Per le differenze retributive dovute al dipendente pubblico, nel caso in cui, per esempio, abbia svolto mansioni superiori, il calcolo degli interessi e della rivoluzione monetaria deve avvenire sulla sorte capitale al netto delle ritenute assistenziali, previdenziali e erariali. Accantonata dunque ogni ipotesi di calcolo sull’importo lordo.
Così ha finalmente deciso sulla vexata quaestio l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 18/2012, pubblicata il 5 giugno.
In primis, risolvendo una questione meramente procedurale, il massimo organo della giustizia amministrativa ha affermato l’ammissibilità di utilizzare il ricorso per ottemperanza verso i decreti di accoglimento di ricorsi straordinari al Capo dello Stato, adottati a seguito del parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato. Si chiarisce inoltre che essendo questi decreti dei provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo, il ricorso per la loro ottemperanza va proposto davanti allo stesso Consiglio di Stato, nel quale si identifica il magistrato che ha emesso il provvedimento della cui esecuzione si tratta.
Sulla questione di natura ecoomica, i giudici di Palazzo Spada hanno affermato che il nodo cruciale della questione sta nell’articolo 22 della legge 724/94 in tema di finanza pubblica: il divieto del cumulo fa in modo che la rivalutazione monetaria non sia più compenetrata con il credito retributivo, ma costituisca un elemento distinto che rappresenta unicamente una tecnica liquidatoria del danno da ritardo. Su questa scia, il credito da lavoro non risulterebbe diverso dalle altre obbligazioni di natura pecuniaria. Tanto la rivalutazione quanto gli interessi che spettano al dipendente pubblico, rappresentano soltanto un effetto del ritardo e quindi non possono essere inglobati nel credito fin dall’origine.
Viene pertanto rigettato il ricorso del lavoratore al quale non tornano i conti: secondo l'interpretazione della norma data dal Consiglio di Stato, il calcolo degli accessori deve essere operato al netto sugli importi nominali di ogni rateo e fino all’adempimento tardivo e non sull’importo lordo. Bene ha pertanto operato l'amministrazione nel considerare come la base di calcolo la somma dovuta a titolo principale al netto delle ritenute fiscali e previdenziali: deve essere applicata la tecnica liquidatoria imperniata sul successivo calcolo separato di interessi e rivalutazione sul valore nominale del credito, mentre è definitivamente superata la tesi che propugnava la rivalutazione con il credito contributivo. E ciò anche perché l’articolo 429 Cpc non ha trasformato il debito creditorio in debito di valore (sia pure indicizzabile secondo una particolare disciplina).
Non bisogna dimenticare, poi, la rilevanza della ritenuta alla fonte, che il sostituto d’imposta effettua in base a una delega di legge: il denaro corrispondente, infatti, non sarebbe comunque mai entrato nella disponibilità del dipendente, mentre può produrre interessi e resta soggetto ai meccanismi di attualizzazione del credito soltanto il denaro che è posto a disposizione del creditore e che effettivamente ne incrementa il patrimonio.
Di seguito, il testo integrale della sentenza dell'Adunanza Plenarioa del Consiglio di Stato n. 18 del 05/06/2012
N. 00018/2012REG.PROV.COLL.
N. 00046/2011 REG.RIC.A.P.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 46 di A.P. del 2011, proposto da:
Achille Concerto, rappresentato e difeso dagli avv. Filippo Malara, Emanuela Ruscio, con domicilio eletto presso Filippo Malara in Roma, via Rutilio Namaziano, 14;
contro
Azienda Sanitaria Provinciale N. 5 di Rc;
per la riforma
del decreto del Presidente della Repubblica, n. 4810 dell’8 marzo 2006, con il quale è stato accolto il Ricorso Straordinario proposto dal dr. Concerto Achille per il riconoscimento del diritto al pagamento delle differenze retributive per le mansioni superiori svolte dal 28 aprile 1989 al 31 maggio 2000.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2012 il Cons. Anna Leoni e udito per le parti l’avvocato Ruscio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con decreto del Presidente della Repubblica n. 4810 dell’8 marzo 2006, a seguito del parere n. 1426/2005 reso dalla Sezione I di questo Consiglio, è stato accolto il ricorso straordinario proposto dal dr. Concerto Achille per il riconoscimento del diritto al pagamento delle differenze retributive per le mansioni superiori svolte dal 28 aprile 1989 al 31 maggio 2000.
Con ricorso notificato in data 1/4/2011 e depositato il successivo 12 aprile il dr. Concerto ha chiesto l’esecuzione del citato decreto del Presidente della Repubblica.
L’interessato ha esposto che l’Amministrazione gli ha liquidato a tal fine la somma di Euro 129.005,41 (Euro 85.027,76 per le differenze retributive, Euro 29.085,81 a titoli di interessi ed Euro 14.171,84 per rivalutazione monetaria) ed assume che tale somma è stata erroneamente calcolata avendo egli maturato il diritto al pagamento a titolo di interessi di Euro 62.838,53 e di Euro 24.863,91 per rivalutazione monetaria, per un totale complessivo di Euro 172.550,20 e una differenza in suo favore non corrisposta di Euro 43.554,79.
Ha sostenuto in particolare il dr. Concerto che tale differenza è conseguente alla modalità di calcolo degli interessi e della rivalutazione che dovevano essere determinati sul lordo dell’importo a lui spettante e non, come ha fatto l’Amministrazione, sulla sorte capitale al netto delle ritenute assistenziali, previdenziali ed erariali.
Erroneamente l’Amministrazione avrebbe richiamato sul punto la circolare del Tesoro n. 83 del 23 dicembre 1998 ed il successivo d.m. del 1 settembre 1998, in quanto il criterio indicato in tali atti riguarda il ritardato pagamento di emolumenti e non il caso di esecuzione delle prescrizioni di un provvedimento di natura giurisdizionale.
Il dr. Concerto ha, altresì, evidenziato che il Tribunale di Reggio Calabria, al quale si era rivolto, con sentenza n. 2273 del 5/11/2010, ha dichiarato il difetto di giurisdizione sulla questione sollevata per il periodo antecedente il 30 giugno 1998, mentre ha accolto la sua richiesta, dopo l’esperimento di apposita C.T.U., per il periodo successivo al 30 giugno 1998 (e fino al 31 maggio 2000), riconoscendo il suo diritto, sulla base dei criteri ritenuti corretti, ad ulteriori Euro 481,15, a titolo di interessi legali.
La III Sezione, con ordinanza n. 3935 del 30 giugno 2011 ha rimesso all’esame dell’Adunanza Plenaria la questione riguardante la corretta modalità di calcolo, ai sensi dell’art. 429 cod.proc.civ., degli interessi e della rivalutazione monetaria sui crediti di lavoro, in particolare antecedenti al 31 dicembre 1994, questione definita con la sentenza n. 18 del 2011, con esito sfavorevole ai ricorrenti. L’Adunanza Plenaria ha, infatti, ritenuto la corretta applicazione, da parte dell’Amministrazione, dei principi di cui alla precedente decisione della stessa Adunanza n. 3 del 1998.
Per evidenti ragioni di connessione la medesima Sezione ha ritenuto di dover rimettere all’esame dell’Adunanza Plenaria anche la questione oggetto del ricorso in ottemperanza proposto dal dr. Concerto (relativo ad un credito di lavoro per il periodo 28 aprile 1989-31 maggio 2000), riguardante la base di calcolo degli interessi e della rivalutazione monetaria (se costituita dalle somme al lordo o al netto delle ritenute di legge).
Su analoga questione si era già pronunciata l’Adunanza Plenaria con decisione n. 3 del 1999 che aveva ritenuto che il calcolo della rivalutazione monetaria e degli interessi sulle somme dovute ai pubblici dipendenti doveva essere effettuato sull’ammontare netto del credito, depurato delle ritenute previdenziali e fiscali, in quanto la somma del capitale destinata a ritenute fiscali o previdenziali è una somma di cui i dipendenti non potrebbero mai disporre ed è, comunque, improduttiva, nei loro confronti, di interessi e rivalutazione.
Dette ritenute, infatti, vengono effettuate prima ancora che il credito venga percepito dal titolare e, pertanto, l’integrazione costituita da interessi e rivalutazione monetaria non può che riguardare il reddito netto.
Tale decisione risulta seguita dalla giurisprudenza amministrativa sia del Consiglio di Stato sia dei Tribunali amministrativi regionali.
In senso diverso si è, invece, più volte pronunciato il giudice civile secondo cui le ritenute costituiscono un debito del lavoratore che nasce soltanto in conseguenza e, quindi, dopo l’insorgenza del credito e sono, pertanto, determinate successivamente, almeno sotto l’aspetto logico, all’individuazione della loro base di calcolo. In senso sostanzialmente conforme si è espresso anche il T.A.R. Catania, Sez. I, con la sentenza n. 637 del 2007.
Sulla base di tali elementi la III Sezione, considerato:
che l’Adunanza Plenaria è già stata chiamata a pronunciarsi sulle questioni delle modalità di calcolo di interessi e rivalutazione monetaria sui crediti di lavoro;
che, sebbene non sia stata espressamente richiamata, la questione già sottoposta all’Adunanza Plenaria presuppone anche la soluzione della questione riguardante l’individuazione dell’importo nominale (al netto o al lordo delle ritenute di legge) sul quale interessi e rivalutazione devono essere calcolati;
che anche sulla questione riguardante la determinazione dell’importo (al netto o al lordo delle ritenute di legge) sul quale calcolare interessi e rivalutazione monetaria sembra esservi contrasto tra la giurisprudenza del giudice amministrativo e quelle del giudice ordinario;
che tale contrasto rileva, in particolare, nel caso di specie, dove l’interessato si è visto riconoscere il suo diritto dal giudice civile per il periodo per il quale ha ritenuto sussistere la sua giurisdizione;
che dopo la sentenza della Corte di cassazione SS.UU. n. 2065 del 28/1/2011 (che, modificando il proprio precedente consolidato orientamento, ha ritenuto ammissibile l’esecuzione di una decisione adottata in sede di ricorso straordinario) anche l’Adunanza Plenaria possa esprimersi circa l’ammissibilità, ai sensi dell’art. 112 co.2 cod. proc .amm., del ricorso per ottemperanza dei decreti di accoglimento di ricorsi straordinari al Capo dello Stato, adottati a seguito del parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato;
ha investito di tali questioni l’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, co.1, cod. proc. amm.
Alla Camera di consiglio del 26 marzo 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. La questione dell’ammissibilità, ai sensi dell’art. 112 co.2, cod.proc.amm., del ricorso per ottemperanza dei decreti di accoglimento di ricorsi straordinari al Capo dello Stato, adottati a seguito del parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato, è già stata delibata e risolta in senso positivo sia dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (SS.UU. n. 2065 del 28/1/2011 e successive decisioni) sia dalla successiva giurisprudenza amministrativa (VI Sez. n. 3513 del 10/6/2011 ed altre). Nella citata decisione della Suprema Corte, in particolare, si è identificata e qualificata la natura giuridica del decreto del Presidente della Repubblica reso a seguito di ricorso straordinario al Capo dello Stato, su parere vincolante del Consiglio di Stato, quale provvedimento esecutivo del giudice amministrativo (ex art. 112, comma 2 lett.b) cod. proc. amm., prevedendo che il ricorso per ottemperanza si propone, ex art.113 co.1, dinanzi allo stesso Consiglio di Stato, nel quale si identifica il “giudice che ha emesso il provvedimento della cui esecuzione si tratta”.
Da tale indirizzo questa Adunanza non ritiene di discostarsi.
2. Il ricorso per ottemperanza è infondato.
Con il decreto del Presidente della Repubblica, reso in sede di ricorso straordinario su parere della I Sezione del Consiglio di Stato n. 1426/05, della cui esecuzione si tratta, si è stabilito che al ricorrente spettasse il trattamento economico corrispondente allo svolgimento di mansioni superiori, con interessi e rivalutazione monetaria sulla differenza fra trattamento retributivo goduto e quello corrispondente alle funzioni svolte, nei limiti di legge previsti, calcolati sugli importi nominali di ogni rateo e sino all’adempimento tardivo, in base ai tassi in vigore alle rispettive scadenze. Ciò fino al 31/12/1994, in corretta applicazione dell’art. 16, 6^ co. della legge 30 dicembre 1991, n. 412 e dell’art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724. Per le rate maturate dal 1/1/1995 in poi si è stabilito, invece, che spettassero solo gli interessi e non anche la rivalutazione, non essendo più cumulabili i due importi, atteso che la rivalutazione può essere attribuita solo a titolo di maggior danno, eccezionalmente ritenuto in re ipsa, unicamente se (e nella misura in cui) risulti superiore all’interesse legale (Cfr. Ad.plen. n.3/1998; IV Sez., dec. n. 366/2001; VI Sez., dec. n. 3927/01).
Il ricorrente ha dedotto l’inesattezza del calcolo degli accessori operato dall’Amministrazione che, a suo avviso, avrebbe dovuto essere operato al lordo sugli importi nominali di ogni rateo e fino all’adempimento tardivo e non sull’importo netto per come operato dall’Amministrazione.
La questione rimessa all’Adunanza Plenaria dalla III Sezione riguarda appunto la base di calcolo da prendere in considerazione per la valutazione di interessi e rivalutazione monetaria di somme arretrate dovute a titolo retributivo: se, in particolare, la base debba essere la somma dovuta a titolo principale al netto e non al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali.
Ritiene la Sezione rimettente che vi sia contrasto giurisprudenziale fra l’orientamento del giudice amministrativo e quello del giudice ordinario, che nella fattispecie ha riconosciuto al ricorrente, per la parte di emolumenti rientranti nella sua giurisdizione, il calcolo sulle somme lorde.
Sulla questione si è specificamente pronunciata l’Adunanza Plenaria n. 3 del 1999, ritenendo che il calcolo di rivalutazione monetaria ed interessi sulle somme dovute ai pubblici dipendenti deve essere effettuato sull’ammontare netto del credito del pubblico impiegato e non sulle somme lorde poste a base del prelievo fiscale.
Anche la giurisprudenza delle Sezioni semplici e del CGA è univocamente orientata in tal senso (VI n. 1349/00; n. 1206/04; 3144/06; n. 9016/10; V n. 4772/08; CGA n. 944/10; n. 219/119).
Alla base dell’orientamento vi è la considerazione che la quota del capitale destinata a ritenute fiscali è una somma di cui i dipendenti non potrebbero mai disporre e che dunque è improduttiva, nei loro confronti, di interessi e rivalutazione (VI n. 1206/04; V n. 4772/08; VI n. 9016/10; VI n. 1349/00).
In senso difforme si è espresso il TAR Catania n. 637/07 (secondo cui la rivalutazione va operata sulla somma al lordo delle ritenute di legge, mentre gli interessi vanno calcolati sulle somme al netto delle ritenute).
Ritiene questa Adunanza Plenaria che il punto di partenza fondamentale per una puntuale disamina della questione sia costituito dall’ AP. 3 del 1998 con la quale sono stati definiti i criteri di computo di interessi e rivalutazione monetaria a seguito della entrata in vigore della legge n. 412 del 1991 e della legge n. 724 del 1994 (art. 22, comma 36), che hanno introdotto, prima per i crediti previdenziali e poi per i crediti di altra natura, il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione monetaria (dal 1/1/995).
Con tale decisione, in sintesi, si è enunciato il principio di diritto alla stregua del quale gli interessi legali e la rivalutazione debbono essere calcolati separatamente sull’importo nominale del credito retributivo, escludendo sia il computo degli interessi e della rivalutazione monetaria sulla somma dovuta quale rivalutazione, sia il riconoscimento di ulteriori interessi e rivalutazione monetaria sulla somma dovuta a titolo di interessi.
La decisione, con una motivazione molto puntuale, ancorata alla disamina della successione normativa e giurisprudenziale, anche costituzionale, in materia, ha sancito che la nuova regola del divieto del cumulo comporta necessariamente che la rivalutazione non sia più compenetrata con il credito retributivo, non partecipi della stessa natura di questo quale sua componente inscindibile, ma sia distinta da questa e si atteggia solo come tecnica liquidatoria del danno da ritardo, con l’ulteriore conseguenza che il credito di lavoro non ha un contenuto diverso da quello dei comuni crediti pecuniari, diversi essendo solo gli effetti dell’inadempimento.
Rivalutazione e interessi sono quindi solo un effetto del ritardo e non possono essere inglobati ab origine nel credito; in particolare la rivalutazione nel credito di lavoro assolve, rispetto alla prestazione dovuta, ad una funzione accessoria, parallela a quella degli interessi, con i quali concorre alla funzione globalmente riparatoria.
Deriva da ciò che entrambi detti elementi accessori debbono essere computati separatamente sulla somma capitale.
Tali conclusioni, raggiunte per i crediti successivi al 1/1/95, valgono anche per i crediti maturati entro il 31/12/94 (che soggiacciono alla regola di diritto vivente del cumulo fra interessi e rivalutazione): in tal modo se rimane vero che la rivalutazione si aggiunge agli interessi, e non è solo corrisposta nella misura eccedente il tasso legale degli interessi, è altrettanto vero che i due accessori devono essere computati separatamente (entrambi con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto)sulla somma capitale e solo su questa.
I principi fissati nell’Adunanza Plenaria n. 3 del 1998 in materia di calcolo separato di interessi e rivalutazione sull’importo nominale del credito retributivo sono stati recentemente confermati (in sede di ottemperanza a decisione n. 865/2010 della V Sezione) con la sentenza n. 18 del 2011 dell’Adunanza Plenaria.
Il superamento della tesi della compenetrazione della rivalutazione con il credito contributivo a favore della tesi della tecnica liquidatoria imperniata sul successivo calcolo separato di interessi e rivalutazione sul valore nominale del credito, unitamente alla considerazione che l’art. 429 cod.proc.civ. non ha trasformato il debito creditorio in debito di valore, ancorchè indicizzabile secondo una particolare disciplina, porta a ribadire l’indirizzo che afferma che tale calcolo vada effettuato al netto delle ritenute di legge, potendosi ritenere produttivo di interessi e soggetto ai meccanismi di attualizzazione del credito solo il denaro che viene posto a disposizione del creditore e che effettivamente ne incrementi il patrimonio e non quello corrispondente alle ritenute alla fonte, operate dal sostituto d’imposta attraverso rapporto di delegazione ex lege, che non sarebbe mai entrato nella disponibilità del dipendente (Cfr. Ad.Plen. n. 3 del 1999).
Ne deriva l’infondatezza del ricorso per ottemperanza che deve, quindi, essere respinto.
Nulla è dovuto per le spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge il ricorso
per l’esecuzione di giudicato.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Coraggio, Presidente
Giorgio Giovannini, Presidente
Gaetano Trotta, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Alessandro Botto, Consigliere
Marzio Branca, Consigliere
Aldo Scola, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Anna Leoni, Consigliere, Estensore
Maurizio Meschino, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/06/2012
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione