provvedimenti
giurisdizionali. Di conseguenza, una tale normativa sarebbe in contrasto con
i principi sanciti dalla Corte, in particolare, nelle sentenze 19 novembre
1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I-5357), e
5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur et
Factortame (Racc. pag. I-1029).

20 Pertanto, nutrendo dubbi quanto alla soluzione da dare alla controversia
dinanzi ad esso pendente nonché quanto alla possibilità di estendere
al potere giudiziario i principi sanciti dalla Corte, nelle sentenze citate
al punto precedente, relative alle violazioni del diritto comunitario commesse
nell’esercizio di un’attività legislativa, il Tribunale
di Genova ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le
seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se uno Stato [membro] risponda a titolo di responsabilità extracontrattuale
nei confronti dei singoli cittadini degli errori dei propri giudici nell’applicazione
del diritto comunitario o della mancata applicazione dello stesso e in particolare
del mancato assolvimento da parte di un giudice di ultima istanza dell’obbligo
di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 234,
comma 3, del Trattato.

2) Nel caso in cui debba ritenersi che uno Stato membro risponda degli errori
dei propri giudici nell’applicazione del diritto comunitario e in particolare
dell’omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia da parte di
un giudice di ultima istanza ai sensi dell’art. 234, comma 3, del Trattato,
se osti all’affermazione di tale responsabilità – e sia
quindi incompatibile con i principi del diritto comunitario – una normativa
nazionale in tema di responsabilità dello Stato per errori dei giudici
che:

– esclude la responsabilità in relazione all’attività di
interpretazione delle norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove
rese nell’ambito dell’attività giudiziaria,

– limita la responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo e
colpa grave del giudice».

21 A seguito della pronuncia della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01,
Köbler (Racc. pag. I-10239), il cancelliere della Corte ha inviato copia
di tale sentenza al giudice del rinvio chiedendogli se, alla luce del contenuto
della sentenza, ritenesse utile mantenere la sua domanda pregiudiziale.

22 Con lettera 13 gennaio 2004, pervenuta alla cancelleria della Corte il
29 gennaio seguente, il Tribunale di Genova, sentite le parti della causa principale,
ha ritenuto che la summenzionata sentenza Köbler fornisse una risposta
esauriente alla prima delle due questioni da esso proposte, di modo che non è più necessario
che la Corte si pronunci su di essa.

23 Esso ha, invece, ritenuto utile mantenere la sua seconda questione affinché la
Corte si pronunci, «anche alla luce dei principi affermati (…)
nella sentenza Köbler», sulla questione se «osti all’affermazione
della responsabilità dello stato per violazioni imputabili a un organo
giurisdizionale nazionale una normativa nazionale in tema di responsabilità dello
stato per errori del giudice che, come quella italiana, esclude la responsabilità in
relazione all’attività di interpretazione delle norme di diritto
e di valutazione del fatto e delle prove rese nell’ambito dell’attività giudiziaria
e limita la responsabilità dello stato ai soli casi di dolo e colpa
grave del giudice».

Sulla questione pregiudiziale

24 In via preliminare, occorre rilevare che la causa pendente dinanzi al giudice
del rinvio ha per oggetto un’azione diretta a far sorgere la responsabilità dello
Stato per una decisione, non impugnabile, emessa da un organo giurisdizionale
supremo. La questione proposta dal giudice del rinvio deve quindi essere intesa
come vertente, in sostanza, sulla questione se il diritto comunitario e, in
particolare, i principi sanciti dalla Corte nella summenzionata sentenza Köbler,
ostino ad una normativa nazionale come quella di cui alla causa principale,
che, da un lato, esclude ogni responsabilità dello Stato membro per
i danni causati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario
commessa da un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado allorquando
tale violazione risulta da un’interpretazione delle norme di diritto
o da una valutazione dei fatti e delle prove ad opera di tale organo giurisdizionale
e che, dall’altro lato, limita, peraltro, tale responsabilità ai
soli casi del dolo e della colpa grave del giudice.

25 Per la TDM, come per la Commissione, tale questione richiede chiaramente
una risposta affermativa. Infatti, dal momento che la valutazione dei fatti
e delle prove nonché l’interpretazione delle norme di diritto
sarebbero inerenti all’attività giurisdizionale, l’esclusione,
in tali casi, della responsabilità dello Stato per i danni arrecati
ai singoli a seguito dell’esercizio di tale attività equivarrebbe,
in pratica, ad esonerare quest’ultimo da ogni responsabilità per
violazioni del diritto comunitario imputabili al potere giudiziario.

26 Per quanto riguarda, peraltro, la limitazione di detta responsabilità ai
soli casi del dolo o della colpa grave del giudice, anch’essa sarebbe
di natura da condurre ad un’esenzione di fatto da ogni responsabilità dello
Stato, poiché, da un lato, la nozione stessa di «colpa grave» non
sarebbe lasciata alla libera valutazione del giudice chiamato a statuire su
un’eventuale domanda di risarcimento dei danni causati da una decisione
giurisdizionale, ma sarebbe rigorosamente delimitata dal legislatore nazionale,
che enumererebbe preliminarmente – ed in modo tassativo – le ipotesi
di colpa grave.

27 Secondo la TDM si desumerebbe, dall’altro lato, dall’esperienza
acquisita in Italia nell’attuazione della legge n. 117/88 che gli organi
giurisdizionali di detto Stato, in particolare, la Corte suprema di cassazione,
darebbero una lettura estremamente restrittiva di tale legge, così come
delle nozioni di «colpa grave» e di «negligenza inescusabile».
Questi nozioni sarebbero interpretate da tale ultimo organo giurisdizionale
come una «violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma» o
contenente una lettura di essa «in termini contrastanti con ogni criterio
logico», il che condurrebbe, in pratica, al rigetto quasi sistematico
delle denunce presentate contro lo Stato italiano.

28 Al contrario, secondo il governo italiano, sostenuto, su tale punto, dall’Irlanda
e dal governo del Regno Unito, una normativa nazionale come quella di cui alla
causa principale sarebbe perfettamente conforme ai principi stessi del diritto
comunitario dal momento che essa realizzerebbe un giusto equilibrio tra la
necessità di preservare l’indipendenza del potere giudiziario
e gli imperativi della certezza del diritto, da un lato, e la concessione di
una tutela giurisdizionale effettiva ai singoli nei casi più evidenti
di violazioni del diritto comunitario imputabili al potere giudiziario, dall’altro
lato.

29 In tale ottica, ove dovesse essere riconosciuta, la responsabilità degli
Stati membri per i danni risultanti da tali violazioni dovrebbe dunque essere
limitata ai soli casi in cui si possa identificare una violazione sufficientemente
grave del diritto comunitario. Tuttavia, essa non potrebbe sussistere qualora
un organo giurisdizionale nazionale abbia deciso una controversia sulla base
di un’interpretazione degli articoli del Trattato che si rispecchi adeguatamente
nella motivazione fornita da tale organo giurisdizionale.

30 A tal riguardo, occorre ricordare che, nella summenzionata sentenza Köbler,
pronunciata successivamente alla data in cui il giudice del rinvio s’è rivolto
alla Corte, quest’ultima ha ricordato che il principio per il quale uno
Stato membro è obbligato a risarcire i danni arrecati ai singoli per
violazioni del diritto comunitario che gli sono imputabili ha valore in riferimento
a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario, qualunque sia l’organo
di tale Stato la cui azione od omissione ha dato origine alla trasgressione
(v. punto 31 di detta sentenza).

31 Al riguardo, fondandosi in particolare sul ruolo essenziale svolto dal
potere giudiziario nella tutela dei diritti che derivano ai singoli dalle norme
comunitarie, nonché sulla circostanza che un organo giurisdizionale
di ultimo grado costituisce, per definizione, l’ultima istanza dinanzi
alla quale essi possono far valere i diritti che il diritto comunitario conferisce
loro, la Corte ne ha dedotto che la tutela di tali diritti sarebbe indebolita – e
la piena efficacia delle norme comunitarie che conferiscono simili diritti
sarebbe rimessa in questione – se fosse escluso che i singoli potessero
ottenere, a talune condizioni, il risarcimento dei danni loro arrecati da una
violazione del diritto comunitario imputabile a una decisione di un organo
giurisdizionale di ultimo grado (v. sentenza Köbler, cit., punti 33-36).

32 È vero che, considerate la specificità della funzione giurisdizionale
nonché le legittime esigenze della certezza del diritto, la responsabilità dello
Stato, in un caso del genere, non è illimitata. Come la Corte ha affermato,
tale responsabilità può sussistere solo nel caso eccezionale
in cui l’organo giurisdizionale che ha statuito in ultimo grado abbia
violato in modo manifesto il diritto vigente. Al fine di determinare se questa
condizione sia soddisfatta, il giudice nazionale investito di una domanda di
risarcimento danni deve, a tal riguardo, tener conto di tutti gli elementi
che caratterizzano la situazione sottoposta al suo sindacato, e, in particolare,
del grado di chiarezza e di precisione della norma violata, del carattere intenzionale
della violazione, della scusabilità o inescusabilità dell’errore
di diritto, della posizione adottata eventualmente da un’istituzione
comunitaria nonché della mancata osservanza, da parte dell’organo
giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai
sensi dell’art. 234, terzo comma, CE (sentenza Köbler, cit., punti
53-55).

33 Considerazioni analoghe, connesse alla necessità di garantire ai
singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto
comunitario conferisce loro, ostano, allo stesso modo, a che la responsabilità dello
Stato non possa sorgere per il solo motivo che una violazione del diritto comunitario
imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado risulti dall’interpretazione
delle norme di diritto effettuata da tale organo giurisdizionale.

34 Da un lato, infatti, l’interpretazione delle norme di diritto rientra
nell’essenza vera e propria dell’attività giurisdizionale
poiché, qualunque sia il settore di attività considerato, il
giudice, posto di fronte a tesi divergenti o antinomiche, dovrà normalmente
interpretare le norme giuridiche pertinenti – nazionali e/o comunitarie – al
fine di decidere la controversia che gli è sottoposta.

35 Dall’altro lato, non si può escludere che una violazione manifesta
del diritto comunitario vigente venga commessa, appunto, nell’esercizio
di una tale attività interpretativa, se, per esempio, il giudice dà a
una norma di diritto sostanziale o procedurale comunitario una portata manifestamente
erronea, in particolare alla luce della pertinente giurisprudenza della Corte
in tale materia (v., a questo riguardo, la summenzionata sentenza Köbler,
punto 56), o se interpreta il diritto nazionale in modo da condurre, in pratica,
alla violazione del diritto comunitario vigente.

36 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 52 delle sue conclusioni,
escludere, in simili circostanze, ogni responsabilità dello Stato a
causa del fatto che la violazione del diritto comunitario deriva da un’operazione
di interpretazione delle norme giuridiche effettuata da un organo giurisdizionale
equivarrebbe a privare della sua stessa sostanza il principio sancito dalla
Corte nella citata sentenza Köbler. Tale constatazione vale, a maggior
ragione, per gli organi giurisdizionali di ultimo grado, incaricati di assicurare
a livello nazionale l’interpretazione uniforme delle norme giuridiche.

37 Si deve giungere ad analoga conclusione nel caso di una legislazione che
escluda, in maniera generale, la sussistenza di una qualunque responsabilità dello
Stato allorquando la violazione imputabile ad un organo giurisdizionale di
tale Stato risulti da una valutazione dei fatti e delle prove.

38 Da un lato, infatti, una simile valutazione costituisce, così come
l’attività di interpretazione delle norme giuridiche, un altro
aspetto essenziale dell’attività giurisdizionale poiché,
indipendentemente dall’interpretazione effettuata dal giudice nazionale
investito di una determinata causa, l’applicazione di dette norme al
caso di specie spesso dipenderà dalla valutazione che egli avrà compiuto
sui fatti del caso di specie così come sul valore e sulla pertinenza
degli elementi di prova prodotti a tal fine dalle parti in causa.

39 Dall’altro lato, una tale valutazione – che richiede a volte
analisi complesse – può condurre ugualmente, in certi casi, ad
una manifesta violazione del diritto vigente, sia essa effettuata nell’ambito
dell’applicazione di specifiche norme relative all’onere della
prova, al valore di tali prove o all’ammissibilità dei mezzi di
prova, ovvero nell’ambito dell’applicazione di norme che richiedono
una qualificazione giuridica dei fatti.

40 Escludere, in tali casi, ogni possibilità di sussistenza della responsabilità dello
Stato poiché la violazione contestata al giudice nazionale riguarda
la valutazione effettuata da quest’ultimo su fatti o prove equivarrebbe
altresì a privare di effetto utile il principio sancito nella summenzionata
sentenza Köbler, per quanto riguarda le manifeste violazioni del diritto
comunitario che sarebbero imputabili agli organi giurisdizionali nazionali
di ultimo grado.

41 Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 87-89 delle sue
conclusioni, ciò avviene, in particolare, in materia di aiuti di Stato.
Escludere, in tale settore, qualunque responsabilità dello Stato poiché la
violazione del diritto comunitario commessa da un organo giurisdizionale nazionale
risulterebbe da una valutazione dei fatti rischia di condurre a un indebolimento
delle garanzie procedurali offerte ai singoli in quanto la salvaguardia dei
diritti che essi traggono dalle pertinenti disposizioni del Trattato dipende,
in larga misura, da successive operazioni di qualificazione giuridica dei fatti.
Orbene, nell’ipotesi in cui la responsabilità dello Stato fosse
esclusa in maniera assoluta, a seguito delle valutazioni operate su determinati
fatti da un organo giurisdizionale, tali singoli non beneficerebbero di alcuna
protezione giurisdizionale ove un organo giurisdizionale nazionale di ultimo
grado commettesse un errore manifesto nel controllo delle summenzionate operazioni
di qualificazione giuridica dei fatti.

42 Riguardo, infine, alla limitazione della responsabilità dello Stato
ai soli casi di dolo o di colpa grave del giudice, occorre ricordare, come
rilevato al punto 32 della presente sentenza, che la Corte, nella summenzionata
sentenza Köbler, ha dichiarato che la responsabilità dello Stato
per i danni arrecati ai singoli a causa di una violazione del diritto comunitario
imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado poteva sorgere
nel caso eccezionale in cui tale organo giurisdizionale avesse violato in modo
manifesto il diritto vigente.

43 Tale violazione manifesta si valuta, in particolare, alla luce di un certo
numero di criteri quali il grado di chiarezza e di precisione della norma violata,
il carattere scusabile o inescusabile dell’errore di diritto commesso,
o la mancata osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale di cui
trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art.
234, terzo comma, CE, ed è presunta, in ogni caso, quando la decisione
interessata interviene ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte
in materia (sentenza Köbler, cit., punti 53-56).

44 Pertanto, se non si può escludere che il diritto nazionale precisi
i criteri relativi alla natura o al grado di una violazione, da soddisfare
affinché possa sorgere la responsabilità dello Stato per violazione
del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di
ultimo grado, tali criteri non possono, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi
di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto
vigente, quale precisata ai punti 53-56 della summenzionata sentenza Köbler.

45 Il diritto al risarcimento sorgerà, dunque, se tale ultima condizione è soddisfatta,
non appena sarà stato stabilito che la norma di diritto violata ha per
oggetto il conferimento di diritti ai singoli e che esiste un nesso di causalità diretto
tra la violazione manifesta invocata e il danno subito dall’interessato
(v., segnatamente, a tale riguardo, le summenzionate sentenze Francovich e
a., punto 40; Brasserie du pêcheur e Factortame, punto 51, nonché Köbler,
punto 51). Come risulta, in particolare, dal punto 57 della citata sentenza
Köbler, tali tre condizioni sono, in effetti, necessarie e sufficienti
per attribuire ai singoli un diritto al risarcimento, senza tuttavia escludere
che la responsabilità dello Stato possa essere accertata a condizioni
meno restrittive in base al diritto nazionale.

46 Alla luce di quanto sopra considerato, si deve quindi risolvere la questione
proposta dal giudice del rinvio, come riformulata con la sua lettera 13 gennaio
2004, nel senso che il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale
che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro
per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario
imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la
violazione controversa risulta da un’interpretazione delle norme giuridiche
o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale.
Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che
limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o
colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la
sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri
casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente,
quale precisata ai punti 53-56 della citata sentenza Köbler.

Sulle spese

47 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento
costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta
quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare
osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in
maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati
ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a
un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa
risulta da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione
dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale.

Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che
limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o
colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la
sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri
casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente,
quale precisata ai punti 53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler.

Redazione

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