Per i soggetti che già lavorano l’unica ipotesi di perdita dello stato di disoccupazione
è legata al superamento o meno di un reddito annuale ‘non superiore al
reddito minimo personale escluso da imposizione’, ad oggi fissato in
una somma pari ad € 8.000,00 per i lavoratori dipendenti e € 4.800,00
per i lavoratori autonomi.
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Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali
Direzione generale per l’attività ispettiva
Interpello n. 12/2009
Roma, 20 febbraio 2009
Sulla perdita dello stato di disoccupazione ex art. 5 del D.Lgs. n. 297/2002
Prot. 25/I/0002603
Al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro
Via Cristoforo Colombo 486
00145 Roma
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha avanzato richiesta di interpello per conoscere il parere di questa Direzione in merito all’applicazione della normativa di cui al D.Lgs. n. 297/2002, recante disposizioni modificative e correttive del D.Lgs. n. 181/2000, concernente norme per agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in attuazione dell’art. 45, comma 1, lett. a) della L. n. 144/1999.
In particolare l’interpellante chiede di sapere se le dimissioni volontarie presentate da un lavoratore dipendente, che svolga attività di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, causino la perdita dello stato di disoccupazione in quanto assimilate al rifiuto di una “congrua offerta di lavoro” ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. n. 181/2000, come sostituito dall’art. 5 del D.Lgs. n. 297/2002. Nello specifico, tuttavia, le dimissioni sarebbero rese in quanto l’attività lavorativa in questione non consentirebbe di percepire un “reddito annuale superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione”. Al riguardo, acquisito il parere delle Direzioni generali della Tutela delle Condizioni di Lavoro, degli Ammortizzatori sociali e Incentivi all’Occupazione e del Mercato del lavoro, si rappresenta quanto segue.
Va preliminarmente evidenziato che il Legislatore ha inteso declinare esplicitamente, all’art. 4 del D.Lgs. n. 181/2000, le fattispecie che determinano la conservazione o la perdita dello stato di disoccupazione.
In particolare, tale norma prevede:
a) la conservazione dello stato di disoccupazione a seguito di svolgimento di attività lavorativa “tale da assicurare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione”;
b) la perdita dello stato di disoccupazione in caso di mancata presentazione senza giustificato motivo alla convocazione del Servizio competente nell’ambito delle misure di prevenzione di cui all’art. 3 dello stesso D.Lgs. n. 181/2000;
c) la perdita dello stato di disoccupazione in caso di rifiuto senza giustificato motivo di una “congrua offerta di lavoro a tempo pieno ed indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo (…) con durata del contratto a termine o, rispettivamente, della missione, in entrambi i casi superiore almeno a otto mesi, ovvero a quattro mesi se si tratta di giovani, nell’ambito dei bacini, distanza dal domicilio e tempi di trasporto con mezzi pubblici, stabiliti dalle Regioni”;
d) la sospensione dello stato di disoccupazione in caso di accettazione di un’offerta di lavoro a tempo determinato o di lavoro temporaneo di durata inferiore a otto mesi, “ovvero di quattro mesi se si tratta di giovani”.
Secondo l’art. 4 citato, pertanto, per i soggetti che già lavorano – come nel caso prospettato dall’istante – l’unica ipotesi di perdita dello stato di disoccupazione è legata al superamento o meno di un reddito annuale “non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione”, ad oggi fissato in una somma pari ad € 8.000,00 per i lavoratori dipendenti e € 4.800,00 per i lavoratori autonomi.
Questa, come le altre ipotesi disciplinate dall’art. 4 del D.Lgs. n. 181/2000, non possono dunque ritenersi estensibili in via analogica, cosicché il caso prospettato da codesto Consiglio non è in alcun modo assimilabile all’ipotesi di rifiuto di una “congrua offerta di lavoro” prevista invece alla lett. c) per i soggetti in cerca di occupazione. Ne consegue che la definizione, formale e sostanziale, di “lavoro congruo” – rispetto alla quale, peraltro, il D.L. n. 185/2008 (conv. da L. n. 2/2009) rinvia all’art. 1 quinquies del D.L. n. 249/2004 (conv. da L. n. 291/2004) – non rileva nel caso in esame.
Tale fattispecie, infatti, in quanto relativa ad un soggetto che già lavora, potrebbe dunque rientrare nella lett. a) dell’art. 4 ma nel caso specifico non si avrebbe alcuna perdita dello stato di disoccupazione in considerazione della limitatezza del reddito, a prescindere da una eventuale atto di dimissioni da parte del soggetto interessato.
Il direttore generale
(f.to Paolo Pennesi)