Con la sentenza 28 febbraio 2013 C-1/12, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha affermato che “gli ordini professionali sono paragonabili a delle associazioni di imprese e come tali devono rispettare le regole sulla concorrenza. Per cui l’imposizione a i propri iscritti di un sistema di formazione obbligatoria che elimina parzialmente la concorrenza e stabilisce condizioni discriminatorie a danno dei concorrenti è contrario al diritto dell’Unione”.
La pronuncia, resa con riferimento all’Ordine professionale portoghese degli esperti contabili (cd. Otoc) – la cui normativa nazionale impone il conseguimento in un biennio di almeno 35 crediti di formazione di cui una parte erogabile esclusivamente dallo stesso Otoc – a detta dei principali ordini professionali italiani non dovrebbe avere ripercussioni nel nostro ordinamento che, a seguito della riforma realizzata con il D.P.R. n. 137/2012, già consente ad associazioni ed enti di formazione esterni la possibilità di attribuire crediti formativi durante eventi di particolare rilevanza per le singole categorie, previa autorizzazione del competente Consiglio dell’Ordine, rilasciata in base ad apposito regolamento dallo stesso adottato.
Di contrario avviso è invece chi ritiene che siffatta autorizzazione e il parere favorevole del Ministero vigilante, necessario per l’adozione di tali regolamenti ex art. 7 D.P.R. n. 137/2012, possano rappresentare delle indebite forme di restrizione della concorrenza nel mercato della formazione professionale, specie ove il placet ministeriale finisse per fungere da mera copertura formale di una regolamentazione imputabile sostanzialmente agli Ordini.
In ogni caso, un dato è certo: degli ammonimenti della Corte di Giustizia dovrà necessariamente tener conto il Consiglio Nazionale Forense, competente a regolare la materia per la categoria degli avvocati.
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