L’Adunanza Plenaria aderisce alla nuova linea interpretativa secondo la quale l’alterità del Giudice in sede di rinvio prosecutorio costituisce applicazione del principio di imparzialità- terzietà della giurisdizione, che ha “pieno valore costituzionale in relazione a qualunque tipo di processo” (cfr.: Corte 21 marzo 2002 n. 78; Corte Cost. 3 luglio 2002 n. 305; Corte Cost. 22 luglio 2003 n. 262 cit.).
In questa direzione l’esigenza di proteggere l’imparzialità del giudice impedisce che quest’ultimo possa pronunciarsi due volte sulla medesima res iudicanda, in quanto dal primo giudizio potrebbero derivare convinzioni precostituite sulla materia controversa, determinandosi così, propriamente, un “pregiudizio” contrastante con l’esigenza costituzionale che la funzione del giudicare sia svolta da un soggetto “terzo”, non solo scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto, ma anche sgombro da convinzioni formatesi in occasione dell’esercizio di funzioni giudicanti in altre fasi del giudizio (Corte Cost. 12 luglio 2002 n. 335; Corte Cost. 22 luglio 2003 n. 262 cit.).
Come, del resto, osservato anche dalla dottrina, negli ordinamenti processuali è avvertita l’esigenza di evitare la cd. forza della prevenzione, attraverso la predisposizione di meccanismi processuali capaci di garantire che il Giudice non subisca condizionamenti psicologici tali da rendere probabile il venir meno della sua serenità di giudizio.
Di seguito il testo integrale della sentenza
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CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE – ADUNANZA PLENARIA
SENTENZA N. 2 DEL 25 MARZO 2009
Paolo Salvatore Presidente – Salvatore Costantino estensore
[…]
1. La questione sottoposta all’esame di questa Adunanza Plenaria attiene alla portata dell’art. 51, n. 4) C.P.C., di cui l’ ATI C &M e Iriti editore ha dedotto la violazione, con conseguente nullità della decisione di primo grado, sul rilievo che del Collegio hanno fatto parte due componenti (uno dei quali era stato relatore in entrambi i giudizi) che avevano già partecipato a quello che aveva emesso l’originaria sentenza 16 novembre 2005, n. 2049.
In particolare, si tratta di stabilire se la norma avanti richiamata, che fa obbligo al giudice di astenersi quando abbia già conosciuto della causa in un altro grado del processo, debba applicarsi anche all’ipotesi del giudizio di rinvio.
Come sottolinea l’ordinanza di rimessione, l’indirizzo consolidato di questo Consiglio (Sez. V, 30 luglio 1982, n. 622), al quale si è richiamato il giudice di primo grado per respingere l’istanza di ricusazione, esclude l’applicabilità della disposizione di cui all’art. 51 n. 4 c.p.c. (che fa obbligo al giudice di astenersi quando abbia già conosciuto della causa in un altro grado del processo) allorquando sia lo stesso ufficio giudiziario che ha reso la pronuncia originaria a doversi pronunciare nuovamente nell’ambito dello stesso grado oggetto di riedizione piuttosto che in seno ad un nuovo e diverso grado di giudizio: ciò, in quanto il giudizio di rinvio non si configura alla stregua di grado diverso ed autonomo da quello concluso con la sentenza primigenia annullata con rinvio.
2. Va subito rilevato che la menzionata disposizione ha formato oggetto di ripetuti interventi interpretativi da parte sia della Corte costituzionale che della Corte di cassazione, che ne hanno puntualizzato l’ambito di operatività al di là di quello che sembra emergere dal mero dato testuale, e il cui approdo finale è costituito dalla sentenza della Cassazione a Sezioni Unite Civili 27 febbraio 2008, n. 5087.
Per restare nell’ambito delle pronunce della Corte costituzionale, si può ricordare che, con sentenza 15 ottobre 1999, n. 387, la Corte ha ribadito che non sono applicabili al giudizio civile ed a quello amministrativo, proprio per la particolarità e le diversità dei sistemi processuali, le regole delle incompatibilità soggettive per precedente attività (tipizzata) svolta nello stesso procedimento penale, bensì le disposizioni sull’astensione e la ricusazione del codice di procedura civile, cui anche le norme proprie del processo amministrativo fanno rinvio: ciò in quanto il principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione ha pieno valore costituzionale con riferimento a qualunque tipo di processo, in relazione specifica al quale, peraltro, può e deve trovare attuazione, pur tuttavia con le peculiarità proprie di ciascun tipo di procedimento.
In tale circostanza, si è sottolineato che l’esigenza generale di assicurare che sempre il giudice rimanga, ed anche appaia, del tutto estraneo agli interessi oggetto del processo, viene assicurata nel processo civile solo attraverso gli istituti dell’astensione e ricusazione, che rinvengono il proprio supporto normativo nella previsione dell’art. 51, n. 4, cod. proc. civ.
Infatti, sul piano generale, esigenza imprescindibile, rispetto ad ogni tipo di processo, è solo quella di evitare che lo stesso giudice, nel decidere, abbia a ripercorrere l’identico itinerario logico precedentemente seguito; sicché condizione necessaria per dover ritenere una incompatibilità endoprocessuale è la preesistenza di valutazioni che cadano sulla stessa res iudicanda.
In tale contesto, ad avviso della Corte, all’applicazione della regola dell’alterità del giudice dell’impugnazione, non può essere di ostacolo la dizione contenuta nella norma citata di “magistrato in altro grado del processo”, dovendo tale espressione “intendersi, alla luce dei principi che si ricavano dalla Costituzione relativi al giusto processo, come espressione necessaria del diritto ad una tutela giurisdizionale mediante azione (art. 24 Cost.) avanti ad un giudice con le garanzie proprie della giurisdizione, cioè con la connaturale imparzialità, senza la quale non avrebbe significato nè la soggezione dei giudici alla legge (art. 101 Cost.), nè la stessa, autonomia ed indipendenza della magistratura (art. 104 Cost., comma 1)”.
La espressione “altro grado”, difatti, non può avere un ambito ristretto al solo diverso grado del processo, secondo l’ordine degli uffici giudiziari, come previsto dall’ordinamento giudiziario, ma deve ricomprendere – con una interpretazione conforme a Costituzione – anche la fase che, in un processo civile, si succede con carattere di autonomia, caratterizzata da pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni decisorie sul merito dell’azione proposta nella prima fase, ancorché avanti allo stesso organo giudiziario.
Questi stessi principi sono stati successivamente confermati dalla Corte costituzionale, sia con la sentenza 3 luglio 2002, n. 305, che ha dichiarato incostituzionale il combinato disposto dal R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 139 e art. 141, comma 3 (nella parte in cui non prevede meccanismi di sostituzione del componente astenuto, ricusato o legittimamente impedito del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche)
sia con la sentenza 22 luglio 2003, n. 262, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), nel testo modificato dall’art. 2 della legge 28 marzo 2002, n. 44 (Modifica alla L. 24 marzo 1958, n. 195, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), nella parte in cui non prevede l’elezione da parte del Consiglio superiore della magistratura, in aggiunta ai membri supplenti della Sezione disciplinare già previsti, di ulteriori componenti, in modo da consentire la costituzione, per numero e categoria di appartenenza, di un collegio giudicante diverso da quello che abbia pronunciato una decisione successivamente annullata con rinvio dalle Sezioni unite della Cassazione.
Ed è proprio in applicazione degli indicati principi affermati dal giudice delle leggi che la Corte di Cassazione ha affermato con sentenza (SS.UU.CC.) 26 maggio 2004, n. 10139, che, alla stregua del disposto dell’art. 383 c.p.c., in caso di cassazione con rinvio di sentenza della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della magistratura, della stessa non possono essere membri coloro che già hanno partecipato alla precedente decisione, a pena di nullità assoluta e con successiva sentenza (Sezione III civile 15 marzo 2007, n. 6003), ha ritenuto “viziata da nullità assoluta, rilevabile anche d’ufficio, la decisione emessa, in sede di giudizio di rinvio, dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, qualora uno o più dei suoi componenti abbiano già preso cognizione della medesima causa per avere partecipato al precedente giudizio definito con decisione poi cassata dalla Corte di cassazione”, dovendo il giudice del rinvio provvedere al riesame della controversia, costituendosi in un collegio che sia immune da tale vizio”.
L’approdo finale di tale sviluppo interpretativo dell’art. 51, n. 4 CP, è costituito dalla sentenza della Corte di Cassazione – Sezioni Unite Civili 27 febbraio 2008, n. 5087, all’inizio richiamata.
I passaggi essenziali di tale ultimo arresto giurisprudenziale, possono individuarsi per ciò che rileva nel caso di specie, nelle seguenti proposizioni:
a) «La norma dell’art. 383, 1° comma, c.p.c. fissa come unica regola sulla competenza del giudizio rescissorio quella relativa al grado dell’ufficio giudiziario investito del rinvio (grado che deve essere pari a quello del giudice, inteso come ufficio giudiziario, che ha pronunciato la sentenza annullata), mentre la locuzione ‘altro giudice’, imponendo solo il rispetto del principio di alterità del giudice persona fisica, rimette alla discrezionalità della Corte di cassazione l’individuazione territoriale del giudice del rinvio prosecutorio, che può essere identificato sia in altro ufficio giudiziario, rispetto a quello che ha pronunciato la sentenza cassata, sia nello stesso ufficio giudiziario, purché composto da diversi magistrati»;
b) «il requisito dell’alterità del giudice di rinvio (espresso con le locuzioni ‘altra sezione’, ‘stessa sezione in diversa composizione’, ‘in persona di altro magistrato’, o con altre analoghe), che costituisce, comunque, applicazione del principio d’imparzialità-terzietà della giurisdizione, ha in effetti un unico contenuto precettivo e significa (qualunque sia l’espressione usata) che l’indicato giudice di rinvio non può essere costituito da quelle stesse persone fisiche che hanno adottato la sentenza cassata»;
c) «la violazione della or indicata regola dell’alterità (del giudice di rinvio) determina un vizio attinente alla costituzione del giudice e rileva ex art. 158 c.p.c., con la conseguenza che, ai fini della sua valutazione non occorre tempestiva instaurazione del subprocedimento di ricusazione, in quanto sull’illegittimità per individuati magistrati (e cioè per quelli indicati nominatim dalla decisione annullata) di partecipare al giudizio di rinvio si è già pronunciata la sentenza cassatoria, sia pure adottando una delle varie formule dianzi ricordate, ovvero, implicitamente, rinviando ad altro ufficio giudiziario di pari grado»;
d) «la nullità ex art. 158 c.p.c., determinata dalla violazione dell’or menzionato requisito dell’alterità del giudice di rinvio, non si sottrae al principio della conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione, con la conseguenza che, se non è stata rilevata — d’ufficio o su eccezione — dal giudice mal costituito, dev’essere denunciata in sede di gravame, dovendosi altrimenti ritenere sanata dalla formazione del giudicato sul punto».
3. E’ alla luce della nuova linea interpretativa, che deve essere valutata la questione sollevata dall’ordinanza di rimessione di rivedere l’originario orientamento di questo Consiglio di Stato.
Secondo tale indirizzo, si deve escludere l’applicabilità della disposizione di cui all’art. 51 n. 4 c.p.c. (che fa obbligo al giudice di astenersi quando abbia già conosciuto della causa in un altro grado del processo) allorquando sia lo stesso ufficio giudiziario che ha reso la pronuncia originaria a doversi pronunciare nuovamente nell’abito dello stesso grado oggetto di riedizione piuttosto che in seno ad un nuovo e diverso grado di giudizio. Di qui il corollario dell’inapplicabilità della causa di incompatibilità in parola in caso di esame del ricorso per revocazione avverso la sentenza di appello, nonché nell’ipotesi di opposizione di terzo e, segnatamente, in caso di annullamento con rinvio.
Con riguardo a detta ipotesi, che viene nella specie in rilievo, si è reputato che l’art. 51, n. 4 c.p.c. non venga in considerazione in quanto il giudizio di rinvio non si configura alla stregua di grado diverso ed autonomo da quello concluso con la sentenza primigenia annullata con rinvio. In tale caso potrebbe essere configurabile l’ipotesi di astensione facoltativa prevista dal comma ultimo dell’art. 51 cit.; ma l’avvalersi o meno di tale facoltà è rimesso alla sensibilità dei singoli magistrati ed il suo mancato esercizio non consente neanche la ricusazione (cfr. art. 52 comma 1 c.p.c.) e quindi, a “fortiori”, non è idoneo a produrre l’invalidità della sentenza. (Consiglio Stato , sez. V, 30 luglio 1982 , n. 622). Si deve soggiungere, per completare il quadro, che è stata esclusa la configurabilità di una situazione di incompatibilità nei confronti del giudice della fase cautelare a partecipare alla decisione di merito (Cons. Stato, sez. V, 9 novembre 2001, n. 5733 e Corte Cost. 7 novembre 1997, n. 327, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 51 c.p.c. nella parte in cui non prevede l’obbligo di astensione nella causa di merito per il giudice che abbia concesso una misura cautelare ante causam, in riferimento all’art. 24 Cost.).
Ritiene questa Adunanza Plenaria che la nuova linea interpretativa, prima diffusamente richiamata, deve essere pienamente condivisa.
Si deve, difatti, convenire che l’alterità del Giudice in sede di rinvio prosecutorio costituisce applicazione del principio di imparzialità- terzietà della giurisdizione, che ha “pieno valore costituzionale in relazione a qualunque tipo di processo” (cfr.: Corte 21 marzo 2002 n. 78; Corte Cost. 3 luglio 2002 n. 305; Corte Cost. 22 luglio 2003 n. 262 cit.). In questa direzione l’esigenza di proteggere l’imparzialità del giudice impedisce che quest’ultimo possa pronunciarsi due volte sulla medesima res iudicanda, in quanto dal primo giudizio potrebbero derivare convinzioni precostituite sulla materia controversa, determinandosi così, propriamente, un “pregiudizio” contrastante con l’esigenza costituzionale che la funzione del giudicare sia svolta da un soggetto “terzo”, non solo scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto, ma anche sgombro da convinzioni formatesi in occasione dell’esercizio di funzioni giudicanti in altre fasi del giudizio (Corte Cost. 12 luglio 2002 n. 335; Corte Cost. 22 luglio 2003 n. 262 cit.).
Come, del resto, osservato anche dalla dottrina, negli ordinamenti processuali è avvertita l’esigenza di evitare la cd. forza della prevenzione, attraverso la predisposizione di meccanismi processuali capaci di garantire che il Giudice non subisca condizionamenti psicologici tali da rendere probabile il venir meno della sua serenità di giudizio.
4. Facendo applicazione degli indicati principi, il primo motivo di appello è fondato e va accolto, essendo risultato in maniera incontestabile che del Collegio che ha adottato la decisione in sede di rinvio hanno fatto parte due magistrati – persone fisiche (uno dei quali nella veste di relatore in entrambe le pronunce) che avevano partecipato alla precedente sentenza poi annullata con rinvio.
La decisione impugnata deve essere, dunque, annullata con rinvio al medesimo giudice di primo grado, il quale dovrà riesaminare la controversia, costituendosi in un collegio che sia immune da tale vizio (medesima Sezione con diversa composizione ovvero diversa Sezione).
5. Infine, meritano qualche osservazione anche le ipotesi della revocazione e dell’opposizione di terzo, alle quali pure ha fatto riferimento l’ordinanza di rimessione.
Al riguardo, relativamente alla revocazione, non si ignora che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. Sezione Lavoro, 12 settembre 2006, n. 19498), salvo il caso in cui la sentenza sia effetto del dolo del giudice, le ipotesi di revocazione sono fondate sull’idea che il processo non abbia potuto trovare un esito conforme al diritto, senza che si possa imputare al giudice un qualche errore di giudizio (se vi fosse quest’ultimo, la revocazione non sarebbe ammissibile), per cui proprio perché non vi sono errori di giudizio non vi può nemmeno essere un pre-giudizio che possa essere addebitato al giudice e che gli possa impedire, quando egli sia chiamato nuovamente a giudicare della materia controversa, di assumere una decisione senza essere condizionato da quella precedentemente resa, con l’ulteriore conseguenza che non sussiste per i magistrati che avevano pronunciato la sentenza impugnata per revocazione alcuna incompatibilità a partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione .
Ritiene di contro questa Adunanza Plenaria, che, ancorché il ricorso per revocazione possa fondarsi anche solo su errore dei sensi, non di apprezzamento, sussistano le regioni che inducono ad escludere che di tale giudizio possa conoscerne la stessa persona fisica che ha pronunciato la sentenza impugnata, ben potendo la cd. forza della prevenzione svolgere un ruolo decisivo nella fase rescindente.
Soluzione diversa deve, invece, attribuirsi al caso di opposizione di terzo, posto che, in tale ipotesi, la possibilità per il giudice che ha pronunciato la sentenza poi impugnata con la opposizione di terzo di partecipare alla decisione sull’opposizione medesima, non essendo configurabile la situazione di cui all’art. 51 n. 4 c.p.c., è consentita dalla norma dell’art. 405 dello stesso codice, secondo cui competente a conoscere dell’opposizione, è lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza opposta (cfr. CdS, sez. IV, 9 novembre 2005, n. 6238; Cassazione civile, sez. III, 13 aprile 1999, n. 3608, secondo la quale si tratta, più in particolare, di competenza funzionale inderogabile, che non può subire eccezioni neppure per ragioni di connessione).
Resta, ovviamente, fermo il principio che esclude la configurabilità di una situazione di incompatibilità nei confronti del giudice della fase cautelare a partecipare alla decisione di merito (Cons. Stato, sez. V, 9 novembre 2001, n. 5733 e Corte Cost. 7 novembre 1997, n. 327, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 51 c.p.c. nella parte in cui non prevede l’obbligo di astensione nella causa di merito per il giudice che abbia concesso una misura cautelare ante causam, in riferimento all’art. 24 Cost.).
6. Alla stregua delle considerazioni che precedo, l’appello va accolto e la decisione impugnata deve essere, dunque, annullata con rinvio al medesimo giudice di primo grado, il quale dovrà riesaminare la controversia, costituendosi in un collegio che sia immune da tale vizio (medesima Sezione con diversa composizione ovvero diversa Sezione).
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti, attesa anche la novità della questione esaminata.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe specificato, lo accoglie e, per l’effetto, dichiara la nullità della sentenza con rinvio della causa al medesimo giudice di primo grado, il quale dovrà riesaminare la controversia, costituendosi in un collegio che sia immune dal vizio accolto (medesima Sezione con diversa composizione ovvero diversa Sezione).
Spese del doppio grado compensate.
Così deciso in Roma il 15 dicembre 2008 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (adunanza plenaria), in camera di consiglio, con l’intervento dei signori:
Paolo Salvatore Presidente del Consiglio di Stato
Giovanni Ruoppolo Presidente di Sezione
Gaetano Trotta Presidente di Sezione
Costantino Salvatore Consigliere estensore
Luigi Maruotti Consigliere
Giuseppe Romeo Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Luciano Barra Caracciolo Consigliere
Cesare Lamberti Consigliere
Aldo Fera Consigliere
Filoreto D’Agostino Consigliere
Claudio Marchitiello Consigliere
Domenico Cafini Consigliere
Presidente
Consigliere Segretario