Installazione di impianti di telefonia e destinazione urbanistica (zonizzazione)

L’installazione di impianto di telefonia (nella specie un ripetitore) non è escluso dalla destinazione agricola dell’area, ma è anzi compatibile di per sé con qualsiasi zonizzazione, alla stregua di opere di urbanizzazione necessarie ad assicurare la copertura del servizio di telecomunicazione sul territorio comunale.

Il silenzio assenso può formarsi anche a seguito di sospensione cautelare del provvedimento esplicito di diniego.

. . . . .

Consiglio di Stato, VI sezione)

Sentenza del 17 marzo 2009 n. 1578

(presidente Barbagallo, relatore Fera)

(…)


(Nokia Siemens Networks s.p.a. contro Comune di Mortara,
riforma TAR Lombardia, Milano, IV sezione, 27 giugno 2007 n. 5305)

(…)

Fatto

La società Nokia Siemens Networks s.p.a., subentrata, alla Italtel s.p.a., cui la Wind s.p.a., concessionaria del Ministero delle comunicazioni, aveva affidato con apposito contratto la realizzazione della rete di radiotelefonia mobile cellulare per l’espletamento del servizio di telecomunicazioni in sistema DCS, ha impugnato davanti al Tar della Lombardia il provvedimento con il quale in data 5 maggio 2006 il Comune di Mortasa aveva respinto l’istanza di autorizzazione, ai sensi degli articoli 86 e 87 del decreto legislativo 6 giugno 2001 n. 380, per la realizzazione di una nuova stazione radio base su di un’area privata adiacente alla strada statale n. 596, classificata dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore come “E1- agricole normali”.

Il diniego era motivato con la considerazione che l’impianto non poteva essere collocato in zona agricola ma solo in quelle appositamente individuate dall’Amministrazione.

Il Tar, con ordinanza n. 1572 del 25 giugno 2006, ha accolto l’istanza di sospensione degli atti impugnati.

Decorso il termine di cui all’articolo 87 del decreto legislativo n. 380/2001, la ricorrente, ritenendo l’istanza accolta per silenzio assenso, in data 9 agosto 2007 presentava comunicazione di inizio dei lavori.

L’Amministrazione comunale, in risposta, ha dapprima richiesto documenti integrativi e, contestualmente, ha adottato, una prima ordinanza del 15 settembre 2006, di sospensione dei lavori, e, quindi, una seconda ordinanza del 2 novembre 2006 di ingiunzione alla demolizione con remissione in ripristino dell’originario stato dei luoghi.

Entrambi gli atti sono stati impugnati con altro ricorso davanti al Tar della Lombardia, che, con ordinanza n. 2243 del 2006, ha accolto l’istanza di sospensione degli atti impugnati.

I lavori sono stati, quindi, completati e la stazione radio di base è stata attivata entrando così a far parte della rete di telefonia mobile Wind.

Il Tar della Lombardia, con la sentenza di cui in epigrafe, previa riunione dei due ricorsi, ha accolto integralmente il primo, sostenendo che “stante la previsione dell’articolo 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/2003, che assimila ad ogni effetto le infrastrutture di reti di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, di installazione di impianto di telefonia non è escluso dalla destinazione agricola dell’area, ma è anzi compatibile di per sé con qualsiasi zonizzazione, alla stregua di opere di urbanizzazione necessarie ad assicurare la copertura del servizio di telecomunicazione sul territorio comunale”.

Mentre ha accolto solo in parte il secondo ricorso, sostenendo che l’Amministrazione comunale, nel corso del procedimento, riaperto dopo l’adozione della misura cautelare sul diniego di rilascio dell’autorizzazione, aveva chiesto documentazione integrativa oltre il termine perentorio di cui all’articolo 87, comma 5, del decreto legislativo 6 giugno 2001 n. 380. Ciò nonostante, ha ritenuto che comunque ” l’adozione di un atto esplicito negativo impedisce la formazione del silenzio assenso anche se l’atto stesso venga successivamente sospeso o annullato”. Per cui la mancanza di autorizzazione, esplicita o tacita, ai sensi dell’articolo 87 del decreto legislativo n. 380/2001 giustificava l’impiego da parte dell’Amministrazione dei poteri repressivi in materia edilizia. Infine, il Tar ha ritenuto che il termine di 30 giorni, anziché 90, assegnato dal Comune per la demolizione fosse in contrasto con l’articolo 31, comma 3, del d.p.r. 380/2001. In conclusione, mentre per quel che concerne il primo ricorso l’annullamento riguarda tutti gli atti impugnati, per il secondo ricorso, l’annullamento giurisdizionale viene circoscritto alla nota di richiesta di documentazione integrativa ed alla parte dell’ordine di demolizione relativa all’assegnazione del termine. Restando così in piedi la restante parte dell’ordine di demolizione e gli altri provvedimenti impugnati.

Oggetto dell’appello proposto da Nokia Siemens Networks è la parte della sentenza con la quale il TAR ha respinto i motivi 1, 2, 3 e 9 del secondo ricorso.

L’appellante, che contesta le motivazioni contenute nella sentenza, oltre a riproporre i motivi di ricorso di primo grado non accolti dal Tar propone il seguente motivo d’appello:

a) violazione degli articoli 21 della legge Tar e 87 del decreto legislativo n. 380/2001. Difetto ed erroneità della motivazione. Travisamento dei presupposti. Illogicità e contraddittorietà.

Secondo l’appellante, la tesi sostenuta dal primo giudice, secondo il quale “il provvedimento di diniego gravato con il primo ricorso, tempestivamente assunto dall’amministrazione, è valso a precludere la formazione del silenzio assenso anche se è stato sospeso in via giudiziale”, non può essere condivisa. Intanto perché contrasta con il principio secondo il quale l’annullamento giurisdizionale produce effetti ex tunc, poi perché, nel caso di specie, gli effetti della sospensione si saldano senza soluzione di continuità con quelli dell’annullamento del diniego impugnato con il primo ricorso, cui consegue la fondatezza di tutti i motivi dedotti con il successivo ricorso, che il primo giudice ha rigettato sull’erroneo presupposto che non si fosse perfezionato il titolo richiesto dall’articolo 87 del decreto legislativo n. 380/2001. Inoltre, anche a voler ammettere una ultrattività dell’atto amministrativo annullato, l’Amministrazione, comunque, prima di procedere all’adozione di provvedimenti repressivi doveva esaminare la domanda dato che il suo accoglimento avrebbe reso inutile l’intervento stesso.

Conclude quindi chiedendo, in riforma della sentenza appellata, l’integrale accoglimento del ricorso di primo grado.

Diritto

1. Per una migliore comprensione della questione di diritto, sulla quale si incentra la presente controversia, giova premettere che il Tar, nel riunire i due ricorsi proposti dall’attuale appellante, ha compiuto un esame complessivo della vicenda amministrativa e processuale. Vicenda caratterizzata da una prima fase, costituita dall’impugnazione del diniego opposto dall’Amministrazione comunale sull’istanza di autorizzazione, ai sensi degli articoli di 86 e 87 del decreto legislativo 6 giugno 2001 n. 380, per la realizzazione di una nuova stazione radio base per radiotelefonia mobile cellulare; diniego prima sospeso in via cautelare e poi annullato dal primo giudice che ha ritenuto illegittima la pretesa dell’Amministrazione di concentrare tali impianti in zone urbanistiche da lei predeterminate. Da una seconda fase, costituita dall’impugnazione di atti adottati dall’Amministrazione comunale dopo l’adozione delle misure cautelari da parte del giudice, ed in particolare della richiesta di documentazione integrativa per l’esame dell’istanza nonché delle ordinanze di sospensione e di demolizione dei lavori, che la ricorrente aveva intrapreso, perdurando l’inerzia dell’Amministrazione nella convinzione che si fosse formato sull’istanza medesima il silenzio accoglimento. Anche questi provvedimenti sono stati sospesi dal primo giudice, che però, al momento della decisione della causa nel merito, pur riconoscendo che il procedimento era stato riaperto e che la ulteriore richiesta di documentazione integrativa da parte dell’Amministrazione andava annullata, perché “essendo palesemente tardiva, collide con il citato art. 85, comma 5, del d.lgs. n. 259/2003”, ha accolto il ricorso solo in parte, respingendo la domanda di annullamento delle due ordinanze comunali, con le quali veniva esercitato il potere repressivo in materia edilizia per l’esecuzione di opere in mancanza di un titolo abilitativo, sostenendo che “l’adozione di un atto esplicito negativo impedisce la formazione del silenzio assenso anche se l’atto stesso venga successivamente sospeso o annullato”.

La questione di diritto, rimessa questa sede di appello, è se sia condivisibile o meno quest’ultima conclusione.

2. Ad avviso del Collegio, l’assunto su cui si basa la pronuncia di rigetto del primo giudice, come giustamente denunciato dall’appellante, non può essere condiviso.

Va, innanzitutto, osservato come l

L’istituto del silenzio accoglimento si differenzia, da quello del silenzio rifiuto, oggi confluito nel silenzio inadempimento di cui all’art. 21 bis, aggiunto alla legge 6 dicembre 1971, n. 1971, dall’art. 2 della legge 21 luglio 2000 n. 205, o del silenzio rigetto, non soltanto per l’elemento formale rappresentato dal senso, affermativo o negativo, che la legge attribuisce al comportamento dell’Amministrazione che non adotti alcun provvedimento entro il termine prefissato dalla norma, ma anche sotto i profili funzionale e sostanziale.

Se il decorso del termine stabilito dalla legge per la formazione del silenzio-rifiuto non comporta la perdita della potestà di decidere dell’amministrazione, per cui “un eventuale ricorso contro l’inerzia dell’Amministrazione deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, nel caso in cui il provvedimento esplicito venga adottato successivamente, in quanto il privato ha ottenuto il risultato al quale mira il giudizio, ossia l’intervento di un provvedimento,” nel caso in cui la legge attribuisca al comportamento inerte un significato affermativo, invece, la disciplina contenuta nell’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come riformulato dall’art. 3 comma 6 ter, d.l. 14 marzo 2005 n. 35, convertito con modificazioni nella l. 14 maggio 2005 n. 80, fa si che “il silenzio assenso, formatosi per decorso del tempo prescritto dall’inoltro dell’istanza, non può essere considerato dall’amministrazione tamquam non esset ma, prima dell’adozione del provvedimento negativo espresso, deve formare oggetto di provvedimenti caducatori nella via dell’autotutela.”

In altri termini, il valore giuridico che viene privilegiato, nel conflitto di interessi che si apre tra l’Amministrazione ed il privato, è quello all’immediato esercizio da parte di quest’ultimo dei poteri in cui si estrinseca l’iniziativa economica, tutelata dall’articolo 41 della Costituzione. Ciò è confermato, d’altronde, dall’articolo 20, terzo comma, della legge n. 241/1990, che, nel caso di silenzio accoglimento, richiama esplicitamente, per l’adozione delle determinazioni in via di autotutela, i successivi articoli 21-quinquies e 21-nonies, che, a loro volta, assoggettano il potere dell’Amministrazione a limiti rigorosi, quali quello della sopravvenienza, nell’ipotesi della revoca di provvedimenti amministrativi ad efficacia durevole, di sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, e quello, nel caso dell’annullamento d’ufficio, della sussistenza di ragioni di interesse pubblico, da comparare con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

Il che fa cadere la premessa da cui parte la prima delle due affermazioni su cui poggia l’argomentazione svolta dal primo giudice, cioè che l’esistenza di un provvedimento di diniego in sé, indipendentemente dalla sua validità ed efficacia, impedisce come mero fatto storico la formazione del silenzio assenso. Premessa che si basa, nella gerarchia dei valori giuridici proiettati sulle norme che disciplinano il silenzio accoglimento, sull’errata convinzione della prevalenza dell’interesse pubblico ad un accurato esame dell’istanza rispetto a quello del privato ad un rapido svolgimento delle pratiche burocratiche che si frappongono all’esercizio della propria attività economica.

Quanto alla seconda affermazione, secondo la quale l’accoglimento da parte del giudice della domanda cautelare presentata nel ricorso avverso al diniego di rilascio dell’autorizzazione non determina alcun effetto sulle situazioni giuridiche sostanziali, ed in particolare sulla riapertura del procedimento, l’assunto riecheggia un antico orientamento della giustizia amministrativa.

A tal proposito, occorre ricordare come, alla stregua della modifiche alle norme di procedura del processo amministrativo introdotte dalla legge 21 luglio 2000, n. 205, che tra l’altro hanno codificato una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, la tutela cautelare si è notevolmente evoluta rispetto alla configurazione originaria che la confinava alla sola sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato. Nella nuova versione dell’art. 21, comma 8, della legge Tar, infatti, il processo cautelare consente, alla parte di chiedere ed al giudice di accordare,” l’emanazione di misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso”. Non solo ma, ai sensi del penultimo comma del ridetto art. 21, “nel caso in cui l’amministrazione non abbia prestato ottemperanza alle misure cautelari concesse, o vi abbia adempiuto solo parzialmente, la parte interessata può, con istanza motivata e notificata alle altre parti, chiedere al tribunale amministrativo regionale le opportune disposizioni attuative. Il tribunale amministrativo regionale esercita i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato, di cui all’articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e successive modificazioni, e dispone l’esecuzione dell’ordinanza cautelare indicandone le modalità e, ove occorra, il soggetto che deve provvedere.”

Nel nuovo quadro legislativo, quindi, la tutela cautelare è piena ed è configurata come anticipazione, sia pur interinale, degli effetti che deriveranno dalla decisione della causa nel merito. Ciò si spiega con la finalità perseguita dal legislatore di accelerare la definizione rapida della lite, anche mediante una decisione sommaria che, però, incide direttamente sugli effetti giuridici generati dall’atto impugnato. Una decisione che non ha il carattere della definitività, in quanto è sottoposta ad un ulteriore e più approfondito esame nel merito, il quale può concludersi o con il suo consolidamento o con la restaurazione della situazione giuridica antecedente l’adozione della misura cautelare.

D’altronde, in questo senso, si è già pronunciato questo Consiglio di Stato, che ha avuto modo di precisare come “ la pronuncia cautelare del giudice amministrativo ha medio tempore gli stessi effetti della pronuncia di annullamento dell’atto impugnato”, (Consiglio Stato, sez. V, 20 marzo 2008, n. 1222), e, più in particolare che “gli atti esecutivi dell’ordinanza cautelare hanno carattere ontologicamente provvisorio a causa del loro collegamento accessorio con la decisione nel merito, per cui dalla sopravvenienza di questa sono travolti se essa va in diversa direzione, mentre sopravvivono se va nella medesima, con ciò configurandosi come anticipazione degli effetti di quella.” (Consiglio Stato , sez. V, 20 agosto 2008 , n. 4008).

Ora, non v’è dubbio che l’effetto che consegue all’annullamento giurisdizionale è non solo l’effetto demolitorio con efficacia “ex tunc” dell’atto illegittimo, ma anche quello ripristinatorio dello stato di fatto e di diritto preesistente all’atto annullato.

Calando tali principi al caso in esame, va detto che l’art. 87 del decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259, prevede un particolare procedimento per il rilascio dell’autorizzazione comunale per la realizzazione delle opere relative alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici, caratterizzata, per quel che qui interessa, da due termini, che il giudice di primo grado qualifica correttamente come perentori. Il primo (comma 5) di quindici giorni decorrenti dalla data di ricezione dell’istanza, entro i quali il responsabile del procedimento può richiedere, per una sola volta, “il rilascio di dichiarazioni e l’integrazione della documentazione prodotta”. Il secondo (comma 9) di novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, decorsi i quali, qualora non sia stato comunicato un provvedimento di diniego, “le istanze di autorizzazione e le denunce di attività di cui al presente articolo, nonché quelle relative alla modifica delle caratteristiche di emissione degli impianti già esistenti, si intendono accolte”.

Ora, l’unico effetto giuridico, che può essere ricollegato all’accoglimento da parte del Tar della domanda di adozione di misure cautelari, nei riguardi del provvedimento di diniego dell’autorizzazione in questione, è l’obbligo per l’Amministrazione di riaprire, sia pur interinalmente, il procedimento che la stessa riteneva essere stato concluso con il provvedimento impugnato. Ragionando diversamente, infatti, la domanda cautelare non poteva essere accolta ma avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse all’adozione di una misura giurisdizionale priva di effetti sostanziali.

D’altronde la stessa Amministrazione ha ragionato in questi sensi, perché, in effetti, a seguito dell’ordinanza del Tar, con nota in data 7 settembre 2006, ha proceduto alla nomina dei responsabili del procedimento, pur avvertendo che, a suo avviso, “i tempi di cui all’art. 87 D.Lgs. n. 259/2003 decorrono dalla data del 25.08.2006, data in cui la Civica Amministrazione è venuta a conoscenza della sopracitata ordinanza.” Limitandosi, poi, a chiedere, con nota in data 8 settembre 2006, alla ricorrente di integrare l’istanza con ulteriori documenti. Sennonché, la richiesta è stata prima sospesa, con ordinanza cautelare, e poi annullata dal Tar, che l’ha ritenuta palesemente tardiva, con un capo della sentenza di cui in epigrafe che non ha formato oggetto di appello ed è quindi passato in giudicato.

Pertanto, in mancanza di ulteriori provvedimenti adottati dall’Amministrazione comunale, non può che concludersi nel senso che si sia formata sull’istanza il silenzio accoglimento, dapprima con efficacia interinale, ma successivamente consolidatosi con l’annullamento definitivo della richiesta ulteriore documentazione.

L’appello, pertanto, deve essere accolto con accoglimento integrale anche del secondo ricorso proposto in primo grado.

Ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, Sezione VI, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie integralmente i ricorsi di primo grado.

Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia seguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma, il 09 gennaio 2009. Depositata il 17 marzo 2009.

Redazione

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