DECRETO LEGISLATIVO 12 Settembre 2007, n. 169
Decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo n. 5 del 2006, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge n. 80 del 2005
La Relazione illustrativa del Governo
L’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, ha delegato al Governo l’attuazione della riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (d’ora innanzi, legge fallimentare o, semplicemente, r.d.). La delega è stata attuata, nel termine di legge, con l’emanazione del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5.
Successivamente, l’articolo 1, comma 3, della legge 12 luglio 2006, n. 5, ha aggiunto il comma 5-bis all’articolo 1 della legge n. 80 del 2005, disponendo che il Governo, entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo emanato in attuazione della delega di cui al precedente comma 5, e nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al successivo comma 6 “può adottare disposizioni correttive e integrative”.
Conseguentemente, poiché il decreto legislativo n. 5 del 2005 è entrato in vigore il giorno 16 luglio 2006, il termine per attuare la delega “correttiva” sarebbe dovuto scadere il 16 luglio 2006, ma poiché il termine di trenta giorni spettante al Parlamento per i dovuti pareri è scaduto dopo tale data, il Governo ha usufruito, in virtù di quanto previsto dall’art. 1, comma 5 della citata legge n. 80 del 2005, di un ulteriore termine di sessanta giorni per esercitare la nuova delega.
La necessità di apportare delle modifiche al decreto legislativo n. 5 del 2006 è emersa sin dai primi mesi di applicazione delle nuove norme, atteso che dottrina e giurisprudenza hanno evidenziato numerosi aspetti critici e problematici della “riforma organica” delle procedure concorsuali, i quali non possono che essere superati attraverso gli interventi correttivi ed integrativi previsti dal presente decreto. Al fine di pervenire ad una “riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali” (come recita l’art. 1, comma 5, legge n. 80 del 2005) e di chiarire i punti più controversi dell’attuale normativa, le correzioni e le integrazioni non possono avere ad oggetto soltanto le disposizioni della legge fallimentare modificate o inserite dal citato decreto legislativo, ma devono interessare anche altre norme della legge fallimentare, incluse quelle già modificate o introdotte dal decreto-legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, nella legge n. 80 del 2005.
Articolo 1.
L’articolo 1 del presente decreto legislativo, reca disposizioni correttive del Titolo I della legge fallimentare.
Il primo comma sostituisce l’articolo 1 della legge fallimentare e, al fine di definire in maniera più chiara e precisa l’area della fallibilità, introduce sostanziali novità in materia di presupposto soggettivo del fallimento. Le modifiche tengono conto del fatto che, l’eccessiva riduzione dell’area della fallibilità venutasi a determinare a seguito della novella del 2006, spesso ha impedito di assoggettare al fallimento ed alle conseguenti sanzioni penali imprenditori di rilevanti dimensioni con elevati livelli di indebitamento, danneggiando, in tal modo, sia i numerosi creditori insoddisfatti, che il sistema economico in generale. Quindi, la necessità di eliminare, pur sempre nel rispetto della delega iniziale, gli eccessi della riduzione dell’area della fallibilità, ha consigliato l’introduzione, nell’ambito dei presupposti soggettivi, del nuovo criterio dell’ammontare dell’indebitamento complessivo dell’imprenditore.
Più in dettaglio, va evidenziato il fatto che, per delimitare l’area dei soggetti esonerati dal fallimento, non viene più utilizzata la nozione di piccolo imprenditore commerciale, ma vengono indicati direttamente una serie di requisiti dimensionali massimi che gli imprenditori commerciali (resta quindi ferma l’esonero dalle procedure concorsuali di tutti gli imprenditori agricoli, piccoli e medio grandi) devono possedere congiuntamente per non essere assoggettati alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo. In questo modo, si superano i contrasti interpretativi sorti in ordine all’individuazione dei criteri di qualificazione delle nozioni di piccolo imprenditore (art. 2083 del cod. civ.), da una parte, e di imprenditore non piccolo (art. 1. L.F.), dall’altra: concetti entrambi contemplati dall’articolo 1 della legge fallimentare, come modificato dal decreto legislativo n. 5 del 2006.
Con le introducende disposizioni, la non fallibilità dell’imprenditore commerciale viene ancorata alla sussistenza congiunta non solo dei due requisiti attualmente previsti (che comunque vengono meglio precisati: attivo patrimoniale, da una parte, e ricavi lordi annui, dall’altra), ma anche del nuovo parametro della esposizione debitoria complessiva -comprensiva, sia dei debiti scaduti, che di quelli non scaduti non superiore a cinquecentomila euro. Inoltre, il parametro alquanto vago e di incerta definizione dell’ammontare degli “investimenti” viene sostituito con quello dell’”attivo patrimoniale”, il quale consente di far riferimento alla precisa elencazione contenuta nell’art. 2424 c.c..
Viene inoltre precisato che, l’attivo patrimoniale complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila da prendere in considerazione è soltanto quello relativo agli ultimi tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento. L’indicazione degli ultimi tre esercizi anteriori alla presentazione del ricorso o della richiesta di fallimento serve a delimitare nel tempo il campo di indagine del tribunale, evitando difformità di prassi applicative, in coerenza con la disposizione dell’articolo 14, che fa obbligo al debitore che chiede il proprio fallimento di depositare presso la cancelleria “le scritture contabili e fiscali obbligatorie concernenti i tre esercizi precedenti”.
Anche il criterio dei ricavi lordi viene meglio precisato e reso più rigido, in quanto, una volta eliminato il concetto di media dei ricavi degli ultimi tre esercizi, si richiede che, in nessuno dei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento, l’imprenditore abbia realizzato ricavi lordi annui superiore ad euro duecentomila.
Di notevole importanza, poiché supera i gravi problemi interpretativi emersi in materia di distribuzione dell’onere della prova del presupposto soggettivo del fallimento, è la disposizione volta a precisare che grava sul debitore l’onere di fornire la prova dei requisiti di non fallibilità, intesi come fatti impeditivi della dichiarazione di fallimento. E’ quindi onere dell’imprenditore fallendo dimostrare di non aver superato (nel periodo di riferimento) alcuno dei tre parametri dimensionali previsti dalla norma in esame. Si evita, così, di “premiare” con la non fallibilità quegli imprenditori che scelgono di non difendersi in sede di istruttoria prefallimentare o che non deposito la documentazione contabile dalla quale sarebbe possibile rilevare i dati necessari per verificare la sussistenza dei parametri dimensionali. In tale modo, qualora gli elementi probatori, dedotti dalle parti o acquisiti d’ufficio, non sono sufficienti a fornire la prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità, l’imprenditore, permanendo l’incertezza sulla sussistenza o meno dei requisiti soggettivi di esenzione dal fallimento, resta assoggettato alla procedura fallimentare.
Articolo 2.
L’articolo 2 del decreto legislativo reca modifiche al Titolo II, Capo I della legge fallimentare.
Il comma 1, apporta una modifica di carattere formale all’articolo 9-bis della legge fallimentare, al fine di ricomprendere nel campo di applicazione della norma anche i provvedimenti, formalmente diversi dalla sentenza, che pronunciano su questioni relative alla competenza.
Il comma 2 reca modifiche all’articolo 10, secondo comma, legge fallimentare. La modifica apportata risponde all’esigenza di restringere, a favore dei soli creditori o del pubblico ministero, la possibilità di dimostrare che l’effettiva cessazione dell’attività economica, momento da cui decorre il termine annuale per la dichiarazione di fallimento, non corrisponde alla data dell’avvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese, essendo proseguita l’attività commerciale anche dopo la formale cancellazione. La possibilità di dimostrare una data di cessazione diversa da quella risultante dal registro delle imprese resta, invece, preclusa all’imprenditore (individuale o collettivo). Non è apparso difatti corretto consentire all’imprenditore collettivo che, pur avendo cessato di fatto l’attività d’impresa, non abbia curato (tempestivamente) la cancellazione dal registro delle imprese, di superare con la prova contraria le risultanze del registro medesimo, eludendo così il legittimo affidamento che i creditori hanno tratto dalla pubblicità dei fatti ivi iscritti.
Con il comma 3 si sostituiscono, nell’articolo 14 della legge fallimentare, le parole “tre anni” con le parole “tre esercizi”. La modifica, che chiarisce a quale periodo devono riferirsi i dati relativi ai ricavi lordi da indicare a corredo della domanda di fallimento in proprio, serve a rendere coerente tale disposizione con quella contenuta nel primo periodo del medesimo articolo ed a quanto previsto, sia dall’articolo 1, secondo comma, che dall’articolo 15, undicesimo comma, della legge fallimentare.
Il comma 4, riformula ex novo l’art. 15, per emendarlo di alcune improprietà Il nuovo quarto comma, ferma la possibilità di poter richiedere eventuali informazioni urgenti, prevede che in ogni caso “il tribunale dispone che l’imprenditore depositi i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, nonché una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata”. Il quinto comma prevede la possibilità che tutti i termini siano abbreviati dal presidente del tribunale per far fronte a situazioni di particolare urgenza, che è ben ipotizzabile possano verificarsi in materia. Per tali casi eccezionali si è previsto che lo stesso presidente possa disporre forme diverse di comunicazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, sempre salvaguardando il diritto di difesa: si è così recepita un’indicazione della prassi, razionalizzandola e circoscrivendola ai soli casi in cui il rispetto dell’iter normale potrebbe vanificare la tutela concorsuale dei creditori. Al nono comma, è stata elevata da venticinquemila a trentamila euro la soglia sotto la quale non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento.
Il comma 5 riformula l’art. 16 del r.d., apportando al testo precedente solo due variazioni.
Il nuovo primo comma accorpa i precedenti commi primo e secondo: non è più necessario precisare che la sentenza dichiarativa di fallimento è pronunciata in camera di consiglio, perché ciò risulta già dal nuovo art. 15. Nel n. 4 si è aggiunto l’inciso finale “ovvero centottanta giorni in caso di particolare complessità della procedura”, per consentire un più lungo termine per la fissazione dell’adunanza per l’esame dello stato passivo nei casi di procedure particolarmente complesse, e quindi con numerosi creditori, in considerazione delle esigenze organizzative dei curatori e dei giudici delegati.
Il comma 6 introduce l’obbligo del cancelliere di comunicare per estratto la sentenza di fallimento anche al pubblico ministero. Ciò in vista della soppressione delle norme che prevedono l’iscrizione notizie relative al fallimento nel casellario giudiziale.
Il comma 7 sostituisce l’art. 18 del r.d. La sostituzione dell’”appello” con il “reclamo” è coerente con il rito camerale, adottato non solo per la decisione di primo grado, ma anche per la fase di gravame: il reclamo è, infatti, il mezzo tipico di impugnazione dei provvedimenti pronunciati in camera di consiglio, quale che ne sia la forma. La modifica vale ad escludere l’applicabilità della disciplina dell’appello dettata dal codice di rito e ad assicurare l’effetto pienamente devolutivo dell’impugnazione, com’è necessario attesi il carattere indisponibile della materia controversa e gli effetti della sentenza di fallimento, che incide su tutto il patrimonio e sullo status del fallito. Considerata per tali ragioni corretta la modifica in esame, non è stata accolta l’osservazione del Senato che invitata il Governo a ripristinare l’appello quale mezzo di impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento. Dando seguito ai criteri, già enunciati, di omologazione dei procedimenti camerali secondo uno schema uniforme, i commi secondo, quinto, sesto settimo, ottavo, nono e decimo disciplinano la fase introduttiva del procedimento in conformità al procedimento di primo grado, sulla falsariga della disciplina del rito del lavoro. Il comma terzo mantiene ferma la regola della non sospendibilità degli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento. Il comma quarto riproduce il corrispondente comma terzo del testo precedente. Il comma undicesimo disciplina l’istruttoria in maniera non diversa dal primo grado. Il comma dodicesimo si limita a disciplinare la forma del provvedimento conclusivo, mantenendo ferma quella della sentenza, ed elimina il richiamo all’art. 281-sexies del codice di procedura civile, incongruo rispetto alla struttura camerale del procedimento. I commi tredicesimo e quattordicesimo riproducono senza variazioni sostanziali i corrispondenti commi sesto e settimo del testo precedente. Il comma quindicesimo, per ovvie ragioni di celerità, abbrevia a trenta giorni il termine per il ricorso per cassazione. Il comma sedicesimo riproduce il comma ottavo del testo precedente. Il comma diciassettesimo prevede la reclamabilità del decreto che liquida le spese della procedura e il compenso del curatore in caso di revoca del fallimento, venendo così ad eliminare una disarmonia con il sistema dei reclami di cui all’art. 26 della legge fallimentare.
Il comma 8 modifica il primo comma dell’articolo 19 legge fallimentare e chiarisce che competente a disporre la sospensione della liquidazione dell’attivo in pendenza del reclamo è la stessa corte d’appello davanti alla quale è stata proposta l’impugnazione, e non già il tribunale fallimentare.
Il comma 9 abroga l’articolo 20 del r.d. che disciplina alcuni aspetti del giudizio di opposizione, non più previsto dalla normativa vigente.
Il comma 10 reca modifiche all’articolo 22 legge fallimentare. Oltre a correzioni di carattere puramente formale (“corte d’appello”, anziché “Corte di appello ” o “Corte d’appello”), al secondo comma viene elevato a trenta giorni il termine per proporre reclamo avverso il decreto di rigetto della domanda di fallimento, parificando così tale termine a quello per impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento.
Articolo 3.
L’articolo 3 del presente decreto legislativo, reca disposizioni correttive Titolo II, Capo II, della legge fallimentare.
Il comma 1 sopprime il secondo comma dell’articolo 24 della legge fallimentare, il quale prevede che alle controversie di competenza del tribunale fallimentare si applicano gli articoli da 737 a 742 del codice di procedura civile, ossia le disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio. La modifica viene a correggere una grave disarmonia, non giustificabile con particolari esigenze della procedura. Difatti, tali controversie sono cause aventi ad oggetto diritti soggettivi, che pur derivando dal fallimento (come le revocatorie fallimentari) si svolgono al di fuori della procedura concorsuale, nei confronti di terzi estranei al fallimento. Terzi che verrebbero privati delle garanzie dei due gradi di cognizione piena, di cui possono di regola usufruire tutti i soggetti dell’ordinamento. La soppressione è imposta, dunque, dal rispetto dei principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost., al fine di garantire la parità di trattamento ed il diritto di difesa.
Il comma 2 modifica l’art. 25, primo comma, n. 6). La modifica è finalizzata a ricomprendere nell’ambito di applicazione della disposizione non solo agli avvocati, ma a tutti i difensori del fallimento. Essa si giustifica in quanto, nei giudizi dinanzi alle commissioni tributarie, possono assumere la veste di difensori anche professionisti diversi dagli avvocati.
Il comma 3 sostituisce l’art. 26 della legge fallimentare, rimodellando il procedimento di reclamo contro i decreti del giudice delegato e del tribunale fallimentare secondo uno schema uniforme di rito camerale.
I commi primo, secondo, quarto e quinto del nuovo art. 26 riproducono i corrispondenti commi primo, secondo, quarto e quinto del testo precedente.
Il comma terzo modifica il testo precedente solo prevedendo che sia lo stesso tribunale che emette il provvedimento a disporne le formalità pubblicitarie, onde evitare un successivo intervento del giudice delegato.
I commi dal sesto all’undicesimo disciplinano la fase introduttiva del procedimento, ancora una volta sulla falsariga del rito del lavoro. I termini sono tuttavia abbreviati per ragioni di speditezza della procedura fallimentare, trattandosi di controversie interne ad essa.
Il comma dodicesimo disciplina l’assunzione dei mezzi di prova, affidandola al potere officioso del collegio, con facoltà per lo stesso di delegarla a un suo componente.
Il comma tredicesimo riproduce nella sostanza il comma decimo del testo precedente.
Il comma 4 reca la soppressione del secondo comma dell’articolo 28 del r.d. allo scopo di evitare un appesantimento inutile della motivazione del provvedimento di nomina del curatore. I requisiti per la nomina a curatore sono già specificati dal primo comma e il tribunale non potrebbe nominare persona che non li avesse.
Il comma 5, tenuto conto del mutato assetto del ruolo degli organi della procedura, modifica il primo comma dell’articolo 32 del r.d. attribuendo al comitato dei creditori, organo di gestione, anziché al giudice delegato il potere di autorizzare il curatore a delegare a terzi specifiche operazioni, salvo gli adempimenti di cui agli artt. 89, 92, 95, 97 e 104 ter. In questo modo, la disciplina del primo comma dell’articolo 32 del
r.d. viene riallineata a quella del secondo comma dello stesso articolo.
Il comma 6 interviene sull’articolo 33 del r.d. apportando modifiche che rispondono a mere esigenze di precisione del contenuto della norma e di correttezza terminologica.
Il comma 7 modifica il primo comma dell’articolo 34 del r.d., inserendo la disposizione secondo la quale “Su proposta del curatore il comitato dei creditori può autorizzare che le somme riscosse vengano in tutto o in parte investite con strumenti diversi dal deposito in conto corrente, purché sia garantita l’integrità del capitale. In accoglimento dell’osservazione del Senato, e tenuto conto della modifica apportata al primo comma dell’articolo 34 della legge fallimentare, viene soppresso il terzo comma del medesimo articolo, oramai superato.
Il comma 8 introduce un nuovo secondo comma nell’articolo 35, al fine di rendere più trasparente l’attività di gestione del curatore e di fornire una concreta base di valutazione per la decisione del comitato dei creditori. Si prevede, difatti, che il curatore, quando chiede al comitato dei creditori l’autorizzazione a compiere un atto previsto dalla medesima norma, sia tenuto a formulare le proprie valutazioni conclusive in ordine alla convenienza dell’atto da compiere.
Le modifiche recate dal comma 9 all’articolo 37-bis del r.d., introducono la previsione secondo cui la richiesta di sostituzione del curatore e le designazioni di nuovi membri del comitato dei creditori possono essere effettuate dalla maggioranza di tutti i creditori ammessi soltanto al termine dell’adunanza di verifica, prima della pronuncia del decreto che rende esecutivo lo stato passivo. Ciò al fine di evitare che una maggioranza occasionale di creditori presenti in adunanza (quelli “allo stato ammessi”), anziché la maggioranza di tutti i creditori ammessi, possa provocare la sostituzione di un curatore sgradito solo ad alcuni. Assume rilievo anche le precisazione secondo cui il tribunale non è più tenuto a disporre in ogni caso la sostituzione del curatore, ma solo dopo aver verificato la sussistenza di giusti motivi, in coerenza con i poteri conferiti al tribunale dal precedente art. 37 per quanto riguarda la revoca del curatore.
Le modifiche apportate, dal comma 10, all’articolo 41 r.d., intendono rimuovere alcuni dei maggiori ostacoli che finora hanno impedito il pieno funzionamento del (potenziato) comitato dei creditori: organo che ha assunto un ruolo centrale in materia di controllo dell’attività di gestione del curatore. Al quarto comma dell’articolo 41 del r.d., si chiarisce che il potere di sostituzione da parte del giudice delegato, si esplica anche in caso di impossibilità di costituzione del comitato medesimo, a dispetto dell’interpretazione secondo cui in tali casi sarebbe stato possibile una nomina coattiva dei membri del comitato medesimo Soprattutto, è stato attenuato l’eccessivo rigore del parametro utilizzato dall’attuale disposizione sulla responsabilità dei componenti del comitato di creditori (art. 41, settimo comma, r.d.), la quale richiama, in
quanto compatibile, l’articolo 2407 cod. civ. in materia di responsabilità dei sindaci, compresa quindi la responsabilità per la c.d. culpa in vigilando. Tenute presenti le profonde diversità esistenti tra le attività del collegio sindacale e quelle del comitato dei creditori, nonché il fatto che il rischio di incorrere in un tale tipo di responsabilità per culpa in vigilando ha prodotto una certa riluttanza nell’accettare la nomina a membro del comitato dei creditori, si è ritenuto opportuno mitigare il rigore di tale disposizione, richiamando soltanto il primo e terzo comma del citato articolo del codice civile. Quanto all’azione di responsabilità nei confronti dei componenti del comitato dei creditori, viene precisato che la legittimazione a proporla durante lo svolgimento della procedura fallimentare spetta soltanto al curatore, previamente autorizzato dal giudice delegato.
Articolo 4.
L’articolo 4 del decreto legislativo, reca disposizioni correttive del Titolo II, Capo III della legge fallimentare.
La modifica dell’articolo 48 del r.d., da parte del comma 1, si giustifica per il fatto che, solo nei riguardi del fallito che sia persona fisica ha senso salvaguardare il diritto alla riservatezza nella corrispondenza. La corrispondenza diretta ad una persona fisica in qualità di legale rappresentante di una società non può avere, per definizione, carattere personale e non ha quindi senso adottare misure idonee a salvaguardare la riservatezza della corrispondenza. La necessità di sottolineare che, la diversità di trattamento è giustificata non tanto dalla forma individuale o collettiva dell’impresa, quanto piuttosto all’assoggettamento al fallimento di una persona fisica, anziché di una persona giuridica (anche con unico socio), ha consigliato di non accogliere l’osservazione del Senato con cui si chiedeva di valutare l’opportunità di sostituire l’espressione “persona fisica” con quella di “imprenditore individuale”.
L’aggiunta, da parte del comma 2, di un terzo comma all’articolo 52 del r.d. serve a chiarire che, anche i crediti per i quali non vige il divieto di azioni esecutive e cautelari sancito dall’articolo 51 r.d. sono assoggettati al “concorso formale”, per cui, al fine di essere soddisfatti in sede concorsuale, devono essere previamente accertati, come tutti gli altri crediti, dal giudice delegato. In tal modo, viene ad acquistare valore normativo il principio di elaborazione giurisprudenziale secondo cui tali crediti possono trovare soddisfazione solo nell’ambito della procedura concorsuale. Tenuto conto di ciò non è stata accolta l’osservazione del Senato con cui si chiedeva la soppressione di tale modifica.
Di mero coordinamento con le nuove norme in materia di liquidazione dell’attivo è la modifica apportata, dal comma 3, al secondo comma dell’articolo 53 r.d., il quale richiama direttamente il novellato articolo 107 r.d..
Il comma 4 reca modifiche all’articolo 67 del r.d. All’articolo 67, terzo comma, lett. c) vengono aggiunti, tra gli atti esentati dall’azione revocatoria fallimentare, oltre ed alle stesse condizioni delle vendite, anche i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del cod. civ., i cui effetti non siano cessati ai sensi del terzo comma della predetta disposizione.
La modifica all’articolo 67, terzo comma, lett. d) ha la funzione di ribadire, in coerenza con le previsioni di cui al novellati articoli 161, terzo comma e 182-bis primo comma ed in accoglimento di una specifica osservazione del Senato, che il professionista abilitato ad attestare la ragionevolezza del piano di risanamento previsto dalla disposizione in esame, oltre ad avere i requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) del r.d., deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili.
Al terzo comma dell’articolo 70 del r.d., in materia di effetti della revocazione avente ad oggetto atti estintivi di rapporti continuativi o reiterati, si precisa, da parte del comma 5 del presente decreto, che tra tali rapporti vanno innanzitutto ricomprese le posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario.
Il comma 6 reca modifiche all’articolo 72 del r.d., mentre il comma 8 sostituisce l’articolo 72-bis del r.d. Gli articoli 72 e 72 bis sono stati interessati in primo luogo da interventi di coordinamento necessari per sopprimere commi ripetuti in entrambi. Nell’articolo 72 al primo comma si è specificato che il contratto traslativo si considera ineseguito sino a quando non si è realizzato l’effetto reale Al quarto comma dell’articolo 72 r.d., è stato aggiunto che non è comunque dovuto al contraente in bonis il risarcimento del danno per l’intervenuto scioglimento del contratto. Si tratta di assunto pacifico nel diritto vivente, già contenuto nella originaria formulazione dell’art. 72, ma soppresso in sede di redazione del decreto legislativo n. 5 del 2006. E’ stata aggiunta, infine, al nuovo ottavo comma dello stesso articolo, la regola secondo cui le disposizioni dell’articolo 72 r.d. non si applicano al contratto preliminare immobiliare trascritto ai sensi dell’art. 2645 c.c. e che abbia ad oggetto una casa di abitazione. In tal modo, è stata accresciuta, ai sensi dell’art. 47 Cost., la tutela del promissario acquirente di immobile destinato a casa di abitazione.
L’art. 72 bis è stato riformulato – dal comma 8 – sopprimendo la norma sul fallimento del venditore resa superflua dalla regola generale per la quale il contratto traslativo si intende eseguito quando si è verificato l’effetto reale, ed inoltre eliminando la norma sul privilegio del promissorio acquirente, in quanto ripetizione della medesima regola già contenuta nell’articolo precedente. Infine, sono stati eliminati i richiami al concetto di crisi di impresa (come tale comprendente situazioni eterogenee, dal pignoramento immobiliare all’amministrazione straordinaria), in quanto estraneo alla materia dei rapporti pendenti nel fallimento.
All’articolo 72 quater, comma 2, del r.d. – come modificato dal comma 9 – è stato precisato che, in caso di scioglimento del contratto, l’impresa di leasing può far valere i suoi diritti nel fallimento purché abbia disposto del bene recuperato secondo valori di mercato.
L’articolo 73 del r.d. è stato completamente riscritto -dal comma 10 -alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, in quanto l’originaria formulazione, estesa a tutte le fattispecie di vendita a termine o a rate, non era sistematicamente compatibile con la disciplina dei rapporti pendenti. Infatti, la tutela del venditore non fallito in tali contratti (tutela esplicantesi nell’obbligo del curatore che subentra nel contratto di versare il prezzo per l’intero) si giustifica soltanto nella ipotesi in cui non sia avvenuto il passaggio della proprietà, il che richiede l’apposizione della clausola sul riservato dominio. Qualora la proprietà fosse stata trasferita prima del fallimento il contratto sarebbe da considerarsi eseguito; nel patrimonio del venditore residuerebbe un mero credito da far valere nei confronti del fallimento secondo le regole del concorso.
L’articolo 74 del r.d. – interamente sostituito dal comma 11 – era tradizionalmente dedicato alla vendita a consegna ripartita ed alla somministrazione. La norma aveva dato luogo a rilevanti problemi applicativi in quanto disciplinante sia un contratto ad esecuzione istantanea, sia pure a consegna differita, che un contratto ad esecuzione continuata o periodica (la somministrazione). Già nella riforma del 2006 la norma era stata implementata con l’aggiunta della somministrazione di servizi. Il chiaro intento del legislatore era quello di dettare una norma più efficace con riguardo ai contratti di durata. La formulazione rimaneva tuttavia problematica in quanto limitata a due figure contrattuali specifiche. Per questa ragione è stato ritenuto preferibile scrivere una norma generalmente riferita a tutti i contratti ad esecuzione continuata o periodica.
L’articolo 79 del r.d. è stato sostituito dal comma 12: al suo interno è stato inserito il contenuto del precedente articolo 80-bis in materia di contratto di affitto di azienda. Ciò in quanto in buona parte dell’attuale articolo 79 risulta già riprodotto nel testo dell’art. 103, collocato nella sede propria della verifica del passivo.
All’articolo 80 -sostituito dal comma 13 -è stato aggiunto un secondo comma con il quale si è voluta limitare la durata dei contratti di locazione di immobili stipulati prima del fallimento, e ciò al fine di contemperare le esigenze dei terzi di tutela della stabilità dei rapporti giuridici contratti con l’impresa poi fallita con l’interesse del fallimento di evitare che l’esistenza di un vincolo locatizio di lunga durata possa deprimere eccessivamente il valore del bene al momento della vendita.
L’abrogazione dell’art. 80-bis – ad opera del comma 14 – è consequenziale allo spostamento della norma in materia di affitto di azienda all’interno dell’articolo 79.
Articolo 5.
L’articolo 5 del decreto legislativo, reca disposizioni correttive del Titolo II, Capo IV della legge fallimentare.
Il comma 1, modifica l’articolo 88, secondo comma, del r.d. apportando una modifica (la parola “annotato” viene sostituita con quella “trascritto”) che corregge quello che è stato sempre considerato un difetto della previgente disposizione.
Il comma 2 reca, all’articolo 89, primo comma, del r.d. una modifica che risponde a una mera esigenza di coordinamento sintattico.
Articolo 6.
L’articolo 6 del decreto legislativo, reca disposizioni correttive del Titolo II, Capo V della legge fallimentare.
La modifica del terzo comma, numero 4) dell’articolo 93 del r.d. -ad opera del comma 1 -elimina l’obbligo, per il creditore concorrente, di indicare oltre che l’eventuale titolo di prelazione che assiste il credito insinuato al passivo e la descrizione del bene sul quale la prelazione speciale si esercita, anche la graduazione del credito. In realtà, l’individuazione del grado del diritto di prelazione non si presta a valutazioni, discendendo direttamente dalla legge e, una volta indicato il tipo di prelazione in sede di verificazione dello stato passivo, la graduazione va effettuata in sede di riparto. Per le stesse ragioni viene soppresso il secondo comma dell’articolo 96 che imponeva al giudice delegato di indicare, con il provvedimento di accoglimento della domanda, anche il grado dell’eventuale diritto di prelazione.
L’abrogazione – da parte dello stesso comma 1 – del settimo comma dell’articolo 93 del r.d. elimina, in coerenza con le modifiche apportate all’articolo 95 del r.d., secondo comma, l’obbligo di depositare, a pena di decadenza, almeno quindici giorni prima dell’udienza di verificazione, la documentazione non presentata con la domanda di ammissione al passivo. Difatti, con la modifica dell’articolo 95 del r.d. – ad opera del comma 2 –, è stato profondamente modificato il procedimento di formazione del progetto di stato passivo: una volta venuta meno la decadenza cui si è appena fatto cenno, si è consentito al creditore di depositare, fino al giorno dell’udienza di verificazione dello stato passivo i documenti integrativi, resi necessari a seguito delle conclusioni e delle eccezioni sollevate dal curatore.
Si supera, in tal modo, la fase di stallo che poteva venirsi a creare qualora si impediva al creditore, oramai decaduto, di superare con una nuova produzione documentale le conclusioni e le eccezioni del curatore, costringendolo a proporre impugnazione avverso il decreto di esecutività dello stato passivo per ottenere un’ammissione che poteva essergli accordata fin dall’inizio, con evidente economia processuale, anche in sede di verificazione dello stato passivo. Nel silenzio della norma risulta ugualmente chiaro che il contraddittorio si cristallizzerà soltanto all’udienza e che in quella sede il curatore avrà la possibilità di prendere definitivamente posizione sulla domanda di cui sia stata integrata la documentazione probatoria.
La modifica – con il comma 3 – dell’articolo 96, primo comma, del r.d. serve a chiarire, in funzione delle conseguenti impugnative ex art. 98 del r.d., che il giudice delegato deve in ogni caso provvedere con decreto succintamente motivato, e nono solo quando vi siano contestazioni, da parte del curatore o di altri legittimati. Le ragioni della modifica del secondo comma del medesimo art. 96 sono state già illustrate a commento del novellato articolo 93.
Il comma 4 sostituisce l’art. 99 del r.d., omologando il procedimento per le impugnazioni contro il decreto di esecutività dello stato passivo ad uno schema uniforme di rito camerale fallimentare, con gli opportuni adattamenti richiesti dalla specificità delle controversie trattate. Il primo comma del nuovo art. 99 riproduce il corrispondente comma primo del testo precedente.
I commi dal secondo all’ottavo disciplinano la fase introduttiva del procedimento, ancora una volta sulla falsariga del rito del lavoro.
Nel n. 4 del secondo comma si prescrive, però, che nel ricorso introduttivo devono essere contenute “a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, nonché l’indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti prodotti” per la ragione che trattasi di controversie inerenti ai diritti di credito che si fanno valere nel concorso ed occorre stabilire un preciso limite di deducibilità dei fatti controversi e dei mezzi di prova, onde poter pervenire rapidamente alla decisione. Simmetricamente, nel comma settimo analoghi oneri sono imposti alla parte resistente in ossequio al principio della “parità delle armi” (art. 111 Cost.). Il nono comma disciplina l’assunzione dei mezzi di prova, affidandola al potere officioso del collegio o, in caso di delega alla trattazione del procedimento, al giudice delegato. Il decimo comma riproduce il comma quarto del precedente testo.
L’undicesimo comma disciplina la decisione del tribunale in coerenza con i principi generali del processo civile di cui agli artt. 112, 113, 115 e 116 del codice di rito.
Il dodicesimo comma prevede che avverso il provvedimento definitivo del tribunale è esperibile il ricorso per cassazione, essendo in gioco diritti soggettivi. Il termine per il ricorso è tuttavia dimezzato per esigenze di celerità.
Il dodicesimo comma prevede che il tribunale possa pronunciare anche in via provvisoria con decreto non soggetto ad alcuna impugnazione, essendo destinato ad essere assorbito nella pronuncia definitiva.
Il comma 5 inserisce nell’articolo 101, secondo comma, del r.d. un nuovo periodo dopo il primo (“Il giudice delegato fissa per l’esame delle domande tardive un’udienza ogni quattro mesi, salvo che sussistano motivi d’urgenza”), allo scopo di meglio disciplinare l’esame delle domande tardive. La cadenza quadrimestrale è in parallelo con quella, pure quadrimestrale, stabilita per i riparti parziali dall’art. 110, primo comma.
Il comma 6, modifica il primo comma dell’articolo 102 del r.d., allo scopo di prevedere l’obbligo di acquisire il previo parere del comitato dei creditori sull’istanza di non farsi luogo al procedimento di accertamento del passivo, presentata dal curatore, in caso di previsione di insufficiente realizzo.
La modifica del secondo comma del medesimo articolo 102 del r.d. è, invece, volta a sottolineare che il decreto che dispone il non farsi luogo all’accertamento del passivo dei crediti concorsuali può essere adottato in ogni momento successivo alla verificazione del passivo e non soltanto nel corso delle eventuali successive udienze per l’esame delle domande tardive.
Il comma 7 aggiunge un nuovo secondo comma all’articolo 103 del r.d., al fine di rendere applicabili, anche nei procedimenti di rivendica e restituzione, le disposizioni previste dall’articolo 1706 del cod. civ.
Articolo 7.
L’articolo 7 del decreto legislativo, reca disposizioni correttive del Titolo II, Capo VI della legge fallimentare.
Il comma 1 interviene sull’articolo 104-ter definendo il programma di liquidazione come “l’atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità ed ai termini previsti per la realizzazione dell’attivo”.
Si puntualizza il rapporto tra l’approvazione del programma e l’autorizzazione degli atti ad esso conformi.
Viene, infatti, chiarito che il programma deve essere approvato dal comitato dei creditori, mentre il giudice delegato autorizza l’esecuzione degli atti a esso conformi”.
I commi 2, 3, 4, e 5 modificano la ripartizione del Capo VI in tre Sezioni e le relative intitolazioni rispecchiano il contenuto delle nuove disposizioni in materia di liquidazione dell’attivo.
Il comma 6 reca modifiche all’articolo 107 del r.d.
Il nuovo secondo comma dell’articolo 107 del r.d. ha la funzione di permettere al curatore di prevedere nel programma di liquidazione che determinate vendite vengano effettuate direttamente dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di rito (vendita con o senza incanto).
La modifica dell’articolo 107, secondo comma (nuovo terzo comma), serve ad estendere, uniformandolo, il regime della vendita dei beni immobili agli autoveicoli, nonché a navi, galleggianti e aeromobili. Una volta introdotta la possibilità di vendita a trattativa privata per gli immobili, non è giustificabile per i beni di cui al codice della navigazione mantenere il diverso regime stabilito da quel codice.
La modifica all’articolo 108, secondo comma, del r.d. – da parte del comma 7 – è conseguente a quella apportata al secondo comma (nuovo terzo comma) dell’art. 107 del r.d.
L’abrogazione dell’articolo 108-bis della legge fallimentare – recata dal comma 8 – è anch’essa conseguente alla modifica apportata al secondo comma (nuovo terzo comma) dell’articolo 107 del r.d..
Articolo 8.
L’articolo 8 del decreto legislativo, reca disposizioni correttive del Titolo II, Capo VII della legge fallimentare.
Il comma 1 reca modifiche all’articolo 110 del r.d. Nell’articolo 110, primo comma, l’aggiunta di un periodo, dopo il primo (” Nel progetto sono collocati anche i crediti per i quali non si applica il divieto di azioni esecutive e cautelari di cui all’articolo 51″), serve a chiarire – in parallelo con quanto dispone il nuovo terzo comma dell’art. 52 del r.d. – che i crediti esentati dal divieto di azioni esecutive e cautelari fruiscono di un privilegio puramente processuale (il potere di iniziare o proseguire l’espropriazione pur in pendenza del fallimento del debitore), ma non sono esentati dal “concorso sostanziale”: come tutti gli altri crediti devono essere ammessi al passivo (“concorso formale”) e poi devono essere collocati nei riparti (“concorso sostanziale”) per poter trattenere in via definitiva quanto è stato ricavato dall’espropriazione singolare da loro compiuta.
In tal modo, si opera un soddisfacente raccordo fra l’esecuzione singolare e la procedura fallimentare: sui beni oggetto dell’esecuzione singolare, infatti, possono esservi diritti poziori di altri creditori, sicché il conflitto fra tali crediti e i crediti per cui si è proceduto in sede di esecuzione singolare non può trovare altra soluzione che nell’ambito dei riparti fallimentari. La modifica del secondo comma del medesimo art. 110 (soppressione delle parole “sentito il comitato dei creditori”) si spiega perché, limitandosi il giudice delegato a ordinare il deposito del progetto di ripartizione, non vi è un provvedimento per l’emanazione del quale occorra sentire preventivamente il comitato dei creditori, i cui membri, come tutti i creditori, possono prendere visione del progetto di ripartizione in cancelleria e, eventualmente, proporre reclamo.
La modifica del terzo comma del medesimo art. 110, serve a precisare che il reclamo contro il progetto di ripartizione si propone davanti al giudice delegato: il progetto, infatti, è atto del curatore e il giudice delegato si limita, in prima battuta, a ordinarne il deposito in cancelleria.
Contro il decreto del giudice delegato che pronuncia sul reclamo sarà poi proponibile reclamo al tribunale ex art. 26 e contro il decreto del tribunale ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.
Nell’articolo 111, secondo comma, della legge fallimentare la sostituzione – da parte del comma 2 – della parola “debiti” con la parola “crediti” risponde ad una mera esigenza di precisione lessicale.
Il comma 3, reca modifiche all’articolo 111-bis del r.d.
La soppressione del secondo comma dell’articolo 111-bis del r.d., viene ad eliminare una inutile duplicazione rispetto alla disposizione contenuta nel primo comma dello stesso articolo. La modifica del terzo comma del medesimo art. 111-bis serve a chiarire che anche nell’ambito dei crediti prededucibili deve essere rispettato l’ordine di graduazione delle rispettive cause di prelazione. La modifica del quarto comma del medesimo articolo rende pienamente alternative l’autorizzazione del comitato dei creditori o del giudice delegato al pagamento di tutti i crediti prededucibili, senza distinzione di valore, per cui viene meno anche la necessità di demandare ad un successivo decreto ministeriale l’aggiornamento dell’importo attualmente previsto.
Il comma 4 reca modifiche all’articolo 115 del r.d. L’aggiunta all’articolo 115, secondo comma, di un periodo dopo il secondo (“Le stesse disposizioni si applicano in caso di surrogazione del creditore”) serve ad estendere la disciplina dettata per il caso di cessione dei crediti ammessi ai casi di surrogazione previsti dal codice civile (artt. 1201 ss.) o da leggi speciali, non essendovi ragioni per una disparità di trattamento.
Articolo 9.
L’articolo 9 del decreto legislativo reca disposizioni correttive del Titolo II, Capo VIII della legge fallimentare.
Il comma 1, lettera a), introduce nell’articolo 118, secondo comma, primo periodo, del r.d. l’inciso “nei casi di chiusura previsti dai numeri 3) e 4)”: esso serve limitare la cancellazione della società fallita dal registro delle imprese su richiesta del curatore ai soli casi in cui alla cessazione del fallimento non vi siano più beni nel patrimonio sociale, evitandola nei casi di chiusura di cui ai numeri 1) e 2), nei quali non avrebbe alcuna giustificazione. Il medesimo comma 1, lettera b), introduce nel secondo comma, secondo periodo, dello stesso art. 118 l’inciso “nei casi previsti dai numeri 1) e 2)”: esso serve a limitare l’automatica chiusura del fallimento dei fallimenti dei soci illimitatamente responsabili in conseguenza della chiusura del fallimento della società ai soli casi in cui non vi sono debiti sociali, nel qual caso non si giustifica la prosecuzione dei fallimenti dei soci, aperti allo scopo di attuare secondo le regole del concorso la loro responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali di cui i soci debbono rispondere. .
Il comma 2, lettera a), aggiunge all’articolo 119, terzo comma, del r.d. un secondo periodo dopo il primo, allo scopo di dettare regole chiare e rispettose delle garanzie di cui agli artt. 24 e 111 Cost. circa la ricorribilità per cassazione del provvedimento emesso in sede di reclamo avverso il decreto che dichiara la chiusura del fallimento o ne respinge la richiesta. Lo stesso comma 2, lettera b), inserisce nell’art. 119 un comma dopo il terzo, per stabilire il momento dal quale il decreto di chiusura acquista efficacia, facendo coerente applicazione della regola generale di cui all’art. 741, primo comma, del codice di procedura civile, coordinata con la ricorribilità per cassazione, di cui al comma precedente.
La sostituzione – da parte del comma 3 – del primo comma dell’articolo 120 del r.d. è conseguenza dell’abrogazione dell’art. 50 e della soppressione dell’istituto della riabilitazione civile: le incapacità speciali che colpiscono il fallito non possono che cessare tutte automaticamente con la chiusura fallimento. Il nuovo primo comma dell’articolo 120 chiarisce, quindi, che con la chiusura della procedura fallimentare cessano non solo tutti gli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito, ma anche tutte le conseguenti incapacità personali del fallito medesimo, qualunque sia la fonte normativa che le preveda.
Nell’articolo 121, terzo comma, della legge fallimentare la sostituzione – ad opera del comma 4 – della parola “appellata” con la parola “reclamata”, è conseguenza della modifica apportata all’art. 18 del r.d..
Il comma 5 reca modifiche all’art. 124 del r.d. Il nuovo primo comma dell’articolo 124 presenta l’importante novità consistente nel fatto che, per poter presentare la proposta di concordato fallimentare, il debitore fallito deve aver tenuto la contabilità e che i dati risultanti dalla stessa e le altre notizie disponibili consentano al curatore di predisporre un elenco provvisorio dei creditori. Con la seconda modifica l’impedimento temporale di sei mesi dalla dichiarazione di fallimento, per la presentazione della domanda di concordato da parte del debitore fallito, viene elevata al termine più congruo di un anno. Si rafforza in questo modo l’incentivo all’utilizzazione della procedura alternativa di concordato preventivo. Al terzo comma, in accoglimento dell’osservazione della Camera, si precisa che il debitore ha la possibilità di offrire un pagamento in percentuale non solo ai creditori muniti di un privilegio speciale, nella parte in cui il credito sia incapiente, ma anche a quelli muniti di un privilegio generale, sempre nella misura in cui tale credito non risulti capiente. Viene inoltre chiarito che la relazione giurata sul valore di mercato attribuibile al cespite o al credito dev’essere redatta da un professionista, iscritto nel registro dei revisori contabili che abbia i requisiti di cui all’articolo 28, lett. a) e b) del r.d. Nel quarto comma, primo periodo, del medesimo art. 124, l’aggiunta delle parole “uno o più creditori o da” chiarisce che è identica la disciplina del concordato sia che venga proposto da un terzo sia cha venga proposto da uno o più creditori, come previsto dal primo comma, non essendovi ragioni per differenziare la posizione del terzo proponente da quella del creditore proponente. Conseguentemente, nel quarto comma, secondo periodo, la parola “terzo” è sostituita dalla parola “proponente”.
Il comma 6 reca modifiche all’articolo 125 del r.d. La soppressione, nel primo comma dell’articolo 125 del r.d. del riferimento al parere del comitato dei creditori, ha una funzione di mero coordinamento, posto che tale funzione viene recuperata nel nuovo secondo comma del medesimo articolo. Mentre, l’aggiunta delle parole “ed alle garanzie offerte” colma una lacuna dell’attuale disposizione che non fa riferimento al concordato fallimentare con garanzia. Le modifica apportata all’articolo 125, secondo comma, della legge fallimentare serve a precisare che la valutazione di merito della proposta spetta al comitato dei creditori, mentre al giudice delegato spetta una delibazione di mera legittimità sulla ritualità della proposta, in coerenza con il nuovo assetto dei rapporti fra gli organi preposti al fallimento.
Il comma 7 modifica il primo e secondo comma dell’art. 128 del r.d. stabilendo che ” Il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero di classi.”. In tal modo, si chiarisce che il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto è sempre necessario per l’approvazione di qualsiasi tipo di concordato, anche quello che prevede la suddivisione dei creditori in classi. In tal caso, difatti, oltre al voto favorevole del maggior numero di classi, è comunque necessario che il concordato riporti anche il voto favorevole della maggioranza di tutti i crediti ammessi al voto. Nell’articolo 128, quarto comma, della legge fallimentare la sostituzione delle parole “una sentenza emessa” con le parole “un provvedimento emesso” viene anch’essa a correggere un difetto di coordinamento, posto che all’esito dei procedimenti ex artt. 98 e 101 del r.d. è emesso decreto e non sentenza.
Il comma 8 sostituisce l’art. 129 del r.d.. Il comma primo del nuovo art. 129 riproduce il corrispondente comma primo del testo precedente. Il comma secondo risulta modificato rispetto al testo attuale laddove prevede che la comunicazione al proponente ha la funzione di far chiedere al medesimo l’omologazione del concordato, nonché laddove prevede che la relazione conclusiva è depositata dal comitato dei creditori, anziché dal curatore: la modifica è logica conseguenza della modifica dell’art. 125, terzo comma, nella parte in cui si prevede che spetta al comitato dei creditori, e non più al curatore, dare il “parere favorevole” sulla proposta di concordato. Per l’ipotesi che il comitato non adempia, si prevede che la relazione sia redatta dal curatore, salvo che la proposta sia stata da lui presentata. I commi terzo e quarto riproducono i corrispondenti commi terzo e quarto del testo attuale. Il nuovo quinto comma stabilisce che ” Se sono state proposte opposizioni, il Tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio. Nell’ipotesi di cui al secondo periodo del primo comma dell’articolo 128, se un creditore appartenente ad una classe dissenziente contesta la convenienza della proposta, il tribunale può omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili”.
Il comma 9 sostituisce l’art. 131 del r.d., modellando il procedimento di reclamo avverso il decreto conclusivo del giudizio di omologazione alla stregua di uno schema uniforme di rito camerale fallimentare. Il comma primo del nuovo art. 131 del r.d. riproduce il corrispondente comma primo del testo vigente. Il comma secondo stabilisce che il termine di trenta giorni per la proposizione del reclamo decorre dalla notificazione del decreto da farsi a cura della cancelleria, allo scopo di garantire da un lato il diritto di difesa dei soggetti legittimati al reclamo e dall’altro le esigenze di celerità nella definizione del giudizio. I commi dal terzo al nono disciplinano la fase introduttiva del procedimento conformemente agli altri procedimenti camerali sul modello del rito del lavoro. Il comma decimo disciplina l’istruttoria. Il comma undicesimo stabilisce che la corte provvede con decreto motivato, non diversamente da quanto previsto dal testo attuale. Il comma dodicesimo riproduce il comma sesto del testo vigente, precisando tuttavia che il termine per il ricorso per cassazione decorre dalla notificazione da farsi a cura della cancelleria, per le ragioni già indicate a proposito del provvedimento di primo grado.
Il comma 10 sostituisce l’art. 137 del r.d. Il comma primo del nuovo art. 137 del r.d. riserva ai soli creditori la legittimazione a chiedere al risoluzione del concordato: la modifica è coerente con l’impostazione di fondo della disciplina del concordato accolta dalla riforma e con la scelta di abolire, in linea di principio, l’iniziativa officiosa del tribunale.
Il comma secondo richiama le disposizioni dell’art. 15, in quanto compatibili, onde omologare il procedimento allo schema uniforme del rito camerale.
Il comma terzo prevede, come già il precedente testo, la partecipazione necessaria del garante al procedimento.
Il comma quarto prevede che la pronuncia con cui si risolve il concordato e si riapre il fallimento ha forma di sentenza, analogamente a quanto si prevede per la pronuncia con cui si dichiara il fallimento e per quella con cui lo si riapre a norma dell’art. 121.
I commi quinto, sesto, settimo e ottavo riproducono sostanzialmente i corrispondenti attuali commi terzo, quarto, quinto e sesto, salvo le necessarie variazioni di carattere formale.
Il comma 11 sostituisce l’art. 138 del r.d., ma ne riproduce sostanzialmente il contenuto, sostituendo la sentenza al decreto, quale forma del provvedimento conclusivo del procedimento di annullamento del concordato, in coerenza con l’art. 137, nonché con gli artt. 16 e 121 del r.d..
Articolo 10.
L’articolo 10 del decreto legislativo reca disposizioni correttive del Titolo II, Capo IX della legge fallimentare.
Il comma 1 modifica l’articolo 142, terzo comma, lettera a), del r.d. allo scopo di individuare più appropriatamente taluni debiti per i quali l’esdebitazione non è ragionevolmente giustificabile: sono quelli derivanti da rapporti “estranei all’esercizio dell’impresa”, anziché da rapporti “non compresi nel fallimento ai sensi dell’articolo 46”.
Il comma 2 modifica l’articolo 144, primo comma, del r.d., introducendo una regola più equilibrata e di agevole ed uniforme applicazione circa il trattamento da farsi ai creditori concorsuali non concorrenti.
Articolo 11.
L’articolo 11 del decreto legislativo reca disposizioni correttive del Titolo II, Capo X della legge fallimentare.
Nell’articolo 147, sesto comma, della legge fallimentare la sostituzione della parola “appello” con la parola “reclamo” è conseguente alla modifica apportata all’art. 18.
Articolo 12.
L’articolo 12 del decreto legislativo reca modifiche al Titolo III, Capo I, della legge fallimentare.
Il comma 1 reca modifiche alla rubrica dell’articolo 160 del r.d., sostituendo, in sintonia con il nuovo contenuto del medesimo articolo, la parola “condizioni” con la parola “presupposti”.
Il comma 2 reca modifiche all’articolo 160 del r.d.
La normativa precedentemente in vigore non consentiva, in sede di concordato preventivo, ed a differenza di quanto poteva invece accadere nell’ambito di un concordato fallimentare, di offrire un pagamento in percentuale dei creditori privilegiati, neppure con riferimento a quella parte del loro credito destinata a rimanere comunque insoddisfatta avuto riguardo al presumibile valore di realizzo dei beni sui quali il privilegio cade.
Si è quindi voluto, al fine di incentivare ulteriormente il ricorso allo strumento del concordato preventivo, e di eliminare una illogica diversità di disciplina rispetto al concordato fallimentare, prevedere che anche la proposta di concordato preventivo possa contemplare il pagamento in percentuale dei creditori privilegiati, semprechè la misura del soddisfacimento proposta non sia inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di vendita dei beni sui quali il privilegio cade.
In accoglimento dell’osservazione della Camera, si precisa, analogamente a quanto già previsto nel concordato fallimentare, che il debitore ha la possibilità di offrire un pagamento in percentuale non solo ai creditori muniti di un privilegio speciale, nella parte in cui il credito sia incapiente, ma anche a quelli muniti di un privilegio generale, sempre nella misura in cui tale credito non risulti capiente. Anche in questo caso, in coerenza con quanto dispongono i novellati articoli 67, terzo comma, lett. d), 161, terzo comma e 182-bis primo comma del r.d., ed in accoglimento di una specifica osservazione del Senato, si ribadisce che, il professionista abilitato a redigere il piano attestato di risanamento previsto dalla disposizione in esame, oltre ad avere i requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) del r.d., deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili.
Il comma 3 reca modifiche all’articolo 161 del r.d. La normativa precedentemente in vigore prevedeva criteri difformi in ordine ai requisiti che il professionista incaricato di redigere le attestazioni previste dagli articoli 67, comma terzo, lett. d), dall’art. 161 e dall’art. 182 bis doveva possedere. Si è deciso, quindi, di uniformare i requisiti previsti dalle citate disposizioni prevedendo, in considerazione del fatto che si tratta di una attività avente un contenuto marcatamente tecnico-contabile, che il professionista incaricato, oltre a possedere le caratteristiche contemplate dall’articolo 28, lettere a) e b) del r.d., debba essere iscritto nel registro dei revisori contabili.
Il comma 4 sostituisce l’articolo 162 del r.d. L’articolo 162 necessitava di una riscrittura al fine di adeguarne il contenuto alle modificazioni che le norme in esso richiamate avevano subito già in occasione dell’intervento operato con la legge 14 maggio 2005, n. 80, di conversione del decreto legge 16 marzo 2005, n. 35. La nuova norma disciplina l’ipotesi di inammissibilità della proposta concordataria disponendo che il tribunale può concedere al debitore un termine non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti e che se, all’esito del procedimento verifica che non ricorrono i presupposti di cui all’articolo 160, primo ed al secondo comma, e dell’articolo 161, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo, il medesimo tribunale, dichiara inammissibile la proposta di concordato. La norma dispone altresì che in questa ipotesi il tribunale, su istanza di parte o del pubblico ministero, pervenga alla dichiarazione di fallimento all’esito del medesimo procedimento, purché al debitore sia stata previamente contestata l’insolvenza e, dunque, la possibilità che ne fosse dichiarato il fallimento e, ovviamente, purché venga accertata la sussistenza dei presupposti, oggettivo e soggettivo, per la dichiarazione di fallimento. In tal modo, si rende proponibile avverso la sentenza il reclamo previsto dall’art. 18 anche per far valere motivi attinenti all’ammissibilità della proposta di concordato.
Il comma 5 reca modifiche all’articolo 163 del r.d.
Il primo comma dell’articolo 163 ha subito le modificazioni necessarie a coordinarne il contenuto con il novellato art. 162 del r.d..
L’attuale secondo comma dell’art. 162 prevede, inoltre, l’obbligo di depositare, in un termine brevissimo (quindici giorni dall’emissione del decreto di ammissione) una somma liquida corrispondente a quanto necessario a coprire le spese dell’intera procedura.
Trattandosi di somme che possono essere, in procedure di valore elevato, anche ingenti, al fine di rimuovere un possibile ostacolo all’accesso alla procedura concordataria l’obbligo di deposito è stato limitato al 50% delle spese, con facoltà per il giudice di ridurlo ulteriormente sino al 20%. Attraverso il richiamo all’articolo 34, primo comma del r.d., si consente che le somme riscosse siano investite in strumenti finanziari.
Il comma 6 reca modifiche all’articolo 166 del r.d.
La sostituzione del primo periodo del primo comma dell’articolo 166 (“Il decreto è pubblicato, a cura del cancelliere, a norma dell’articolo 17”), viene a uniformare le modalità di pubblicazione del decreto di apertura della procedura di concordato preventivo a quelle della sentenza di fallimento, atteso che l’affissione alla porta esterna del tribunale è stata abolita dal nuovo art. 17.
Articolo 13.
L’articolo 13 del decreto legislativo reca modifiche al Titolo III, Capo II della legge fallimentare.
La modifica del primo comma dell’articolo 168 del r.d., ha una funzione di coordinamento di tale disposizione con quanto previsto dall’articolo 180, in materia di omologazione del concordato preventivo.
Articolo 14.
L’art. 14 del decreto legislativo reca modifiche al Titolo III, Capo III, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.
Il comma 1 sostituisce l’art. 173 del r.d., onde evitare che la dichiarazione di fallimento, nei casi ivi contemplati, possa atteggiarsi come mera sanzione rispetto a comportamenti scorretti del debitore. Si prevede, pertanto, la revoca dell’ammissione al concordato preventivo, ove si accertino i gravi fatti indicati dalla norma o la mancanza delle condizioni di ammissibilità. Si prevede altresì la dichiarazione di fallimento, ma solo su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero e previo accertamento dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5, nel rispetto, comunque, del diritto di difesa del debitore.
Articolo 15
L’articolo 15 del decreto legislativo reca disposizioni correttive del Titolo III, Capo IV della legge fallimentare.
Il comma 1 inserisce nell’art. 175 del r.d., dopo il primo comma, un nuovo comma, in quanto, al fine di evitare iniziative del debitore non sempre corrette che comunque appesantiscono i tempi di definizione della procedura, si è ritenuto opportuno inserire la regola secondo la quale la proposta di concordato non può più essere modificata una vota avute inizio le operazioni di voto.
Il comma 2 sostituisce l’articolo 177 del r.d. Il primo ed il secondo comma dell’art. 177 è stati così modificati: ” Il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero di classi”. In tal modo, anche nel concordato preventivo si chiarisce, analogamente a quanto stabilito anche per il concordato fallimentare ed in accoglimento delle osservazioni di Camera e Senato, che il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto è sempre necessario per l’approvazione di qualsiasi tipo di concordato, anche quello che prevede la suddivisione dei creditori in classi. In tal caso, difatti, oltre al voto favorevole del maggior numero di classi, è comunque necessario che il concordato riporti anche il voto favorevole della maggioranza di tutti i crediti ammessi al voto.
Le correzioni apportate al terzo comma si sono rese necessarie al fine di chiarire quale fosse il meccanismo di voto per i creditori privilegiati nel caso in cui la proposta concordataria prevedesse il pagamento in percentuale del loro credito. Si è, così, previsto, analogamente alla disciplina già in vigore relativamente al concordato fallimentare, che tali crediti vengano considerati chirografari per la parte del credito destinata a non trovare soddisfazione sui beni oggetto del diritto di prelazione.
La norma di cui all’articolo 178, quarto comma, del r.d. ha subito un’integrazione – da parte del comma 3
– al fine di chiarire in modo espresso edin linea con gli orientamenti giurisprudenziali prevalenti, che ai fini del computo delle maggioranze si deve tenere conto dei voti pervenuti nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale di adunanza dei creditori.
Articolo 16.
L’articolo 16 del decreto legislativo reca disposizioni correttive del Titolo III, Capo V della legge fallimentare.
Il comma 1 reca modifiche all’articolo 179, primo comma del r.d. al fine di eliminare alcuni difetti di coordinamento nei richiami operati dalla norma.
Il comma 2 sostituisce l’art. 180 del r.d., onde dettare una disciplina del giudizio di omologazione analoga a quella dettata per il concordato fallimentare e conformata allo schema uniforme del rito camerale, con le necessarie varianti.
Per l’ipotesi che sia respinto il concordato, si prevede che sia contestualmente dichiarato il fallimento, all’esito del medesimo procedimento, ma solo su istanza di uno dei creditori che vi partecipano o su richiesta del pubblico ministero e previo accertamento dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5 del r.d..
Con l’inserimento – ad opera del comma 3 – di quattro nuovi commi nell’articolo 182, si viene a dettare una più completa e razionale disciplina della liquidazione dei beni ceduti ai creditori col concordato, garantendo che le operazioni liquidatorie si svolgano correttamente ed efficacemente nell’interesse dei creditori.
In particolare, l’ampliamento dell’uso degli strumenti negoziali e la maggiore scioltezza che caratterizzano la nuova disciplina della liquidazione dell’attivo nel fallimento inducono ad estendere tale disciplina alla fase liquidatoria del concordato preventivo, la quale allo stato è rimessa alla discrezionalità del liquidatore ed alle “modalità” non meglio individuate che dovrebbero essere stabilite dal tribunale ai sensi del primo comma dell’art. 182. L’ampliamento dei poteri autorizzatori del comitato dei creditori è in sintonia col nuovo regime degli organi del fallimento, a maggior tutela del ceto creditorio.
Il comma 4 reca modifiche all’articolo 182-bis del r.d.
Il primo comma dell’art. 182 bis ha subito correzioni meramente formali, ad eccezione della precisazione – in accoglimento dell’osservazione del Senato – dei requisiti che deve possedere l’esperto chiamato a redigere una relazione in ordine alla attuabilità dell’accordo.
Al fine di uniformare i requisiti previsti dall’art. 182 bis, dall’art. 67, comma terzo, lett. d) e dall’art. 161 si prevede, anche in considerazione del fatto che si tratta di una attività avente un contenuto marcatamente tecnico-contabile, che il professionista incaricato anche in questo caso debba possedere, oltre le caratteristiche contemplate dall’articolo 28, lett. a) e b) del r.d., anche l’iscrizione nel registro dei revisori contabili.
Nulla è stato cambiato quanto alla necessità che i creditori estranei all’accordo vedano il loro credito pagato in modo regolare, ossia per l’intero ed alla scadenza.
Alla norma è stato aggiunto un secondo comma, che sancisce, nelle more del procedimento omologatorio e comunque per un tempo non superiore a sessanta giorni, la sospensione ope legis degli atti esecutivi e delle azioni cautelari sul patrimonio del debitore.
La protezione automatica del patrimonio del debitore risulta funzionale all’attuazione dell’accordo e, in particolare, alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.
Si è voluto in questo modo ovviare ad una delle questioni che maggiormente potevano avere reso poco conveniente la presentazione di un accordo di ristrutturazione, al fine di rendere più agevole l’utilizzazione di un istituto che non ha avuto, ad oggi, la diffusione auspicata.
Il comma 5, in accoglimento delle osservazioni delle competenti commissioni di Camera e Senato, sostituisce l’ultimo comma dell’articolo 182-ter della L.F., così da eliminare uno dei maggiori ostacoli all’utilizzo degli accordi stragiudiziali. Rimosso l’espresso divieto di applicare ai debiti tributari amministrati dalle agenzie fiscali le disposizioni di cui all’art. 182-bis in materia di accordi di ristrutturazione dei debiti, si prevede ora espressamente la possibilità per l’imprenditore in stato di crisi di avvalersi dello strumento della transazione fiscale di cui all’articolo 182-ter L.F. La norma disciplina il procedimento per la presentazione della proposta di transazione fiscale ed il rilascio dell’eventuale assenso che deve essere espresso dagli organi competenti entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della proposta. L’ultimo periodo precisa che l’assenso espresso nelle forme e nei tempi previsti dall’ultimo comma dell’art. 182-ter equivale a sottoscrizione dell’accordo di ristrutturazione.
Il comma 6 sostituisce l’art. 183 del r.d.. Con l’inserimento della previsione del reclamo alla corte di appello per l’impugnazione sia del decreto, che dell’eventuale sentenza di fallimento emessi all’esito del giudizio di omologazione, serve a chiarire e razionalizzare il regime di impugnativa dei provvedimenti emessi all’esito del giudizio di omologazione, nel rispetto dei principi del “giusto processo”.
Articolo 17.
L’articolo 17 del decreto legislativo reca modifiche al Titolo III, Capo VI della legge fallimentare.
Il comma 1 sostituisce l’art. 186 del r.d., dettando una disciplina uniforme a quella prevista per il concordato fallimentare. Di notevole importanza è la disposizione che, in coerenza con l’accentuata natura privatistica del concordato preventivo, condiziona la risoluzione del concordato alla non scarsa importanza dell’inadempimento. Si chiarisce, infatti, in aderenza ai principi generali, che il concordato preventivo non si può risolvere se l’inadempimento risulta essere di scarsa importanza Si recuperano, in questo modo, tutti i principi sull’importanza dell’inadempimento contrattuale elaborati con riferimento alla norma generale di cui all’articolo 1455 del cod. civ.
Articolo 18.
L’articolo 18 del decreto legislativo reca modifiche al Titolo V del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.
Il comma 1 sostituisce, all’articolo 195, quinto comma, del r.d. la parola “appello” con la parola “reclamo”, quale conseguenza della modifica apportata all’art. 18.
Il comma 2 sostituisce i commi secondo e terzo dell’articolo 209 del r.d., al fine di richiamare le nuove norme in materia di accertamento dello stato passivo.
Il comma 3 abroga l’articolo 211 del r.d. in materia di responsabilità sussidiaria, limitata o illimitata, dei soci.
Il comma 4 sostituisce l’articolo 213 del r.d., onde recepire le statuizioni della sentenza della Corte costituzionale 14 aprile 2006, n. 154, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 213, comma secondo, «nella parte in cui fa decorrere, nei confronti dei “creditori ammessi”» -fra i quali ha precisato la Corte vanno compresi i “creditori prededucibili” -«il termine perentorio di venti giorni per proporre contestazioni avverso il piano di riparto, totale o parziale, dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della notizia dell’avvenuto deposito del medesimo in cancelleria, anziché dalla comunicazione dell’avvenuto deposito effettuata a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento ovvero con altra modalità prevista dalla legge». Con la nuova formulazione si adegua, altresì, il procedimento ai principi del “giusto processo”, omologandolo allo schema uniforme del rito camerale attraverso il richiamo alle disposizioni del novellato articolo 26.
Il comma 5 sostituisce l’articolo 214 del r.d., allo scopo di adeguare la disciplina del concordato della liquidazione coatta amministrativa, uniformandola per quanto possibile alla nuova disciplina del concordato fallimentare e rendendola più rispettosa delle garanzie della difesa e del contraddittorio.
Il comma 6 sostituisce l’articolo 215 del r.d. apportando modifiche consequenziali a quelle previste negli art. 137 e 138 del r.d. in sede di risoluzione e annullamento del concordato fallimentare.
Articolo 19
L’articolo in commento estende retroattivamente l’applicazione del beneficio dell’esdebitazione anche alle procedure fallimentari pendenti al 16 luglio 2006, data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 5 del 2006. In tal modo, il beneficio dell’esdebitazione potrà essere accordato a tutti i falliti, indipendentemente dalla data di apertura della procedura fallimentare. Per le procedure fallimentari innanzi dette, chiuse prima della data di entrata in vigore del presente decreto, la norma prevede che le domande di esdebitazione debbano essere presentate nel termine di un anno dalla medesima data.
Articolo 20
L’articolo 2 sopprime la lettera a) dell’articolo 5, comma 2 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, in tema di disciplina del commercio: disposizione che vietava l’iscrizione nel registro delle imprese dei soggetti dichiarati falliti, fino alla pronuncia della sentenza di riabilitazione. Con l’abrogazione dell’intera lettera, quindi, non solo verranno superate le problematiche applicative relative alla soppressione del procedimento di riabilitazione, ma sarà possibile iscrivere nel registro delle imprese anche il fallito, quale titolare di una nuova impresa commerciale, distinta da quelle assoggettate a fallimento.
Articolo 21
Il comma 1 sopprime, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le norme del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti”, che prevedono l’iscrizione nel casellario giudiziale delle notizie relative alle procedure concorsuali. Si è ritenuto che l’iscrizione di tali notizie nel casellario giudiziale rappresenti un inutile duplicato rispetto alle analoghe iscrizioni nel registro delle imprese, previste dalla legge fallimentare. Poiché le norme del Testo Unico n. 313 del 2002 abrogate dal comma 1 dell’articolo 21 del presente decreto continueranno ad applicarsi alle procedure concorsuali pendenti alla data di entrata in vigore del medesimo, in maniera tale che il nuovo regime troverà applicazione soltanto per le procedure concorsuali aperte a far data dal 1° gennaio 2008, il comma 2, stabilisce, al fine di eliminare ogni difetto di coordinamento, che per i certificati relativi alle procedure aperte nell’arco temporale compreso tra il 16 luglio 2006 ed il 31 gennaio 2007, gli effetti riferiti alla riabilitazione civile dalla lettera n), del comma 1 dell’art. 25, del T.U., andranno ricondotti alla chiusura del fallimento (trattasi, infatti, di procedure per le quali non è più prevista la riabilitazione civile e tutte le incapacità personali del fallito cessano con la chiusura del fallimento).
Articolo 22
Reca norme in materia di entrata in vigore del decreto legislativo, nonché la disciplina transitoria riguardante l’applicazione delle norme del medesimo decreto. La scelta compiuta è stata quella di rendere applicabili le disposizioni del presente decreto soltanto ai procedimenti per dichiarazione di fallimento ed alle procedure fallimentari, rispettivamente, iniziati o aperte successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. Fanno eccezione a tale disciplina gli articoli 7, comma 6, 18, comma 5 e 20 che, atteso il loro particolare contenuto, si applicheranno a tutte le procedure in corso. L’articolo 19, invece, si applicherà, altresì, alle procedure di fallimento disciplinate dalla medesima norma che risulteranno chiuse alla data di entrata in vigore del presente decreto.
Dall’attuazione del presente decreto legislativo non derivano nuovi o maggiori oneri a carico dell’Erario.