Incostituzionale la decurtazione delle tariffe in Legge Finanziaria

Il Tar Lecce ha sollevato la questione di costituzionalita’ dell’art. 1, comma 796, let. o) della L. n. 296/2006 (legge finanziaria 2007) e della normativa regionale attuativa, “nella parte in cui tali norme impongono alle strutture sanitarie provvisoriamente accreditate con il SSR una decurtazione del 20% sulle tariffe”.

I Giudici amministrativi osservano che “in materia sanitaria, il contenimento della spesa può essere perseguito attraverso incisivi controlli sulla congruità delle prescrizioni mediche e attraverso una migliore organizzazione complessiva”.

Per quanto riguarda i tagli alle tariffe, è possibile operare delle riduzioni, non adducendo generiche esigenze di contenimento della spesa pubblica, ma dando concreta prova della loro incongruità.

. . . . . .

TAR Puglia, Lecce, II sezione

Ordinanza 19 ottobre 2007 n. 3631

(presidente Cavallari, estensore Capitanio)

(…)

Considerato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.

I. Le strutture ricorrenti sono provvisoriamente accreditate con il Servizio Sanitario Regionale della Puglia (e per esso con l’ASL Taranto) per l’erogazione di prestazioni sanitarie afferenti la branca della Patologia clinica.

Il rapporto di accreditamento con il SSR (art. 8-quater e seguenti del D.Lgs. n. 502/1992 e s.m.i.) presuppone, come è noto:

– la fissazione da parte dell’ASL competente per territorio nei confronti delle strutture accreditate dei c.d. tetti di spesa annuali, i quali esprimono il limite massimo di prestazioni che l’Amministrazione sanitaria ritiene di acquistare dagli operatori privati nell’anno di riferimento (sulla questione dei tetti di spesa nella Regione Puglia, vedasi per tutte l’ordinanza della Sezione n. 8968/2003 – con cui era stata rimessa alla Corte Costituzionale la q.l.c. di una norma regionale che stabiliva i criteri essenziali a cui le ASL debbono attenersi nella determinazione dei tetti di spesa – e la relativa sentenza della Consulta n. 111 del 2005, a cui ha fatto seguito la recente decisione n. 257 del 2007, relativa, questa seconda, ad un’ulteriore q.l.c. sollevata sempre dalla Sezione con ordinanza n. 4275/2005);

– la remunerazione di tali prestazioni a tariffa (art. 8-quinquies, let. d), e art. 8-sexies del D.Lgs. n. 502/1992). Al riguardo, con D.M. 22 luglio 1996 il Ministero della Salute aveva stabilito le tariffe massime relative alle prestazioni della branca di Patologia clinica, tariffe che le Regioni erano libere di recepire tout court o, al contrario, di prendere a base per un’autonoma determinazione dei corrispettivi dovuti alle strutture private, sopportando però gli eventuali costi differenziali (la Regione Puglia, per inciso, ha stabilito di determinare proprie tariffe e ciò ha fatto con varie deliberazioni di Giunta Regionale – ad esempio, deliberazione n. 3784/1998, depositata in atti).
L’art. 1, comma 170, della L. 30 dicembre 2004, n. 311, ha da ultimo ribadito le linee fondanti del sistema, stabilendo, nella sua formulazione originaria, che “Alla determinazione delle tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni e delle funzioni assistenziali, assunte come riferimento per la valutazione della congruità delle risorse a disposizione del Servizio sanitario nazionale, provvede, con proprio decreto, il Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Gli importi tariffari, fissati dalle singole regioni, superiori alle tariffe massime restano a carico dei bilanci regionali. Entro il 30 marzo 2005, con decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, si procede alla ricognizione e all’eventuale aggiornamento delle tariffe massime, coerentemente con le risorse programmate per il Servizio sanitario nazionale. Con la medesima modalità e i medesimi criteri si procede all’aggiornamento biennale delle tariffe massime entro il 31 dicembre di ogni secondo anno a decorrere dall’anno 2005”;

– la stipula di contratti individuali per adesione (qualificabili civilisticamente come contratti di somministrazione) fra ASL territorialmente competente e strutture accreditate aventi sede nella circoscrizione dell’Azienda sanitaria, finalizzati alla regolazione degli aspetti paritetici del rapporto concessorio che si instaura fra P.A. e privati in base all’accreditamento (quantitativo di prestazioni erogabili, modalità di pagamento, etc.).
Tali contratti, per quanto concerne la remunerazione delle prestazioni, rimandano alle tariffe in vigore ratione temporis, il che è anche logico, essendo il prezzo un elemento essenziale del contratto di somministrazione, ex artt. 1325, 1470 e 1570 c.c.

II. Così ricostruito per sommi capi il sistema in cui si inserisce il rapporto in essere fra le ricorrenti e il SSR, occorre a questo punto dare conto delle vicende per cui è causa.

Nel 2006 le strutture ricorrenti hanno stipulato contratti di somministrazione con l’ASL Taranto, in base ai tetti di spesa fissati dalla stessa Azienda sanitaria; tali contratti facevano ovviamente rimando, per quanto concerne i corrispettivi, alle tariffe vigenti nella Regione Puglia. In base, poi, ad un modus operandi ormai affermatosi in ambito regionale (e che ha trovato condivisione anche nella giurisprudenza costituzionale – cfr. le citate sentenze della Consulta n. 111 del 2005 e n. 257 del 2007), per l’anno 2007, in attesa della quantificazione definitiva delle risorse da destinare all’acquisto delle prestazioni sanitarie dagli operatori privati (quantificazione rimessa al c.d. DIEF – Documento di Indirizzo Economico e Funzionale – che la Giunta Regionale adotta di solito nel periodo settembre-ottobre dell’anno di riferimento), avrebbe operato lo stesso tetto di spesa relativo al 2006. Per quanto concerne i corrispettivi, invece, avrebbero trovato applicazione le tariffe vigenti, tenuto conto che con D.M. 12 settembre 2006 (pubblicato sulla G.U. del 13 dicembre 2006) il Ministro della Salute, nel dare attuazione al disposto del citato art. 1, comma 170, della L. n. 311/2004, ha stabilito di confermare le tariffe del 1996 (per inciso, la scelta del citato Ministero di confermare le tariffe del 1996 non è stata contestata dalle odierne ricorrenti nel presente giudizio).

Su questo scenario sono intervenuti dapprima l’art. 1, comma 796, let. o), della L. 27 dicembre 2006, n. 296, e successivamente l’art. 33 della L.R. pugliese 16 aprile 2007, n. 10, poi modificato dall’art. 2 della L.R. 5 giugno 2007, n. 16.

La norma statale ha stabilito che “…fatto salvo quanto previsto in materia di aggiornamento dei tariffari delle prestazioni sanitarie dall’articolo 1, comma 170, quarto periodo, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, come modificato dalla presente lettera, a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge le strutture private accreditate, ai fini della remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale, praticano uno sconto pari al 2 per cento degli importi indicati per le prestazioni specialistiche dal decreto del Ministro della sanità 22 luglio 1996, pubblicato nel supplemento ordinario n. 150 alla Gazzetta Ufficiale n. 216 del 14 settembre 1996, e pari al 20 per cento degli importi indicati per le prestazioni di diagnostica di laboratorio dal medesimo decreto. Fermo restando il predetto sconto, le regioni provvedono, entro il 28 febbraio 2007, ad approvare un piano di riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio, al fine dell’adeguamento degli standard organizzativi e di personale coerenti con i processi di incremento dell’efficienza resi possibili dal ricorso a metodiche automatizzate….”, di talché la Regione e le ASL competenti hanno comunicato alle strutture accreditate (fra cui le ricorrenti) che, a far tempo dal 1° gennaio 2007, la remunerazione delle prestazioni sarebbe avvenuta applicando lo sconto del 20%, da calcolarsi sulle tariffe di cui al citato D.M. 22 luglio 1996 (o, il che è lo stesso, di cui al D.M. 12.9.2006).

Il Legislatore regionale (art. 33 L.R. n. 10/2007, come modificato dalla L.R. n. 16/2007), dal canto suo, ha statuito che “1. Il documento di indirizzo economico e funzionale (DIEF), che definisce l’utilizzazione del fondo sanitario attribuito alla Regione per l’anno 2007, determina le tariffe relative alle prestazioni di laboratorio da applicare a far data dalla sua approvazione.
2. Fino all’emanazione dei nuovi livelli di assistenza nazionali (LEA), per il periodo compreso tra il 1° gennaio e la data di approvazione del DIEF di cui al comma 1, le tariffe relative alle suddette prestazioni sono quelle riportate nel nomenclatore tariffario regionale delle prestazioni specialistiche ambulatoriali di patologia clinica indicata nell’allegato A) della Delib.G.R. 22 settembre 1998, n. 3784 alle quali si applica lo sconto del 20 per cento previsto dall’articolo 1, comma 796, lettera o), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007).
3. Il maggiore onere riveniente dall’attuazione del comma 2 è posto a carico del bilancio autonomo della Regione”.

Pertanto, per il corrente anno 2007 (quantomeno per il periodo che va dal 1° gennaio alla data di adozione del DIEF) i ricorrenti si vedranno decurtare i compensi per le prestazioni erogate del 20% rispetto alle tariffe regionali (ancora) vigenti, mentre, in base a quanto reso noto dalla difesa dei ricorrenti all’odierna camera di consiglio, la norma della Legge finanziaria per il 2007 è stata applicata dall’ASL in relazione alle prestazioni erogate nel mese di dicembre 2006 (lo sconto del 20%, per la precisione, è stato applicato prendendo a base le tariffe di cui D.M. 12.9.2006).

III. Tale incisione degli interessi delle ricorrenti è stata prodotta da tipiche leggi-provvedimento, non sussistendo alcun dubbio circa il fatto che, operando nel modo di cui si è detto, il Legislatore statale e quello regionale hanno inciso unilateralmente su un elemento, peraltro fondamentale, del sinallagma negoziale che lega le singole ASL e le strutture private accreditate, non ponendo quindi precetti generali ed astratti.

A livello generale, non è in discussione il potere della P.A. di stabilire le tariffe dei servizi pubblici, essendo anzi la tariffa tipica espressione del potere di intervento nell’economia che l’art. 41 Cost. attribuisce all’Autorità amministrativa di settore al fine di consentire ad un numero quanto più ampio di cittadini di accedere ai servizi pubblici (il che sarebbe reso oltremodo difficoltoso per la maggioranza degli utenti laddove le prestazioni ascrivibili al genus “servizi pubblici” – i quali coprono proprio i bisogni fondamentali della persona – dovessero essere remunerati ai prezzi di mercato). Anche nel caso del servizio sanitario la legge attribuisce all’Amministrazione di settore tale potere, il quale, in base alla consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr., per tutte, la sentenza n. 347 del 1995, richiamata anche nella recente sentenza n. 267 del 2007) ben può essere esercitato mediante lo strumento legislativo, non essendo precluso alla legge ordinaria alcun settore di intervento.

Peraltro, il problema posto da una legge-provvedimento sta nel grado di sindacabilità dell’operato della P.A. a fronte dell’esercizio di un potere amministrativo mediante lo strumento legislativo.

Laddove le tariffe per cui è causa siano stabilite con provvedimento amministrativo (come accadeva ad esempio per i provvedimenti del CIP in materia di prezzi “politici” o come accade oggi per le tariffe relativi a servizi erogati nei mercati in cui esistono Autorità di regolazione – tariffe dell’energia elettrica e del gas, tariffe della telefonia, etc.), l’operatore privato che ritenga illegittime le determinazioni dell’Autorità competente può adire il giudice amministrativo, censurando i provvedimenti di fissazione delle tariffe in base ai consueti parametri (difetto di istruttoria, errore nei presupposti, e così via). Se però la determinazione delle tariffe viene fatta con legge, non essendo previsto dall’ordinamento un sindacato diffuso sulla costituzionalità delle leggi, all’operatore privato non resta che chiedere al giudice adito la rimessione della q.l.c. della legge-provvedimento alla Consulta, previa delibazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione, non tollerando gli artt. 24 e 113 Cost. alcuna sacca di immunità per l’operato della P.A.

Naturalmente, a parte il richiamo ad alcune norme costituzionali (di solito, l’art. 97 Cost. o, nel caso venga in evidenza il rapporto fra fonte statale e fonte regionale, l’art. 117 Cost.), il ricorso avverso la legge-provvedimento contiene in pratica le medesime censure che sarebbero state sollevate nei riguardi del provvedimento che la P.A. ha sostituito con l’atto legislativo.

Ed è quanto accaduto nel presente giudizio, in cui le ricorrenti hanno censurato l’incostituzionalità degli artt. 1, comma 796, let. o) della L. n. 296/2006 e 33 della L.R. n. 10/2007, oltre che per contrasto con gli artt. 32 e 117 Cost., anche per difetto di istruttoria (sul punto si tornerà infra, quando si darà conto della non manifesta infondatezza della q.l.c.).

IV. Passando ora agli aspetti procedurali, la questione di legittimità costituzionale è rilevante nel presente giudizio, in quanto, per effetto delle norme impugnate, le strutture ricorrenti si sono viste decurtare i compensi per le prestazioni erogate e da erogare nel mese di dicembre 2006 e nel corso del 2007 (perlomeno fino all’adozione del DIEF) e il giudice adito non potrebbe apprestare alcuna tutela delle posizioni giuridiche che si assumono lese fintantoché restino in vigore le disposizioni di cui all’art. 1, comma 796, let. o) della L. n. 296/2006 ed all’art. 33 L.R. n. 10/2007.

Inoltre, il giudice adito è munito di giurisdizione sulla controversia, in quanto i provvedimenti di fissazione delle tariffe sono espressione di potere pubblicistico, ergo dell’impugnazione del tariffario deve conoscere il giudice degli interessi legittimi. Il fatto che nel caso di specie le tariffe sono state determinate con legge anziché mediante lo strumento del provvedimento non sposta ovviamente i termini della questione, anche perché, a volere diversamente opinare, si consentirebbe al Legislatore di derogare alle regole di riparto della giurisdizione ed al principio del “giudice naturale”.

Infine, sono da rigettare le eccezioni di inammissibilità/improcedibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, formulate dalla difesa della Regione Puglia, la quale da un lato sostiene che gli atti impugnati con il ricorso introduttivo erano stati già superati, alla data di notifica del ricorso, dalla normativa di cui all’art. 33 della L.R. n. 10/2007, dall’altro che con i motivi aggiunti si censura una norma anch’essa superata (dalla modifica di cui alla successiva L.R. n. 16/2007).

Al riguardo, il Collegio osserva che:
– la prima eccezione è infondata in quanto, come chiarito in precedenza, le disposizioni regionali che fanno riferimento alla norma della Legge finanziaria statale sono state applicate per quanto concerne le prestazioni del mese di dicembre 2006, in assenza di una corrispondente norma regionale, per cui sotto questo sia pur limitato profilo sussiste ancora in capo alle ricorrenti l’interesse ad agire avverso la legge statale;

– la seconda eccezione, che investe invece le tariffe da applicarsi nel 2007, poggia su un elemento meramente formale, in quanto, dal punto di vista sostanziale, non c’è differenza, se non quantitativa, fra gli effetti che derivano dall’applicazione della originaria versione dell’art. 33, comma 2, della L.R. n. 10/2007 (in cui si fa riferimento, quale tariffario su cui applicare lo sconto del 20%, alla deliberazione di G.R. n. 3006/1997) e quelli che derivano dall’attuale versione della norma in questione (in cui si fa invece riferimento alla deliberazione di G.R. n. 3784/1998). In entrambi i casi, ciò che si contesta è proprio l’imposizione dello “sconto”, a prescindere dal tariffario sul quale esso opera.

Pertanto, il Tribunale è abilitato ad investire la Corte Costituzionale della presente q.l.c.

V. Per ciò che attiene alla non manifesta infondatezza della q.l.c., il Collegio ritiene che le norme censurate siano confliggenti con gli artt. 32, 41, 97 e 117 Cost., per le seguenti ragioni.

V.1. La tariffa, come è noto, è un valore numerico che esprime il costo di un bene o di un servizio, determinato in base a considerazioni e valutazioni che solitamente trascendono il puro e semplice riferimento ai costi dei fattori produttivi, e ciò per le ragioni espresse al precedente punto I. Inoltre, mentre nei mercati non soggetti a regolazione amministrativa l’operatore economico è libero di determinare il prezzo di vendita dei beni e servizi da lui erogati, adeguandolo continuamente agli incrementi dei costi di produzione, nel caso delle tariffe gli operatori privati che accettano il sistema della remunerazione a tariffa (e questo è ciò che accade per gli operatori sanitari privati accreditati con il SSN) non possono adeguare i corrispettivi agli incrementi dei costi di produzione, essendo tale facoltà rimessa unicamente all’Autorità concedente.

Al riguardo, dispone l’art. 8-sexies del D.Lgs. n. 502/1992, il quale, ai commi 5 e 6, prevede espressamente che “…5. Il Ministro della sanità, sentita l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell’articolo 120, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, con apposito decreto individua i sistemi di classificazione che definiscono l’unità di prestazione o di servizio da remunerare e determina le tariffe massime da corrispondere alle strutture accreditate, in base ai costi standard di produzione e di quote standard di costi generali, calcolati su un campione rappresentativo di strutture accreditate, preventivamente selezionate secondo criteri di efficienza, appropriatezza e qualità della assistenza. Lo stesso decreto stabilisce i criteri generali in base ai quali le regioni, adottano il proprio sistema tariffario, articolando tali tariffe per classi di strutture secondo le loro caratteristiche organizzative e di attività, verificati in sede di accreditamento delle strutture stesse. 6. Con la procedura di cui al comma 5, sono effettuati periodicamente la revisione del sistema di classificazione delle prestazioni e l’aggiornamento delle relative tariffe, tenendo conto della definizione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza e delle relative previsioni di spesa, dell’innovazione tecnologica e organizzativa, nonché dell’andamento del costo dei principali fattori produttivi…”.

Come si vede, la norma menziona, quale elemento fondamentale di cui tenere conto nella determinazione delle tariffe, i costi di produzione (o, nello spirito della tariffa, una quota di essi) e prevede un certo iter istruttorio, basato sulla rilevazione periodica dei costi ma anche sulla revisione dei c.d. LEA (Livelli Essenziali di Assistenza).

V.2. Queste regole, a prescindere dalle questioni inerenti i rapporti fra norma statale e norma regionale – quali definiti dall’art. 117 Cost. – esprimono innanzitutto principi di buon senso, a cui la P.A. e il Legislatore non possono non attenersi, soprattutto allorquando il potere pubblicistico venga ad incidere sulla materia negoziale.

In effetti, il rapporto fra SSR e strutture private appartiene al genus della concessione amministrativa, per cui esso si compone, secondo una nota e condivisa teoria, di provvedimenti (nel caso di specie, in primo luogo quello con cui viene rilasciato il c.d. accreditamento – cfr. al riguardo la L.R. pugliese 28 maggio 2004, n. 8, e s.m.i. – nonché quelli con cui vengono annualmente stabiliti i tetti di spesa), a cui “accede” un contratto privatistico, il quale stabilisce fondamentalmente la quantità di prestazioni che la struttura accreditata può erogare nell’anno di riferimento e il prezzo a cui tali prestazioni sono remunerate. Questo prezzo è sì costituito da una tariffa, ossia da un valore la cui determinazione è rimessa al concedente o ad un’altra autorità amministrativa, ma questo non significa che la tariffa non debba essere fissata in base a criteri oggettivi e verificabili dal contraente privato.

Ma, del resto, accade sovente in materia concessoria che insorgano controversie fra concedente e concessionario circa gli aspetti patrimoniali del rapporto e tali controversie trovano soluzione di fronte al giudice competente (o ad un collegio arbitrale), il quale è chiamato a verificare se la P.A. concedente ha ben applicato le clausole della concessione che stabiliscono le modalità di determinazione dei corrispettivi spettanti al concessionario (si pensi, ad esempio, alla nota vicenda delle concessioni autostradali, in cui l’incremento delle tariffe da applicare all’utenza – cd. pedaggio – viene determinato dall’ANAS in base ad una serie di parametri, fra cui l’importo degli investimenti operati dal concessionario in un arco temporale di riferimento).

Se però, come nel caso di specie, la tariffa viene fissata con legge e la relativa norma si limita ad imporre uno sconto (oltretutto del 20%) sulle tariffe vigenti, senza dare conto delle ragioni della misura fissata (si pensi alla circostanza che la L. n. 296/2006 avrebbe potuto anche imporre uno sconto del 90% o del 70%), ne risultano violati i principi di cui all’art. 41 Cost. Tra l’altro, lo sconto viene applicato su tariffe molto risalenti (quelle statali rimontano al 1996, quelle regionali pugliesi al 1998) e ciò appare irragionevole, non potendosi dubitare del fatto che, in dieci anni, i costi dei fattori produttivi (si pensi, per tutti, alla remunerazione del personale) siano cresciuti, a volte anche sensibilmente. Ma in ogni caso, anche se per ipotesi i costi di produzione fossero rimasti costanti o addirittura diminuiti nel periodo di tempo summenzionato, ciò avrebbe dovuto risultare da una compiuta istruttoria, quella stessa istruttoria che ha preceduto l’adozione dei DD.MM. 22 luglio 1996 e 12 settembre 2006 e della deliberazione di G.R. n. 3784/1998 (vedasi a quest’ultimo riguardo la documentazione depositata dalla Regione in esecuzione dell’ordinanza istruttoria n. 759/2007).

Ed in effetti, tenuto conto del fatto che il D.M. 12.9.2006 ha confermato le tariffe del 1996, con ciò volendo significare che quelle tariffe sono da ritenere ancora congrue a distanza di dieci anni dalla loro determinazione, non si può non rilevare la contraddittorietà del Legislatore statale, il quale, dopo appena tre mesi dall’approvazione del D.M. 12.9.2006 – pubblicato fra l’altro sulla G.U. del 13.12.2006 – ritiene non più congrue le predette tariffe.

V.3. Naturalmente, le difficoltà che alle strutture private derivano dall’applicazione delle regole di cui all’art. 1, comma 796, let. o) della L. n. 296/2006 ed all’art. 33 L.R. n. 10/2007 sono in grado di compromettere anche la piena esplicazione del diritto di cui all’art. 32 Cost., visto che le strutture private accreditate potrebbero incontrare difficoltà a garantire la piena funzionalità dei servizi, il che, in un sistema che vede la sanità publica non in grado di assicurare tempestivamente l’erogazione delle prestazioni sanitarie, può compromettere il diritto alla salute e il diritto di libera scelta dei cittadini-utenti.

A questo riguardo, si deve evidenziare che la presenza significativa degli operatori privati nel SSN risponde ad esigenze insopprimibili dell’Amministrazione sanitaria, la quale non riesce, con le proprie strutture, a garantire l’erogazione delle prestazioni sanitarie a favore degli utenti, per cui non si potrebbe nemmeno sostenere che le strutture private, se ritengono non convenienti le tariffe, possono “uscire” dal sistema.

Spetta invece all’Amministrazione competente, previa adeguata istruttoria, decidere se rilasciare o meno l’accreditamento (questo, in base alla legislazione pugliese, compete alla Regione) e stabilire annualmente il volume di prestazioni che intende acquistare dai privati (questo compete invece alle ASL territoriali); nel momento in cui rilascia l’accreditamento e fissa i tetti di spesa annuali, l’Amministrazione sanitaria riconosce di aver bisogno dell’ausilio degli operatori privati, i quali vanno però adeguatamente remunerati.

V.4. La mancanza (o comunque la non allegazione) di una compiuta istruttoria dà luogo altresì ad una violazione dell’art. 97 Cost., in quanto la P.A. (e la cosa vale anche per il Legislatore-amministratore, ovviamente) deve sempre porre a base del proprio operato un’adeguata conoscenza dei fatti, della quale deve dare conto nella motivazione del provvedimento terminale. Nel caso della legge, naturalmente, la motivazione può anche consistere nel richiamo, espresso o implicito, ai lavori preparatori o ad altri atti (nella specie, però, l’istruttoria, che pure il Legislatore della L. n. 296/2006 ritiene necessaria, viene espressamente posticipata, il che dà luogo ad un’illogica inversione del procedimento).

V.5. Da ultimo, il sistema delineato dall’art. 1, comma 796, let. o) della Legge finanziaria per il 2007, recepito in pieno dal Legislatore pugliese, si pone in contrasto con l’art. 117 Cost., nel momento in cui lo Stato non si limita a dettare i criteri per la fissazione delle tariffe da parte delle Regioni, ma le fissa direttamente. A tal proposito, pur potendosi astrattamente ritenere che le esigenze di contenimento della spesa pubblica e il conseguente potere dello Stato di dettare norme di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, comma 3, Cost.) militino nel senso della legittimità in parte qua della L. n. 296/2006, si deve tenere conto dei recenti arresti della Corte Costituzionale in materia di limiti della legislazione statale in tema di individuazione dei settori in cui le Regioni debbono operare “tagli”: il riferimento è alle note sentenze della Consulta 390 del 2004, 417 e 449 del 2005, 88 del 2006 e 157 del 2007, in cui si è ritenuto non spettare allo Stato l’individuazione dettagliata delle voci di costo dei bilanci regionali da ridurre, potendo il Legislatore statale stabilire solo i principi fondamentali della materia e, al limite, la misura delle riduzioni di spesa.
Nel caso di specie, però, il Legislatore statale non si è limitato a ciò, in quanto lo sconto del 20% viene applicato al tariffario vigente nella sua globalità, il che è come dire che lo Stato ha rideterminato nel dettaglio le tariffe in questione.

VI. Per tutto quanto detto, non appare nemmeno utile l’invocazione, contenuta nell’incipit del comma 796 dell’art. 1 della Legge finanziaria per il 2007 alle esigenze di “…garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009, in attuazione del protocollo di intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per un patto nazionale per la salute sul quale la Conferenza delle regioni e delle province autonome, nella riunione del 28 settembre 2006…”, sia perché tali ragioni non possono essere opposte, in assenza di adeguata istruttoria, agli operatori privati, sia perché non appare costituzionalmente giustificata l’incisione di interessi privati in nome delle sempre invocate ragioni di contenimento della spesa pubblica.

Tali esigenze, se portate alle estreme conseguenze, potrebbero autorizzare, ad esempio, anche la riduzione, in corso d’opera, dei corrispettivi dovuti agli appaltatori di lavori pubblici o delle retribuzioni dei dipendenti della P.A., il che non appare conforme ai principi fondamentali del nostro ordinamento, il quale, come sottolineato in precedenza, riconosce e tutela la proprietà privata e la libertà di iniziativa economica.

In materia sanitaria, il contenimento della spesa può essere perseguito attraverso incisivi controlli sulla congruità delle prescrizioni mediche e attraverso una migliore organizzazione complessiva e non solo mediante tagli alle tariffe (le quali ben possono essere ridotte, ma solo se ne dimostri l’incongruità).

Del resto, in una vicenda analoga, in cui pure la P.A., utilizzando lo strumento legislativo, ha inciso unilateralmente su diritti di concessionari pubblici, il giudice amministrativo (TAR Lazio, Sez. I, ord. 23 maggio 2007, n. 880) ha investito della questione il Giudice comunitario, ritenendo non manifestamente infondata la questione di compatibilità comunitaria (artt. 43, 49 e 56 del Trattato, nonché i principi comunitari in materia di certezza del diritto e di tutela dell’affidamento) dell’art. 12 del decreto legge 31 gennaio 2007 n. 7, convertito con modificazioni nell’art. 13 della legge 2 aprile 2007 n. 40, nella parte in cui dispone la revoca delle concessioni relative alla realizzazione di alcune tratte ferroviarie ad alta velocità (c.d. TAV), con estensione dei relativi effetti alle convenzioni stipulate con i general contractors, nonché nella parte in cui limita l’indennizzo riconoscibile in favore di questi ultimi secondo quanto stabilito dal comma 8-duodevicies.

VII. Riassumendo, il Tribunale ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale:

– dell’art. 1, comma 796, let. o) della L. n. 296/2006, in relazione ai provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo e nei limiti dell’interesse delle ricorrenti (prestazioni erogate nel mese di dicembre 2006);

– del combinato disposto fra il citato art. 1, comma 796, let. o) della L. n. 296/2006 e l’art. 33, comma 2, della L.R. pugliese n. 10/2007, come modificato dall’art. 2 della L.R. pugliese n. 16/2007, nella parte in cui tali norme impongono alle strutture sanitarie provvisoriamente accreditate con il SSR (ed in particolare alle ricorrenti) una decurtazione del 20% sulle tariffe di cui alla deliberazione di G.R. n. 3784/1998.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Seconda Sezione di Lecce, solleva la questione della legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 796, let. o) della L. n. 296/2006 e dell’art. 33, comma 2, della L.R. pugliese n. 10/2007, come modificato dall’art. 2 della L.R. pugliese n. 16/2007, per contrasto con gli artt. 32, 41, 97 e 117 della Costituzione.

Sospende il giudizio in corso e dispone che, a cura della Segreteria, gli atti del giudizio siano trasmessi alla Corte Costituzionale e che il presente atto sia notificato alle parti, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Presidente della Giunta Regionale della Puglia, e sia comunicato ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica ed al Presidente del Consiglio Regionale della Puglia.

Così deciso in Lecce, in camera di consiglio, il 27 settembre 2007. Pubblicata il 19 ottobre 2007.

Redazione

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