Indennizzo abbattimento bestiame, per l’A.P. Consiglio di Stato non è obbligatorio. Necessaria l’informativa prefettizia

Con la sentenza n. 19 del 5 giugno scorso, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si occupa e risolve finalmente la questione della natura giuridica dell'indennizzo previsto per l'abbattimento dei capi di bestiame malati.

Il massimo organo della giustizia amministrativa in primis precisa che questo tipo di erogazione ha senza dubbia natura indennitoria, ma ciononostante non è obbligatoria.
Non si ravvisa infatti alcun provvedimento di tipo ablatorio correlato all'abbattimento dei capi bufalini “malati”, dal momento che l’abbattimento è imposto esclusivamente da motivi sanitari e,  l’allevatore non è tenuto a corrispondere alla pubblica amministrazione alcuna controprestazione.

Per l’Adunanza Plenaria inoltre il criterio discretivo fondato sulla “causale” della erogazione non può condurre a escludere l’indennizzo nella elencazione contenuta nell’articolo 4 del D.lgs 8 agosto 1994 n. 490 e, conseguentemente, tale indennizzo può essere negato in presenza di una informativa prefettizia sfavorevole all’aspirante fruitore del beneficio.

Per il Consiglio di Stato dunque la disposizione di cui alla lett. f) dell’allegato 3 al D.lgs 8 agosto 1994 n. 490 richiamata dall’articolo 4, comma 1, dello stesso decreto deve essere interpretata nel senso che, "l’ampia previsione della clausola di riserva contenuta altre erogazioni dello stesso tipo comunque denominate legittima la ricomprensione della provvidenza per cui è causa tra quelle in relazione alle quali l’informativa prefettizia sfavorevole spiega effetti preclusivi, non ostando a tale inclusione la natura indennitaria della erogazione predetta".

Pertanto, qualora il prefetto emani una nota sfavorevole sull'abbattimento del bestiame, l'allevatore non ha diritto al risarcimento.

Di seguito il testo integrale della sentenza n. 19/2012 dell'A.P. Consiglio di Stato

N. 00019/2012REG.PROV.COLL.
N. 00006/2012 REG.RIC.A.P.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 6 di A.P. del 2012, proposto da:
Agrizoo Societa' Cooperativa A R.L., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Romano, con domicilio eletto presso Ennio Luponio in Roma, via Michele Mercati, 51;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissariato di Governo per l'Emergenza Brucellosi negli Allevamenti Bufalini della Provincia di Caserta e nelle Zone Limitrofe, Ministero dell'Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati, costituitisi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. del LAZIO – Sede di ROMA – SEZIONE I n. 02547/2011, resa tra le parti, concernente RICHIESTA INDENNIZZO CAPI BUFALINI INFETTI DA BRUCELLOSI – DINIEGO EROGAZIONE INDENNIZZI e RISARCIMENTO DEI DANNI

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri del Commissariato di Governo per l'Emergenza Brucellosi negli Allevamenti Bufalini della Provincia di Caserta e nelle Zone Limitrofe e del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 aprile 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’Avvocato Romano, e l’ Avvocato dello Stato Ventrella;
Visto l'art. 36, comma 2, del codice del processo amministrativo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado corredato da successivo ricorso per motivi aggiunti era stato chiesto dall’odierna appellante l’annullamento della nota del Commissariato di Governo emergenza brucellosi con la quale le era stata data comunicazione della mancata liquidazione degli indennizzi per l’abbattimento di capi bufalini in virtù dell’informativa antimafia dell’Ufficio Territoriale del Governo di Caserta relativa alla sussistenza a suo carico delle cause ostative cui all’art. 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490; essa aveva altresì gravato la predetta informativa, e gli atti a quest’ultima connessi e presupposti, tra i quali figurava una precedente informativa antimafia interdittiva ed il Piano operativo commissariale, approvato con decreto commissariale n. 4 del 2008, nella parte in cui subordinava l’erogazione in oggetto alla insussistenza di cause interdittive.
Con la sentenza impugnata il primo giudice ha respinto i tre articolati motivi di ricorso, affermando in primo luogo che tra i poteri conferiti al Commissario straordinario con l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3634 del 2007 rientrava quello di disporre la acquisizione della informativa prefettizia antimafia prima di procedere all’erogazione dell’indennizzo come attività necessitata e direttamente strumentale all’attuazione degli interventi affidati al Commissario delegato dall’art. 1 dell’ordinanza predetta.
Il Tribunale amministrativo ha quindi richiamato la lettera dell’art. 4 del d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490 sottolineando che il precetto ivi contenuto al comma 1 richiamava l’allegato 3 del decreto medesimo nel quale erano ricompresi, alla lett. f), “i contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”.
Tale ampia proposizione consentiva (od addirittura imponeva) di ricomprendervi anche l’erogazione controversa, a ciò non ostando la circostanza che essa trovava causa nell’avvenuto abbattimento di animali infetti causato da emergenza sanitaria: il richiamo alle “altre erogazioni dello stesso tipo” faceva infatti emergere, ad avviso del primo giudice, che le contribuzioni elencate espressamente nella disposizione in parola avevano un valore meramente esemplificativo, e non esaurivano il novero delle utilità contemplate dalla legge tra le quali doveva rientrare, quindi, quella per cui è causa.
Il Tribunale amministrativo, dato atto che non ricorreva la esenzione di cui alla lett. d del comma 2 dell’art.1 del decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252 (non avendo l’odierna appellante provato di esercitare una attività agricola non organizzata in forma di impresa) ha quindi preso in esame – e respinto- le censure rivolte avverso la certificazione prefettizia ritenuta ostativa alla erogazione dell’indennizzo e gli atti ad essa presupposti.
Con l’atto di appello l’originaria ricorrente rimasta soccombente ha chiesto la riforma di detta sentenza ed ha proposto con il sesto ed ultimo motivo domanda risarcitoria.
In particolare, con il primo, il secondo, ed il quarto motivo di censura essa ha sostenuto che la natura risarcitoria o comunque indennitaria della erogazione per cui è causa ne impediva la ricomprensione nel perimetro applicativo di cui all’art. 4 del d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490, mentre con il terzo motivo di censura ha sostenuto che comunque ad essa non poteva applicarsi la detta disposizione in quanto non esercitante attività agricola in forma imprenditoriale.
Con il quinto motivo di doglianza sono stati ribaditi gli argomenti relativi alla insussistenza di riscontri al pericolo di infiltrazione mafiosa paventato nella informativa della Prefettura di Caserta.
Con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, essendo stata ravvisata la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione di diritto, di particolare importanza, relativa alla ricomprensione della erogazione per cui è causa tra quelle descritte dall’art. 4 del d. lgs. 8 agosto 1994, n. 490, ed in particolare dalla lett. f dell’allegato 3 ivi richiamato, ha rimesso la decisione della controversia all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99 comma II del codice del processo amministrativo di cui all’allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
L’appellante ha in ultimo depositato una memoria con la quale ha ulteriormente illustrato la propria tesi difensiva.
All’odierna pubblica udienza del 16 aprile 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. E’ stata sottoposta al vaglio dell’Adunanza Plenaria la questione relativa alla ricomprensione dell’indennizzo per l’abbattimento di capi bufalini tra le erogazioni descritte dall’art. 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, ed in particolare dalla lett. f dell’allegato 3 ivi richiamato.
Il decreto di rimessione del Presidente del Consiglio di Stato ha ravvisato un contrasto giurisprudenziale tra le Sezioni del Consiglio di Stato in merito alla detta problematica, che costituisce il tema centrale dell’appello.
In particolare la Terza Sezione, con la decisione n. 6807 depositata il 23 dicembre 2011 aveva negato che la erogazione – stante la natura indennitaria della stessa – potesse rientrare nella elencazione contenuta nell’art. 4 del d. lgs. 8 agosto 1994, n. 490 e, conseguentemente, aveva escluso che potesse essere negata pur in presenza di una informativa prefettizia sfavorevole all’aspirante fruitore del beneficio; opposto indirizzo ermeneutico era stato affermato invece dalla Quarta Sezione con la decisione n. 6611 depositata il 15 dicembre 2011 essendosi ivi ritenuto che l’ampia formulazione del disposto di cui all’allegato 3, lett. f), del citato d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490 consentisse di annoverare l’erogazione per cui è causa tra quelle “dello stesso tipo” nei cui confronti l’informativa antimafia “sfavorevole” spiegava valenza preclusiva.
2. Va preliminarmente rilevato che non incide sulla problematica in oggetto la circostanza che il d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490 ed il d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 siano stati di recente abrogati dall’art. 120, comma 2, lett. b) e lett. c) del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. “codice antimafia” su Gazzetta Uff. 28 settembre 2011, n. 226).
E ciò innanzitutto alla stregua della pacifica considerazione del principio “tempus regit actum”: deve infatti evidenziarsi che il d.lgs n. 159 del 2011, nella parte di interesse, entrerà in vigore nel 2013.
In ogni caso, la permanente attualità della questione discende anche dalla circostanza che ai sensi del combinato disposto degli artt. 83, 84, 94 e 67 del citato decreto legislativo non emergono novità, sotto il profilo testuale, rispetto alla previsione contenuta sub art. 4 del d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490 (in particolare, l’art. 67 del decreto legislativo n. 159 del 2011 continua a fare riferimento, alla lett. g) del comma 1 a “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunita' europee, per lo svolgimento di attivita' imprenditoriali;”).
3. Ciò premesso, sostiene l’appellante che la erogazione dell’indennizzo in questione non sia sussumibile – in quanto avente natura indennitaria e di ristoro di un pregiudizio subito – nel novero dei “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo comunque denominate” (lettera f) dell’allegato 3) dei quali sarebbe preclusa l’erogazione, opzione ermeneutica, positivamente recepita dalla citata decisione della Terza Sezione del Consiglio di Stato n. 6807 del 23 dicembre 2011, laddove è stato espresso il convincimento per cui la informativa prefettizia interdittiva può precludere l’erogazione di provvidenze che “si traducono in incentivi allo svolgimento della attività imprenditoriale, e dunque in interventi volti ad arricchire di risorse pubbliche la intrapresa privata,” e non anche dell’indennizzo in parola, in quanto quest’ultimo “è destinato a ristorare i proprietari dei capi bufalini abbattuti per i danni subiti, e più precisamente per compensare il sacrificio imposto autoritativamente al privato per far fronte ad una esigenza pubblica.”).
4. E’ necessario dunque interrogarsi anzitutto in ordine alla natura dell’erogazione negata alla odierna parte appellante.
4.1. E’ noto che l’indennità per cui è causa è stata introdotta dalla legge 9 giugno 1964, n. 615, (recante “Bonifica sanitaria degli allevamenti dalla tubercolosi e dalla brucellosi”) successivamente modificata dalla legge 23 gennaio 1968, n. 33 al fine di indennizzare, nei limiti delle somme stanziate in bilancio, gli allevatori dal pregiudizio subito a cagione di un evento – l’insorgenza di tubercolosi e brucellosi bovina – che serialmente attinge gli allevamenti di bovini.
4.2. Ritiene il Collegio che, a cagione della espressa indicazione contenuta nella norma (art. 1, commi 4 e 6 della legge n. 615 del 1964), indicazione successivamente confermata dai decreti ministeriali 3 giugno 1968 e 27 agosto 1994, n. 651, concernenti il piano nazionale per la eradicazione della brucellosi negli allevamenti bovini, della natura indennitaria della detta erogazione non possa fondatamente dubitarsi.
Del resto, con precipuo riferimento alla situazione specifica per cui è causa, la natura indennitaria dell’erogazione in parola risulta pienamente confermata.
Si rammenta infatti che, mentre con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 agosto 2007, adottato ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (“Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile”) per fronteggiare il rischio sanitario connesso alla elevata diffusione della brucellosi negli allevamenti bufalini nel territorio della provincia di Caserta e zone limitrofe, è stato ivi dichiarato lo stato di emergenza, con la successiva ordinanza 21 dicembre 2007, n. 3634, il Presidente del Consiglio dei ministri ha nominato il Commissario delegato, che ha deliberato gli interventi urgenti di protezione civile volti al superamento dello stato di criticità in parola.
In particolare l’art. 3 della citata ordinanza, definisce espressamente “indennizzi” le erogazioni conseguenti alla ottemperanza all’ordine di abbattimento (mentre al successivo art. 7 dell’ordinanza sono stati quantificati gli oneri complessivi discendenti dall'attuazione dell'art. 3).
4.3. Merita inoltre di essere sottolineato che le Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione nell’affermare la spettanza alla giurisdizione amministrativa delle controversie in materia di erogazione della detta indennità ne esclusero la natura risarcitoria (nel senso di completa reintegrazione patrimoniale conseguente all'abbattimento dell'animale infetto) alla stregua della considerazione per cui “l'abbattimento dell'animale è obbligatorio quando ricorrano i presupposti accertati dall'autorità sanitaria” evidenziando che “(a parte la considerazione che la carcassa dell'animale abbattuto può essere venduta dal proprietario anche se, ovviamente, il valore commerciale è sensibilmente diminuito) l'importo dell'indennità non corrisponde al valore dell'animale, stimato da un'apposita commissione, bensì ad una percentuale di esso”.
Esse giunsero pertanto alla condivisibile conclusione per cui “non si tratta, dunque, di espropriazione, bensì di limiti apposti dalla legge al godimento di una determinata categoria di beni.” (Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza dell’1 aprile 1993, n. 3881).
5. Si deve dunque concludere in ordine alla erogazione in questione che essa non solo ha natura indennitaria ma anche che è non obbligatoria. Difatti non è correlata ad un provvedimento di tipo ablatorio poiché, da un canto, l’abbattimento è imposto da motivi sanitari e, per altro verso, l’allevatore – che resta proprietario dell’animale abbattuto, seppur avente valore economico inferiore – non corrisponde alla Pubblica Amministrazione alcuna controprestazione.
Ne consegue che è improponibile qualsiasi accostamento con l’indennità di espropriazione e che quindi i richiami, contenuti nella memoria difensiva dell’appellante, alla sentenza della Corte costituzionale n. 338 del 22 dicembre 2011 ed alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo in materia di indennizzo del sacrificio imposto alla proprietà dei beni, non sono conferenti alla fattispecie oggetto di esame.
5.1 L’Adunanza Plenaria ritiene, poi, che il criterio discretivo fondato sulla “causale” della erogazione non possa condurre ad escludere l’indennizzo suddetto dal campo applicativo delle citate disposizioni.
E ciò per più ordini di ragioni.
5.2. Già sotto il profilo teorico, una distinzione fondata sul criterio teleologico delle erogazioni che distingua quelle dirette a “promuovere” una attività imprenditoriale da quelle dirette a “restaurare” l’impresa da un pregiudizio subito appare (oltre che di assai incerta applicabilità) di dubbio supporto dogmatico. Ogniqualvolta infatti l’Autorità nazionale, ovvero quella Comunitaria, si risolve ad erogare una provvidenza economica in favore degli imprenditori operanti in un settore, a tale determinazione -unitamente a considerazioni relative alla opportunità o necessità di favorire od incentivare lo sviluppo o la crescita del settore via via prescelto – si accompagna la considerazione che le condizioni del libero mercato non garantirebbero adeguatamente il perseguimento delle dette esigenze se con incentivate attraverso la erogazione di misure lato sensu “compensative” dello stato di difficoltà in cui vengono a trovarsi gli imprenditori del settore.
Ove non sussistesse alcuna criticità nella situazione di mercato sottesa al settore prescelto non si vede perché l’erario dovrebbe motu proprio privarsi di risorse destinandole a remunerare l’operatore privato.
5.2.1 L’indennizzo per l’abbattimento di capi bufalini non è estraneo a tale ratio.
Il legislatore nazionale, infatti, ha preso atto della circostanza che periodicamente gli allevamenti vengono colpiti dalla tubercolosi e dalla brucellosi e che, al fine di evitare o comunque contenere il propagarsi del contagio, deve potersi disporre l’abbattimento dei capi infetti; ha conseguentemente previsto in via generale che l’allevatore che ottemperi all’ordine di abbattimento venga aiutato a superare la difficoltà conseguente alla perdita del capo abbattuto mediante la corresponsione di un indennizzo.
A monte della erogazione suddetta, quindi, v’è pur sempre sottesa una considerazione (quella della difficoltà in cui si viene a trovare una impresa) che non è estranea ad ogni altra erogazione di matrice pubblicistica.
Esso infatti si limita ad obbedire ad una prescrizione (quella dell’abbattimento) non certamente scevra da una esigenza di carattere generale ma, prima ancora, dettata nell’interesse del singolo proprietario del capo attinto dall’epidemia, il quale rischierebbe altrimenti che quest’ultima si propagasse all’intero allevamento.
La previsione dell’indennizzo, semmai, può invogliare l’allevatore ad ottemperare all’ordine di abbattimento: ma la misura sanitaria de qua è dettata in primo luogo proprio nell’interesse dell’allevatore medesimo e dalla stessa lo Stato non ricava alcun utile.
5.2.2.Tutto ciò, fra l’altro, conferma l’infondatezza dei dubbi di costituzionalità e di compatibilità con la Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, come si è detto, prospettati dall’appellante al punto II della memoria conclusionale depositata.
6. Tale considerazioni, si coniugano con quelle discendenti dalla analisi del tenore letterale della prescrizione contenuta nel citato allegato 3 richiamato dall’art. 4 del d.lgs. 29 ottobre 1994, n. 490.
Ivi, infatti, si fa riferimento a “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”: l’ampia clausola di salvaguardia contenuta nella citata prescrizione è idonea a ricomprendervi quelle (tra le quali indubbiamente rientra quella per cui è causa) in cui la matrice indennitaria sia più immediatamente percepibile rispetto a quella “compensativa” sottesa ad ogni altra tipologia di erogazione.
Nella detta prescrizione non risulta contenuto alcun richiamo discriminante alla “causale” per cui il contributo, il finanziamento, il mutuo agevolato o la “erogazione dello stesso tipo comunque denominata” sia concessa, di guisa che la distinzione sostenuta nel ricorso in appello tra “finalità di arricchimento” e “finalità di indennizzo” introduce un discrimen riduttivo che non collima con la clausola di riserva ivi contenuta.
E che la volontà del legislatore sia stata quella di non sottrarre alla applicazione dell’art. 4 del d.lgs. 29 ottobre 1994, n. 490 alcuna provvidenza erogabile dallo Stato alle imprese sospettate di contiguità mafiosa, appare evidente laddove si consideri che anche il precetto di cui alla lett. e) del citato allegato 3 contiene una ampia clausola di riserva di natura estensiva (“provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati”).
6.1. Sotto il profilo sistematico, la opzione ermeneutica contenuta nella sentenza impugnata, peraltro, ben si inquadra nell’ottica più generale perseguita con il d.lgs. 29 ottobre 1994, n. 490 citato: se la finalità di quest’ultimo è quella di escludere l'imprenditore, sospettato di essere passibile di infiltrazione criminale, dalla fruizione di benefici che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l'utilizzo di risorse della collettività, non si vede perché nella suddetta ratio dovrebbero rientrare unicamente le erogazioni dirette ad “arricchirlo” e non anche quelle dirette a parzialmente compensarlo di una perdita subita sussistendo per entrambe il pericolo che l’esborso di matrice pubblicistica giovi ad una impresa soggetta ad infiltrazioni criminali.
6.2. Ulteriore conforto alla ricomprensione della erogazione per cui è causa nella disposizione contenuta nell’art. 4 del d.lgs. 29 ottobre 1994, n. 490 si ricava dagli approdi cui è giunta la giurisprudenza in materia penale.
In particolare appaiono assai significativi gli indirizzi espressi dalla Corte di cassazione penale, laddove si consideri che in detto settore dell’ordinamento l’esigenza di tassatività della prescrizione incriminatrice, che costituisce pacifico corollario del principio di legalità di cui all’art. 25 della Costituzione, scoraggia qualsiasi interpretazione estensiva e men che mai analogica del precetto definitorio della condotta sanzionata.
Appare utile a tal proposito rimarcare che l’art. 4 della legge 29 settembre 2000, n. 300, nel quadro delle misure di adeguamento dell'ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalla Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee redatta a Bruxelles il 26 luglio 1995 ha inserito nel codice penale l’art. 316 ter che costituisce l’interfaccia penalistico del più volte citato allegato 3, contenendo una prescrizione identica a quest’ultimo; l’elemento oggettivo della fattispecie riposa infatti nella indebita percezione di “contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee” ed è assolutamente identico al dato testuale contenuto nel più volte citato allegato 3 richiamato dall’art. 4 del d.lgs. 29 ottobre 1994, n. 490.
Del detto precetto le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione hanno fornito una nozione che appare perfettamente in linea con quella qui prospettata avendo in particolare ribadito, quanto all’elemento oggettivo della fattispecie che “nel concetto di erogazione deve ritenersi compreso non solo l'ottenimento di una somma di denaro a titolo di contributo, ma pure l'esenzione dal pagamento di una somma dovuta ad enti pubblici, perchè anche in tal caso il richiedente ottiene un vantaggio che viene posto a carico della comunità”.
Assai significativa, appare in particolare l’affermazione per cui tra le stesse rientrano non solo le somme versate dall'ente pubblico, ma anche le somme non richieste o richieste in misura minore per servizi resi dal predetto ente e che nessun argomento contrario all'inclusione anche delle prestazioni assistenziali nelle previsioni dello stesso art. 316 ter potrebbe trarsi dalla locuzione "contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo", che pure nella normativa comunitaria viene formulata con termini del tutto generici e privi di uno specifico significato tecnico riferibile soltanto a sovvenzioni in danaro e non anche ad agevolazioni ed ausili economici di qualsiasi tipo, attribuiti con scopi sociali (Cassazione penale, Sezioni Unite, decisione del 16 dicembre 2010 , n. 7537).
7. Alla stregua di quanto finora affermato, considerazioni di natura letterale e sistematica inducono ad affermare che del tutto legittimamente il Commissario di Governo emergenza brucellosi abbia subordinato la erogazione dell’indennizzo alla assenza di informazioni sfavorevoli contenute nella informativa prefettizia antimafia e, a monte, prodromicamente alla erogazione del contributo abbia disposto la acquisizione della detta informativa.
8. Devono essere pertanto respinti il primo, il secondo, ed il quarto motivo dell’ appello e deve essere enunciato il principio di diritto seguente: la disposizione di cui alla lett. f) dell’allegato 3 al d.lgs 8 agosto 1994, n. 490 richiamata dall’art. 4, comma 1, del citato decreto legislativo deve essere interpretata nel senso che, l’ampia previsione della clausola di riserva ivi contenuta “altre erogazioni dello stesso tipo comunque denominate” legittima la ricomprensione della provvidenza per cui è causa tra quelle in relazione alle quali l’informativa prefettizia sfavorevole spiega effetti preclusivi, non ostando a tale inclusione la natura indennitaria della erogazione predetta.
9. Le spese del giudizio saranno determinate in sede di definitiva decisione dell’odierno appello dalla Terza Sezione cui la causa viene rimessa per l’ulteriore corso.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) non definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge il primo, il secondo, ed il quarto motivo ivi proposti e, enunciato il principio di diritto di cui alla motivazione rimette il ricorso in appello alla Terza Sezione per l’ulteriore corso.
Spese processuali al definitivo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2012 con l'intervento dei Signori Magistrati:
Giancarlo Coraggio, Presidente
Gaetano Trotta, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Giuseppe Severini, Presidente
Alessandro Botto, Consigliere
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Anna Leoni, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/06/2012
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione

Redazione

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