La Corte Costituzionale, relatore Alfonso Quaranta, deciderà, il prossimo 21 settembre, sul diritto degli abilitati non iscritti all’albo avvocati di partecipare al concorso di magistratura.
La dottoressa Mara Marchese, assistita dall’avvocato Carmelo Giurdanella, difenderà innanzi alla Consulta le ragioni degli abilitati, impossibilitati ad iscriversi all’albo, perchè dipendenti, pubblici o privati, e per questo esclusi dal concorso di magistratura.
La questione è stata sollevata dal Tar Lazio, che ha ritenuto fondata la questione di costituzionalità, con l’ordinanza numero 1366/2008 (estensore Silvia Martino), che si riporta per esteso di seguito.
. . . . .
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, Sez. I
(presidente Giovannini, relatore Martino)
Ordinanza
sul ricorso n. 6015/2008 proposto da Emanuela Tagliamonte, Ireneangela Smargiassi, Mara Marchese, Chiara Zompì, Esther Emma, rappresentate e difese dagli avv.ti Carmelo Giurdanella e Benedetta Caruso, ed elettivamente domiciliate presso lo studio dell’avv. Guido Scorza, in Roma, via di Monte Giordano n. 36;
Contro
– Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresento e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domicilia ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi n.12;
(…)
Fatto e Diritto
1. Le ricorrenti hanno chiesto di partecipare al concorso per esami a 500 posti di magistrato ordinario, indetto con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, IV^ serie speciale, n. 23 del 21 marzo 2008.
Esse sono tutti abilitate alla professione di avvocato, ma non sono attualmente iscritte all’Albo perché dipendenti pubblici o dipendenti di banca.
Il bando di concorso, all’art. 2, lett. g) punto 6, richiede, quale requisito di ammissione, anche l’iscrizione all’Albo degli avvocati, in esecuzione dell’ultima legge che ha modificato le norme sull’ordinamento giudiziario, n. 111 del 2007.
Le ricorrenti ritengono di avere in tal modo subito un’ingiusta discriminazione, e, all’uopo, denunciano l’illegittimità del bando nella parte in cui l’ammissione al concorso degli abilitati all’esercizio della professione forense è stata condizionata all’iscrizione al relativo Albo professionale.
Si è costituito, per resistere, il Ministero della Giustizia.
Le ricorrenti Tagliamonte, Emma, Marchese e Zompì hanno anche proposto motivi aggiunti avverso i provvedimenti, nel frattempo intervenuti, con cui l’amministrazione ne ha formalmente disposto l’esclusione dal concorso.
Con ordinanza n. 4969/2008 è stata provvisoriamente accolta la domanda di tutela cautelare.
Le ricorrenti sono state pertanto ammesse con riserva al procedimento di concorso, in attesa – dopo la pronuncia da parte della Corte costituzionale sulla questione di costituzionalità che viene sollevata con la presente ordinanza – della pronunzia definitiva sull’istanza cautelare e della decisione di merito.
2. Ciò premesso, deve anzitutto rilevarsi che il bando impugnato rappresenta, in parte qua, la pedissequa riproduzione delle disposizioni di cui all’art. 2, comma 1, lett. f) del d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, così come modificato dall’art. 1 della l. n. 111 del 30 luglio 2007.
Esso non rappresenta, pertanto, il frutto di una scelta discrezionale dell’amministrazione, ma il risultato dell’applicazione di puntuali previsioni legislative, di talché la sostanza delle censure dedotte si risolve nella pura dedotta questione di legittimità costituzionale della norma citata, nella parte in cui richiede, per l’ammissione al concorso, che gli abilitati all’esercizio della professione forense siano anche iscritti all’Albo.
Giova, al riguardo, premettere il complessivo quadro normativo in cui si inserisce il ricorso in esame.
2.1. Con il d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, in attuazione della delega di cui dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della l. 25 luglio 2005, n. 150, è stata introdotta la “nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati”.
Per quanto qui interessa, l’art. 2, comma 1, decreto cit., ha previsto che al concorso siano ammessi coloro che “a) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno conseguito diploma presso le scuole di specializzazione nelle professioni legali previste dall’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni. […];
b) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche;
c) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense;
d) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno svolto, dopo il superamento del relativo concorso, funzioni direttive nelle pubbliche amministrazioni per almeno tre anni;
e) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno svolto le funzioni di magistrato onorario per almeno quattro anni senza demerito e senza essere stati revocati o disciplinarmente sanzionati;
f) hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni ed hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica, al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162.”
L’efficacia di tali disposizioni, è stata dapprima sospesa sino alla data del 31 luglio 2007, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 1, l. 24 ottobre 2006, n. 269. Le disposizioni medesime sono state successivamente parzialmente modificate con l. 30 luglio 2007, n. 111, pervenendosi all’attuale formulazione del sistema di accesso che prevede l’ammissione delle seguenti categorie di soggetti:
a) i magistrati amministrativi e contabili;
b) i procuratori dello Stato che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;
c) i dipendenti dello Stato, con qualifica dirigenziale o appartenenti ad una delle posizioni dell’area C prevista dal vigente contratto collettivo onale di lavoro, comparto Ministeri, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, che abbiano costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;
d) gli appartenenti al personale universitario di ruolo docente di materie giuridiche in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;
e) i dipendenti, con qualifica dirigenziale o appartenenti alla ex area direttiva, della pubblica amministrazione, degli enti pubblici a carattere onale e degli enti locali, che abbiano costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale era richiesto il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica o, comunque, nelle predette carriere e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;
f) gli avvocati iscritti all’albo che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;
g) coloro i quali hanno svolto le funzioni di magistrato onorario per almeno sei anni senza demerito, senza essere stati revocati e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;
h) i laureati in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni e del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali previste dall’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni;
i) i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche;
l) i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica, al termine di un corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162.
Ai sensi del comma 5 della medesima disposizione, inoltre;
“5. Ai concorsi per l’accesso in magistratura indetti fino al quinto anno successivo alla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi emanati nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150, sono ammessi, oltre a coloro che sono in possesso dei requisiti per l’ammissione al concorso di cui al presente articolo, anche coloro che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, essendosi iscritti al relativo corso di laurea anteriormente all’anno accademico 1998-1999. L’accesso al concorso avviene con le modalità di cui al presente articolo.”.
Il raffronto tra le disposizioni testé riportate evidenzia che, anche con le modifiche apportate dalla l. n. 111/2007, è stato mantenuto l’impianto di fondo del sistema di accesso della riforma c.d. Castelli, ed in particolare l’opzione in favore del concorso di secondo grado, riservato quindi a soggetti aventi requisiti urali e/professionali specifici.
Tale opzione, peraltro, non costituisce un’assoluta novità, bensì l’approdo di un travagliato progetto di riforma che si è snodato per diverse legislature ma le cui diverse modulazioni appaiono tutte accomunate dall’affermazione dell’inadeguatezza del tradizionale sistema di accesso, aperto a tutti i laureati in giurisprudenza.
Le origini di tale disegno riformatore risalgono all’art. 17, comma 113, della l. 15 maggio 1997, n. 127, con la quale il Governo veniva delegato ad emanare uno o più decreti legislativi per modificare la disciplina del concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi: “semplificazione delle modalità di svolgimento del concorso e introduzione graduale, come condizione per l’ammissione al concorso, dell’obbligo di conseguire un diploma esclusivamente presso scuole di specializzazione istituite nelle università, sedi della facoltà di giurisprudenza”.
In attuazione della delega veniva emanato il d.lgs. 17 novembre 1997, n. 398. Il decreto in questione prevedeva – relativamente agli iscritti al corso di laurea in giurisprudenza a decorrere dall’anno accademico 1998/1999 – che l’ammissione al concorso per uditore giudiziario fosse condizionata al possesso del diploma di specializzazione per le professioni legali; esso prevedeva altresì, in via residuale, la possibilità di ammissione al concorso di candidati in possesso della sola laurea in giurisprudenza (art. 6, che ha novellato l’art. 124 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12).
In particolare, il cit. art. 124 veniva così modificato: “al concorso sono ammessi i laureati in giurisprudenza in possesso, relativamente agli iscritti al relativo corso di laurea a decorrere dall’anno accademico 1998/1999, del diploma di specializzazione rilasciato da una delle scuole di cui all’art. 17, comma 114, della l. 15 maggio 1997, n. 127, che, alla data della pubblicazione del bando di concorso, risultino di età non inferiore agli anni ventuno e non superiore ai quaranta, soddisfino alle condizioni previste dall’art. 8 del presente ordinamento e abbiano gli altri requisiti previsti dalle leggi vigenti” (comma 1); il successivo terzo comma prevedeva peraltro che, qualora le domande di partecipazione al concorso presentate dai candidati in possesso del diploma fossero inferiori a cinque volte il numero dei posti per i quali il concorso è bandito, fossero altresì ammessi, “previo superamento della prova preliminare di cui all’art. 123 –bis ed in misura pari al numero necessario per raggiungere il rapporto anzidetto, anche i candidati in possesso della sola laurea in giurisprudenza” (comma 3).
Con la legge 13 febbraio 2001, n. 48 quest’ultima disposizione veniva modificata eliminando – in armonia con la sua prevista soppressione e con l’introduzione del sistema dei “correttori esterni” – il riferimento alla prova preliminare.
2.2. In applicazione della previsione relativa all’introduzione graduale del possesso del diploma di specializzazione nelle professioni legali come condizione per l’ammissione al concorso, veniva quindi prevista, per i laureati in giurisprudenza non in possesso del diploma di specializzazione nelle professioni legali, l’ammissione al concorso subordinatamente al superamento di una prova preliminare da svolgersi con l’ausilio di strumenti informatici e consistente nella risposta ad un questionario.
La prova in questione era disciplinata dall’art. 2 del d.lgs. n. 398 che introduceva nel r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, l’art. 123-bis.
2.3. Il sistema veniva nuovamente modificato per effetto della cit. l. 13 febbraio 2001, n. 48, in particolare con l’eliminazione della prova preliminare. Venivano quindi abrogate le disposizioni disciplinanti la prova in questione e l’obiettivo di semplificazione e di accelerazione dello svolgimento del concorso, prima garantito dalla stessa, veniva affidato ai c.d “correttori esterni”.
In via transitoria, nelle more dell’introduzione di tale sistema, l’art. 22 della l. n. 48/2001 stabiliva il mantenimento della prova preliminare, da svolgersi in conformità alla disciplina dell’art. 123 – bis.
2.4. Il sistema testé delineato è stato abrogato dall’art. 54 del d.lgs. n. 106/2006 e sostituito da quello di cui si controverte, nella versione derivante dalle modifiche introdotte dalla l. n. 111/2007.
Nella nuova disciplina è chiaramente venuta meno la preferenza accordata, quale canale privilegiato di accesso alla selezione, alla frequenza delle scuole di specializzazione nelle professioni legali, le quali erano state in origine concepite quale strumento di formazione post universitaria comune a tutti i futuri operatori del diritto.
Risulta poi di immediata evidenza- come si ammette anche nella relazione di accompagnamento al d.d.l. poi divenuto la l. n. 111/2007 – l’eterogeneità dei titoli di ammissione al concorso rispetto alla qualificazione tecnico – professionale propria del magistrato (“si è ritenuto opportuno riconoscere un valore di ammissione al concorso anche ad esperienze, se pur in parte eterogenee rispetto alla professione di magistrato, comunque caratterizzate dall’esercizio di specifiche pubbliche funzioni, come per i funzionari della carriera direttiva della p. a. e per i docenti in materie giuridiche tra il personale di ruolo delle università […]”.
Relativamente agli avvocati, l’originario progetto governativo richiedeva l’esercizio della professione per almeno tre anni (“la considerazione della presenza di un comune humus urale é stata ritenuta condizione necessaria e sufficiente per una previsione analoga in favore degli avvocati con almeno tre anni di iscrizione all’albo professionale”), in adesione alle osservazioni svolte dal C.S.M., nel parere reso, ai sensi dell’art. 10 comma 2, della l. n. 195 del 1958, in data 31 maggio 2007.
L’Organo di autogoverno aveva infatti positivamente valutato l’originaria formulazione, in tale parte, del progetto governativo, in quanto ritenuta effettivamente idonea a ridurre la potenziale platea dei candidati, tenendo conto del fatto che coloro i quali abbia iniziato “questo percorso” possono “aver già maturato in modo adeguato una propria scelta professionale e nel contempo” debbono “aver mantenuto a un livello elevato la propria preparazione per poter affrontare congruamente una prova selettiva, cui partecipano concorrenti che hanno sicuramente curato la preparazione teorica”.
Nel corso dell’iter parlamentare, il requisito relativo all’esercizio della professione per almeno tre anni è stato soppresso in quanto ritenuto non coerente con l’ampio ventaglio dei titoli di accesso contestualmente previsti, tra i quali ve ne sono alcuni che rappresentano indubbiamente un quid minus rispetto all’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato.
Nel testo definitivamente licenziato è stato però inserito il requisito dell’iscrizione all’Albo, del quale è invero arduo comprendere la finalità, avendo esso valenza puramente formale.
La mera iscrizione all’Albo non aggiunge infatti alcunché alla particolare qualificazione e/o esperienza richiesta agli aspiranti magistrati ordinari che hanno conseguito l’abilitazione, atteso che l’iscrizione medesima non è subordinata all’effettivo esercizio della professione di avvocato e non postula, quindi, nemmeno l’attualità dell’esperienza dalla stessa derivante.
L’irragionevolezza di siffatta previsione emerge con nettezza ove si ponga mente al fatto che la peculiare formazione giuridica degli abilitati all’esercizio della professione forense è omogenea o comunque affine a quella richiesta al magistrato, laddove, viceversa, l’accesso al concorso è consentito anche ai possessori di titoli che non necessariamente denotano il possesso di peculiari competenze tecniche (come i funzionari e dirigenti amministrativi aventi l’anzianità prescritta) ovvero ancora hanno natura prettamente scientifica (come i dottori di ricerca).
Se, dunque, il criterio ispiratore della riforma è di stampo pluralistico, al punto da valorizzare anche il possesso di esperienze pregresse sicuramente “eterogenee rispetto alla professione di magistrato”, l’estromissione degli abilitati all’esercizio della professione forense che non possono (o non vogliono) iscriversi all’Albo, appare irrazionale ed arbitraria.
Significativo, al riguardo, risulta il raffronto con l’accesso consentito ai diplomati presso le scuole di specializzazione delle professioni legali.
Le ricorrenti hanno correttamente richiamato quanto già osservato da questa stessa Sezione, in relazione al precedente sistema di accesso introdotto con la l. n. 48/2001 (sopra brevemente sintetizzato), la cui originaria formulazione, come noto, non prevedeva l’esonero dal test preliminare per gli abilitati all’esercizio della professione forense.
In quella occasione il Tribunale rilevò che, secondo la previsione del d.m. 11.12.2001, n. 475 (tuttora vigente), il diploma rilasciato dalle scuole di specializzazione per le professioni legali è valutato ai fini del compimento della pratica per l’accesso alla professione (oltre che di notaio) per il periodo di un anno.
La circostanza che i diplomati in questione, allora come ora, “accedano direttamente al concorso di uditore giudiziario, mentre sono comunque tenuti a compiere un anno di tirocinio per l’ammissione all’esame di avvocato, lascerebbe intendere che il superamento dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato costituisca un quid pluris rispetto al diploma, con la conseguenza che appare irrazionale che i diplomati siano ammessi direttamente al concorso ad uditore giudiziario e che lo stesso non sia previsto per coloro che abbiano conseguito l’abilitazione alla professione di avvocato” (così, le numerosissime ordinanze di rimessione emanate tra il 30 luglio e il 7 ottobre 2004).
La disposizione in questione attua, del resto, la specifica previsione dell’art. 17, comma 114, della cit. l. n. 127 del 1997, secondo cui “anche in deroga alle vigenti disposizioni relative all’accesso alla professione di avvocato e notaio, il diploma di specializzazione di cui al comma 113 costituisce, nei termini che saranno definiti con decreto del Ministro di Grazia e Giustizia, adottato di concerto con il Ministro dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica, titolo valutabile ai fini del compimento del relativo periodo di pratica”.
Le considerazioni allora svolte (sulle quali, per inciso, la Corte Costituzionale non ebbe modo di esprimersi in quanto il legislatore con d.l. 7.9.2004, n. 234, conv. in l. 5.11.2004, n. 262, incluse, tra i candidati esonerati dalla prova preliminare, anche i laureati in giurisprudenza in possesso dell’abilitazione all’esercizio della professione forense), assumono ben maggiore pregnanza nel mutato sistema di accesso alla magistratura ordinaria, in cui il possesso dei titolo prescritto non esonera semplicemente dalla prova preliminare ma condiziona, in quanto requisito di ammissione, la stessa possibilità di competere per assumere siffatta elevata e delicata funzione “in condizioni di uguaglianza”, secondo i canoni dettati dalla Carta fondamentale.
Non deve, altresì, essere dimenticato che la disciplina dell’accesso alla magistratura ordinaria ha incidenza diretta sui valori costituzionali dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Ordine giudiziario.
Il sistema congegnato dal Legislatore appare ispirato dalla necessità, si è osservato in dottrina, di trovare un punto di equilibrio tra il perseguimento di una composizione pluralistica e paritaria del potere giudiziario e la creazione di un corpo magistratuale altamente qualificato e professionale.
Alla ricerca di siffatto punto di equilibrio, nel caso oggi in rilievo, non sembra rispondere la previsione di un requisito di ordine meramente formale il quale viene in definitiva a costituire soltanto una incomprensibile, e ingiusta, barriera frapposta a soggetti i quali posseggono una formazione tecnica omogenea a quella richiesta per l’esercizio della funzione cui aspirano. Ad essi viene cioè preclusa in radice la chance di pianificare un nuovo percorso di vita e professionale sol perché, allo stato, si trovano ad esercitare attività per le quali è stabilita l’incompatibilità con l’esercizio della professione di avvocato (cfr. l’art. 3 del r.d.l. n. 1578 del 1933) e cioè per una ragione del tutto estrinseca al concorso in magistratura.
3. Non appare invece conferente, in ordine alla ragionevolezza della previsione normativa qui in esame, la comparazione istituita dalle ricorrenti con la disposizione transitoria, rimasta immutata anche dopo le modifiche apportate dalla l. n. 111/2007, secondo cui “Ai concorsi per l’accesso in magistratura indetti fino al quinto anno successivo alla data di acquisto di efficacia del primo dei decreti legislativi emanati nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150, sono ammessi, oltre a coloro che sono in possesso dei requisiti per l’ammissione al concorso di cui al presente articolo, anche coloro che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, essendosi iscritti al relativo corso di laurea anteriormente all’anno accademico 1998-1999. L’accesso al concorso avviene con le modalità di cui al presente articolo.” (art.2, comma 5, d.lgs. cit.).
E’ opportuno ricordare che il legislatore gode di ampia discrezionalità nel collocare nel tempo le innovazioni normative, specie nel caso in cui, come nella specie, si determini a rilevanti progetti di riforma di interi settori dell’ordinamento, in relazione ai quali è anzi del tutto normale che venga dettato un insieme di norme destinato a disciplinare la “transizione” dall’uno all’altro sistema.
A ciò si aggiunga che la disposizione in esame non appare al Collegio manifestamente discriminatoria o irragionevole.
Essa è evidentemente ispirata a quelle, sopra ricordate, del d.lgs. n. 398 del 1997 e risulta coerente con l’originario progetto di riforma dell’accesso alla magistratura ordinaria, varato quello stesso anno, che si imperniava sulla previsione dell’introduzione graduale del diploma rilasciato dalle scuole di specializzazione per le professioni legali quale requisito generale e “privilegiato” per l’ammissione al concorso.
Nel mutato contesto ordinamentale, la previsione dell’accesso diretto dei laureati iscrittisi all’università prima dell’anno accademico 1998 – 1999 vede rafforzato l’originario significato di tutela delle aspettative di quanti abbiano iniziato il proprio percorso formativo, e correlativamente pianificato la propria esistenza, in epoca anteriore all’avvio del travagliato iter di riforma.
La difesa erariale ha ad esempio richiamato la circostanza che le Scuole di specializzazione per le professioni legali, di durata biennale, sono state in concreto istituite soltanto a decorrere dall’anno accademico 2000/2001.
Più in generale, è giocoforza rilevare che, con l’immediata soppressione del sistema di accesso basato sulla prova preliminare – e in assenza di disposizioni transitorie – un’intera generazione di laureati in giurisprudenza avrebbe visto definitivamente preclusa ogni concreta possibilità di partecipare al concorso, tenuto anche conto dei tempi necessari per acquisire i titoli di ammissione previsti dalla nuova disciplina.
A ciò si aggiunga, da un lato, che l’efficacia della disposizione è limitata nel tempo, e, dall’altro, che essa appare coerente anche con l’esigenza oggettiva, più volte manifestata dall’Organo di autogoverno della magistratura ordinaria, di conseguire la creazione di un corpo magistratuale avente un livello medio di età non eccessivamente elevato e, sotto tale profilo, il più possibile omogeneo.
4. Quanto in precedenza argomentato giustifica peraltro la valutazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 51 e 104, comma 1, della Costituzione, dell’art. 2, comma 1, lett. f) del d.lgs. n. 160/2006, così come modificato dalla l. n. 111/2007, nella parte in cui richiede, ai fini dell’ammissione al concorso per magistrato ordinario, che gli abilitati all’esercizio della professione di avvocato siano anche iscritti al relativo Albo professionale.
Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulla questione.
PQM
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I^, interlocutoriamente pronunciando sul ricorso in epigrafe così dispone:
1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 51 e 104, comma 1, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lett. f) della l.n. 160/2006, così come modificata dalla l. n. 111/2007, nella parte in cui richiede, ai fini dell’ammissione al concorso per magistrato ordinario, che gli abilitati all’esercizio della professione di avvocato siano anche iscritti al relativo Albo professionale.
b) dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;
c) ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22 ottobre 2008.
Giorgio Giovannini Presidente
Silvia Martino Estensore