Il Consiglio di Stato, con decisione della IV sezione, depositata lo scorso 19 giugno, ha rimesso all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la seguente questione di giurisdizione sollevata dall’Amministrazione appellante: “Se il decreto di esproprio è stato emesso in carenza di potere e il trasferimento di proprietà si è verificato per l’irreversibile trasformazione del bene, la vicenda integra un’ipotesi di mero comportamento della P.A. e rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, anche alla luce dei principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004”.
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Consiglio di Stato, sezione IV
Sentenza 19 giugno 2007 numero 3288
(presidente Riccio, estensore Salvatore)
(…)
Diritto
1. Come precisato al precedente punto 4 dell’esposizione in fatto, il TAR, in parziale accoglimento del ric. n. 476/2005, ha annullato il decreto di esproprio prot. n. 3273/05 P.G. del 17 gennaio 2005 e ha dichiarato l’avvenuta l’irreversibile trasformazione dei beni effettivamente occupati e riconosciuto il conseguente risarcimento del danno.
In relazione a tale statuizione devono essere esaminate le censure sollevate dalla Provincia di Mantova con i motivi 4, 5 e 6 dell’atto di appello, e tra queste, quella di cui al punto 6, con cui si contesta che, al momento di adozione del decreto di esproprio, la dichiarazione di pubblica utilità fosse ormai scaduta.
Il motivo è infondato.
La dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e di urgenza ed indifferibilità dei relativi lavori, è contenuta nella delibera di Giunta provinciale n. 119 del 30 aprile 1999, contenente il termine di cinque anni, decorrente dalla data della medesima delibera, per la conclusione dei lavori e della procedura espropriativi, e questo termine è stato ribadito prima con la delibera di Giunta provinciale n. 137 del 2 giugno 2000 e, poi, con la successiva delibera di Giunta provinciale n. 423 del 5 dicembre 2002.
Come esattamente rilevato dal giudice di primo grado, le citate deliberazioni n. 137 del 2 giugno 2000 e n. 423 del 5 dicembre 2002, pur contenendo un’espressa dichiarazione di pubblica utilità, dispongono un mero rinvio, per quanto concerne i relativi termini, alla precedente deliberazione n. 119 del 30 aprile 1999, senza quindi produrre alcun effetto novativo o di differimento al riguardo.
Da qui la conclusione dell’illegittimità del decreto di esproprio della Provincia n. 3273/05 del 17 gennaio 2005, perché emesso quando gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità erano ormai scaduti.
2. La soluzione in senso negativo di tale motivo di appello, impone di esaminare le doglianze sollevate con i citati motivi 4 e 5, con cui la Provincia appellante ripropone la questione del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sul presupposto che, se il decreto di esproprio è stato emesso in carenza di potere e il trasferimento di proprietà si è verificato per l’irreversibile trasformazione del bene, la vicenda integrerebbe un’ipotesi di mero comportamento della P.A. e rientrerebbe nella giurisdizione del giudice ordinario, anche alla luce dei principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004.
A questo riguardo va rilevato, da un lato, che questo Consiglio si è già pronunciato per la giurisdizione del G.O. (Sez. VI, 20 maggio 2004, n. 3267; Sez. IV, 26 maggio 2006, n. 3191) e, dall’altro lato, che il CGA, con ordinanza 2 marzo 2007, n. 75, ha rimesso all’Adunanza Plenaria, tra l’altro, anche quella in punto di giurisdizione allorché il decreto di esproprio sia stato adottato dopo la scadenza di validità ed efficacia della dichiarazione di p.u..
La rimessione all’Adunanza plenaria, giustificata dal CGA con la necessità di un complessivo riesame della problematica della giurisdizione sui comportamenti della Pubblica Amministrazione, anche in relazione agli indirizzi delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che sono ferme nel ritenere la giurisdizione ordinaria non solo nelle vertenze in cui la dichiarazione di pubblica utilità manchi del tutto o sia in origine inefficace, ma anche nelle controversie in cui il provvedimento di espropriazione non sia intervenuto prima della scadenza del termine di efficacia previsto nella dichiarazione medesima (cfr. Cass. SS.UU. n. 13659 del 13 giugno 2006), induce la Sezione a rimettere alla medesima Adunanza Plenaria anche la presente controversia, per la soluzione della quale si reputa opportuno offrire ulteriori spunti di riflessione.
Com’è noto, la Corte costituzionale, con la nota sentenza 11 magio 2006, n. 191 (relativa all’art. 53, comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325), si è nuovamente occupata dei problemi di giurisdizione in materia di acquisizione appropriativa ed usurpativa, fornendo di entrambe le fattispecie:
– si verifica, secondo la Corte, occupazione appropriativa (ovvero, anche, “accessione invertita” o “espropriazione sostanziale”) “quando il fondo è stato occupato a seguito di dichiarazione di pubblica utilità, e pertanto nell’ambito di una procedura di espropriazione, ed ha subìto una irreversibile trasformazione in esecuzione dell’opera di pubblica utilità senza che, tuttavia, sia intervenuto il decreto di esproprio o altro atto idoneo a produrre l’effetto traslativo della proprietà”;
– “tale fenomeno viene contrapposto a quello cosiddetto di occupazione usurpativa, caratterizzato dall’apprensione del fondo altrui in carenza di titolo: carenza universalmente ravvisata nell’ipotesi di assenza ab initio della dichiarazione di pubblica utilità, e da taluni anche nell’ipotesi di annullamento, con efficacia ex tunc, della dichiarazione inizialmente esistente ovvero di sua inefficacia per inutile decorso dei termini previsti per l’esecuzione dell’opera pubblica”.
Attraverso passaggi argomentativi che non è il caso di ricordare, la Corte conclude che l’art. 53, comma 1, cit., individuando (anche) nei “comportamenti” della pubblica amministrazione il fatto causativo del danno ingiusto devoluto dalla norma alla giurisdizione del giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica (in parte qua riproducendo il contenuto dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000), è costituzionalmente illegittimo “là dove la locuzione, prescindendo da ogni qualificazione di tali “comportamenti”, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo controversie nelle quali sia parte – e per ciò solo che essa è parte – la pubblica amministrazione, e cioè fa del giudice amministrativo il giudice dell’amministrazione piuttosto che l’organo di garanzia della giustizia nell’amministrazione (art. 100 Cost.)”.
Viceversa, continua la Corte, “nelle ipotesi in cui i comportamenti causativi di danno ingiusto – e cioè, nella specie, la realizzazione dell’opera – costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all’esercizio del pubblico potere dell’amministrazione, la norma si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali comportamenti esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione … In sintesi che deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a comportamenti (di impossessamento del bene altrui) collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di “comportamenti” posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto”.
“L’attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo della tutela risarcitoria”, conclude la Corte, “non si giustifica quando la pubblica amministrazione non abbia in concreto esercitato, nemmeno mediatamente, il potere che la legge le attribuisce per la cura dell’interesse pubblico”.
Orbene, da una lettura della giurisprudenza successiva alla sentenza n. 191, operata sulla base delle coordinate dalla stessa poste, sembra potersi ricavare che, mentre dalla decisione della Corte sembrerebbe poter inferire la giurisdizione del giudice amministrativo in caso di accessione invertita (in cui, si ricorda, il fondo “ha subìto una irreversibile trasformazione in esecuzione dell’opera di pubblica utilità senza che, tuttavia, sia intervenuto il decreto di esproprio o altro atto idoneo a produrre l’effetto traslativo della proprietà”), certa giurisprudenza amministrativa muta la definizione della fattispecie (qualificando come ipotesi di occupazione usurpativa i casi in cui alla procedura di occupazione d’urgenza dell’immobile non abbia fatto séguito la procedura di espropriazione nel termine di validità del decreto di occupazione d’urgenza), per dedurne la loro qualificazione come “comportamenti … incidenti su posizioni di diritto soggettivo”, per i quali “deve pertanto essere ritenuta sussistente la giurisdizione del giudice ordinario” (si vedano le richiamate decisioni: Cons. St.: Sez. VI, 20 maggio 2004, n. 3267; Sez. IV, 26 maggio 2006, n. 3191 ).
Quanto all’occupazione usurpativa, sulla quale, come ricordato dalla stessa Corte costituzionale, non v’è unanimità di consensi sulle ipotesi alla stessa riconducibili, la Corte di Cassazione riconduce all’occupazione usurpativa, e dunque alla giurisdizione ordinaria, non solo il caso in cui la trasformazione irreversibile del fondo si produce in una situazione in cui una dichiarazione di pubblica utilità manca affatto”, ma anche il “caso in cui il decreto di espropriazione è pur stato emesso, e però in relazione a bene, la cui destinazione ad opera di pubblica utilità la si debba dire mai avvenuta giuridicamente od ormai venuta meno, per mancanza iniziale o sopravvenuta scadenza del suo termine d’efficacia” (si vedano, Ss. UU. Civili, n. 13659 del 13 giugno 2006, n. 13660 del 13 giugno 2006, n. 13911 del 15 giugno 2006 e n. 2688 del 7 febbraio 2007).
Il dubbio su quest’ultimo caso, nasce proprio dalla considerazione che, secondo la Corte costituzionale, ad attrarre una fattispecie nell’orbita della giurisdizione del giudice amministrativo deve valere la presenza di un concreto riconoscibile atto di esercizio del potere: quel potere, in particolare, che si è manifestato nella dichiarazione di pubblica utilità e del quale si è avuto comunque, nel caso prospettato, un concreto esercizio.
Non può sottacersi sul punto, che, secondo autorevole dottrina, la ragioni che inducono ad assegnare al G.O. la cognizione di tale caso, va ricercata nella circostanza che, divenuta inefficace la dichiarazione di pubblica utilità la controversia investe un comportamento (occupazione) non più coperto ratione temporis dall’ombrello del potere.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), non definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe specificato, ne rimette l’esame all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.