Consiglio di Stato: giusto escludere dalla gara chi è stato condannato per aggiotaggio

Chi è stato condannato per il reato di aggiotaggio può essere escluso da una gara di appalto ai sensi dell'art. 38 del D.lgs. 163/2006.

Così si è espressa la terza sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 2607/2012, rigettando il ricorso presentato dal Ministero dell'Interno per la riforma della sentenza del Tar Toscana, sez. 2, n. 01351/2011.

Il Tribunale Amministrativo toscano aveva infatti accolto il ricorso presentato dalla società aggiudicataria del servizio di pulizia presso il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Firenze, alla quale era stata revocata l'aggiudicazione dell'affidamento e negata l'approvazione del relativo contratto stipulato, in quanto in capo al proprio rappresentante legale risultava una condanna per aggiotaggio. Il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco e il Ministero dell'Interno, considerando tale condanna una causa di esclusione ex art. 38 Codice dei contratti pubblici, avevano provveduto a revocarle l'aggiudicazione ed a denegare l'approvazione  del contratto già stipulato, affidando il servizio al raggruppamento temporaneo secondo in graduatoria.

I Giudici di primo grado avevano accolto il ricorso della società e pertanto il Ministero ha proposto appello al Consiglio di Stato, il quale però ha confermato la sentenza del Tar Toscana anche se con diversa motivazione.

La terza sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto che il reato di aggiotaggio possa configurare una  causa di esclusione ai sensi dell'art. 38 del Codice dei contratti. In proposito ha ricordato che tale norma dispone l'esclusione dalla gara per l'affidamento di appalti pubblici del soggetto, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità, che incidono sulla moralità professionale. Questa disposizione costituisce presidio dell'interesse dell'Amministrazione di non contrarre obbligazioni con soggetti che non garantiscano adeguata moralità professionale. Tocca, comunque, alla stazione appaltante valutare l'incidenza del reato sulla moralità del professionista e sulla sua affidabilità in caso di aggiudicazione.
Ad avviso del massimo organo della giustizia amministrativa, considerato che il reato in questione è un illecito di "market abuse", (recante lesione della tutela della "parità informativa", premessa essenziale per la regolare formazione dei prezzi), anche se posto in essere dal soggetto “a titolo personale” (come argomentato dalla ricorrente e condiviso dal Tar Toscana), “non può non refluire, sulla sua attività professionale di imprenditore e legale rappresentante di una società, che, in quanto operante nel mercato e per il mercato dei contratti pubblici, deve garantire alla P.A., con la quale aspiri a contrarre, quella affidabilità di assoluto rispetto delle regole della concorrenza presidianti il settore stesso ( v. in proposito l’art. 2 del D. Lgs. n. 163/2006 ) ed il mercato in generale, che la veduta condanna smentisce o non è quanto meno in grado di assicurare in pieno".

Pertanto, secondo il Consiglio di Stato, tale reato è sufficiente a minare il rapporto di fiducia con la Pubblica Amministrazione e ad integrare causa di esclusione ai sensi dell'art. 38 del D. Lgs. n. 163/2006. Tuttavia, ha dovuto confermare la sentenza del Tar Toscana laddove veniva ritenuto che “una volta decorsi i termini stabiliti dall’art. 12 co. 2 e 3 del D.Lgs. n. 163/06, il contratto doveva … ritenersi tacitamente approvato … con la conseguenza che il diniego risulta pronunciato in assenza del relativo potere, oramai consumato per effetto del decorso del tempo”. 
Infatti, il contestato diniego di approvazione del contratto risulta adottato in data 10 febbraio 2011 e dunque oltre il termine di trenta giorni dalla stipula del contratto stesso (intervenuta il 1° dicembre 2010 ), trascorso il quale, a norma dell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 12 del D. Lgs. n. 163/2006, “il contratto si intende approvato”.

Dunque, il Consiglio di Stato, pur ritenendo che il contratto di aggiotaggio integri una causa di esclusione ex art. 38, ha respinto il ricorso poiché il diniego di approvazione del contratto era stato adottato oltre i termini previsti dal Codice dei Contratti pubblici.

Di seguito, il testo della sentenza Consiglio di Stato, nr. 2607/2012:

N. 02607/2012REG.PROV.COLL.

 

N. 10380/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

 

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10380 del 2011, proposto da:
Ministero dell’Interno,
in persona del Ministro p.t.,
ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso gli ufficii della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12,

contro

Società pulitori e affini s.p.a.,
in persona del legale rappresentante p.t.,
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Massa e Giovanni Candido Di Gioia ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, piazza Mazzini, 2,

nei confronti di

– Società Euro & Promos Group soc. coop. a r.l.,
in persona del legale rappresentante p.t.,
non costituitasi in giudizio;
Morelli service s.p.a.,
in persona del legale rappresentante p.t.,
non costituitasi in giudizio,

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA – SEZIONE II n. 01351/2011, resa tra le parti, concernente INEFFICACIA CONTRATTO STIPULATO PER AFFIDAMENTO SERVIZIO DI PULIZIA TRIENNALE.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata;
Visto che non si sono costituite in giudizio le cointeressate evocate;
Vista la memoria prodotta dall’appellata a sostegno delle sue difese;
Vista l’Ordinanza n. 227/2012, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 20 gennaio 2012, di reiezione della domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta, alla pubblica udienza del 2 marzo 2012, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
Uditi, alla stessa udienza, l’avv. Massimo Santoro dello Stato per l’appellante e l’avv. Giovanni Candido Di Gioia per l’appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

La società odierna appellata, risultata aggiudicataria della gara indetta per l’affidamento del servizio di pulizia presso il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Firenze per il periodo 1.1.2011/31.12.2013, ha impugnato davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana gli atti e provvedimenti, con i quali il Ministero dell’Interno ed il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Firenze sono intervenuti sull’esito di quella gara ( rimuovendo l’aggiudicazione inizialmente disposta in favore della ricorrente, nonché negando l’approvazione del contratto da questa stipulato il 1 dicembre 2010 e provvedendo ad affidare il servizio al raggruppamento temporaneo fra la cooperativa Euro & Promos Group e la Miorelli Service S.p.a., secondo classificato ), conformemente al parere espresso dall’Avvocatura Generale dello Stato in merito alla riconducibilità della condanna per aggiotaggio, risultante a càrico del legale rappresentante della società stessa, al novero di quelle ostative alla partecipazione alla gara ai sensi e per gli effetti dell’art. 38 del D. Lgs. n. 163/2006.
Il T.A.R. ha accolto il ricorso, annullando il diniego di approvazione del contratto stipulato fra la società ricorrente ed il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Firenze, di cui alla nota ministeriale in data 10 febbraio 2011, nonché il decreto del Comandante Provinciale in data 23 marzo 2011, recante l’aggiudicazione definitiva del servizio al raggruppamnento di imprese controinteressato.
Di detta sentenza il Ministero dell’Interno chiede, con l’atto di appello all’esame, la riforma, contestandone le statuizioni.
Non si sono costituite in giudizio le imprese cointeressate, dichiarate aggiudicatarie del servizio all’ésito della nuova aggiudicazione.
Si è costituita in giudizio, per resistere, l’appellata, deducendo l’infondatezza dell’appello e riproponendo i motivi assorbiti in primo grado, nonché, sia pure in via subordinata all’ipotesi di fondatezza del gravame avversario, l’istanza di risarcimento danni da responsabilità precontrattuale e contrattuale, già avanzata con il ricorso originario.
Con Ordinanza n. 227/2012, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 20 gennaio 2012, è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.
La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 2 marzo 2012.
L’appello dev’essere respinto e la sentenza impugnata va confermata, sia pure con diversa motivazione.
Quanto, invero, alla questione, che rappresenta il punto nodale della controversia ( vale a dire quella attinente alla effettiva configurabilità di una causa di esclusione a carico della società originaria ricorrente, che il T.A.R. ha ritenuto insussistente sull’assunto che la condanna penale per aggiotaggio “patteggiata” dal legale rappresentante della stessa, dichiarata in sede di gara, non presenta alcuna attinenza, neppure indiretta, con l’attività di pulizia oggetto dell’affidamento e, più in generale, con l’attività della medesima società, essendo stata la condotta di reato de qua posta in essere da detto legale rappresentante a titolo personale ), occorre ricordare che l'art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006 dispone l'esclusione dalla gara per l'affidamento di appalti pubblici del soggetto, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità, che incidono sulla moralità professionale.
La norma in esame costituisce presidio dell'interesse dell'Amministrazione di non contrarre obbligazioni con soggetti che non garantiscano adeguata moralità professionale; condizioni perché l'esclusione consegua alla condanna sono la gravità del reato ed il riflesso dello stesso sulla moralità professionale ( Cons. St., VI, 4 giugno 2010, n. 3560 ).
La gravità del reato deve, quindi, essere valutata in relazione a quest'ultimo elemento, ai fini del cui apprezzamento non può non rilevare, a parere del Collegio, più che il riferimento all’àmbito professionale imprenditoriale del singolo concorrente o la più o meno diretta relazione del reato con l’oggetto del contratto per il cui affidamento è stata indetta la gara, l’idoneità della condotta penalmente illecita posta in essere a ledere valori e beni giuridici, al cui rispetto e tutela la condotta del concorrente ad un pubblico appalto debba necessariamente risultare improntata, in forza dell’inderogabilità dei valori stessi nel settore dei contratti pubblici.
Ciò posto, se il legislatore ha lasciato alla stazione appaltante un margine di apprezzamento sull’incidenza del reato sulla moralità professionale e sull’offensività per lo Stato e per la Comunità ( v. Cons. St., V, 11 maggio 2010, n. 2822 ), non incongruo appare, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., l’apprezzamento di disvalore e di incidenza sulla moralità professionale nella fattispecie compiuto dall’Amministrazione con riguardo alla fattispecie criminosa posta in essere dal legale rappresentante dell’impresa odierna appellata, laddove, nel parere dell’Avvocatura Generale dello Stato richiamato per relationem nella nota ministeriale del 27 gennaio 2011, si sottolinea che la tutela penale apprestata con la previsione del reato di aggiotaggio “tende alla tutela della concorrenza che è valore ovviamente decisivo con riguardo al settore dei pubblici appalti”, con conseguente “rilevanza del reato per cui è intervenuta condanna in relazione alle dinamiche fiduciarie del contratto”.
L’Amministrazione, insomma, ha articolato una motivata valutazione in ordine all'incidenza del reato compiuto sulla moralità professionale ( così come previsto espressamente dalla disciplina comunitaria; v. in particolare l'art. 45 della direttiva 2004/18/CE ), che può ritenersi sufficiente ai fini dell’irrogazione della sanzione comminata dall’ordinamento in tale ipotesi e cioè quella dell’esclusione dalla gara dell’impresa il cui legale rappresentante sia incorso nella condanna penale per un reato di tal fatta ( nella fattispecie il reato di aggiotaggio finanziario ), ove si tenga conto che la fattispecie di aggiotaggio individua come punibili comportamenti tali, per ragioni di modo, tempo e luogo, da alterare il giuoco normale tra domanda ed offerta nel mercato; l'essenza di tale reato è dunque quella di perturbare il libero gioco del mercato inserendovi un elemento fraudolento e così alterando i comportamenti degli operatori.
Trattasi di un illecito di “market abuse” ( recante lesione della tutela del "market egalitarism" o della "parità informativa", premessa essenziale per la regolare formazione dei prezzi ), che, se pure posto in essere dal soggetto ( come dedotto dall’originaria ricorrente con argomento condiviso dal Giudice di primo grado ) “a titolo personale”, non può non refluire, ad avviso del Collegio, sulla sua attività professionale di imprenditore e legale rappresentante di una società, che, in quanto operante nel mercato e per il mercato dei contratti pubblici, deve garantire alla P.A., con la quale aspiri a contrarre, quella affidabilità di assoluto rispetto delle regole della concorrenza presidianti il settore stesso ( v. in proposito l’art. 2 del D. Lgs. n. 163/2006 ) ed il mercato in generale, che la veduta condanna smentisce o non è quanto meno in grado di assicurare in pieno.
Se, pertanto, ai fini della valutazione della compromissione dell’affidabilità morale e professionale, l’Amministrazione non poteva nel caso di specie assolutamente prescindere dall’esistenza di una siffatta condanna penale passata in giudicato, nemmeno è mancata, nella fattispecie all’esame, la dovuta considerazione della condanna stessa, ai fini del riscontro della discussa sussistenza della causa di esclusione di cui si tratta, in termini di gravità del reato incidente sulla moralità professionale: e ciò sia in astratto ( avuto riguardo alla natura del bene giuridico protetto dalla norma penale ), sia in concreto con riferimento specifico al caso di specie, ritenuto dall’Amministrazione oggettivamente grave per la complessiva vicenda in cui il fatto iscritto al legale rappresentante dell’appellata si inserisce, per le poste oggetto di confisca, per il tempo relativamente breve trascorso sia dalla commissione del fatto-reato che dalla condanna e per la mancanza di atti di dissociazione della società a fronte della condotta penalmente rilevante del suo rappresentante.
Tanto basta a minare il necessario rapporto fiduciario con la p.a. ed a supportare, diversamente da quanto ritenuto dal primo Giudice, la verifica negativa dei requisiti prevista dall’art. 48 del D. Lgs. n. 163/2006, posta dall’Amministrazione a base dell’impugnato diniego di approvazione del contratto e del conseguente provvedimento di ritiro dell’aggiudicazione a suo tempo disposta in favore dell’odierna appellata e di aggiudicazione della gara al controinteressato raggruppamento.
La pronuncia del T.A.R. resiste invece all’appello e va pertanto confermata laddove, sia pure incidentalmente ( in quanto espressamente riferita ad un motivo dallo stesso Tribunale dichiarato “superato” per effetto della satisfattività per la ricorrente della veduta prima parte della sentenza, motivo comunque riproposto dall’appellata nella sue difese di appello ), ha ritenuto che “una volta decorsi i termini stabiliti dall’art. 12 co. 2 e 3 del D.Lgs. n. 163/06, il contratto doveva … ritenersi tacitamente approvato … con la conseguenza che il diniego risulta pronunciato in assenza del relativo potere, oramai consumato per effetto del decorso del tempo”.
Rileva in proposito il Collegio che il contestato diniego di approvazione del contratto risulta adottato in data 10 febbraio 2011 e dunque oltre il termine di trenta giorni dalla stipula del contratto stesso ( intervenuta il 1° dicembre 2010 ), trascorso il quale, a norma dell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 12 del D. Lgs. n. 163/2006, “il contratto si intende approvato”.
La norma, invero, disegna una chiara ipotesi di silenzio significativo, sì che con il decorso di detto termine si forma un provvedimento tacito di approvazione del contratto, suscettibile di essere rimosso dall’ordinamento soltanto mediante un provvedimento di riesame, da adottarsi nell’esercizio della potestà di autotutela della p.a. ( esercitabile pacificamente anche in caso di esistenza del contratto: Cons. St., VI, 17 marzo 2010, n. 1554 ), con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico attuale alla sua eliminazione ( che tuttavia non può giammai ridursi all’esigenza del mero ripristino della legalità violata: C.d.S, 24 settembre 2010, n. 7125 ), con la comparazione tra quest’ultimo e la contrapposta posizione consolidata dell’aggiudicatario e previa valutazione della ragionevole durata del tempo intercorso tra l’atto illegittimo e la sua rimozione ( ex multis, C.d.S., sez. V, 1° ottobre 2010, n. 7273; 7 aprile 2010, n. 1946; 7 gennaio 2009, n. 1; sez. VI, 16 aprile 2010, n. 2178; 11 gennaio 2010, n. 4; 18 agosto 2009, n. 4958; da ultimo, Cons. St., V, 7 settembre 2011, n. 5032 ); esercizio del quale non v’è invece traccia alcuna nell’atto di diniego oggetto del presente giudizio, costituente espressione di un potere, come esattamente rilevato dal T.A.R., ormai consumato, per effetto dell’intervenuto precedente perfezionamento del provvedimento tacito di approvazione.
Né convince la contraria tesi dell’Amministrazione appellante, secondo cui il decorso del veduto termine di trenta giorni varrebbe soltanto a consentire l’eseguibilità del contratto pur in assenza di approvazione e non farebbe venir meno in capo all’Amministrazione il potere di approvazione ( che pertanto, una volta che sia poi successivamente negata, varrebbe a configurare “una condizione risolutiva del contratto” ), atteso che, ai sensi del comma 11 dell’art. 11 del D. Lgs. n. 163/2006, “il contratto è sottoposto alla condizione sospensiva dell’esito positivo dell’eventuale approvazione” ( sostanzialmente, negli stessi termini, l’art. 26 del contratto nel caso di specie stipulato tra le parti ), il che significa che il contratto stipulato, pur essendo già perfetto nei suoi elementi costitutivi, richiede per la sua operatività l’approvazione dell’organo competente, che agisce come condicio iuris sospensiva del negozio; con la conseguenza che il diniego dell’autorità, che vale a renderlo non eseguibile, non è mai in grado di operare come condizione risolutiva.
D’altra parte, il veduto dato normativo ( secondo cui trascorso il termine di trenta giorni dato per l’approvazione “il contratto si intende approvato” ) da un lato vale inequivocamente, come s’è detto, a qualificare il silenzio protrattosi oltre il trentesimo giorno dalla stipula come provvedimento tacito di approvazione, dall’altro non offre alcun elemento né letterale né logico-sistematico, che consenta ( tenuto anche conto del disposto del comma 12 dell’art. 11 del D. Lgs. n. 163/2006, a norma del quale “l’esecuzione del contratto può avere inizio solo dopo che lo stesso è divenuto efficace, salvo che, in casi di urgenza, la stazione appaltante o l’ente aggiudicatore ne chieda l’esecuzione anticipata, nei modi e alle condizioni previste dal regolamento” e che risponde appunto all’esigenza di assicurare l’eseguibilità del contratto in attesa della sua approvazione ) di poter ritenere siffatto comportamento inerte dell’Amministrazione idoneo a trasmutare una condizione inizialmente sospensiva ( avente natura legale e pertanto conoscibile da parte di tutti i contraenti, che su di essa fanno affidamento ), in una condizione risolutiva, della quale non v’è traccia nel delineato sistema normativo.
In conclusione, l’appello è da respingere e la sentenza impugnata va confermata nei sensi di cui sopra, con conseguente assorbimento dei motivi e dell’istanza risarcitoria in questa sede riproposti dall’appellata.
La novità e particolarità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 2 marzo 2012, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Vittorio Stelo, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
  
  L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/05/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Redazione

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