La risarcibilita’ del c.d. “danno da curriculum” e la sua quantificazione

Il c.d. “danno curriculare”, -consistente  nel pregiudizio subito dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dell’Amministrazione-  deve essere risarcito.

Il Tar Lazio ritiene, invero, che non possa seriamente dubitarsi che l’esecuzione di un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), possa essere fonte, per l’impresa, di un vantaggio economicamente valutabile.

Si tratta, infatti, di una vicenda che accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti.

Quanto al  lucro cessante da mancata aggiudicazione il Tar afferma che – mentre nel caso della fornitura di servizi o nell’ipotesi di lavori può essere risarcito per intero nella misura indicata se e in quanto l’impresa sia stata in grado di documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, con la riduzione di detta percentuale nell’ipotesi in cui, in assenza di tale dimostrazione, sia da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi servizi, sulla base dell’aliunde perceptum-  nel caso di fornitura di prodotti, deve essere riconosciuto per intero nella misura percentuale stabilita dal giudice senza decurtazione alcuna .

In tale ipotesi, infatti, mancando proprio l’aliunde perceptum in quanto una diversa e nuova fornitura non potrà sostituire quella venuta meno, la percentuale dell’utile non conseguito va riconosciuta per intero. (Consiglio Stato, sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751).

Di  seguito il testo integrale della sentenza

 

Tar Lazio,   Sezione Terza Quater

Sentenza n. 7103 del 18 luglio 2009

(Presidente  Di Giuseppe  – Relatore L. Sandulli)

[…]



DIRITTO


Il punto 8 del bando di gara relativo alla procedura ristretta per l’affidamento della fornitura di apparecchiature ed arredi vari necessari alla sede degli IFO, S. Gallicano, nuovo reparto di day surgery, per un importo a base d’asta pari a Euro 519.590,00, prevede, a proposito del requisito della capacità tecnica organizzativa, l’allegazione di una dichiarazione contenente una specificazione su quanto previsto nei commi a) b) c) m) articolo 42 del d. lgs. 163/2006, al fine dell’ammissione alla fase successiva a quella della prequalificazione.

L’impresa aggiudicataria, odierna controinteressata, ha prodotto, a proposito della lettera m) dell’articolo 42 appena menzionato, il proprio certificato di qualità aziendale secondo le norme UNI EN ISO 9001 -2000.

Tale certificato, ad avviso della ricorrente, non sarebbe idoneo a dimostrare il possesso del requisito tecnico prescritto da tale disposizione atteso che l’articolo 42 del d. lgs. 163 del 2006, alla lettera m) prevede la produzione: “nel caso di forniture…. (di un) certificato rilasciato dagli istituti o servizi ufficiali incaricati del controllo qualità, di riconosciuta competenza, i quali attestino la conformità dei beni con riferimento a determinati requisiti o norme.”

L’attestazione da esibire avrebbe dovuto essere, pertanto, nel senso di certificare non l’idoneità o meglio l’efficienza dell’azienda e del suo processo aziendale (certificato SOA), ma quella del prodotto offerto e per fare ciò avrebbe dovuto indicare la conformità di quest’ultimo alla marcatura CE – espressamente prevista per i prodotti medici – e quindi alle caratteristiche fissate nella direttiva 93/42, recepita con il d. lgs. n. 46 del 1997- a prescindere dalla circostanza di essere alla presenza di una procedura ristretta e della mancata conoscenza dell’elenco delle apparecchiature che avrebbero formato oggetto dell’appalto.

Sul piano del fatto viene rilevato che, in ogni caso, il Capitolato Speciale dell’Appalto, contenente l’indicazione delle apparecchiature richieste, risultava già pubblicato prima della presentazione delle domande di partecipazione alla fase di prequalifica e che la controinteressata avrebbe potuto fare ricorso all’autocertificazione secondo l’espressa possibilità consentita dallo stesso articolo 42 al comma 2 del d. lgs. 163 del 2006.

Ne conseguirebbe sia la violazione del punto 8 del bando sia quella dell’articolo 42 del d. lgs. 163 del 2006 sopra richiamato.

Le argomentazioni svolte dalla ricorrente non trovano corrispondenza nelle circostanze di fatto evidenziate dalla difesa dell’Amministrazione resistente nella sua memoria e suffragate dalla documentazione versata in atti.

Precisano gli IFO che la controinteressata, nella domanda di partecipazione alla procedura ristretta accelerata, ha dichiarato di voler fornire prodotti conformi alla marcatura CE ed ha prodotto un certificato UNI ISO 9001, secondo quanto ammesso dal punto 8 lettera f) del bando di gara. Riferiscono, inoltre, che la stessa società ha prodotto, in sede di presentazione dell’offerta, la certificazione CE e CEI prescritta, per ciascuno dei dispositivi medicinali da fornire.

Effettivamente, dall’esame della documentazione prodotta dall’Azienda controinteressata e versata in atti, risulta che l’aggiudicataria della gara ha presentato, a dimostrazione del possesso della capacità tecnica (articolo 42 del d. lgs. 163 del 2006), una dichiarazione resa ai sensi del dPR 445 del 2000 nella quale dopo l’indicazione degli altri dati prescritti ha precisato che “ a dimostrazione della serietà della propria organizzazione..è in grado di fornire tutte le certificazioni che attestano la conformità degli articoli venduti alle norme di sicurezza interne e internazionali.”

Si tratta di una dichiarazione di contenuto generico ma utile, in quella fase che era di prequalificazione, a ritenere osservate le regole stabilite per l’ammissione della controinteressata alla fase successiva.

Deve aggiungersi, poi, che in riscontro a quanto affermato dagli IFO la predetta impresa dopo l’autodichiarazione appena esposta, ha prodotto, all’atto dell’offerta relativa alla gara per cui è causa e per ciascun prodotto proposto, un certificato attestante la sua conformità alla normativa europea, a corredo della scheda tecnica.

Ne consegue che risulta dimostrato per tabulas che la censura sollevata dall’impresa Hitech è infondata.

Viene ora in esame il secondo motivo con il quale la ricorrente lamenta la violazione dei principi del Trattato CE in materia di scelta del contraente e degli articoli 2 e 83 del d. lg.vo 163/2006 nonché dei principi di parità di trattamento, non discriminazione, par condicio, proporzionalità e buon andamento dell’azione amministrativa oltre che di imparzialità.

La commissione di gara, subito dopo la presentazione delle offerte, avrebbe inserito quale ulteriore criterio – oltre quelli contenuti nel bando in ordine decrescente di importanza e i sub criteri specificati in quest’ultimo- quello “dell’omogeneità con le apparecchiature esistenti..”.

Ciò costituirebbe un’aperta violazione di quanto precisato dalla giurisprudenza amministrativa, anche comunitaria, a proposito delle gare pubbliche svolte secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per le quali è stata costantemente esclusa la possibilità dell’introduzione di nuovi criteri o sub criteri oltre quelli già fissati e indicati nel bando di gara ed è stata limitata al massimo la discrezionalità della medesima commissione (Corte di Giustizia sezione I, 24 gennaio 2008 nel procedimento C-532/06)

L’introduzione del nuovo criterio non sarebbe stata effettuata soltanto in violazione della giurisprudenza amministrativa interna e comunitaria richiamata, ma si porrebbe in contrasto con il principio di parità di trattamento e di par condicio tra imprese perché avendo fornito, l’impresa controinteressata, aggiudicataria dell’odierna procedura, apparecchiature all’interno del reparto ospedaliero resistente poco tempo prima, la stessa avrebbe di fatto beneficiato al massimo del nuovo criterio enunciato.

Si rileva che la tempestiva conoscenza di esso, avrebbe consentito alla ricorrente – e alle altre imprese partecipanti alla gara – in ogni caso, di predisporre una diversa offerta adeguandola anche al criterio appena riferito.

La censura si rivela fondata in tutti i profili appena esposti.

L’articolo 10 del Capitolato Speciale stabilisce che i 60 punti riservati all’offerta tecnica devono essere ripartiti nel modo sottoindicato:

45 punti per le caratteristiche tecniche e funzionali;

5 punti per la durata della garanzia

5 punti per i termini di consegna

5 punti per l’assistenza tecnica post garanzia.

A proposito del criterio relativo alle caratteristiche tecniche e funzionali, il medesimo articolo individua i seguenti sotto criteri:

– versatilità e maneggevolezza, facilità d’uso, programma gestionale, caratteristiche costruttive e livello tecnologico di ogni singola apparecchiatura;

– carattere estetico (riferito prevalentemente all’ingombro) e possibile rendimento e qualità dei materiali.

Dall’esame degli atti di gara, e precisamente dal verbale n. 2, risulta che la commissione ha stabilito che “ai fini della valutazione delle caratteristiche tecniche, la commissione ritiene opportuno tener conto, oltre che della rispondenza alle caratteristiche tecniche minime richieste, anche dell’omogeneità dei prodotti proposti con le apparecchiature già in dotazione (e ciò sia ai fini manutentivi che di opportunità) nonché alla loro versatilità, maneggevolezza, facilità d’uso e anche carattere estetico dei beni”.

L’espressione letterale non sembra prestarsi ad equivoci atteso che il sub criterio contestato dall’impresa ricorrente si aggiunge “alle caratteristiche minime richieste” come dato necessariamente ulteriore e nuovo rispetto a quanto stabilito in precedenza.

La commissione di gara invece di specificare il peso rispettivo dei due sotto criteri appena indicati e di motivare gli aspetti che aveva intenzione di prendere in considerazione in relazione ai singoli profili enunciati in ciascuno di loro (ad esempio, l’ingombro oppure la qualità dei materiali esplicitando le misure ritenute ottimali per l’ingombro e quelle, parimenti ritenute migliori, per la qualità) dando conto, in tal modo, del percorso che intendeva seguire per la formazione della sua volontà, rendendolo in tal modo comprensibile, ha proceduto ad un’aggiunta illegittima che è stata assunta, anche, in violazione della par codicio tra imprese partecipanti alla gara.

Va sottolineato, infatti, che contrariamente alla tesi esposta dagli IFO il sottocriterio sopra riferito non si presenta come criterio motivazionale o meglio come una specificazione di uno dei profili indicati in ciascuno dei due sub criteri previsti nel bando di gara ma si pone come un ulteriore parametro di giudizio non stabilito inizialmente.

Perché si abbia un criterio motivazionale è necessario che la commissione resti all’interno delle indicazioni contenute nel bando nel senso di svilupparle e precisarle enunciando, magari, quali sono le esigenze che intende soddisfare e in ragione delle quali intende pervenire ad una determinata valutazione dei prodotti offerti attribuendo un maggior peso ad alcuni rispetto ad altri, ma senza travalicare quanto autonomamente e liberamente stabilito nel bando di gara e nel relativo CSA.

Nel caso in esame l’aggiunta sopra riferita non può essere ritenuta una precisazione di quanto già previsto nel bando di gara atteso che l’omogeneità del prodotto a quelli già in dotazione nulla ha a che vedere con il carattere estetico (riferito prevalentemente all’ingombro) e con il possibile rendimento e la qualità dei materiali e nemmeno con la “ versatilità e maneggevolezza, facilità d’uso, programma gestionale, caratteristiche costruttive e livello tecnologico di ogni singola apparecchiatura “.

Premesso che la versatilità o maneggevolezza o ancora la facilità d’uso dei materiali sono considerate, secondo quanto espressamente indicato dalla stessa commissione di gara, in via autonoma e aggiuntiva rispetto all’omogeneità dei prodotti, deve rilevarsi che i caratteri considerati, al di là di suggestioni immediate e della dicitura letterale utilizzata dalla commissione di gara, riguardano tutte le apparecchiature sanitarie proposte e ammesse alla gara, senza distinzione alcuna, mentre quelli relativi all’omogeneità ad uno specifico prodotto, esattamente quello che un’altra impresa ha recentemente fornito, restringono il campo della valutazione preferenziale ad un determinato tipo di prodotto.

Se da un lato non sfugge che la coerenza tra apparecchiature può essere oggetto di ragionevole valutazione da parte della stazione appaltante da un altro lato non può non rilevarsi che tale considerazione deve essere frutto di una espressa previsione contenuta nel bando di gara anche, anzi, soprattutto al fine di consentire all’impresa che intenda partecipare alla gara medesima, di conoscere quali potranno essere le apparecchiature preferite e pervenire, in tal modo, ad una corrispondente offerta.

Conforta la ricostruzione appena fatta, tra l’altro, l’argomentazione svolta da parte ricorrente a proposito del punteggio attribuito dalla commissione di gara per la voce 35 ove a proposito del “lavapadelle” si perviene ad un divario di punteggio tra la Tecnosalus e la ricorrente pari a 13 punti tutti esclusivamente giustificati con l’omogeneità dell’apparecchiatura offerta dalla prima.

Anche con riferimento ad altre voci la distinzione di punteggio trova giustificazione mediante il ricorso al sub criterio enunciato il quale ha svolto, quindi, un ruolo decisivo.

Deve considerarsi, invero, che la ricorrente, nonostante il prezzo complessivo offerto, pari a circa Euro 380 milioni a fronte dei circa Euro 482 milioni della controinteressata – prezzo, quindi, che si presenta sensibilmente più basso – non ha ottenuto l’aggiudicazione della fornitura, collocandosi al 2° posto con un punteggio pari 76,32 e uno scarto di soli punti 1, 99 rispetto alla Tecnosalus.

Da ciò deve dedursi l’automatica incidenza del sub criterio enunciato e illegittimamente introdotto e applicato, è risultato decisivo al fine dell’aggiudicazione medesima che, sulla base dell’applicazione degli altri criteri e punteggi riconosciuti per le singole voci, avrebbe visto la ricorrente nella veste di aggiudicataria.

Per completezza di indagine il Collegio procede, quindi, all’esame del terzo motivo con il quale la ricorrente lamenta l’eccesso di potere sotto molteplici profili per avere, la commissione di gara, valutato erroneamente molte delle apparecchiature offerte.

Il Collegio, esaminata la documentazione versata in atti respinge la censura in esame, in quanto infondata, con riferimento alle apparecchiature n. 2 e 10 “pensile per chirurgia ed anestesia” atteso che, contrariamente all’assunto della ricorrente, la portata utile dichiarata nel documento prodotto dalla medesima è pari a 290 kg., 10 al di sotto dal minimo di 300 kg. prescritto, mentre l’unico movimento descritto è in orizzontale e non in verticale sicché la motivazione fornita dalla commissione di gara “non dispone di movimentazione elettrica verticale, è sotto portata” ancorché stringata si rivela corretta e sufficiente.

Fondata si rivela la censura nella parte relativa alle apparecchiature n. 4 e 12 ove, in particolare con riferimento al carrello mobile per medicazione per il quale la scheda tecnica allegata (n. 2) al CSA, punto 4, prevedeva con apertura per rotazione delle due unità laterali, atteso che non soltanto tale caratteristica tecnica non viene riportata nell’apparecchiatura offerta dall’aggiudicataria, ove viene precisato soltanto che le pareti laterali e posteriori sono autoportanti mentre nulla viene detto rispetto alla richiesta apertura, ma la valutazione fatta dalla commissione si risolve in “rispondente – ottimo carattere estetico” per l’apparecchiatura offerta dalla Tecnosalus a fronte del laconico “rispondente” per quella offerta dalla ricorrente.

La censura coglie pertanto, nel segno quanto meno a proposito dell’eccepito difetto di motivazione senza che possa soccorrere a tal fine il punteggio attribuito concretamente atteso che senza un criterio motivazionale adeguato il punteggio di per se non consente di comprendere le motivazioni che hanno indotto ad una determinata valutazione.

Ininfluente anche la circostanza della mancata sottoscrizione della scheda descrittiva o quella della mancata allegazione del depliant illustrativo considerato che si tratta di rilievi non formulati dalla commissione di gara, ma argomentazioni difensive spese all’interno dell’odierno giudizio.

Parimenti fondata la censura nella parte riguardante l’apparecchiatura di cui al punto 5 (tavolo porta ferri) ove lo scarto di punteggio viene giustificato con l’espressione “sommamente migliore” dell’apparecchiatura proposta dall’aggiudicataria.

Se è innegabile che si è in presenza di un ambito connotato da discrezionalità non di meno tale discrezionalità deve essere utilizzata mediante i canonici parametri della ponderazione, valutazione e scelta di cui occorrer dare conto attraverso una motivazione anche stringata ma sufficiente a comprendere il percorso formativo della volontà e non attraverso il ricorso ad un’affermazione apodittica cui corrisponde un punteggio che non assistito da alcuna predeterminazione non spiega la ragione della scelta operata .

La censura in esame, si rivela fondata in relazione al “tavolo porta ferri”, infondata, invece, in relazione al “tavolo porta ferri per laser”.

A proposito di tali apparecchiature contraddistinte rispettivamente con i numeri 5 e 13, la scheda tecnica (allegato n. 2) al CSA prevede l’offerta di un piano di misura pari a 90 per 90 mentre l’aggiudicataria propone un tavolo di dimensioni 95 per 62.5 80 di altezza.

Risulta pertanto incomprensibile la ragione per la quale alla DRAEGER sia stato assegnato un punteggio pari a 20 a causa del rilevato scostamento dalle misure, mentre per l’aggiudicataria tale scostamento non solo non sia stato fatto rilevare ma le sia stato attribuito un punteggio pari a 35, giustificato con la formula del tutto generica “sommariamente migliore” mentre alla ricorrente sia stato attribuito un punteggio pari a 20 con la laconica formula di “rispondente”.

A proposito del tavolo porta ferri per laser (n. 13 dell’allegato n. 2 al CSA) osserva il Collegio che l’attribuzione di un punteggio inferiore sulla base della mancanza del carattere richiesto dell’antiriflesso e la contestazione di tale punto non risulta invero documentata dalla ricorrente atteso che l’allegato proposto a dimostrazione della sua tesi (n. 7) riguarda il tavolo porta ferri e non il tavolo portaferri laser, sicché la circostanza dedotta non risulta comprovata.

Da respingere, infine, la censura in esame relativamente alla parte che riguarda le apparecchiature indicate con i numeri 1 e 9 (lampada scialitica) atteso che la ricorrente nel contestare la valutazione operata dalla commissione di gara entra nel merito tecnico di una scelta attardandosi nella spiegazione delle caratteristiche generali delle lampade richieste e non fornisce adeguata dimostrazione delle ragioni dell’errore in cui sarebbe incorsa la commissione di gara.

Il ricorso, esaurito l’esame delle censure mosse dalla ricorrente deve in ogni caso intendersi accolto con il conseguente annullamento degli atti gravati.

Trattandosi di fornitura che ha dato luogo immediatamente alla stipula del contratto ormai interamente eseguito, e considerata la posizione di seconda classificata nella graduatoria finale, della ricorrente, con uno scarto di punteggio minimo rispetto alla prima, ampiamente eliminabile con il venir meno del sub criterio introdotto solo in sede di espletamento della gara, non resta al Collegio che esaminare la richiesta di risarcimento del danno per equivalente avanzata dalla ricorrente medesima che viene indicato in misura pari all’utile economico non conseguito, alla perdita di chance ed a quello curriculare.

Per quantificare il risarcimento del danno dovuto ex articolo 2043 c.c., premessa la necessità della sussistenza di un comportamento colposo dell’amministrazione appaltante salvo prova del contrario da parte sua, è necessario fare ricorso alle due voci che lo compongono, vale a dire il danno emergente e il lucro cessante c.c.

Nel caso in esame il comportamento colposo può dirsi sussistente atteso che al di là della mancata dimostrazione da parte degli IFO di essere incorsi in un errore scusabile, risulta che l’amministrazione appaltante ha tenuto un comportamento negligente non soltanto per aver introdotto un criterio o meglio un sottocriterio non previsto ma ancor più perchè tale sotto criterio ha, oggettivamente, favorito l’aggiudicataria senza consentire alle altre imprese di formulare un’offerta adeguata.

Si è contravvenuto, in tal modo, ai più elementari principi della libera concorrenza ai quali deve ispirarsi la materia degli appalti pubblici.

Quanto alla misura del risarcimento da riconoscere va osservato che in sede di risarcimento del danno arrecato dalla illegittimità della mancata aggiudicazione, secondo una giurisprudenza che il Collegio condivide, “il “lucro cessante” può essere direttamente rapportato all’utile che l’impresa avrebbe conseguito a seguito dell’aggiudicazione illegittimamente negata, che la prevalente giurisprudenza mutua dall’art. 345 della legge 20.3.1865, n. 2248, all. F (riprodotto dall’art. 122 del regolamento, emanato con D.P.R. 21.12.1999, n. 554 e dall’art. 37 septies, comma 1, lettera c, della legge 11.2.1994, n. 109), nella misura del 10% dell’importo dell’appalto. La somma risultante deve considerarsi compensativa anche del “danno emergente”, identificato nel costo affrontato dalla società per la presentazione dell’offerta; non risultando, infatti, che tale costo fosse rimborsabile alla società in questione, in caso di aggiudicazione dell’appalto, deve ritenersi che la predetta somma costituisce un investimento ma anche un rischio dell’impresa, funzionale alla previsione di guadagno già sopra quantificata e ritenuta liquidabile. Non va dimenticato, a tale riguardo, che il risarcimento del danno per illegittima aggiudicazione – in materia di pubblici appalti di lavori e servizi – è riferito sostanzialmente a quella che si definisce “perdita di chance”, ovvero al guadagno che l’impresa avrebbe potuto ottenere, in base ad una ragionevole valutazione di probabilità e alle regole del mercato.”(Consiglio Stato, sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1180)

Il predetto lucro cessante da mancata aggiudicazione, peraltro, mentre nel caso della fornitura di servizi o nell’ipotesi di lavori può essere risarcito per intero nella misura indicata se e in quanto l’impresa sia stata in grado di documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, con la riduzione di detta percentuale nell’ipotesi in cui, in assenza di tale dimostrazione, sia da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi servizi, sulla base dell’aliunde perceptum, deve essere riconosciuto per intero nella misura percentuale stabilita dal giudice senza decurtazione alcuna nel caso di fornitura di prodotti.

In tale ipotesi, infatti, che coincide con quella all’esame del Collegio, mancando proprio l’aliunde perceptum in quanto una diversa e nuova fornitura non potrà sostituire quella venuta meno la percentuale dell’utile non conseguito va riconosciuta per intero. (Consiglio Stato, sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751).

L’impresa ricorrente reclama, poi, il danno per perdita di chance consistente, a suo dire, nella mancata partecipazione ad altre tre gare a causa del vincolo dato dalla partecipazione alla gara in esame.

Si tratta di richiesta infondata nel merito e comunque relativa ad un danno del tutto indimostrato non potendo essere ritenuto provato quello che si sarebbe subito per omessa partecipazione a tre gare liberamente indicate e relative a forniture nemmeno coincidenti con quelle relative alla gara per cui è causa.

Resta da esaminare la richiesta di risarcimento per una particolare voce di danno, di recente emersione in giurisprudenza, il c.d. “danno curriculare”, che consiste nel pregiudizio subito dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dell’Amministrazione.

Il Collegio ritiene che, in linea di principio, tale tipologia di danno sia risarcibile.

Non può seriamente dubitarsi che l’esecuzione di un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), possa essere fonte, per l’impresa, di un vantaggio economicamente valutabile.

Si tratta, infatti, di una vicenda che accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti.

L’interesse alla vittoria di un appalto, nella vita di un’impresa, va oltre l’interesse all’esecuzione della fornitura in sé, e al relativo incasso del prezzo per la fornitura eseguita. Alla mancata fornitura devono ricollegarsi, infatti, oltre che indiretti nocumenti all’immagine della società soprattutto il suo radicamento nel mercato, trascurando il potenziamento delle imprese concorrenti che operino su una medesima parte di mercato e che siano risultate, illegittimamente, aggiudicatarie della gara.

In linea di massima deve, pertanto, ammettersi che l’impresa illegittimamente privata dell’esecuzione di un appalto possa rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale.

La quantificazione di tale voce di danno è stata operata dal giudice amministrativo in via equitativa, riconoscendo una somma pari ad una percentuale (variabile dall’1% al 5%) applicata in alcuni casi sull’importo globale dell’appalto, in altri sulla somma già liquidata a titolo di lucro cessante (la seconda soluzione è seguita da Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1514/2007) ed a questa intende ispirarsi il Collegio.

Ne consegue che alla ricorrente deve essere riconosciuto un risarcimento del danno pari al 10% del prezzo dalla medesima offerto (Euro 38. 043, 95 su Euro 380.439,55) con l’aggiunta del 3%, stabilito in via equitativa, sulla medesima cifra da riconoscersi a titolo di danno da curriculum.

Tali somme vanno, infine, maggiorate di interessi legali e, se superiori a tale saggio, anche dell’ulteriore rivalutazione monetaria (potendosi agevolmente presumere, nella fattispecie, il maggior danno ex art. 1224 subito dall’impresa appellante in conseguenza del mancato utile)

Le spese di giudizio, liquidate in € 4.000,00 di cui € 2000,00 per spese di giustizia vengono poste a carico dell’amministrazione soccombente.

P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sede di Roma – Sezione III quater

Accoglie il ricorso proposto dalla soc. Hitech meglio specificata in epigrafe e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Condanna gli Istituti Fisioterapici Ospedalieri al risarcimento del danno in favore della ricorrente nella misura indicata in motivazione.

Condanna i predetti IFO alle spese di lite così come liquidate in motivazione, da corrispondere in favore della ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2009 con l’intervento dei Magistrati:

Redazione

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