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Consiglio di Stato, Adunanza Generale
Parere del 6 giugno 2007 numero 1750
(presidente Schianaia, relatore Cirillo)
“Ministero delle infrastrutture – Schema di decreto legislativo contenente modifiche al decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, recante il Codice di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”.
Si riportano di seguito alcuni passi (modificati per esigenze redazionali) del parere del Consiglio di Stato, laddove si sofferma sui limiti della decretazione correttiva al Codice dei Contratti:
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Nel caso del Codice dei Contratti, il potere correttivo viene esercitato sulla base dell’articolo 25 della legge 18 aprile del 2005 n. 62, comma 3, che stabilisce: “entro due anni dalla data di entrata in vigore di decreti legislativi previsti dal comma 1 possono essere emanate disposizioni correttive ed integrative nel rispetto delle procedure di cui all’articolo 1, commi 2, 3 e 4”. Inoltre l’articolo 1, comma 5 della medesima legge delega stabilisce: “entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 5 bis”.
Sicché, per il potere correttivo non sono stati previsti principi e criteri direttivi diversi da quelli della delega principale.
Occorre tenere presente che l’art. 14 della legge 23 agosto n. 400 disciplina i decreti legislativi adottati dal Governo ai sensi dell’articolo 76 della Costituzione, nulla dispone in ordine alle deleghe correttive e sulla natura ed i limiti del potere correttivo.
In effetti, il Parlamento, nei casi in cui lo ha previsto, si è limitato a richiamare i medesimi principi e criteri direttivi relativi alla delega principale, così come ha fatto per la delega sul Codice Contratti.
La Corte costituzionale, pur ritenendo conforme all’art. 76 della Costituzione la tecnica del ricorso al decreto correttivo, per lungo tempo non ha avuto modo di chiarire se tale tipologia di decreti legislativi avesse dei limiti maggiori (o diversi) rispetto ai decreti legislativi principali; e in particolare se i decreti correttivi dovessero avere un contenuto esclusivamente correttivo rispetto alle norme poste mediante il decreto legislativo “principale”, che non potrebbero essere quindi fatto oggetto di un vero e proprio ribaltamento (Corte cost., 23 maggio 1985 n. 156; Corte cost. 14 dicembre 1994 n. 422).
Qualche indicazione più specifica circa l’ampiezza del potere di correzione si trova nella sentenza n. 425 del 2000, laddove la Corte costituzionale, ponendosi in contrasto con la tendenza dominante che considera assimilabili i due termini, sembra ritenere più estesi i margini di azione del Governo ove la legge delega usi l’espressione “disposizioni integrative e correttive” anzichè il termine “disposizioni correttive”.
Con la sentenza n. 206 del 26 giugno 2001, il giudice delle leggi affronta in maniera espressa il problema, laddove, pur escludendo che la potestà legislativa delegata di integrazione e correzione possa essere esercitata solo per fatti sopravvenuti, ha distinto tra presupposti e “ratio”del potere di interpretazione e correzione.
Secondo la Corte l’istituto si presta ad essere utilizzato “soprattutto in occasione di deleghe complesse, il cui esercizio può postulare un periodo di verifica, dopo la prima attuazione, e dunque la possibilità di apportare modifiche di dettaglio al corpo delle norme delegate, sulla base anche dell’esperienza o di rilievi ed esigenze avanzate dopo la loro emanazione, senza la necessità di fare ricorso ad un nuovo procedimento legislativo parlamentare”.
In particolare, è stato escluso che il potere correttivo abbia la stessa estensione del potere delegato sulla base del quale e’ stato emanato il decreto legislativo “principale”.
Secondo la sentenza citata, il decreto correttivo può dunque intervenire “solo in funzione di correzione o integrazione delle norme delegate già emanate, e non già in funzione di un esercizio tardivo, per la prima volta, della delega “principale””.
Ovviamente, dovrà ritenersi non solo possibile ma doveroso un intervento volto a garantire la qualità formale, e in particolare l’eliminazione di illegittimità costituzionali o comunitarie nonché di errori tecnici, illogicità, contraddizioni.
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