La Relazione al disegno di legge sul federalismo fiscale

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Disegno di legge n. 1117

atti del Senato

"Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione"

La relazione illustrativa


Onorevoli Senatori.

1. La questione del federalismo fiscale

Il tema del federalismo fiscale rappresenta, per diversi aspetti, una pagina «bianca» della nostra storia repubblicana che attende ancora di essere scritta in modo da attuarne compiutamente presupposti e potenzialità.

Da tempo la Corte costituzionale ha sottolineato, in numerose occasioni, l’urgenza di concretizzare l’attuazione legislativa dell’articolo 119 della Costituzione. La sentenza n. 370 del 23 dicembre 2003 già affermava: «appare evidente che l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione sia urgente al fine di concretizzare davvero quanto previsto nel nuovo Titolo V della Costituzione, poiché altrimenti si verrebbe a contraddire il diverso riparto di competenze configurato dalle nuove disposizioni».

Tuttavia, nonostante queste autorevoli indicazioni, nel dibattito pubblico fino a non molto tempo addietro e in alcuni casi ancora oggi, il tema del federalismo fiscale è stato trattato in modo strumentale, prospettando l’esplosione della spesa pubblica, l’aumento della pressione fiscale, la frattura del Paese. L’opinione pubblica veniva condotta in una sorta di Torre di Babele delle più svariate – e spesso incompetenti – opinioni senza mai dare atto del reale problema del nostro Paese, dove il federalismo è una grande incompiuta, innanzitutto proprio per mancanza del federalismo fiscale. Di questa drammatica incompiutezza sta ora maturando la consapevolezza, nell’evidenza che è proprio la mancanza di federalismo fiscale a deprimere la competitività del sistema – sottraendo risorse agli impieghi produttivi e sociali – a rischiare di spaccare il Paese, a determinare, per mancanza di una adeguata responsabilizzazione e accountability, l’aumento incontrollato della spesa pubblica.

Senza federalismo fiscale, infatti, lo Stato non si ridimensiona, nonostante abbia ceduto forti competenze legislative e amministrative, e le regioni e gli enti locali non si responsabilizzano nell’esercizio delle nuove competenze ricevute con la «legge Bassanini» (1998) prima e con la riforma costituzionale di cui alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, poi.

Infatti, perpetrare un modello di sostanziale «finanza derivata» in un Paese che con la riforma costituzionale del 2001 ha decentrato forti competenze legislative, crea problematiche confusioni, dissocia la responsabilità impositiva da quella di spesa, genera una situazione istituzionale che rende ingovernabili i conti pubblici. In altre parole, favorisce la duplicazione di strutture, l’inefficienza e la deresponsabilizzazione.

Lo dimostrano numerosi dati della spesa pubblica degli ultimi anni sia sul fronte statale sia su quello regionale.

Un sistema di finanza derivata, con ripiani a pie’ di lista alle amministrazioni inefficienti o con criteri basati sulla spesa storica, finisce per premiare chi più ha creato disavanzi, favorisce quelle politiche demagogiche che creano disavanzi destinati prima o poi ad essere coperti dalle imposte a carico di tutti gli italiani. Un sistema di finanza derivata finisce, cioè, per consacrare il principio per cui chi ha più speso in passato può continuare a farlo, mentre chi ha speso meno – perché è stato più efficiente – deve continuare a spendere di meno.

Senza rovesciare questa dinamica e senza reali incentivi all’efficienza non si potranno creare sufficienti motivazioni per una razionalizzazione della spesa pubblica. L’esperienza della sanità è molto significativa al riguardo: i costi per l’erario sono quasi raddoppiati in dieci anni passando dai 55,1 miliardi di euro del 1998 ai 101,4 miliardi di euro del 2008; e questo nonostante le misure di contenimento previste nelle leggi finanziarie di quegli anni.

Rispetto a questa situazione, è significativo che una recente indagine, dedicata alle riforme istituzionali, abbia messo in luce che il 60,8 per cento degli intervistati, a livello nazionale, ritiene il federalismo fiscale una riforma in grado di consentire una maggior efficienza e trasparenza del prelievo fiscale e/o minori sprechi a livello regionale o locale. È un dato significativo che mette in evidenza come, nella generalità dell’opinione pubblica, nonostante la complessità dell’argomento e la retorica che spesso ha inquinato il dibattito, si stia acquisendo consapevolezza che il federalismo fiscale costituisce una riforma indispensabile per combattere l’inefficienza e aggiornare alcuni elementi del «patto fiscale», in conformità ad una più moderna declinazione del principio no taxation without representation. Come affermava Einaudi, infatti, «il cittadino vuole sapere perché paga le imposte».

Senza la riforma del federalismo fiscale, invece, nel sistema istituzionale risultante dalla citata riforma costituzionale del 2001 non si riescono ad attivare in modo adeguato i necessari meccanismi di responsabilizzazione verso gli elettori locali e non si potrà quindi favorire la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità. In assenza di queste condizioni, la spesa pubblica in Italia non potrà essere contenuta in modo efficace e senza gravi distorsioni.

Non può sottacersi che dalla riforma costituzionale del 2001 non sono mancati momenti di approfondimento e di studio delle possibilità di attuazione del federalismo fiscale. Negli anni tra il 2003 e il 2006 c’è stato l’imponente lavoro dell’Alta commissione di studio per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale; nella XV legislatura si sono avviati gruppi di lavoro e si è arrivati alla definizione di un disegno di legge di attuazione del citato articolo 119; la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ha approvato un importante documento sui princìpi applicativi del medesimo articolo 119, così come da parte delle associazioni degli enti locali sono stati elaborati rilevanti contributi. La stessa giurisprudenza costituzionale, in questi anni, ha definito con chiarezza i contenuti specifici dell’articolo 119 della Costituzione sia riguardo all’autonomia impositiva sia a quella di spesa.

Tutti questi contributi sono considerati come un patrimonio importante da questo disegno di legge, che li porta a sintesi e apre una nuova fase politico-istituzionale diretta a dare avvio agli elementi costitutivi di un nuovo patto fiscale, dove la responsabilità nel reperimento delle risorse e l’autonomia di spesa si saldano in modo virtuoso. In base a questo principio, i criteri di convergenza economico-finanziaria richiesti dall’Unione europea diventano le condizioni entro cui le classi politiche espresse dai territori possono far valere i propri talenti e le proprie vocazioni.

2. Le linee complessive del disegno di legge

Premesse tali brevi considerazioni e passando ora più compiutamente al contenuto del disegno di legge, che è il frutto di un percorso ampiamente condiviso con tutti i livelli di governo interessati, risulta evidente, fin dal titolo, che esso ha ad oggetto specifico l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, ferma restando la vigente disciplina relativa all’attuazione dell’articolo 118, con riguardo al trasferimento di funzioni amministrative.

Nelle sue linee complessive, il disegno di legge di delega contiene una serie di princìpi e criteri direttivi di carattere generale rivolti ad informare lo sviluppo dell’intero sistema di federalismo fiscale. Si tratta di princìpi di coordinamento e di soluzioni in tema di perequazione che hanno ottenuto un’ampia e comune condivisione all’interno delle elaborazioni in precedenza richiamate.

In questo modo, il disegno di legge definisce i lineamenti di un quadro diretto a permettere l’esercizio concreto dell’autonomia tributaria, prevedendo che le regioni, ma solo nelle materie non assoggettate a imposizione da parte dello Stato, possano istituire tributi regionali e determinare le materie e gli ambiti nei quali possa essere esercitata l’autonomia tributaria degli enti locali.

Viene fissato quindi il quadro istituzionale dei rapporti finanziari tra i vari livelli di governo, stabilendosi in particolare l’avvio di un percorso graduale, caratterizzato da una fase transitoria e progressiva, che restituisca razionalità alla distribuzione delle risorse, rendendola coerente con il costo standard delle prestazioni erogate. Affinché le potenzialità positive del federalismo – positive per la partecipazione democratica e per il controllo dei cittadini, per la concorrenza emulativa tra comunità e governi locali – possano dare frutti, occorre superare per tutti i livelli istituzionali il criterio della spesa storica, che va a sostanziale vantaggio degli enti meno efficienti e favorisce la deresponsabilzzazione. La spesa storica, infatti, riflette sia i fabbisogni reali (quelli standard) riferiti al mix di beni e servizi offerti dalle regioni e dagli altri enti locali, sia vere e proprie inefficienze. Mentre il primo fattore ha una valenza economica e sociale significativa, l’altro rappresenta un fattore negativo che non merita riconoscimento. Si tratta allora di costruire parametri di spesa standard sulla base di obiettivi che tengano conto dei relativi costi di soddisfacimento, in un confronto equilibrato e perequato delle esigenze delle diverse aree del Paese. Nell’assetto definitivo, quindi, i fabbisogni di spesa non dovranno semplicemente coincidere con la spesa storica, come di fatto avviene oggi. In questo contesto prende corpo l’importante disegno di perequazione, diretto a coniugare l’inderogabile principio costituzionale di solidarietà con l’altrettanto significativo principio costituzionale di buona amministrazione.

Viene garantito un adeguato livello di flessibilità fiscale nello sviluppo del disegno complessivo, attraverso la previsione di un paniere di tributi propri e compartecipazioni, specificato nei vari elementi costitutivi, la cui composizione sia rappresentata in misura rilevante da tributi manovrabili, in un quadro dove viene però ribadita, a giusta garanzia del cittadino, la necessità della semplificazione, della riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti, l’efficienza nella amministrazione dei tributi, la razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema nel suo complesso.

Attraverso questa impostazione si ottiene sia il risultato di un’ordinata responsabilizzazione finanziaria delle regioni e degli enti locali sia la possibilità di sviluppare, a livello regionale e locale, politiche economiche anche attraverso la leva fiscale.

Regioni ed enti locali vengono così messi nelle condizioni di attuare una piena valorizzazione delle risorse presenti sui territori, ad esempio anche attraverso speciali esenzioni, deduzioni e agevolazioni. Si tratta di un’ottica di applicazione della sussidiarietà fiscale che permette ai territori di incentivare le loro vocazioni e i loro punti di forza, offrendo una possibilità di intervento mirata che non sarebbe egualmente possibile con misure adottate dal livello centrale in modo uniforme sul territorio nazionale.

Tra gli altri princìpi che vengono ad informare il disegno complessivo, va messo in evidenza, in particolare, quello della territorialità – specificamente previsto nell’articolo 119 della Costituzione – nell’attribuzione dei gettiti, in modo da responsabilizzare – salvo l’effetto della perequazione – le politiche territoriali nel favorire dinamiche di sviluppo. È garantita una riduzione della imposizione fiscale statale, in modo adeguato alla maggiore autonomia di regioni ed enti locali.

Ulteriore elemento di novità è l’istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di seguito denominata «Conferenza», istituita nell’ambito della Conferenza unificata e disciplinata dai decreti legislativi in modo, tra l’altro, da concorrere alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto e delle procedure per accertare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica, da promuovere l’attivazione degli interventi necessari per il rispetto di tali obiettivi, da verificarne l’attuazione. La Conferenza sarà chiamata anche a monitorare il corretto utilizzo del fondo perequativo secondo princìpi di efficacia ed efficienza.

Il ruolo della Conferenza assume significato alla luce di alcune brevi considerazioni. Non si dimentichi, infatti, che la Costituzione italiana prevede, sì, il principio di uguaglianza di trattamento dei cittadini riguardo a certi servizi rilevanti per il godimento dei diritti civili e sociali, ma sancisce anche il principio della buona amministrazione. È quindi necessario contemperare il principio di eguaglianza con quello della sana amministrazione anche quando si voglia ridisegnare l’assetto finanziario delle regioni per adeguarlo alla riforma costituzionale del 2001. Da questo punto di vista, una semplice forma di monitoraggio multilaterale può fare leva sul contrasto di interessi fra le regioni che finanziano il fondo perequativo e le regioni che ricevono i contributi perequativi, in quanto le prime hanno interesse, se non a limitare i trasferimenti perequativi, quanto meno a sollecitare un impiego produttivo dei fondi da parte delle regioni riceventi. In tal caso, infatti, attraverso il processo di sviluppo che si realizza, tutte le regioni condividerebbero i benefici della crescita. Si tratta di un processo che si è verificato con stupefacente rapidità in ambito europeo, dove Paesi in ritardo di sviluppo, come l’Irlanda e la Spagna, hanno conosciuto tassi di crescita molto sostenuti grazie ai finanziamenti comunitari, tanto da raggiungere e in qualche caso superare il reddito medio europeo. È la dimostrazione che gli aiuti finanziari diretti alle aree svantaggiate, se correttamente utilizzati, possono essere estremamente efficaci. Non è quello che sinora è accaduto in Italia: è evidente quindi che bisogna introdurre qualche forma di monitoraggio sul modo in cui le risorse sono impiegate, potenziare gli incentivi all’efficienza e sanzionare i casi di cattiva amministrazione.

Peraltro, va precisato che spesso, nell’ambito degli ordinamenti a struttura federale, il coordinamento della finanza pubblica non si esaurisce nella definizione, da parte dello Stato, di princìpi chiari e condivisi, ma è spesso integrato proprio dalla previsione di idonee sedi istituzionali, che garantiscono efficaci procedure di confronto e di monitoraggio sugli strumenti e sugli obiettivi della politica finanziaria.

La previsione di tali sedi istituzionali risulta, peraltro, decisiva allorché si tratta di garantire l’ordinata transizione da un sistema finanziario, come quello italiano, caratterizzato dalla permanenza di una finanza regionale e locale ancora in non piccola parte derivata, ad un nuovo sistema strutturato in chiave di maggiore autonomia.

L’analisi comparata delle diverse soluzioni organizzative che in tema di coordinamento della finanza pubblica sono state sviluppate da realtà istituzionali per molti aspetti assimilabili a quella italiana, può fornire, a questo riguardo, un termine di paragone senz’altro opportuno. Ad esempio, in Spagna, un ruolo rilevante è svolto dal Consiglio di politica fiscale e finanziaria istituito dall’articolo 3 della Legge organica sul finanziamento delle comunità autonome (LOFCA). Nel federalismo tedesco il Consiglio di pianificazione finanziaria (Finanzplanungsrat) è disciplinato dall’articolo 51 della Legge tedesca sui principi di bilancio (Haushaltsgrundsatzegesetz) che ne descrive la composizione e le competenze quale organo di coordinamento delle finanze della Federazione, dei Länder, dei comuni e delle Unioni di comuni. Il Finanzplanungsrat svolge rilevanti funzioni consultive in rapporto alla definizione delle politiche di bilancio dei diversi livelli di governo, analizzando l’incidenza dei vari fattori socio-economici sugli equilibri della finanza pubblica. In particolare mira a garantire il puntuale rispetto dei vincoli posti dall’articolo 104 del Trattato sull’Unione europea e dal Patto europeo di stabilità e crescita, contribuendo alla definizione del Programma di stabilità, formulando raccomandazioni sulla gestione delle politiche di spesa e monitorando gli andamenti dei conti pubblici. Le determinazioni del Finanzplanungsrat sono formalmente prive d’efficacia vincolante, ma esercitano una notevole influenza sui contenuti dei dibattiti parlamentari e sono tenute in grande considerazione dalle istituzioni comunitarie e dai mercati finanziari. L’elevatissimo contenzioso costituzionale e i forti attriti tra Stato, regioni e enti locali che in modo ricorrente negli ultimi anni si sono sviluppati in Italia in occasione della manovra finanziaria, nel confronto con l’esperienza spagnola e tedesca sembrerebbero dimostrare come, anche nel nostro Paese e soprattutto nell’attuale fase di transizione (e nelle more della istituzione di un futuro Senato federale), possa ritenersi fondamentale l’introduzione di un organo di questo tipo.

Tornando al disegno di legge, si evidenzia che esso risulta chiarificatore anche nella definizione dei tributi regionali che declinano in modo organico i princìpi già enunciati della flessibilità, della manovrabilità e della territorialità relativi dell’autonomia impositiva regionale. In particolare si utilizza la nozione di tributo proprio (tributo istituito dalla legge regionale) così come è stata definita dalla Corte costituzionale, mentre si fa riferimento ai tributi propri derivati per indicare quelli istituiti dalla legge statale e il cui gettito è assegnato alle regioni. In armonia con il dettato costituzionale, il sistema di finanziamento delle regioni individua nei tributi regionali e nelle compartecipazioni ai tributi erariali la fonte primaria di finanziamento delle funzioni ad essi attribuite. Ai tributi propri è affidato il compito di garantire la manovrabilità dei bilanci, l’adattamento dei livelli dell’intervento pubblico alle situazioni locali e la responsabilità delle amministrazioni locali. Le compartecipazioni, dal loro canto, garantiranno la stabilità, anche in senso dinamico, del volume delle risorse finanziarie.

Il disegno del sistema di finanziamento risponde, quindi, alle esigenze della stabilità e dell’autonomia. Nel contempo, viene garantito un sistema di trasferimenti perequativi capace di assicurare il finanziamento integrale (calcolato in base al costo standard) dei livelli essenziali delle prestazioni che concernono istruzione, sanità, assistenza, cui è assimilato il trasporto pubblico locale, e le funzioni fondamentali degli enti locali, secondo quanto previsto, rispettivamente, dalle lettere m) e p) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Ed è proprio da questo punto di vista che il disegno di legge entra nel merito della selezione delle competenze e quindi dei comparti di spesa. Questi vengono distinti, ai fini della definizione delle regole di finanziamento, tra spese riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni (ai sensi della lettera m) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione), spese relative al trasporto pubblico locale e altre spese. Per la sanità, l’assistenza e l’istruzione – che peraltro costituiscono il comparto di spesa decentrata decisamente più rilevante e per il quale sono particolarmente forti le esigenze di equità e di uniformità – è possibile calcolare i fabbisogni stessi in relazione alla nozione di costo standard. Per le altre competenze, il concetto di fabbisogno standard è sostanzialmente inapplicabile e quindi sconsigliato, anche perché, per esse, non esistono le preoccupazioni di ordine politico e sociale che possono suggerire la scelta della perequazione integrale. Rispetto ad esse è quindi attuata una perequazione alla capacità fiscale, tale da assicurare che le dotazioni di risorse non varino in modo eccessivo da territorio a territorio e quindi compatibile con una maggiore differenziazione territoriale nella composizione della spesa pubblica locale. Per le funzioni regionali autonome, che non sono cioè rappresentative di irrinunciabili esigenze di equità e di cittadinanza, è quindi prefigurato un sistema di finanziamento in cui il ruolo perequativo dello Stato risulta meno pervasivo: si tratta di ridurre ma non di annullare le differenze territoriali nelle dotazioni fiscali misurate sui tributi dedicati al finanziamento di tali interventi.

Riguardo, poi, alla spesa per il trasporto pubblico locale, nella determinazione dell’ammontare del finanziamento, si tiene conto della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale, nonché dei costi standard.

In altre parole, si garantisce il finanziamento integrale (sulla base di costi standard) delle prestazioni essenziali concernenti i diritti civili e sociali (sanità, istruzione e assistenza) e un adeguato finanziamento del trasporto pubblico locale sulla base degli specifici criteri indicati. Il finanziamento avviene attraverso il gettito dell’IRAP, in attesa che questa imposta venga sostituita con altri tributi propri regionali da individuare in una fase successiva, attraverso altri tributi regionali che i decreti legislativi dovranno individuare, in base al principio di correlazione, la riserva di aliquota sull’imposta sui redditi delle persone fisiche o l’addizionale regionale all’imposta sui redditi delle persone fisiche e attraverso la compartecipazione regionale all’IVA, nonché con quote del fondo perequativo, in modo tale da garantire nelle predette condizioni il finanziamento integrale in ciascuna regione. La parte residua delle spese viene, invece, finanziata con il gettito dei tributi regionali e con la perequazione, attuata in modo trasparente sulla capacità fiscale. Viene infine disposta la soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese enunciate.

In questo modo le funzioni individuate dalla lettera m) del secondo comma del citato articolo 117 (sanità, assistenza e istruzione) e su cui allo Stato spetta la definizione dei «livelli essenziali delle prestazioni» vengono a trovare una adeguata «protezione» anche sul lato finanziario, attribuendo strumenti finanziari sufficienti ad offrire i «livelli essenziali» (calcolati a costo standard) in condizioni di uniformità su tutto il territorio nazionale. Per le residue funzioni, l’uniformità nei livelli o nelle caratteristiche dell’offerta dei servizi sul territorio non solo non è necessaria, ma può essere perfino controproducente rispetto all’esigenza di differenziare le politiche per tenere conto di interessi specifici locali: per questo terzo tipo di funzioni sono quindi ammissibili sistemi di finanziamento e di perequazione meno pervasivi.

Si precisa ancora che, in conformità al dettato costituzionale, le quote del fondo perequativo non sono soggette a vincolo di destinazione e vengono previste adeguate coperture per l’assegnazione di nuove funzioni amministrative.

Viene da ultimo stabilito sul tema il principio per cui la perequazione delle differenze delle capacità fiscali sia applicata in modo tale da ridurre le differenze tra i vari territori, ma senza alterare l’ordine delle graduatorie. Si tratta di un principio in atto in altri ordinamenti regionali e federali che riprende ad esempio il principio sancito dalla Corte costituzionale tedesca nella sentenza dell’11 novembre 1999 (BVerfGE 101, 158), all’origine della riforma del federalismo fiscale in Germania.

Un’altra questione da mettere in evidenza e trattata dal disegno di legge riguarda l’assetto della finanza delle province e dei comuni, e in particolare il ruolo di coordinamento svolto dallo Stato e dalle regioni (ai quali, secondo la Costituzione, è affidata in materia una competenza legislativa concorrente). La scelta operata nel presente disegno di legge di delega è quella di configurare un assetto della finanza locale in cui viene attribuito un ruolo significativo anche alle regioni nel delineare schemi concreti di coordinamento della finanza degli enti locali, nel rispetto – per quanto riguarda la perequazione – dei criteri generali e delle importanti garanzie comunque fissate nel disegno di legge di delega. In particolare, si è inteso individuare un adeguato punto di equilibrio tra regioni ed enti locali, in sede di attuazione della perequazione statale all’interno di ogni territorio regionale secondo il metodo dell’intesa con gli enti locali: le regioni potranno ridefinire la spesa e le entrate standardizzate degli enti locali secondo i criteri di riparto fissati dal legislatore statale riferiti al proprio territorio. In caso di ritardo o di mancata distribuzione dei fondi da parte della regione, lo Stato potrà esercitare il potere sostitutivo nei suoi confronti.

Analogamente a quanto indicato per le regioni, viene poi proposta una classificazione delle spese degli enti locali che distingue tra spese riconducibili alle funzioni fondamentali, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione; spese relative alle altre funzioni; spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell’Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali.

Con riferimento alle fonti di finanziamento degli enti locali, spetterà allo Stato individuare i tributi propri dei comuni e delle province; a definirne i presupposti, soggetti passivi e basi imponibili; a stabilirne le aliquote di riferimento valide per tutto il territorio nazionale.

Viene delineato, in conformità con il quadro costituzionale, il sistema della finanza locale, attraverso la previsione di un paniere, rispettivamente dei comuni e delle province, costituito oltre che dalle compartecipazioni, da tributi propri (risultanti dall’attribuzione di tributi o parti di tributi già erariali, nonché dalla sostituzione o trasformazione di tributi già esistenti) e da addizionali, con garanzia di un’adeguata flessibilità.

Viene poi prevista la facoltà di istituzione di un tributo comunale e di uno provinciale che occorra per particolari scopi; accanto ad esso vengono contemplate forme premiali dirette a favorire le unioni e le fusioni tra comuni, replicando così una soluzione che ha avuto un notevole successo in altri ordinamenti, come quello francese, nel favorire l’associazionismo e le funzioni tra comuni di minori dimensioni.

Alle regioni, nell’ambito dei loro poteri legislativi in materia tributaria, si riconosce la potestà di istituire nuovi tributi comunali e provinciali nel proprio territorio, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali, sempre senza insistere su basi imponibili già coperte dall’imposizione statale.

Il finanziamento per gli enti locali delle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni da esse implicate avviene in base al fabbisogno standard.

L’autonomia degli enti locali si realizzerà anche, nei limiti fissati dalle leggi, attraverso il potere di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti, nonché di introdurre agevolazioni. Agli enti locali, inoltre, si riconosce, nel rispetto delle normative di settore, una piena autonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizi offerti anche su richiesta di singoli cittadini.

Da ultimo, il disegno di legge disciplina il coordinamento tra i diversi livelli di governo prevedendo che i decreti legislativi introducano alcune soluzioni innovative come quella di rendere evidente l’ordine della graduatoria delle capacità fiscali o quella in base a cui le regioni, al fine del raggiungimento degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica, possano adattare, previa concertazione con le autonomie presenti sul proprio territorio, le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti locali in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie.

Al fine di evitare misure che spesso hanno comportato un’indistinta compressione dell’autonomia di spesa per tutti gli enti a prescindere dalla qualità della gestione, viene inoltre previsto, a favore degli enti più virtuosi, un sistema premiante ed un meccanismo di tipo sanzionatorio per gli enti meno virtuosi, con differenziati meccanismi sanzionatori nei confronti degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali.

3. L’articolato del disegno di legge

Fatte queste premesse introduttive, volte a delineare la ratio complessiva del disegno di legge, e passando ad illustrarne i contenuti più in dettaglio, esso si compone di ventidue articoli, suddivisi in dieci Capi.

Il Capo I, «Contenuti e regole di coordinamento finanziario», comprende i primi quattro articoli. Più analiticamente:

– l’articolo 1 circoscrive l’ambito dell’intervento normativo specificando che la finalità del provvedimento nel suo complesso è quella di dare attuazione all’articolo 119 della Costituzione. Vengono indicati, altresì, i princìpi di cui si deve tenere conto nel perseguimento dell’obiettivo: tra questi si evidenziano quelli dell’autonomia di entrata e di spesa di regioni ed enti locali e quello di solidarietà e coesione sociale al fine di sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica;

– l’articolo 2 indica l’oggetto e le finalità del provvedimento, prevedendo che il Governo adotti, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione. Tali decreti assicureranno l’autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni, attraverso la definizione dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica e la definizione della perequazione. L’articolo individua i princìpi e i criteri direttivi di carattere generale per l’esercizio della delega, cui vanno poi ad aggiungersi gli specifici princìpi e criteri direttivi indicati nei singoli articoli successivi con riguardo ai diversi profili di attuazione del medesimo articolo 119. Tra i princìpi ed i criteri direttivi di carattere generale cui i suddetti decreti devono informarsi, si ricordano in particolare: quello della autonomia finanziaria di tutti i livelli di governo, in relazione alle rispettive competenze, secondo il principio di territorialità e nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza; quello del superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica; quello della tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria ed amministrativa; quello della continenza e della responsabilità nell’imposizione di tributi; quello della premialità dei comportamenti virtuosi a cui fa da contraltare un meccanismo sanzionatorio per enti che non rispettino gli equilibri economici e finanziari o non assicurino i livelli essenziali delle prestazioni o l’esercizio delle funzioni fondamentali; quello dell’esclusione di interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote che non siano del proprio livello di governo, con la contestuale previsione di un meccanismo di compensazione ove tali interventi siano statali e riguardino i tributi degli enti locali e quelli propri derivati (cioè istituiti e regolati da leggi dello Stato ma il cui gettito sia attribuito alle regioni) e le aliquote riservate alle regioni ma insistenti su basi imponibili dei tributi erariali; quello della previsione di una adeguata flessibilità fiscale, articolata su più tributi con una base imponibile stabile e distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale; quello della semplificazione del sistema tributario e della trasparenza ed efficienza delle decisioni di entrata e di spesa; quello della riduzione della imposizione fiscale statale in misura adeguata alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali; quello di territorialità dell’imposta; quello di certezza delle risorse e della stabilità tendenziale del quadro di finanziamento. Al comma 3 dell’articolo, si prevede che i decreti legislativi sono adottati su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro dell’interno, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e con gli altri Ministri volta a volta competenti nelle materie interessate dai decreti; gli schemi di decreto, previa intesa in sede di Conferenza unificata, sono trasmessi alle Commissioni competenti presso i due rami del Parlamento perché su di essi venga espresso il parere. Entro i successivi due anni potranno essere adottati decreti correttivi. La norma prevede, inoltre, che il Governo, nella predisposizione dei decreti legislativi, assicuri piena collaborazione con le regioni e gli enti locali, anche al fine di condividere la definizione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni e la determinazione dei fabbisogni standard;

– l’articolo 3 prevede l’istituzione presso il Ministero dell’economia e finanze, ai fini della raccolta e della elaborazione degli elementi conoscitivi per l’attuazione del federalismo fiscale, di una Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale composta da un numero uguale di rappresentanti tecnici per ciascun livello di governo. L’organismo cessa la propria attività e viene contestualmente sciolto alla data di entrata in vigore dell’ultimo decreto legislativo adottato ai sensi dell’articolo 2, comma 3, della legge;

– l’articolo 4 prevede che, in forza del decreti legislativi di cui all’articolo 2, si istituisca, nell’ambito della Conferenza unificata, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica: come già ricordato, questa viene a ricoprire il ruolo di organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica di cui fanno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali. La seconda parte dell’articolo indica i princìpi ed i criteri direttivi che ne disciplinano il funzionamento e la composizione; in particolare, la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento; concorre alla definizione delle procedure per accertare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica; promuove l’attivazione degli eventuali interventi necessari per il rispetto di tali obiettivi; verifica la loro attuazione ed efficacia; avanza proposte per la determinazione degli indici di virtuosità e dei relativi incentivi; vigila sull’applicazione dei meccanismi di premialità, sul rispetto dei meccanismi sanzionatori e sul loro funzionamento; propone criteri per il corretto utilizzo del fondo perequativo secondo princìpi di efficacia, efficienza e trasparenza e ne verifica l’applicazione; assicura la verifica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario di comuni, province, città metropolitane e regioni; assicura la verifica delle relazioni finanziarie tra i livelli diversi di governo proponendo eventuali modifiche o adeguamenti del sistema; verifica la congruità dei dati e delle basi informative finanziarie e tributarie, fornite dalle amministrazioni territoriali.

Il Capo II, «Rapporti finanziari Stato – Regioni», comprende i successivi quattro articoli (dall’articolo 5 all’articolo 8). Nel dettaglio:

– l’articolo 5 detta i princìpi ed i criteri direttivi relativi ai tributi delle regioni e alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali. La disposizione prevede che le regioni dispongono di tributi e di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali che consentono di finanziare le spese derivanti dall’esercizio delle funzioni inerenti le materie di competenza legislativa regionale; prevede tre categorie di tributi regionali e attribuisce alle regioni stesse il potere di modifica delle aliquote nei limiti massimi di incremento stabiliti dalla legislazione statale purché rimangano salvi gli elementi strutturali dei tributi stessi e la coerenza con il principio di semplificazione; specifica il principio di territorialità nell’attribuzione alle regioni del gettito dei tributi regionali istituiti con legge dello Stato; infine precisa che i tributi regionali derivati e le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali sono senza vincolo di destinazione;

– l’articolo 6 individua i princìpi e i criteri direttivi cui devono uniformarsi i decreti legislativi per la determinazione delle modalità di esercizio delle competenze legislative e sui mezzi di finanziamento. A tal fine, le spese connesse a materie di competenza legislativa regionale vengono classificate in: spese riconducibili al vincolo della lettera m) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione (livelli essenziali delle prestazioni), tra le quali rientrano quelle per la sanità, l’assistenza e l’istruzione ed a cui è assimilato il trasporto pubblico locale; spese non rientranti nelle prime; spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell’Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali previsti dal successivo articolo 14 della stessa legge. La norma prevede, tra l’altro, che per le spese relative ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, e per quelle non direttamente ad esse riconducibili, vengano soppressi i trasferimenti statali diretti al loro finanziamento. Sono poi individuate le diverse modalità con cui dovranno essere finanziate le spese riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni (tributi regionali, riserva di aliquota sull’imposta sul reddito delle persone fisiche, addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche, compartecipazione regionale all’IVA e fondo perequativo) e le spese a tali livelli non riconducibili (tributi propri e quote di fondo perequativo); le aliquote dei tributi e delle compartecipazioni destinati al finanziamento delle spese per i livelli essenziali saranno determinate al livello minimo sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni a costo standard in almeno una regione; al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni nelle regioni ove il gettito tributario è insufficiente concorreranno le quote del fondo perequativo;

– l’articolo 7 detta i princìpi ed i criteri direttivi cui devono informarsi i decreti legislativi per la determinazione dell’entità e del riparto del fondo perequativo statale a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante. Tra tali princìpi si prevede che la perequazione debba essere applicata in modo tale da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante, senza alterarne tuttavia l’ordine e senza impedirne la modifica nel tempo. Il fondo perequativo sarà alimentato da una compartecipazione al gettito dell’IVA, per le spese riconducibili ai livelli essenziali, e da una quota del gettito derivante dall’aliquota media di equilibrio dell’addizionale regionale all’IRPEF per le altre spese. Per le spese riconducibili ai livelli essenziali, il fondo perequativo assicurerà la copertura integrale a costo standard. Per le altre spese, il fondo dovrà ridurre le differenze regionali di gettito per abitante rispetto al gettito medio nazionale, tenendo conto del fattore demografico, in funzione inversa rispetto alla dimensione demografica stessa; si prevede, inoltre, che, per la regione con riguardo alla quale è stato determinato il livello minimo sufficiente delle aliquote dei tributi per il finanziamento dei livelli essenziali, è garantita la copertura del differenziale tra dati previsionali e gettito effettivo dei tributi;

– l’articolo 8 individua i princìpi ed i criteri direttivi cui devono informarsi i decreti legislativi con riguardo al finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni: cancellazione dei relativi stanziamenti di spesa nel bilancio dello Stato; riduzione delle aliquote dei tributi erariali e corrispondente aumento dei tributi propri derivati e delle aliquote sui tributi erariali in caso di spese per funzioni riferite ai livelli essenziali; aumento del gettito derivante dall’aliquota media dell’addizionale regionale IRPEF per le altre spese; aumento dell’aliquota della compartecipazione regionale al gettito dell’IVA che va ad alimentare il fondo perequativo, ovvero della compartecipazione all’IRPEF; definizione delle modalità con le quali si effettua la verifica periodica della congruità dei tributi presi a riferimento per la copertura dei fabbisogni standard.

Il Capo III è dedicato alla «Finanza degli enti locali». Esso si compone di tre articoli (9, 10 ed 11). Più specificatamente:

– l’articolo 9 detta i princìpi ed i criteri direttivi cui devono ispirarsi i decreti legislativi di cui all’articolo 2, in materia di finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane. Vengono distinte le spese in: spese riconducibili al finanziamento delle funzioni fondamentali, spese relative ad altre funzioni, spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell’Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali previsti all’articolo 14 della stessa legge delega. Si prevede, tra l’altro, la definizione delle modalità per cui il finanziamento delle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate avviene in modo da garantire il finanziamento integrale in base al fabbisogno standard ed è assicurato dai tributi propri, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, da addizionali a tali tributi e dal fondo perequativo; si prevede che siano definite le modalità per cui le spese riconducibili a funzioni diverse da quelle fondamentali sono finanziate con il gettito dei tributi propri e con il fondo perequativo basato sulla capacità fiscale; si prevede, ancora, la soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione e delle spese relative ad altre funzioni, ad eccezione degli stanziamenti destinati ai fondi perequativi per gli enti locali e, da ultimo, si prevede che il gettito delle compartecipazioni sia senza vincolo di destinazione;

– l’articolo 10 detta i princìpi ed i criteri direttivi cui devono ispirarsi i decreti legislativi con riguardo al coordinamento e all’autonomia tributaria degli enti locali. Si prevede che la legge statale individui i tributi propri dei comuni e delle province, anche in sostituzione o trasformazione di tributi già esistenti e anche attraverso l’attribuzione agli stessi comuni e province di tributi o parti di tributi già erariali; si prevede che siano definite le modalità secondo cui le spese dei comuni, relative alle funzioni fondamentali, sono finanziate dal gettito derivante dalla compartecipazione e dall’addizionale all’imposta sui redditi delle persone fisiche, dai tributi propri disciplinati dalla legge statale e dal fondo perequativo; si prevede che siano definite le modalità secondo cui le spese delle province, relative alle funzioni fondamentali, sono finanziate dal gettito derivante dalla compartecipazione all’imposta sui redditi delle persone fisiche, dai tributi propri disciplinati dalla legge statale e dal fondo perequativo; la norma prevede ancora, al fine di valorizzare l’autonomia impositiva dei comuni e delle province, che sia disciplinato un tributo proprio comunale ed uno provinciale in grado di poter attribuire all’ente la facoltà di applicarlo in riferimento a particolari scopi; per quanto riguarda specificamente il comune, il tributo potrà essere finalizzato anche alla realizzazione di opere pubbliche o al finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali i flussi turistici e la mobilità urbana; si prevede poi che siano disciplinate forme premiali per favorire unioni e fusioni tra comuni anche attraverso l’incremento dell’autonomia impositiva. Alle regioni, nell’ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, è data la possibilità d istituire nuovi tributi comunali e provinciali e delle città metropolitane, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali;

– l’articolo 11 detta i princìpi ed i criteri direttivi cui devono ispirarsi i decreti legislativi con riguardo all’entità e al riparto dei fondi perequativi per gli enti locali. Si prevede tra l’altro: l’istituzione di due fondi in ogni regione, uno a favore dei comuni ed uno a favore delle province, alimentati da un fondo perequativo dello Stato con indicazione separata degli stanziamenti per le diverse tipologie di enti, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni da loro già svolte; si stabilisce che la dimensione del fondo è determinata, per ciascun livello di governo, in misura uguale alla differenza fra i trasferimenti statali soppressi, diretti al finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni svolte, destinati al finanziamento delle spese di comuni e province (escludendo i contributi derivanti da interventi speciali), e le entrate spettanti ai comuni e alle province ai sensi dell’articolo 10, tenendo conto di quanto previsto nel disegno di legge circa il superamento graduale del criterio della spesa storica; si specifica che si definiranno le modalità per il periodico aggiornamento dell’entità dei fondi e del relativo finanziamento; la definizione di criteri per il riparto delle risorse tra i singoli enti di ogni regione, con possibilità, per la regione stessa, di effettuare, in base a criteri definiti mediante accordo in Conferenza unificata e previa intesa con gli enti locali, proprie valutazioni della spesa corrente standardizzata, sulla base dei criteri dettati dai decreti legislativi di attuazione della delega e delle entrate standardizzate e di effettuare stime autonome di fabbisogni di infrastrutture. In caso di mancato trasferimento delle risorse agli enti locali, il disegno di legge prevede un potere sostitutivo dello Stato da esercitare ai sensi dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione.

Il Capo IV, «Finanziamento delle città metropolitane e di Roma capitale», si compone degli articoli 12 e 13:

– l’articolo 12 è dedicato alla disciplina del finanziamento delle città metropolitane, che viene assicurato anche attraverso l’attribuzione di specifici tributi in modo da garantire una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle funzioni. Le città metropolitane godono di tributi ed entrate proprie loro assegnate dallo Stato e possono applicare tributi per il finanziamento delle spese riconducibili all’esercizio delle loro funzioni fondamentali. Si prevede che, fino alla data di attuazione delle vigenti disposizioni sulle città metropolitane, è assicurato il finanziamento delle funzioni ai relativi comuni capoluogo, in modo da garantire loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle medesime funzioni;

– l’articolo 13 disciplina il finanziamento e il patrimonio di Roma capitale. Si prevede, in particolare, che con specifico decreto legislativo sia disciplinata l’assegnazione delle risorse a Roma capitale, tenendo conto delle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dalla copertura degli oneri conseguenti al ruolo e previa la loro determinazione specifica; sono a tal fine assicurate specifiche quote aggiuntive di tributi erariali; è prevista altresì la relativa disciplina transitoria, sì da agganciare il finanziamento di Roma capitale all’entrata in vigore della corrispondente disciplina ordinamentale.

Il Capo V, «Interventi speciali», comprende un unico articolo:

– l’articolo 14 detta, infatti, i princìpi ed i criteri direttivi cui devono informarsi i decreti legislativi che disciplinano gli interventi speciali di cui al quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione, volti alla promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, alla incentivazione dell’effettivo esercizio dei diritti della persona, alla realizzazione di scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni di comuni, province, città metropolitane e regioni. Sono previste, tra l’altro, forme di fiscalità di sviluppo con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa; nell’attuazione della delega occorrerà tra l’altro tenere conto, in base a questo articolo, delle specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla realtà socio-economica, al deficit infrastrutturale, ai diritti della persona, alla collocazione geografica degli enti e alla loro prossimità al confine con altri Stati o con regioni a statuto speciale, ai territori montani.

Il Capo VI, «Coordinamento dei diversi livelli di governo», si compone del solo articolo 15: tale articolo detta i princìpi ed i criteri direttivi cui devono informarsi i decreti legislativi che regolano il coordinamento e la disciplina dei diversi livelli di governo. Tra essi: il principio della garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali prima e dopo la perequazione, il rispetto degli obiettivi del conto consuntivo per assicurare l’osservanza del patto di stabilità, l’introduzione a favore degli enti più o meno virtuosi di un sistema rispettivamente premiale o sanzionatorio, espressamente indicato; tra questi ultimi è ricompressa anche l’ineleggibilità per gli amministratori locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario.

Il Capo VII, «Patrimonio di regioni ed enti locali», si compone dell’articolo 16, che detta i princìpi ed i criteri direttivi cui devono informarsi i decreti legislativi che stabiliscono i princìpi generali per l’attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, sulla base del criterio di territorialità.

Il Capo VIII contiene le norme di chiusura, si compone di tre articoli ed è rubricato «Norme transitorie e finali». Nel dettaglio:

– l’articolo 17 detta i princìpi ed i criteri direttivi cui devono informarsi i decreti legislativi nel dettare le norme transitorie per le regioni: il periodo transitorio dovrà garantire il passaggio graduale dai valori dei trasferimenti per regione come media del triennio 2006-2008; con riguardo ai livelli essenziali, deve soddisfare il requisito della sostenibilità; con riguardo alle materie non riconducibili ai livelli essenziali, il periodo previsto è di cinque anni, con la possibilità per lo Stato di introdurre meccanismi correttivi per le regioni con significative situazioni di insostenibilità. È, poi, stata introdotta una garanzia per le regioni in virtù della quale, in sede di prima applicazione, vi sarà la copertura del differenziale certificato tra i dati previsionali e l’effettivo gettito derivante dalle aliquote dei tributi erariali e dalle compartecipazioni determinate in modo tale da assicurare che almeno in una regione sia finanziato integralmente il fabbisogno relativo ai livelli essenziali di cui all’articolo 117, comma secondo, lettera m), della Costituzione. Si prevede, poi, una norma di garanzia per le regioni con riguardo alle nuove entrate regionali. Infatti, a fronte della cancellazione degli stanziamenti a carico del bilancio dello Stato, si prevede che il gettito derivante dalle nuove entrate regionale non sia inferiore, per il complesso delle regioni, al valore di tali stanziamenti. Inoltre, è disposta una verifica, da concordare in sede di Conferenza Stato-Regioni, in merito alla adeguatezza e congruità delle risorse inerenti alle funzioni già trasferite;

– l’articolo 18 detta i princìpi ed i criteri direttivi cui devono informarsi i decreti legislativi nel dettare le norme transitorie per gli enti locali. Si sancisce il principio per cui al finanziamento delle funzioni svolte dagli enti locali in materie di competenza statale o regionale provvedono Stato e regioni; il superamento del criterio della spesa storica in un arco di tempo sostenibile per le spese riconducibili a funzioni fondamentali; per le altre spese, invece, si prevede che il superamento avvenga in un periodo di tempo pari a cinque anni. Si prevede inoltre che, fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni concernenti l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali, il fabbisogno delle funzioni di comuni e province è finanziato considerando in modo forfettario l’80 per cento di esse come fondamentali ed il 20 per cento di esse come non fondamentali. Inoltre, si dispone che, fatta salva l’autonomia delle regioni con esclusione dei fondi erogati dalle stesse regioni agli enti locali e dei finanziamenti dell’Unione europea, il finanziamento di tutte le funzioni di comuni e province è riferito nella fase di avvio all’insieme delle rispettive funzioni, come indicate nei certificati a rendiconto degli enti locali dell’ultimo anno antecedente alla data di entrata in vigore della legge;

– l’articolo 19 detta i princìpi ed i criteri direttivi cui devono informarsi i decreti legislativi che disciplinano la gestione dei tributi e delle compartecipazioni. Essi devono prevedere adeguate forme di collaborazione delle regioni e degli enti locali con gli organi dello Stato competenti in materia tributaria e definire tra di essi le modalità gestionali, operative, di ripartizione degli oneri e degli introiti di attività di recupero dell’evasione.

Il Capo IX si compone di un solo articolo, che è l’unico riguardante le regioni a statuto speciale e le province autonome: l’articolo 20, infatti, concerne il coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome. Prevede al riguardo che le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi, entro il termine stabilito per l’emanazione dei decreti legislativi di attuazione della delega e secondo il principio del superamento del criterio della spesa storica. Individua inoltre i parametri che debbono ispirare le norme di attuazione degli statuti: si dovrà tenere conto della dimensione della finanza delle predette regioni e province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva, delle funzioni da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri, anche in considerazione degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, e dei livelli di reddito pro capite che caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi, rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal complesso delle regioni e, per le regioni e province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, dagli enti locali. Le stesse norme di attuazione interverranno sulle specifiche modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale. Le disposizioni indicate saranno attuate anche mediante l’assunzione di oneri derivanti dal trasferimento o dalla delega di funzioni statali alle medesime regioni a statuto speciale e province autonome ovvero da altre misure finalizzate al conseguimento di risparmi per il bilancio dello Stato, nonché con altre modalità stabilite dalle norme di attuazione degli statuti speciali. Inoltre, le predette norme, per la parte di propria competenza: disciplinano il coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza pubblica e le corrispondenti leggi regionali e provinciali in materia, rispettivamente, di finanza regionale e provinciale, nonché di finanza locale nei casi in cui questa rientri nella competenza della regione a statuto speciale o provincia autonoma; definiscono i princìpi fondamentali di coordinamento del sistema tributario con riferimento alla potestà legislativa attribuita dai rispettivi statuti alle regioni a statuto speciale e alle province autonome in materia di tributi regionali, provinciali e locali; a fronte dell’assegnazione di ulteriori nuove funzioni alle regioni a statuto speciale e alle province autonome, così come alle regioni a statuto ordinario, le norme di attuazione e i decreti legislativi definiscono rispettivamente le modalità di finanziamento attraverso forme di compartecipazione a tributi erariali e alle accise.

Il Capo X, composto da due articoli, reca misure di salvaguardia finanziaria e abrogazioni:

– l’articolo 21 reca disposizioni di salvaguardia finanziaria, stabilendo che la nuova legge deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto europeo di stabilità e crescita. I decreti legislativi dovranno inoltre individuare meccanismi idonei ad assicurare che le maggiori risorse disponibili a seguito della riduzione delle spese determinino una riduzione della pressione fiscale dei diversi livelli di governo e che vi sia coerenza tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie. Al trasferimento delle funzioni non potrà che corrispondere un trasferimento del personale tale da evitare ogni duplicazione di funzioni. Infine si prevede che per le spese connesse all’attuazione delle disposizioni sulla Commissione paritetica e sulla Conferenza si provvede con gli ordinari stanziamenti di bilancio;

– l’articolo 22 prevede infine che i decreti legislativi individuino le disposizioni incompatibili, prevedendone l’abrogazione.

Il presente disegno di legge è collegato alla manovra di finanza pubblica, secondo quanto indicato dal documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013, come approvato dalle risoluzioni parlamentari l’8 e il 9 luglio 2008, rispettivamente alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica.

Redazione

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