Il Tar Lombardia-Brescia, con sentenza dello scorso 5 gennaio ha ritenuto illegittimo l’atto di nomina di una Giunta comunale per violazione del principio delle “quote rosa”, non ritenendo sufficiente il fatto che, per reperire qualche assessore di sesso femminile, si è fatto ricorso a due interpelli rimasti inefficaci.
Di seguito, il testo integrale della sentenza
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Tar Lombardia-Brescia (Sezione seconda)
Sentenza n.1 del 5 gennaio 2012
(presidente, estensore Pedron)
(…)
FATTO e DIRITTO 1. Con atto notificato il 2 febbraio 2011 e depositato il 23 febbraio 2011 le ricorrenti Nadia Dabenini, Simonetta Maria Migliorati, Stefania Romano, Caterina Lombardi, Sara Trigiani, Tanya Dabellani, Bruna Comaroli, Luisa Facchi, Marica D’onofrio, Cinzia Bricchi e Cinzia Zanetti, tutte cittadine del Comune di Ghedi e titolari del diritto di elettorato attivo e passivo, hanno impugnato i decreti del 30 novembre 2010 con i quali il sindaco ha colmato i posti vacanti in giunta nominando due assessori e ha contestualmente provveduto a ripartire le deleghe.
2. I due assessori nominati con i suddetti decreti sono di genere maschile e completano la composizione di una giunta all’interno della quale non è rappresentato il genere femminile. Il sindaco specifica nei decreti impugnati di aver deciso di nominare due uomini dopo che era stata inutilmente sondata la disponibilità all’incarico di cinque donne affini politicamente e preparate culturalmente.
3. Oggetto di impugnazione è anche lo statuto della città, nella parte in cui (art. 6 e 29) non prevede la rappresentanza di genere nella giunta e negli organi collegiali del Comune, nonché negli enti, aziende e istituzioni comunali.
4. Le ricorrenti affermano, in sintesi, che la scelta del sindaco sarebbe viziata sotto due profili, ossia (i) per violazione delle norme che tanto a livello comunitario quanto a livello nazionale non solo stabiliscono l’obbligo della rappresentanza di genere ma impongono anche di attuarlo in concreto come forma di realizzazione del principio di pari opportunità; (ii) per difetto di istruttoria, in quanto i criteri di individuazione del potenziale assessore di genere femminile sarebbero troppo ristretti e soggettivi.
5. Il Comune si è costituito in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.
6. Questo TAR con ordinanza cautelare n. 269 del 18 marzo 2011 ha individuato a carico del sindaco (a) un obbligo di attivazione al fine di garantire la rappresentanza di genere, (b) un onere di prova aggravato per quanto riguarda la dimostrazione di non aver potuto in concreto raggiungere questo obiettivo. Con la suddetta ordinanza è stato quindi chiesto al sindaco di esperire nel termine di 30 giorni ogni utile tentativo ragionevolmente esigibile per individuare un soggetto di genere femminile, dotato di adeguate competenze tecniche o professionali, che manifestasse la propria disponibilità a entrare in giunta allo scopo di attuare il programma dell’attuale maggioranza.
7. In data 13 aprile 2011 il Comune ha depositato settanta richieste di disponibilità alla nomina ad assessore e altrettante dichiarazioni di rifiuto da parte delle donne interpellate. La conclusione del Comune è che, date le circostanze, non esisterebbe alcuna possibilità di garantire la presenza in giunta di assessori di genere femminile.
8. Le ricorrenti hanno replicato depositando in data 13 maggio 2011 quattro lettere inviate al sindaco da altrettante donne residenti a Ghedi che si erano dichiarate disponibili a entrare in giunta perseguendo le linee politiche e il programma dell’attuale amministrazione. A tali dichiarazioni peraltro il sindaco aveva risposto negativamente opponendo la mancanza di un adeguato rapporto fiduciario. Nella memoria depositata il 29 settembre 2011 la difesa del Comune ha poi evidenziato che delle quattro aspiranti al posto di assessore due avevano sottoscritto (in qualità di presentatrici) liste elettorali contrapposte a quella del sindaco, una non aveva sottoscritto alcuna lista, né si era candidata, ma non era conosciuta personalmente dal sindaco, e una infine, pur non essendosi candidata né avendo presentato liste, è la sorella di un candidato sindaco.
9. Sulle questioni proposte nel ricorso si possono svolgere le seguenti considerazioni:
(a) la legittimazione al ricorso deriva dal fatto che le ricorrenti sono elettrici del Comune di Ghedi, astrattamente in possesso dei requisiti per la nomina ad assessore, e comunque interessate, in quanto cittadine, a tutelare il principio della rappresentanza di genere. In realtà quest’ultima condizione è per sé sufficiente a consentire la proposizione del ricorso. Non è necessario infatti che il soggetto ricorrente si proponga un vantaggio personale e diretto, quale la nomina ad assessore. Una simile impostazione sarebbe anzi fuorviante, perché garantirebbe la legittimazione unicamente ai soggetti che si dichiarino disposti a collaborare a un determinato programma amministrativo, il che in definitiva discriminerebbe tra gli appartenenti allo stesso genere sulla base della manifestazione di preferenze di natura politica;
(b) occorre invece partire dalla considerazione che l’utilità derivante dall’accoglimento del ricorso (nello specifico l’affermazione vincolante per il Comune della necessità di garantire la rappresentanza di genere all’interno della giunta) è da sola idonea a soddisfare un interesse che è proprio in eguale misura di tutti gli appartenenti a un genere e si sostanzia nella progressiva ed effettiva espansione dell’area delle pari opportunità negli organi politici. Questo interesse ha natura collettiva ma la titolarità è ripartita singolarmente, non essendo necessaria la costituzione di un ente esponenziale;
(c) l’impugnabilità dell’atto di nomina degli assessori è ammessa in giurisprudenza, in quanto si tratta di un provvedimento posto in essere da un’autorità amministrativa e nell’esercizio di un potere amministrativo, sia pure ampiamente discrezionale (v. CS Sez. V 27 luglio 2011 n. 4502);
(d) l’ordinamento nazionale e quello comunitario contengono disposizioni che tutelano non soltanto il principio della parità formale tra i generi ma anche quello di pari opportunità. Quest’ultimo consente azioni positive a sostegno del genere che per cause storiche si trova in una situazione di svantaggio, allo scopo di ristabilire una parità sostanziale;
(e) in particolare l’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea impone di assicurare la parità tra uomini e donne in tutti i campi (comma 1) e stabilisce che il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del genere sottorappresentato (comma 2);
(f) l’art. 51 comma 1 della Costituzione da un lato prevede che tutti i cittadini, indipendentemente dal genere, possano accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, e dall’altro stabilisce che la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. Questa seconda parte della norma non consente di intervenire sul peso del voto mediante sistemi elettorali che alterino la volontà degli elettori modificando la composizione consiliare (v. C.Cost. 14 gennaio 2010 n. 4) ma si traduce in un vincolo applicabile alla formazione degli organi che non sono eletti direttamente, come è il caso della giunta comunale. Dunque la libertà del sindaco di scegliere gli assessori, a differenza della libertà di voto degli elettori, non è assoluta, in quanto deve piegarsi alla necessità di garantire la rappresentanza di genere, riflesso applicativo del principio costituzionale di pari opportunità (sul carattere cogente e non meramente programmatico della suddetta disposizione costituzionale e sulla funzione di parametro interpretativo nei confronti della normativa di rango infracostituzionale v. TAR Palermo Sez. I 15 dicembre 2010 n. 14310);
(g) l’art. 1 del Dlgs. 11 aprile 2006 n. 198 (Codice delle pari opportunità) contiene ai commi 2 e 3 disposizioni analoghe a quelle viste sopra della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e precisa poi al comma 4 che tali vincoli operano non solo per gli atti normativi o a carattere generale ma nei confronti dell’intera l’attività dei soggetti pubblici (“L’obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività”). La necessità di garantire la rappresentanza di genere si impone quindi persino agli atti aventi contenuto politico, come la nomina degli assessori, anche in assenza di una norma intermedia nei regolamenti comunali;
(h) su quest’ultimo tema occorre analizzare il contenuto dell’art. 6 comma 3 del Dlgs. 18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico degli enti locali). Tale disposizione stabilisce che gli statuti comunali e provinciali devono contenere norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra i generi e per promuovere la presenza di entrambi i generi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende e istituzioni da essi dipendenti. Il rinvio agli statuti non deve essere inteso come una riserva di fonte normativa che subordina l’attuazione del principio di pari opportunità negli organismi indicati dalla legge alla volontà di recepimento dei singoli comuni e delle singole province. Questa interpretazione consentirebbe di eludere facilmente il vincolo contenuto nell’art. 51 comma 1 della Costituzione e renderebbe gli enti locali impermeabili al contesto normativo comunitario e nazionale riassunto sopra, che offre ormai una codificazione chiara e incontrovertibile non solo dell’astratto principio di pari opportunità ma anche delle sue declinazioni applicative più importanti;
(i) dunque gli statuti degli enti locali possono stabilire forme originali e avanzate di attuazione del principio di pari opportunità (ad esempio imponendo una compresenza dei generi rafforzata e tendenzialmente paritaria in giunta e negli altri organismi pubblici) ma non possono scendere al di sotto del livello minimo costituito dalla rappresentanza di genere. Questo significa che nel silenzio degli statuti gli enti locali sono comunque obbligati a garantire la presenza di almeno un soggetto appartenente al genere che altrimenti non sarebbe rappresentato, ossia, con riguardo alla questione che qui interessa, almeno un assessore donna;
(j) a margine si osserva che il principio della rappresentanza di genere è ormai entrato nell’ordinamento nazionale anche in relazione ad ambiti diversi da quello amministrativo ma di fondamentale importanza e peso economico. L’art. 1 della legge 12 luglio 2011 n. 120 nel modificare il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria ha previsto che negli organi delle società quotate sia rispettato l’equilibrio tra i generi, e che il genere meno rappresentato abbia almeno un quinto, e a regime un terzo, degli amministratori eletti e dei membri effettivi del collegio sindacale. L’art. 3 della medesima legge estende la regola alle società controllate da pubbliche amministrazioni, anche se non quotate;
(k) lo statuto del Comune di Ghedi nel disciplinare la composizione della giunta (art. 29) indica il numero degli assessori (sette) e prevede la possibilità di nominare anche soggetti esterni al consiglio comunale (purché eleggibili e dotati di particolare competenza ed esperienza tecnica, amministrativa o professionale) ma non riserva espressamente un posto di assessore alla rappresentanza di genere. Nella norma dedicata ai principi fondamentali (art. 6) è contenuto un generico impegno del Comune a svolgere azioni positive e a promuovere iniziative per le pari opportunità. Tuttavia, come si è visto sopra, la mancanza di specifiche norme statutarie sulla rappresentanza di genere è irrilevante, in quanto per previsione legislativa (attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata) il sindaco è vincolato a formulare le proprie scelte in modo da conseguire anche tale obiettivo (per un caso analogo sotto questo profilo, ma riguardante la nomina di assessori regionali, v. TAR Cagliari Sez. II 2 agosto 2011 n. 864);
(l) il vincolo si scioglie solo se il sindaco offre la dimostrazione di non aver potuto in concreto individuare un assessore di genere femminile. La prova è particolarmente ardua, in quanto non possono essere utilizzate motivazioni di tipo meramente soggettivo (mancanza di conoscenza personale o di un preesistente rapporto fiduciario) e neppure ragioni di opportunità collegate agli equilibri tra i gruppi politici di maggioranza;
(m) in particolare il concetto di rapporto fiduciario ha un’estensione eccessiva, ed è essenzialmente non verificabile, mentre al contrario ogni funzione amministrativa, anche se caratterizzata da ampia discrezionalità, deve essere ricondotta entro parametri oggettivi e misurabili. In questa prospettiva per la nomina ad assessore, ai fini della rappresentanza di genere, risultano sufficienti due requisiti oggettivamente dimostrabili: (1) adeguate competenze tecniche o professionali in relazione alle deleghe assessorili; (2) la dichiarata disponibilità ad attuare il programma della maggioranza in carica. Una volta appurato il livello di preparazione di un certo numero di potenziali assessori e il loro orientamento politico pubblicamente espresso viene definita una rosa di nomi all’interno della quale il sindaco può esprimere con piena discrezionalità la propria scelta sulla base di valutazioni non ulteriormente investigabili;
(n) nel caso in esame l’interpello in un primo momento di cinque persone e poi di altre settanta non appare sufficiente a fornire la dimostrazione dell’impossibilità di nominare un assessore donna. Il numero di soggetti da coinvolgere in questo tipo di verifica deve essere stabilito con riguardo alle dimensioni e alle caratteristiche del contesto sociale. Una realtà come il Comune di Ghedi (oltre 18.000 abitanti) non soffre certamente di scarsità di persone idonee e disponibili a impegnarsi nell’amministrazione, problema che potrebbe al contrario presentarsi in ambiti più piccoli o meno aperti socialmente;
(o) il punto è che la ricerca del soggetto adatto deve avvenire con criteri che consentano di arrivare effettivamente al risultato. Dunque non si deve esigere un rapporto fiduciario preesistente (condizione che può chiudere in partenza il campo degli aspiranti assessori) ma occorre pervenire alla formazione di un rapporto fiduciario al termine del percorso di selezione. Le preoccupazioni per la coesione della giunta non devono essere enfatizzate. Una volta effettuata la scelta il sindaco rimane comunque titolare e garante della linea politica della propria amministrazione, e può revocare in qualsiasi momento un assessore con il quale la collaborazione non sia più possibile per divergenze programmatiche o anche per fatti estranei all’attività di giunta ma tali da minare la serenità dei rapporti (v. TAR Brescia Sez. II 28 ottobre 2010 n. 4466), con il solo limite generale del divieto di comportamenti arbitrari;
(p) le considerazioni che precedono comportano l’accoglimento del ricorso e l’annullamento delle nomine impugnate. Questo pone di riflesso il problema della validità degli atti adottati dalla giunta nella composizione priva della rappresentanza di genere. In proposito si osserva che, pur in pendenza di un ricorso giurisdizionale, la giunta in carica si presume validamente costituita fino al deposito della sentenza che ne accerta l’illegittima composizione, e dunque non solo dispone della pienezza dei poteri ma i relativi provvedimenti beneficiano della stabilità che deriva dal principio di continuità degli organi amministrativi.
10. In conclusione il ricorso deve essere accolto, e di conseguenza sono annullati i decreti di nomina degli assessori e di riordino delle deleghe. La complessità di alcune questioni consente l’integrale compensazione delle spese di giudizio. Il contributo unificato è a carico del Comune ai sensi dell’art. 13 comma 6-bis.1 del DPR 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando accoglie il ricorso e conseguentemente annulla i provvedimenti impugnati. Spese compensate. Contributo unificato a carico del Comune ai sensi dell’art. 13 comma 6-bis.1 del DPR 30 maggio 2002 n. 115. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Depositata in segreteria il 5/01/2012.